Terza recensione di oggi!!
SE NON ORA, QUANDO?
di Primo Levi
La trama di Se non ora, quando? prende spunto da una storia vera: una banda di ebrei russi e polacchi combatte la sua guerra partigiana contro gli invasori nazisti, percorrendo l’Europa in lungo e in largo.
Questa lunga epopea – le vicende narrate si estendono dal luglio 1943 all’agosto 1945 – smentisce il cliché dell’ebreo remissivo, che si lascia condurre allo sterminio senza ribellarsi; per di più, il raccontarla ripaga Levi dell’essere stato, nel 1943, un partigiano inesperto, ben presto catturato dalla milizia fascista.
il mio pensiero |
“Se non ora, quando? è il viaggio di una banda di
partigiani, uomini e donne che, stanchi ma determinati, partecipano a modo loro, e con i mezzi che
hanno, alla guerra, con lo scopo di dare fastidio ai tedeschi e sopravvivere al freddo, all’inedia, alla
solitudine, alla confusione, ai Russi, agli alleati… per poter finalmente
giungere “a casa”.
È un gruppo eterogeneo, formato in particolare da ebrei, ma anche da polacchi, russi.
Tutto ha inizio nel luglio 1943, con Mendel, un orologiaio ebreo che, dopo aver trovato in un certo Leonid (un giovane schivo e di poche parole) il proprio compagno di viaggio, si unisce alla banda di un altro giovane, Gedale, un ebreo partigiano, che con i suoi compagni (i gedalisti) cerca di sabotare l’esercito tedesco e di dare il proprio contributo, parallelamente ai Russi, alla cacciata dei nazisti.
È un gruppo eterogeneo, formato in particolare da ebrei, ma anche da polacchi, russi.
Tutto ha inizio nel luglio 1943, con Mendel, un orologiaio ebreo che, dopo aver trovato in un certo Leonid (un giovane schivo e di poche parole) il proprio compagno di viaggio, si unisce alla banda di un altro giovane, Gedale, un ebreo partigiano, che con i suoi compagni (i gedalisti) cerca di sabotare l’esercito tedesco e di dare il proprio contributo, parallelamente ai Russi, alla cacciata dei nazisti.
Levi ci racconta in questo libro uno spaccato di vita
partigiana, il modo in cui un gruppo di uomini e poche donne hanno cercato di
sopravvivere a tutti i costi ad una guerra lunga e logorante, con la speranza
di poter “tornare a casa", lasciandosi alle spalle gli orrori vissuti e quelli ascoltati
dai racconti di chi è sopravvissuto ai lager.
Tornare a casa per questo gruppo di ebrei significa tutto e
niente: forse per qualcuno vuol dire tornare al proprio paese di provenienza,
per qualcun altro provare a ricostruirsi
una vita in Palestina; per qualcun altro è semplicemente fermarsi, finalmente,
lasciando dietro sé la spaventosa sensazione di vivere continuamente braccati,
guardandosi le spalle, tenendo la mano sempre pronta ad afferrare un’arma…
Un viaggio avventuroso attraverso l’arida e fredda Europa dell’Est e che
si conclude in Italia, a Milano; un viaggio caratterizzato da discussioni
interne e con altri gruppi di soldati, dalla ricerca di cibo, armi, mezzi di
trasporto, di tentativi di creare problemi agli assassini nazisti, di dare un
aiuto alla povera gente fatta prigioniera nei campi di concentramento; un
viaggio fatto anche di amicizie, relazioni sentimentali..
Mendel – che è poi il protagonista della storia, anche
se è narrata in terza persona e dando
spazio anche ad altre prospettive – ad esempio si legherà a una donna, Line,
pur consapevole che ella non è un tipo da relazione duratura: spigolosa, sicura
di sé, ferma nelle proprie posizioni, restia a piangersi addosso…, disposta a
darsi a più uomini…
Eppure, c’è un gran bisogno di creare legami, di sentirsi
uniti, di sentirsi parte di una banda…., nonostante l’esperienza della guerra e
il dover vivere in fuga, nascosti ed armati, renda necessariamente le persone
sempre sul chi va là, diffidenti, fredde, poco inclini ai sentimentalismi e,
per contro, pragmatiche e razionali.
Non di rado, i riferimenti alle relazioni uomo-donna hanno un
che di “animalesco”, di primitivo: Gedale, Mendel, Marian, Piotr… scelgono
alcune delle poche donne presenti come “loro donne” e viceversa, ma senza che
questo implichi necessariamente una relazione amorosa, un sentimento; è più una
necessità fisica, almeno in apparenza.
Eppure, Mendel, che soffre interiormente perché ha visto
uccidere la propria famiglia e la propria donna, ha dentro sé l’intimo desiderio
di sentirsi un uomo completo anche grazie ad una vera compagna, ad una casa, ad
una vita .. normale, in cui i rumori della guerra non ci siano più.
La guerra rende feroci, anestetizzati davanti al dolore,
alla morte; ha reso questi partigiani non necessariamente crudeli e
indifferenti al male (Levi è ebreo e l'appartenenza a questo popolo percorre tutta la narrazione, nel tratteggio dei personaggi - che sentono
e sanno di appartenere ad un popolo “particolare”, odiato da molti, non
compreso ,- nelle parole usate, nei riferimenti a personaggi e storie bibliche;
c’è una certa conoscenza della legge ebraica, dei comandamenti, delle tradizioni
e un certo timore verso queste cose, nonostante gli uomini di Gedale si
dichiarino poco osservanti) ma comunque desiderosi di vendetta; eppure, la loro
non è una vendetta fine a se stessa e a muoverli nel loro cammino non è solo
questo sentimento verso il nemico… Ciò che accomuna questi circa quaranta
individui, diversi per età, carattere, ideologia, capacità…, e che fa da
collante tra di loro nonostante le diversità, è la disperazione, il senso di
smarrimento di fronte ad un mostro gigantesco, qual è la guerra, che va
affrontato a muso duro, con astuzia, coraggio e un pizzico di fortuna.
Ho trovato buona parte della narrazione un po’ lenta e di per
sé le dinamiche legate agli appostamenti, ai sabotaggi, agli incontri con i
soldati, non mi hanno molto catturato; ho trovato più coinvolgenti gli aspetti
legati alla psicologia dei personaggi (che comunque non sono tratteggiati con
particolare finezza e ricchezza introspettiva, anzi ci appaiono essenziali, per taluni versi
“piatti” emotivamente, da conoscere più che altro attraverso le parole e le azioni), alle
relazioni umani instaurate tra loro, alle riflessioni di Mendel sulla guerra e
su se stesso; in particolare, la parte finale del viaggio è quella che ho seguito con più
interesse, forse perché è come se il velo di cupezza e tristezza che Levi ha
posato sulla storia e sui personaggi durante la loro fuga lungo
l’Europa dell’Est, sembra essere rimosso una volta giunti “a destinazione”, per
far spazio a uno scenario meno lugubre e solitario ma anzi illuminato da uno
spiraglio di speranza per il futuro, simboleggiato dalla nascita di una nuova
creatura.
Non è un romanzo che mi ha molto coinvolta, sia perché, ripeto, il
ritmo è abbastanza lento e sia dal punto di vista emozionale, se non nel suscitarmi
molta tristezza e pietà per coloro che hanno vissuto quel periodo e quelle
esperienze, tra cui lo stesso Levi, che da ebreo-sopravvissuto e partigiano,
sapeva bene di cosa stava parlando…; resta comunque un libro che merita d’esser
letto perché, avendo sicuramente elementi autobiografici, ci fa stare gomito a
gomito con chi, pur essendo sopravvissuto al conflitto bellico, ha dovuto
caricarsi di tutto il suo inevitabile peso morale e psicologico.
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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz