Con estrema accuratezza e un'esposizione chiara e attenta, il giornalista Igor Patruno torna con un nuovo libro sul
, e partendo dall'agosto del 1990 fino a tempi più recenti, riesamina le tappe di uno dei
italiani più misteriosi degli ultimi anni.
Un delitto atroce ed irrisolto, la cui vittima ancora deve ottenere giustizia.
È una calda giornata d'agosto del 1990 e sul sagrato della chiesa di San Giovanni Bosco, a Roma, si sta tenendo un funerale: quello di
Simonetta Cesaroni.
Simonetta è stata barbaramente uccisa nel pomeriggio del 7 agosto del 1990, e dopo trent'anni siamo ancora qui a chiederci perché e, soprattutto, a chi appartiene la mano che ha fatto scempio di quel giovane corpo.
Se non è morto nel frattempo, l’assassino si aggira quindi libero e la famiglia Cesaroni ancora aspetta che venga fatta chiarezza e giustizia sulla morte atroce di Simonetta.
Patruno segue questo caso dagli inizi e leggendo il presente volume ho potuto apprezzare come, accanto al lodevole proposito di essere obiettivo - del resto è questo che ci si aspetta da un giornalista: che sia oggettivo e mantenga una certa distanza emotiva nel narrare di delitti e assassinii per poterne parlare in modo imparziale -, egli si sia fatto guidare da un atteggiamento di umana empatia, tanto verso la povera vittima quanto verso i suoi famigliari.
Se c'è una peculiarità del delitto di via Poma, essa è sicuramente la menzogna.
È normale e logico chiedersi: perché mentire? Perché i soggetti coinvolti, per motivi che ci sono ignoti, hanno rilasciato spesso dichiarazioni contraddittorie o del tutto mendaci? Perché hanno nascosto determinati dettagli e particolari?
Solitamente si mente per nascondere, e certo non ci stupisce pensare che l’autore dell’omicidio possa mentire e depistare per non farsi prendere; ma quando a dire bugie sono personaggi che in fondo non avevano a che fare con la morte della ragazza in modo diretto, i dubbi e gli interrogativi non possono che crescere.
Forse questo "fenomeno" è attribuibile al timore di essere travolti da una vicenda di immenso rilievo mediatico e delle inevitabili conseguenze del sospetto?
L'Autore parte dal contesto e dalle situazioni che hanno portato Simonetta Cesaroni all'interno dello stabile di via Poma n.2; non solo, ma ci parla di lei, di questa giovane di soli ventuno anni come di una brava ragazza, attaccata alla famiglia, senza grilli per la testa, che conduceva una vita normale, priva di segreti torbidi e con le problematiche tipiche dell'età (sentimentali, lavorative...).
Era innamorata di Raniero Busco, col quale però non viveva una storia d'amore tutta cuoricini e tenerezza, bensì una relazione un po' tormentata, fatta di "lascia e prendi", in cui lui soprattutto si sentiva poco coinvolto sentimentalmente.
Simonetta era una giovane sensibile, con un mondo interiore ricco che lei riversava su foglietti di carta, sui quali annotava pensieri, sentimenti, paure.
Con una suspense in grado di tenere col fiato sospeso, vengono ricostruite le ultime ore di vita della ragazza, le persone incontrate, le telefonate con gli amici o con il datore di lavoro; si incrociano le testimonianze di chi l'ha sentita o vista nelle ore precedenti l'omicidio.
Personalmente ho letto il capitolo narrante i fatti di quel tragico 7 agosto con un senso di oppressione, un magone difficile da mandar giù in quanto accompagnato dalla tristissima consapevolezza di come quelle pagine che mi scorrevano sotto gli occhi non appartenessero ad un avvincente romanzo noir, ma fossero la narrazione delle tragiche e feroci condizioni in cui l'esistenza innocente di una ragazza di periferia sia stata stroncata all'interno di un palazzo, simbolo della Roma borghese.
Mi ha profondamente colpito leggere la ricostruzione dell'assassinio e immaginare come siano andate le cose in quel maledetto ufficio, in cui Simonetta si è ritrovata da sola, faccia a faccia col suo assassino, spietato, crudele, che si è accanito sul suo corpo con ventinove coltellate.
Com'è possibile che nessuno abbia visto o sentito nulla in quel tardo pomeriggio (il decesso della vittima è collocato tra le 17:30 e le 18:30 del giorno 7) di inizio agosto?
Ma più di tutto, chi ha mandato Simonetta (che lavorava come contabile presso la Reli Sas, uno studio commerciale, che aveva tra i suoi clienti la A.I.A.G. -Associazione Italiana Alberghi della Gioventù -, con sede in via Carlo Poma) in quegli uffici, da sola, il 7 agosto, pur non essendocene l'urgenza?
L'autore è estremamente dettagliato nel tener conto di orari, persone coinvolte, spostamenti, stranezze, telefonate, e ci lascia interdetti il numero delle menzogne e dei cambi di versione che si sono susseguiti da parte di coloro che avrebbero dovuto rendere conto dei rapporti di lavoro intercorsi con Simonetta, e quindi del suo ruolo e delle sua presenza in ufficio in quel dannato pomeriggio.
Ad esempio, troppe sono le incongruenze di Salvatore Volponi (datore di lavoro di Simonetta) in merito all'ultima volta in cui vide la ragazza e sul fatto che dovesse incontrarla proprio in quei giorni per concordare lavoro e ferie.
Ma a complicare le cose non ci sono soltanto le versioni incoerenti, ma anche il mancato congelamento della scena del crimine: com'è possibile che si sia permesso agli impiegati del comitato Lazio di riprendere l’attività pochi giorni dopo l’omicidio, contaminando così irrimediabilmente gli ambienti?
Per non parlare dei tanti errori e mancanze al momento del sopralluogo sulla scena del delitto, tra agenti che si sono messi a scrivere frasi sibilline su foglietti volanti, persone che hanno fatto su e giù nei locali interessati, reperti messi insieme e conservati male...
Quello di via Poma potrebbe sembrare il delitto perfetto in virtù del fatto che chi l'ha commesso l'ha fatta franca (almeno finora...), riuscendo ad allontanarsi dal luogo del delitto; ma in realtà, gli eventi accaduti nell’appartamento al terzo piano, della palazzina B, di via Poma sono un groviglio di eventi casuali, di circostanze imprevedibili che poco hanno a che fare con la bravura e l'intelligenza dell'assassino.
Questi, se da una parte ha ucciso con una furia cieca, dall'altra ha altresì agito con comportamenti estremamente lucidi e protratti nel corso del tempo, e a tal proposito, l'Autore espone delle ipotesi in merito alla condotta dell'omicida prima, durante e dopo il delitto, sottolineando come ogni particolare sia importante per comprendere le sue azioni.
Se è vero che le azioni dovrebbero aiutarci a definire l’ombra di chi le ha compiute, è altrettanto vero che nel delitto di via Poma le ombre stentano a divenire percepibili, individuabili, e tutto resta nel buio e nel mistero.
Patruno ci ricorda in che modo hanno lavorato gli inquirenti dal 1990 in poi, soffermandosi sugli svariati errori e le valutazioni sommarie e sbagliate, che li hanno spinti ad indagare su colpevoli improbabili, dando magari attribuzioni azzardate a dettagli semplici (ad es., i segni sul capezzolo di Simonetta scambiati per morsi) o non dando rilevanza a ciò (le tracce di sangue) che invece poteva "raccontare" molto della tragedia che sì è consumata in quell'appartamento, in un arco di tempo in fondo neanche troppo ampio.
Eppure è stato un tempo sufficiente a ripulire la scena del crimine, sottraendo indumenti e altri oggetti appartenenti alla povera ragazza uccisa...
Tanti sono i personaggi che intervengono in questa storia, qualcuno ha avuto il suo "posto in prima fila", qualcun altro è rimasto dietro le quinte; una cosa è certa: coloro che negli anni sono stati indagati come possibili colpevoli, poi sono stati prosciolti per assenza di prove.
Sia Federico Valle che Pietrino Vanacore (il portiere dello stabile, suicidatosi il 9 marzo 2010) furono dichiarati innocenti più che per non aver commesso i fatti loro addebitati, per mancanza assoluta di prova.
Discorso diverso per Raniero Busco, che - a causa della presenza del suo DNA sugli indumenti intimi della vittima (con cui aveva però avuto rapporti tre giorni prima del fattaccio) - è stato indagato, condannato per poi essere definitivamente assolto in Cassazione nel 2014.
Insomma, anni e anni di interrogatori, testimoni ascoltati, dichiarazioni comparate e incrociate... che non hanno portato alla soluzione del caso.
Claudio Cesaroni, padre di Simonetta, era convinto che “il nome dell’assassino è nelle carte dei magistrati e va cercato tra i frequentatori di quel maledetto palazzo".
Ed effettivamente, la convinzione che a togliere la vita a Simonetta sia stato qualcuno che ben conosceva lo stabile e gli uffici di via Poma, è concreto e ragionevole.
Ma allora perché non è stato rilevato il DNA a tutti coloro che - uomini e donne - potevano avere accesso ai locali di via Poma?
Senza considerare l'arma del delitto, che si presume sia un tagliacarte presente in ufficio, il quale viene ritrovato tranquillamente lì dove doveva stare, il che ci fa supporre legittimamente che chi ha usato l'oggetto per ammazzare Simonetta, evidentemente sapeva ciò come muoversi e dove riporlo.
Igor Patruno ha ricostruito con un lavoro certosino, avvalendosi della lettura delle carte giudiziarie, tutto ciò che ruota attorno a questo terribile e inquietante caso, non fermandosi alla fredda (ma comunque necessaria) enumerazione dei fatti, bensì andando oltre e lasciando emergere i dettagli introspettivi dei personaggi, mettendo in evidenza fatti e circostanze nel contraddittorio accavallarsi delle dichiarazioni rese dai testimoni, nelle risultanze delle lunghe inchieste, altrettanto contraddittorie.
Ne viene fuori un resoconto che, lungi dall'essere (soltanto) una disamina lucida e distaccata, è al contrario un racconto, coinvolgente ed emotivamente toccante, che parte dalla vittima, dalle sue ultime settimane di vita proseguendo con le indagini partite immediatamente, ricostruendo la dinamica del delitto e giungendo ai fallimentari esiti giudiziari, che non hanno purtroppo condotto alla verità.
Questo libro vuol essere una sollecitazione alla procura a riaprire il caso perché non sarebbe giusto dimenticarci di Simonetta, almeno finché non sarà fatta giustizia.