mercoledì 8 aprile 2015

Recensione: VENUTO AL MONDO di Margaret Mazzantini



AVVISO IMPORTANTE: recensione lunga.

Non lo faccio per rendermi di proposito illeggibile, è che ci sono romanzi, storie… che non riesco condividere con poco e in poche parole. E' un mio limite, forse imparerò a essere più concisa ed essenziale, chissà, ma dubito di cambiare mai del tutto.
Voi siete buoni e mi perdonerete. Vero..? ^_-


VENUTO AL MONDO
di Margaret Mazzantini

Ed. Mondadori
531 pp
2010
A volte basta una telefonata per stravolgerti la vita; quella vita tranquilla che conduci da 16 anni e che speri non si porti dietro l’eredità pesante e dolorosa di un passato che vuoi a tutti costi non far riaffiorare.
Gemma vive a Roma, è una donna poco più che 50enne; caporedattrice di un giornale, è sposata con il carabiniere Giuliano; hanno un figlio adolescente, che però non è il figlio naturale di Giuliano.
Pietro è figlio di Diego e di quel passato pesante cui Gemma non vorrebbe far ritorno.
Ma la telefonata che riceve all’improvviso la costringe a tornare indietro nel tempo, a tornare lì dove è sepolto il suo grande amore, lì dove una parte di lei è rimasta per sempre.
Sì, perché una grossa parte di sé, del suo cuore, della sua memoria, Gemma l’ha lasciata lì, in Bosnia, a Sarajevo, per le strade martoriate dalla guerra, dove il suo amato “fotografo delle pozzanghere” sembra ancora vagare in cerca del soggetto migliore da immortalare con la propria macchina fotografica.
E tutt’a un tratto, il suo vecchio amico sarajevita Gojko spunta dal passato e le chiede di fare un salto da lui, invitandola a tornare a Sarajevo per assistere ad una mostra fotografica sulla guerra.

La possibilità di fare un viaggio della speranza, insomma, che Gemma decide di intraprendere portando con sé Pietro, per fargli conoscere la città in cui è nato e in cui ha vissuto ed è morto suo padre Diego.
Il suo Diego, un genovese magro e scapestrato, conosciuto tanti anni prima, durante una sorta di vacanza a Sarajevo, mentre il poeta Gojko le faceva da cicerone per portarla a visitare i luoghi di Andric* (Gemma vi era andata per motivi di studio).
Ed è proprio in quei giorni che lo strano, rozzo eppure affascinante Gojko le fa conoscere Diego e tra i due nasce subito qualcosa, un’alchimia segreta e inspiegabile, e Gemma ancora non sa che li legherà per sempre.

La voglia di essere felice con chi le ha rapito il cuore spinge Gemma a rifiutare una vita apparentemente tranquilla e serena a favore di una forse meno solida ma più vicina a ciò che desidera.

Del resto, Diego è sempre lì, nella sua testa e nel suo cuore, come una goccia d’acqua che si ostina a cadere sempre sullo stesso punto della roccia, e Gemma, una volta libera dal marito che non ama e da tutto ciò che sembrava soffocarla e rinchiuderla nella noia, decide di cercare Diego e restare con lui.

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Inizia così la loro storia d’amore…

Un amore forte e tenero, che trova il proprio equilibrio nel modo di essere di entrambi: tanto razionale e lucida lei quanto un po’ matto e strambo lui, che pure ama la sua Gemma quasi con devozione, la stessa che caratterizza il suo lavoro di fotografo di particolari apparentemente insignificanti, come i piedi di persone ferme ad aspettare la metropolitana.

E Gemma – che si è sempre sentita sola, “ostaggio della mia volontà, mai all’altezza di niente…, malata d’incompletezza, di illusioni”, si lascia travolgere da questo amore sgangherato, vissuto in una casetta di poche pretese, quasi sempre a corto di soldi, accanto a un uomo che spesso si comporta come un bambino, ma che pure diventa il centro della sua vita.

Una vita che potrebbe essere ancora più piena se ci fosse un figlio a suggellare in eterno questo amore vero e pulito.
Ma non sempre quello che desideriamo poi si verifica… e, come un fulmine a ciel sereno, giunge una dolorosa scoperta, che in fondo al proprio cuore Gemma, forse a differenza di Diego, non accetterà mai.
Ha inizio una sorta di odissea dolorosa per la coppia, una Via Crucis che li vede alla ricerca affannosa di un figlio che pare non avere alcuna intenzione di arrivare.

E allora che si fa? Ci si rassegna ad essere infeconde, vuote, incapaci di dare la vita, di mettere al mondo “un prolungamento di se stesse”?

“Non è la pancia soltanto, è la vita stessa che ti è negata ogni giorno, infinite volte”.

Il desiderio di maternità diventa un’ossessione che impedisce di accettare la propria condizione e che finisce per lacerare non solo l’animo di un’insoddisfatta Gemma, ma anche il legame con un perplesso e triste Diego.
E il pallino di una genitorialità pretesa e voluta a tutti i costi rischia di indurre a cercare soluzioni alternative, moralmente discutibili, che forse possono appagare momentaneamente il cuore, ma un po’ meno la coscienza.

Quando Diego e Gemma decidono di tornare a Sarajevo, la loro vita va a sbattere violentemente contro qualcosa di terribile: la guerra in Bosnia (anni ’90), quella guerra che ha distrutto città, quartieri, negozi e case, che ha tolto gambe, braccia, la vita stessa a tante, troppe persone innocenti.

Una guerra crudele, ingiusta (ogni conflitto lo è), che non risparmia nessuno, né grandi né piccini, nè uomini né donne né bambini: una guerra quotidiana, vissuta nelle strade dissestate, nell’aria densa di fumo e puzzolente di spari, sotto un cielo tempestato di aerei e bombe, alla presenza di case e mura crollate, squarciate, accanto ai tuoi simili il cui corpo è stato straziato dallo sparo di un cecchino che con il suo kalashnikov si è "semplicemente limitato" a prendere la mira e a sparare su un bersaglio qualsiasi.

Il periodo in Bosnia, con Diego, è un periodo nero, dominato dalla paura, dalla scarsità di cibo, dal rumore di colpi e bombe che fendono l’aria notte e giorno, dal terrore di essere colpiti e falciati via, con la certezza che è davvero troppo presto per morire.
Una guerra che imbruttisce – nel corpo e nell’anima –, che ti scava dentro e ti lascia un buco che, sei convinto, non riuscirai più a riempire.
Un guerra che ha tolto il sorriso strafottente dalla faccia di Gojko, il poeta ubriaco, l’amante mancato di Gemma, l’amico sempre presente di Diego.
Una guerra che allontana Diego da tutto e tutti, per immergerlo nella realtà della Sarajevo devastata, delle donne violentate, dei bambini trucidati o, se sopravvissuti, resi orfani.
Una guerra che gli entrerà dentro, nelle vene, che lui cercherà a modo suo, con la sua inseparabile Leica, di fermare in innumerevoli scatti, consapevole di essere testimone della vergogna di cui l’uomo è capace di macchiarsi.



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In uno scenario tremendo come questo nasce lui, Pietro, che giunge a Sarajevo nel 2008 senza sapere nulla di suo padre, di se stesso, di com’è nato.

Pietro, figlio della guerra e dell’orrore che ne deriva, che ha mietuto, macinato, schiacciato, ferito, lasciando segni mai perfettamente guaribili, ma che cambiano irreversibilmente chi la guerra l’ha vissuta e che ad essa è riuscito a sopravvivere.

Ma Gemma lo sa, lo ha imparato:

“…tutto può andare via, anche l’orrore può perdere le sue forme, stemperarsi in una nebulosa che lo altera, lo rende ridicolo, troppo assurdo per essere mai stato vero…”
e  “anche l’orrore insensato ha un suo posto, nella molle geometria del mondo”.

Sedici anni dopo i tragici eventi bellici, Gojko e Gemma, anch’essi in fondo figli di una guerra che ha segnato profondamente le loro vite, il loro passato comune e il loro futuro, si ritrovano l’uno di fronte all’altro, come

“figli stolti di quel vino passito, siamo alghe calde, spettri di carne, apparizioni del passato”.

Cosa porterà questo viaggio nel passato alla 50enne Gemma, che ha cercato di trovare il suo equilibrio con Giuliano e Pietro, dopo Diego, dopo Gojko, dopo la guerra, dopo le tante morti?
E cosa potrà raccontare a Pietro della sua nascita, di quel padre mai conosciuto eppure sempre presente più nei silenzi che nelle parole?
Potrà trasformarsi davvero in un viaggio della speranza, in una riconciliazione con ciò che è stato?

“La speranza appartiene ai figli. Noi adulti abbiamo già sperato, e quasi sempre abbiamo perso”.

Gemma sa di aver sempre vissuto con la “paura della sofferenza", convinta che "una vita valida non ha bisogno di verità a tutti i costi”.

Ci sono verità troppo difficili da raccontare e troppo dolorose da ascoltare, che vorremmo tenere sepolte, perché andare avanti senza di esse potrebbe essere più semplice.

Ma è davvero così?

Ho letto “Venuto al mondo” con molto coinvolgimento emotivo, divorando le parole, immergendomi nella vita di Gemma, e ci sono stati momenti e passaggi in cui non ho potuto non immedesimarmi almeno un po’ in lei, sentendo su di me i suoi dubbi, le paure, la rabbia, l’incredulità, vivendo attraverso di lei tanto i suoi tormenti di donna quanto l’orrore di una guerra che (grazie a Dio) non conosco da vicino, ma di cui ho sentito e letto qualcosa (un qualcosa che è sempre solo un pallido riflesso della realtà).

Le tematiche affrontate dall’Autrice – la piccola realtà della coppia; la maternità ricercata, negata, risarcita; la guerra con il suo carico di orrori – sono condivise con noi lettori con la capacità comunicativa propria della Mazzantini, le cui parole sanno essere delicate come una carezza ma anche potenti come dei macigni che affondano nel cuore, lasciando un varco e un segno.

Uno scenario così vero e crudo (quello della guerra) che, contrastando con la pacifica Roma, ti entra dentro gli occhi, dal quale non vorresti più allontanarti perché ti ha fatto conoscere personaggi che sembrano uscire dalla carta e prendere vita a ogni pagina, di cui percepisci le emozioni, con e per i quali provi rabbia, tenerezza, speranza, commozione.

Prima di questo romanzo, di Margaret Mazzantini ho letto soltanto “Nessuno si salva da solo” e – a dispetto di commenti e recensioni che li mettevano a confronto, trovando il primo “un'opera meglio riuscita” del secondo –  personalmente vi ho ritrovato lo stesso stile crudo, netto, spigoloso, lucido e privo di qualsiasi affettazione, puntellato da passaggi e frasi che hai voglia di rileggere, di trascrivere e ricordare; è chiaro che, mentre in “Nessuno si salva da solo” l'Autrice si sofferma sul microcosmo della coppia e - attraverso ripetuti scatti fotografici (flashback) e un modo di scrivere quasi “nervoso”, "spiccio" - il lettore resta confinato in esso, in “Venuto al mondo” si esce dai confini della coppia per approdare in uno spazio ben più ampio, dando quindi a questa storia un che di “corale”, una dimensione sociale, che però non resta al di fuori della coppia Gemma/Diego, ma anzi la invade, la stravolge, la cambia e la segna per sempre.

Anche “Venuto al mondo” è attraversato da flashback molto lunghi, la voce narrante (Gemma) racconta sapendo già tutto e spesso delle frasi sibilline annunciano e lasciano presagire ciò che ci verrà spiegato in appresso.

Avrete capito, da questo fiume di parole (per il quale chiedo venia a chi sta leggendo, comprendendo chi non è riuscito ad arrivare alla fine e ringraziando chi ha avuto la forza e la pazienza per giungervi), che questo romanzo mi è entrato dentro, è stato come un pugno nello stomaco e credo di poterlo catalogare in quel genere di libri con i quali ti trovi a stabilire una sorta di “legame”, con cui hai condiviso stati d’animo e in cui hai ritrovato un’affinità che non immaginavi di trovare.

Mi riprometto di vedere il film tratto da questo libro e vi farò sapere.

*scrittore e poeta bosniaco (1892-1975)

4 commenti:

  1. Lo leggerò anche io a breve! Ottima recensione! Mi sono unita ai tuoi lettori fissi!
    http://lucetta91.blogspot.it/

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  2. Fin dall'inizio ho amato la storia di Gemma e Diego. Il finale è stato una sorpresa.

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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