La sessantenne suor Giovanna della Croce, al secolo Luisa Benincasa, dopo più di trent'anni trascorsi in un convento di clausura, è costretta a tornare "nel mondo", scontrandosi così con una realtà ormai a lei estranea e davanti alla quale si ritroverà sola ed impreparata.
SUOR GIOVANNA DELLA CROCE. L'anima semplice
di Matilde Serao
Manni editore 184 pp |
Ma un giorno una terribile e drammatica notizia giunge a turbare la pace delle monache: un provvedimento governativo* impone che esse lascino immediatamente i locali del convento; per le donne, tutte anziane e per lo più sole, prive di contatti con le famiglie d'origine da molti anni, è una vera e propria tragedia.
Lo è per due ragioni, essenzialmente: la prima, e più importante, è la violazione del voto da esse fatto a Dio - di vivere in clausura, dedicandosi solo alla preghiera, e di non uscirne mai -, la seconda è che esse sono consapevoli di non avere nessuno ad aspettarle, di non avere un posto, una casa cui tornare.
Quando arriva il giorno fatidico - in cui le poverette vivono l'umiliazione di dover togliere il velo davanti ai cinici ispettori del governo, che pretendono di saperne le generalità per poter convocare gli eventuali parenti -, alcune di esse vengono prelevate da pronipoti o cognati seccati e contrariati, altre vengono scortate in questura perché nessuno è venuto a prenderle...
Tra calde lacrime, preghiere disperate e sussurrate a fior di labbra, benedizioni reciproche e addii strazianti, le consorelle sono costrette a dirsi addio, coscienti che non si rivedranno mai più.
A Suor Giovanna, apparentemente, va meno peggio del previsto: a prelevarla è, infatti, nientemeno che sua sorella minore Grazia, con cui lei non ha alcun contatto da quando - all'età di soli venti anni - entrò in clausura.
Apprendiamo in che modo e per quale ragione Luisa sia diventata suor Giovanna della Croce: a differenza della protagonista sfortunata di "Storia di una capinera", la ragazza della Serao vi entra comunque intenzionalmente e per scelta personale 8seppur dettata da un impeto emotivo): ella era, infatti, fidanzata con un giovanotto, i due erano innamorati, ma Grazia si intromise tra loro e "rubò" il fidanzato alla sorella maggiore, sposandolo e portando Luisa, delusa e addolorata, a decidere di andare in convento, e di fare di Gesù il suo unico Sposo.
E adesso, dopo trentacinque anni, la vita crudele costringe Suor Giovanna ad andare a vivere proprio in casa di Grazia, rimasta vedova e con due figli giovanetti da mantenere.
L'anziana scopre come le condizioni economiche dei famigliari siano precarie, e questo perché gli stessi hanno condotto per anni una vita nelle agiatezze, spendendo e sperperando anche quando non avrebbero potuto permetterselo, ritrovandosi adesso con pochissime risorse economiche.
Pur essendo grata alla famiglia per averla accolta, suor Giovanna si trova a dover combattere contro atteggiamenti di ostentato disprezzo e malcelata ostilità e ipocrisia nei propri confronti, da parte di Grazia e sua figlia, due donne vanesie e pigre, che si burlano di zi monaca e della sua fede; inoltre, la donna capisce di essere stata presa in carico perché la sorella e i figli son convinti di poter mettere le mani sui soldi che il Governo dovrebbe dare, come risarcimento per la dote data al convento al momento dell'entrata nell'ordine religioso, alle monache espulse.
Ma il futuro che attende la povera suor Giovanna è tutt'altro che lieto e la metterà davanti a situazioni umilianti, che la faranno sentire indifesa e terribilmente sola.
Davvero il Governo è intenzionato a prendersi cura di queste suorine povere e dimenticate?
E la famiglia di suor Giovanna continuerebbe a tenerla in casa anche qualora capisse che potrebbe non esserci alcuna restituzione della dote?
Ho letto le amarissime vicissitudini di questa povera sessantenne con un senso di pietà e tristezza, immaginando i sentimenti della protagonista nel dover ritornare in un mondo ormai a lei sconosciuto, ostile, in cui la moralità e la fede sono cose rare, all'interno di un contesto - siamo a Napoli - brutale, in cui lei si imbatte inevitabilmente con gli egoismi e le bassezze di gente spietata e interessata solo ai fatti propri, che non esita ad approfittare di lei e di quelle misere e scarsissime lire che il Governo le passa ogni mese (una vera e propria elemosina).
Ho provato tenerezza e dispiacere per questa donnina magra, buona, mite, devotissima al suo Signore sempre, anche - anzi, soprattutto - nei momenti difficili cui va incontro con umiltà e con sempre più rassegnazione.
Come può ella resistere, nel ventre di una Napoli sordida, caotica, che sa essere indifferente alle miserie umane, in cui la differenza tra i ricconi, che fanno beneficenza per lavarsi la coscienza e per capriccio, e i più poveri della città è abissale? Come fa una vecchina ingenua e senza nessuno a proteggerla a sopravvivere?
La storia di questa monaca abbandonata a se stessa, costretta, da uno Stato che non garantisce i diritti minimi e fondamentali dei propri cittadini (tanto meno dei più deboli), ad arrangiarsi come meglio può, affidando la propria sorte all'aiuto di persone non sempre amichevoli e gentili, finendo per confondersi tra l'orda di mendicanti e diseredati, è davvero molto triste; l'Autrice descrive con dovizia di particolari tanto la situazione individuale della protagonista quanto quella, più ampia, del contesto sociale di riferimento e, in special modo, dei poveri, che cercano in qualsiasi modo di mettere qualcosa nella pancia propria e dei famigliari.
Le pagine finali di questo romanzo sociale ben descrivono gli uomini e le donne in attesa alla mensa dei poveri, nel giorno di Pasqua, di un pasto caldo offerto dai ricchi della città; sono descrizioni particolareggiate, vivide, che si soffermano su una fetta di umanità fragile, sullo sfondo di una Napoli vivace e pittoresca.
Il verismo della Serao, col suo linguaggio realistico, sciolto e immediato, colpisce il lettore e lo trasporta in quel periodo storico, in quelle strade affollate, tra gente maleodorante, vestita di stracci, volgare, miserabile, resa brutta dalla fame, dalla miseria e dalla disperazione più nere; anime sole, inermi, in balia dei soprusi e degli abusi di chi ha più soldi e potere, donne fotografate nella quotidianità di un vivere generoso solo di afflizioni e dolori.
* si tratta di un fatto avvenuto nel 1890, quando fu promulgata una legge che autorizzava le
autorità locali ad acquisire per pubblica utilità gli spazi di
proprietà dello Stato della Chiesa.
Un libro interessante e ben recensito.
RispondiEliminaGrazie Daniele :)
EliminaCiao Angela, una storia e una recensione toccanti. Mi si è stretto il cuore a pensare a quelle povere donne...
RispondiEliminaE infatti si soffre con questa povera gente :(
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