venerdì 6 marzo 2015

Recensione: CADE LA TERRA di Carmen Pellegrino



Recensione del venerdì sera! ^_-

CADE LA TERRA
di Carmen Pellegrino

Ed. Giunti
220 pp
14 euro
2015


Ci troviamo ad Alento*, un borgo piccolo e antico, le cui case vanno in rovina, come i suoi abitanti, poveri, soli e spesso disperati.
La protagonista del romanzo è Estella, una donna che, fuggita da un monastero, viene accolta in casa de Paolis per badare al giovanissimo Marcello, un ragazzino particolare, magrissimo e scontroso, della cui istruzione si dovrà occupare proprio Estella.
Nella prima parte del romanzo ("La casa dell'olmo"), la narrazione passa, capitolo dopo capitolo, da Estella a Marcello; quest'ultimo colpisce il lettore per la sua cinica intelligenza, per quel pizzico di cattiveria e furbizia che muovono le sue azioni e le sue parole, per quell'aria di superiorità che ha verso la povera gente di Alento, che lui definisce con disprezzo "bifolchi".

Attorno ad Estella ruotano altri personaggi, altre storie, antiche, passate ma non del tutto sepolte, perchè a parlare di essi e per essi ci pensano i muri, le case, gli oggetti.
E così, nella seconda parte ("L'attesa"), Estella ci presenta alcune persone con le loro vite e le loro vicende personali dolorose: c'è Cola Forti, l'uomo dalle idee liberali e progressiste, che vorrebbe gridare ai suoi compaesani ignoranti che la vita non è  tutta lì, tra le mura del vecchio borgo in decadenza.
C'è Libera Forti, sua figlia, che è stata cresciuta dal padre nell'illusione di una libertà da conquistare, ma che si vede poi costretta dalla madre a fare ciò che non vuole e, che sa, mai la renderà felice.
C'è la giovinetta che vive sperando nell'amore e che impara troppo presto che la vita non sempre dà quello che le si chiede.
C'è la famiglia che soccombe davanti alle prepotenze dei ricchi, pronti a corrompere la giustizia per non avere guai; c'è il banditore cieco che crede in quello che fa e vorrebbe, come unico riconoscimento, un cappello nuovo; c'è il venditore di vasi da notte, che punta tutto il suo orgoglio sui figli maschi, dando loro modo di studiare e tentando così di tener lontano lo spauracchio di una guerra che viene combattuta in nome di una Patria che sembra chiedere molto, troppo di più, rispetto a quello che è disposta a dare.

Ed Estella diventa narratrice malinconica e tenace di queste storie, vegliata dall'olmo silente e generoso e chiamando a testimoni crepe e muri in disfacimento..:

"Non chiedevo nulla: sedevo presso i muri che dilungavano il loro sibilo di vita e non chiedevo nulla. Aspettavo, questo sì, ma sapevo bene quando l'attesa fosse vana, perchè nulla poteva venire, se non le voci, quelle voci consegnate a un'eternità di silenzio... Come potevano non non esserci stati, mi dicevo, se questi muri avevano costruito e poi abitato?".

Non teme la solitudine e l'abbandono, Estella, perchè si circonda della forza del ricordo, di voci e volti che sono esistiti davvero e la cui voce, pur essendo essi oramai dei "semplici fantasmi", pur non essendo più presenti col corpo, ancora s'ode; Estella aspetta paziente che ogni casa abbandonata divenga un teatro, un palco su cui possano finalmente esibirsi coloro che non hanno saputo vivere come protagonisti quando avrebbero dovuto e potuto farlo.
Sono attori falliti, un tempo respinti, ma che, se potessero parlarci, ci direbbero che non hanno alcuna voglia di sentirsi ancora legati alla vita, perchè il loro tempo ormai è andato ed ora essi non sono che "una folla di invisibili... che permane nell'oscurità del paese".

Perchè Estella è così legata a ciò che non c'è più e cerca con tutte le sue forze di tenerlo in vita presso di sè?

"Finchè avrò vita, imbastirò la storia di questo paese"

dichiara convinta a chi le chiede di abbandonare ciò che è già stato abbandonato dal tempo, prima che calcinacci e polvere la seppelliscano definitivamente.

Ma Estella non ci pensa a scappare: ricordare e far rivivere i fantasmi del passato è, per lei, un ritorno alle cose piccole, semplici, abbandonate, alle quali appartiene, e che assomigliano alle ferite che, come antiche crepe nei muri, sono dentro la sua anima, indelebili, e dalle quali trae, inaspettatamente, forza.

Estella vuole i morti attorno a sè perchè le sono cari e la sua è una voglia di riscatto.

Ma chi è il vero prigioniero? Chi ha bisogno di essere riscattato? I morti che hanno vissuto da perdenti e non esenti da colpe, o chi potrebbe vivere il presente ma si lascia sopraffare dalla solitudine?

Un romanzo che immerge il lettore in un'atmosfera atavica ma al contempo familiare, in cui l'umanità e la solitudine della protagonista diventano un po' anche nostre, e dove il confine tra ieri e oggi, tra ciò che è stato e che non c'è più, tra la morte e la vita... diventa confuso, indefinibile; dove dare voce ai vinti e ai muti diventa l'unica via per non seppellire la memoria, soccombendo all'abbandono inesorabile.


C'è amore, in "Cade la terra", nostalgia, malinconia, ma anche brutalità, ferocia, indifferenza, speranze disattese, infelicità; c'è tutto ciò che abita nel cuore dell'uomo perchè lo sguardo dell'Autrice entra dritto nelle case, all'interno di mura che - benchè fredde e disadorne - non hanno smesso di conservare odori, e che ancora rimbombano di parole, di pianti (raramente di risa...), e che per questo ancora riescono a tenersi miracolosamente in piedi.

Ogni parola, in questo libro, ha un enorme potere evocativo e sa trascinarti in un tempo che è sì passato ma che pure sembra "eterno", come se l'orologio si fosse fermato, immortalando ruderi e rovine, lasciandoli sospesi; un mondo che non perde la sua forza perchè popolato da persone comuni, "vere", con i loro gesti, i loro volti, i silenzi, le lacrime; 

Insomma, un tempo e un mondo che ci sembrano lontani e vicini contemporaneamente: sarà per questo che anche noi ci aggiriamo tra le strade del paesino e frughiamo insieme alla protagonista in cassetti e stanze vuote alla ricerca di qualcosa che ci appartenga, perchè ognuno di noi ha bisogno di tornare alle radici, al passato, e di tener stretti i ricordi.

Bello, non posso che consigliare la lettura di questo libro attraversato da un'atmosfera ancestrale e da una vena poetica e intensa che entra nel cuore del lettore sensibile e attento.

* Alento è un nome di fantasia ma l'Autrice ha scritto il libro pensando a un paese "reale", Roscigno Vecchia (in Campania).

5 commenti:

  1. Bellissima recensione cara Angela! Io ho appena acquistato questo libro e non vedo l'ora di conoscere Estella e le anime vagabonde :)

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    1. spero ti piaccia! ;))) verrò a leggere il tuo parere, quando lo posterai!

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  2. Angoscia ha suscitato in me questo libro, per il tema della morte che lo pervade da cima a fondo, attenuata però dal finale, dove si intravede un barlume di pacificazione. Il tema del libro è così annunciato: “non bisogna mettere a dormire i morti”; per la percezione della precarietà in cui vive il paese, un immaginario Alento (cioè Roscigno, abbandonato per il terreno franoso), destinato a crollare lentamente; per le densissime suggestioni, che toccano tutti i sentimenti: amore, odio, collera, speranza. Un altro aspetto molto avvincente del libro è l’efficacia delle metafore, ad esempio: “Ada de Paolis … senza il marito [deceduto] era come un fiume senza sponde, un cuore che si educa a morire, simulandosi morto fra i vivi e vivo fra i morti”.
    Tutto il racconto si mantiene in una tensione alta, senza cadute, con lo stesso stile asciutto, e con un linguaggio scarno, spoglio, ma non povero, consono al tema. Le storie delle persone che popolano il libro sono storie che rivivono in noi, cariche del dolore universale. Forse anche scritte con il dolore della stessa autrice, perché pare impossibile che una giovane scrittrice abbia descritto così vividamente le storie, se non vi sia stata lei stessa implicata in altre simili.
    Se così non è, e cioè che invece l’autrice abbia avuto un’infanzia felice, senza aver dovuto vedere negli occhi della madre “il dispetto” per averla messa al mondo, allora , c’è da dire che l’autrice ha una tale empatia per tutte le forme della sofferenza umana e una tale padronanza dei mezzi espressivi, che le bastano poche precise parole perché anche chi legge entri in sintonia con i personaggi delle storie narrate. Infatti la storia mi ha coinvolto moltissimo, anche a causa del mio recente lutto, e mi interrogo sul destino “post mortem”, di mio marito, chiedendogli un segno di una esistenza ultraterrena. Ma mi rispondo che ciò che resta di lui è solo ciò che ha fatto e ciò che ha scritto. E allora vado a rileggere i suoi versi carichi di una grande sapienza esistenziale. E mi sono sentita vicina all’autrice anche quando ringrazia “Andrea di averle donato un posto in cui stare, fra cose visibili e invisibili”, come anch’io ringrazio mio marito di avere fatto lo stesso. Egli è un poeta, Veniero Scarselli, che ha scandagliato tutti i sentimenti umani, specialmente quello verso la morte( www.venieroscarselli.it).
    Questo libro è una sintesi perfetta tra la microstoria e la Storia e desta ammirazione per il modo in cui vi è concentrato lo strazio di quelle anime. Sono in lutto per mio marito, ma l'angoscia che ella ha rinfocolato, mi ha anche illuminato sulla nostra faticosa, ma costruttiva storia esistenziale e amorosa.
    Infatti i libri sono avvincenti se il lettore si sente passo passo condotto ad esplorare ed illuminare i più intimi e riposti sentimenti, per analizzarli in una sorta di auto-processo intimo, da cui uscire poi assolto o condannato, ma con la possibilità di una propria redenzione. Infatti, per assurdo, nel libro c’è anche il desiderio di redenzione, espresso da Consiglio, che chiede di “chiamarci per cambiarci i destini”, perché non vuole essere ricordato per come ha vissuto, ma per come avrebbe dovuto vivere. Egli chiede: “fate di me un padre amorevole e con più fortuna. Mettetemi tra le mani un regalo per mia moglie, …

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    1. ciao Gemma, grazie per la tua esaustiva opinione, molto sentita e profonda. A me non ha trasmesso angoscia, ma di certo molta nostalgia per ciò che la morte e il tempo ci tolgono, e che forse solo la memoria può tenere in vita.
      un saluto,
      Angela

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  3. Segue...Il mistero della morte è evocato mirabilmente dalle parole di Maccabeo: “Si dice che tutto finisce con la morte … ma in definitiva, che ne sanno quelli che l’affermano? Dopotutto non si tratta che di una loro opinione … Il "Qui giace … "che usate scrivere sulle nostre sepolture, non vuol dire sempre qui, nella terra, al triste raduno dei becchi dei corvi. Potete vederci più allegramente a sera quando scendono le stelle. Cercateci in una pietra grigia al sole, nel canto di un uccello che si è liberato del dolore … o tra gli alberi che fremono, dentro l’acqua che scorre”. Materialismo (per dirla grossolanamente) e trasmigrazione delle anime sono qui evocati con immagini poetiche molto suggestive. Forse nella pietra grigia, secondo l’autrice, vi troveremmo gli esseri vissuti milioni di anni fa, assimilati nel processo di costruzione –distruzione e passaggio dall’organico all’inorganico in un ciclo eterno del “niente si crea, niente si distrugge, ma tutto si trasforma.
    La storia finisce dal punto in cui era cominciata, con il convito serale dei personaggi, invitati con l’intento che fosse una specie di risarcimento per le loro vite defraudate di ogni piacere e gioia, vite monche, precarie, vissute sotto il pesante fardello della miseria e dell’ignoranza.

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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