martedì 4 agosto 2020

Recensione: L'ATTENTATO di Yasmina Khadra


L'esistenza serena e agiata di un uomo che s'è lasciato alle spalle le proprie origini e il proprio popolo, con le sue infinite difficoltà e le sue miserie quotidiane, viene improvvisamente sconvolta da una tragedia famigliare che mette in crisi tutte le certezze su cui reggeva la sua felicità, di cui non resta che un cumulo di polvere, detriti... e lacrime.



L'ATTENTATO
di Yasmina Khadra


Ed. Sellerio
trad. M.Bellini
264 pp
«perché così tanto odio fra consanguinei?» «Perché non abbiamo capito granché delle profezie né delle più elementari regole di vita.»


Amin Jaafari è un affermato chirurgo di origine araba naturalizzato israeliano e ben integrato nella società di Tel Aviv, in cui vive; tutti lo rispettano per la sua carriera di medico e perché forma, insieme alla moglie, una coppia equilibrata e affiatata, stimata da amici e conoscenti.

Ma un giorno, l'ospedale in cui lavora si riempie di feriti, frutto di un terribile attentato kamikaze: un terrorista si è riempito di esplosivo facendosi saltare in aria all'interno di un ristorante in cui c'erano molti bambini. Per tutto il giorno Amin e colleghi lavorano a pieno ritmo per cercare di salvare più feriti possibili, tanti dei quali giungono in condizioni davvero gravi.
Ore ed ore in corsia e in sala operatoria lo distruggono nel corpo e nella mente, ma la stanchezza che prova a fine turno è nulla in confronto allo smarrimento e all'acuto dolore che di lì a qualche ora lo travolgeranno.
Nel cuore della notte, infatti, l'amico poliziotto Naveed lo sveglia per dargli una terribile notizia: la moglie è morta. Era lì, in quel locale affollato di Tel Aviv.

Strano, pensa Amin, Sihem è da tre giorni a casa della nonna a Kafr Kanna! Perché avrebbe dovuto essere al ristorante?
L'ultima volta che gli occhi dell'uomo hanno incrociato quelli della moglie è stato, quindi, pochi giorni prima, e adesso quegli occhi resteranno chiusi per sempre; il buio della morte l'ha avvolta e adesso anche Amin sta attraversando le proprie tenebre: quelle della disperazione lo avvolgono dopo aver appreso con sconcerto e profondo dolore di essere diventato vedovo, privato da un momento all'altro della luce dei suoi occhi, della sua ragione di vita.
L'incubo per lui è appena incominciato:

«Dalle prime risultanze dell'inchiesta, lo smembramento che il corpo di sua moglie ha subito presenta le tipiche ferite dei kamikaze integralisti.» Ho la sensazione che queste rivelazioni mi tormenteranno fino all'ultimo dei miei giorni. Si susseguono nel mio animo, prima al rallentatore poi, come nutrendosi della propria enormità, s'imbaldanziscono e mi assediano da ogni parte.

Hai capito bene, Amin? Tua moglie, la tua adorata Sihem, è morta non perché si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato; il suo corpo non s'è smembrato per una sfortunata coincidenza.
No, lei era quella donna che nascondeva una bomba sotto un pancione finto; lei è l'ammazzabambini che ha provocato morti e feriti e seminato panico e distruzione in un giorno qualunque a Tel Aviv.

Per tre giorni il dottore viene preso in custodia da agenti segreti che lo sottopongono a interrogatori serrati: dubitano di lui, di un suo possibile coinvolgimento nell'attentato; del resto, la terrorista era sua moglie...: possibile che lui non sapesse nulla delle intenzioni della donna, delle sue idee da fanatica islamica?

Quando gli agenti si convincono dell'estraneità di Amin, lo lasciano andare.
Egli è distrutto, allucinato, sfibrato; prova un dolore infinito e lui stesso non sa dire se è consapevole al 100% della tragedia che lo ha colpito o se ne è già stato annientato.

Nel fango di confusione e lacerazione interiore in cui versa, c'è una cosa che gli riesce come la più inaccettabile: davvero la sua bellissima moglie era legata a cellule terroristiche? Non è possibile, se così fosse stato, lui se ne sarebbe accorto, no?!?


"...mi sono chiesto perché Sihem fosse arrivata a quel punto. Da quando aveva iniziato a sfuggirmi? Come mai non ho notato nulla? Di certo ha cercato di mandarmi un segnale, dirmi qualcosa che non ho saputo afferrare al volo. Dove avevo la testa?"

Come ha potuto vivere accanto a una donna per anni e non riconoscere i segnali (perché ci saranno stati!!) che gli avrebbero permesso di aiutarla a venir fuori da quel meccanismo infernale che l'ha spinta a preferire la morte alla vita?
Può una moglie custodire un segreto di tale portata e non tradirsi mai, in nessuna occasione? E lui, marito devoto ed amorevole...., come ha fatto ad essere così accecato da non accorgersi che stava perdendo la sua Sihem? Chi l'ha plagiata e indottrinata al punto da convincerla ad arrivare al gesto estremo?

Inizia così l'indagine personale di un uomo costretto a scavare nel passato e nei segreti della donna che credeva di conoscere come se stesso, e con la quale sognava di invecchiare insieme.
Trovare le risposte alle mille domande che gli rimbombano in testa non è semplice e richiede da parte sua un grande atto di coraggio.
Il coraggio di voler schiudere il velo su sua moglie, accettando la realtà: non la conosceva davvero, non era stato capace di leggere le ferite nel suo cuore, i suoi tormenti, i suoi veri pensieri.
Lui - che è andato via dalla propria famiglia, gettandosi alle spalle tutto ciò che era legato al suo essere arabo, per costruirsi un'esistenza nuova, più stimabile, irreprensibile agli occhi della società israeliana -  dopo la tragedia si ritrova a pagare comunque il prezzo della propria non appartenenza a quella società e, soprattutto, quello di essere il marito di una kamikaze: lui, che ha voltato la faccia al proprio popolo, si ritrova a ricevere disprezzo e odio da parte di quella stessa gente con cui voleva confondersi e amalgamarsi... e che adesso lo chiama traditore!

Il viaggio verso la verità sarà sconvolgente anche perché finalmente dovrà ammettere come egli  fino a quel momento abbia evitato di prendere posizione circa il conflitto che oppone il popolo palestinese a quello israeliano.
Sarà  per Amin un percorso iniziatico che, ricordo dopo ricordo, lo condurrà nei luoghi e tra le persone frequentati da Sihem negli ultimi tempi; incontrerà membri della propria famiglia che sapevano dell'adesione della donna alla causa palestinese e che adesso hanno paura a parlarne con lui perché rischiano la vita.
Ed infatti il viaggio del dottore verso la verità sarà irto di ostacoli e minacce in quanto lo porterà proprio  là dove nascono e crescono l'odio, la decisione di preferire il martirio a una vita di umiliazioni, là dove matura la convinzione che solo attraverso certi atti estremi, colpendo con violenza il  nemico che ti assedia ogni giorno, rubandoti terre, diritti, sogni e libertà, si dà un senso alla vita e si muore degnamente, conquistandosi il diritto di essere annoverati tra gli Eroi, benedetti da Allah.

Amin trova il coraggio di rimettere piede in quei territori dove si consuma un conflitto lungo e sfibrante, dove Golia calpesta Davide ad ogni angolo di strada, dove Sihem aveva preso coscienza di appartenere a un popolo che ha dovuto imparare l'arte di resistere e dove lei ha fatto sua la rabbia di chi è saturo di disprezzo e umiliazione.

"La vita mi ha insegnato che si può vivere d'amore e acqua fresca, di briciole e di promesse, ma che non si sopravvive al disprezzo.  (...) Non si sopravvive al disprezzo, quando solo questo si è visto per tutta la vita".

"Questa dolorosa ricerca della verità è il mio percorso iniziatico. Ridefinirò l'ordine delle cose, lo rimetterò in discussione, cambierò prospettiva?" si chiede Amin, e il lettore intraprende questo viaggio non facile in una terra martoriata, dove, dice un comandante delle milizie islamiche, ai giovani è impedito di "sognare (...). Cercano di rinchiuderli in ghetti finché vi si annullano. Per questo preferiscono morire. Quando i sogni sono conculcati, la morte  diventa l'ultima salvezza… (...) Non c'è cataclisma peggiore dell'umiliazione. È una disgrazia incommensurabile, dottore. Ti toglie la voglia di vivere."


"L'attentato" è un romanzo che "parla" di terrorismo, ma ridurlo solo a questo credo non gli renda giustizia. 
Piuttosto, direi che l'attentato kamikaze - pur con tutto il carico reale di angoscia e terrore che si porta inevitabilmente dietro -  sia una sorta di "pretesto" per condurre il lettore in un mondo di cui sentiamo parlare ma che ci sembra sempre così lontano da noi e di cui forse non sappiamo poi tanto.
Mi riferisco alle condizioni in cui versa quotidianamente chi vive in queste terre, a Jenin ad es.; mi hanno colpito molto le pagine dedicate a Jenin, vista con gli occhi del protagonista - pieni di angosciato stupore - e che diventano anche i nostri: 

"Il regno dell'assurdo ha devastato persino la gioia dei bambini. Tutto è sprofondato in un grigiore malsano. Sembra di essere in un'ala dimenticata del limbo, frequentata da anime logorate, da esseri spezzati, metà spettri metà dannati, immersi nelle vicissitudini come moscerini in una colata di vernice, il viso disfatto, lo sguardo stralunato, rivolto verso la notte, così disperato che neanche il gran sole della Samaria riesce a illuminarlo. 

Jenin è ormai solo una città sinistrata, un'immensa rovina; non ha nulla da dire e ha l'aria insondabile come il sorriso dei martiri, i cui ritratti sono affissi a ogni angolo di strada. Sfigurata dalle innumerevoli incursioni dell'esercito israeliano, di volta in volta messa alla berlina e resuscitata per far durare il piacere, giace nelle sue maledizioni, senza fiato e a corto d'incantesimi…"

Leggiamo questo libro passando da una tragedia collettiva (l'attentato) ad una famigliare e quindi personale, e le situazioni drammatiche - che sono al centro della storia - si colorano di una sfumatura avventurosa e quasi poliziesca (nella ricerca della verità, che porta il protagonista in un contesto pericoloso); le vicende narrate sono attraversate da toni inevitabilmente tristi, perché a dominare sono sentimenti ed emozioni di angoscia, doloroso stupore, disperazione, rabbia, impotenza, paura.

Tra queste pagine conosciamo un uomo che, come lavoro e missione di vita, ha scelto di salvare vite, di mettere in campo le proprie competenze per strappare delle esistenze alla morte; una persona che fa una scelta di questo tipo non può di certo accettare l'idea che si vada incontro alla morte (e la si procuri agli altri) in nome di un'ideologia religiosa. Non solo, ma è anche un uomo che aveva scelto di vivere in una gabbia dorata, lontano dalla tragedia del proprio popolo, fingendo che non lo riguardasse.

E sentiamo parlare di una donna bella e intelligente che, pur avendo un'esistenza invidiabile e desiderabile, decide di ripudiarla, perché l'amore per il proprio popolo continuamente vessato è più forte di tutto: del proprio matrimonio d'amore, della propria posizione sociale rispettabile, della bella casa a Tel Aviv, del marito devoto e innamorato. 
Più di se stessa.

E' un romanzo che ci induce a soffermarci su quanto sia devastante e logorante questo odio che deteriora e corrode questa striscia di terra, teatro "degli orrori che stanno trasformando la terra prediletta da Dio in un inestricabile immondezzaio dove i valori fondanti dell'Umanità marciscono a cielo aperto, l'incenso puzza come le promesse che ci rimangiamo e il fantasma dei profeti si copre il volto a ogni preghiera che si frange nel ticchettio delle culatte e nelle grida d'intimazione.".


Ho trovato questo libro commovente, lacerante, capace di narrare e trasmettere il dolore: quello privato - vissuto da un marito che non ha saputo cogliere i segni della sofferenza di una moglie che ha preferito farsi esplodere piuttosto che accettare le angherie subite dal suo popolo - e quello, appunto, del popolo palestinese rispetto alle politiche e all'assedio da parte del governo israeliano.

Con una scrittura fluente ed emotivamente potente, l'Autore esplora con intensità la dimensione psicologica dei personaggi, ci lascia ascoltare le parole di chi fa della Causa la propria ragione di vita, risultando, a mio avviso, amaramente autentico.


Note biografiche

Yasmina Khadra, pseudonimo di Mohamed Moulessehoul, è uno scrittore stimato e apprezzato nel mondo intero. Nato in Algeria nel 1956, reclutato alla scuola dei cadetti a nove anni, è stato ufficiale dell’esercito algerino. Dopo aver suscitato la disapprovazione dei superiori con i suoi primi libri, ha continuato usando come pseudonimo il nome della moglie. Nel 1999 ha lasciato l’esercito svelando così la sua vera identità e ha scelto di vivere in Francia. In Italia sono pubblicati molti dei suoi romanzi, tra cui i due noir Morituri (1998) e Doppio bianco (1999), e Quel che il giorno deve alla notte (2009), miglior libro del 2008 per la rivista letteraria «Lire» (adattato a film nel 2012). Con Sellerio: Gli angeli muoiono delle nostre ferite (2014), Cosa aspettano le scimmie a diventare uomini (2015), L'ultima notte del Rais (2015), L'attentato (2016), dal quale è stato tratto il film di Ziad Doueirie, e Khalil (2018) .

3 commenti:

  1. Dramma sociale e familiare si mescolano insieme per un cocktail forte e drammatico ponendo in essere nel lettore una serie di importanti riflessioni

    RispondiElimina

Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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