Sincero e commovente, il romanzo di Alessandra Carati narra la tragedia di un popolo, di una famiglia e dei suoi singoli membri, e lo fa attraverso gli occhi - smarriti, sgomenti, speranzosi, a volte arrabbiati altre impauriti, e troppo spesso pieni di sofferenza - di una bambina di sei anni, costretta a lasciare la propria casa, la propria gente, il proprio villaggio, per evitare la morte (e, prima di essa, tutto il carico disumano di torture e soprusi da parte del nemico) e per cercare di mettersi in salvo in un paese straniero, dove provare a ricominciare daccapo.
Ma anche se è possibile lasciarsi alle spalle macerie e catastrofi, certe rovine te le porti dietro per sempre, ti segnano, creano voragini, divisioni, silenzi, risentimenti, fratture non facilmente sanabili, strappi che, per essere ricuciti, spesso richiedono un prezzo alto: altro dolore e altre lacrime.
E POI SAREMO SALVI
di Alessandra Carati
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Mondadori 276 pp |
La piccola Aida vive con la propria famiglia (papà e mamma, che è incinta) in un piccolo villaggio bosniaco; una vita semplice, una casa modesta non lontana dal bosco, da dove si vedono distese di frutteti che si arrampicano sulla montagna.
Oltre quei confini non c’era nessun altro mondo dove avrebbe potuto e desiderato vivere.
Ma un triste presagio spezza la tranquillità della vita al villaggio:
"«Ci sarà la guerra e ce ne andremo tutti».
Non sapevamo che cosa fosse la guerra, per noi era una parola sussurrata che aveva il potere di rendere gli adulti insicuri e cattivi."
Aida non ci crede e si affida alle parole, seppur poco convincenti, di sua madre, che le dice che no, non arriverà mai la guerra da loro.
Ma gli adulti possono sbagliarsi e Aida farà i conti con questa verità infinite volte, da quel momento in poi.
È l'aprile del 1992 e non è più possibile restare in Bosnia, bisogna scappare prima che arrivino i soldati, portando il terrore, gli spari, la morte.
Suo padre Damir provvede alla fuga della moglie Fatima e della piccola Aida; dopo giorni e notti difficili e di paura, arrivano a Milano e là per loro inizia un nuovo capitolo dell'esistenza.
Nella casa in cui vengono fatti alloggiare ci sono altre famiglie che, come loro, son fuggite dalla guerra prima che fosse troppo tardi; ci sono pure zio Tarik, zia Mejra e il cugino Samir.
Integrarsi non è facile, non solo perché ci si trova in una città straniera, dove si parla una lingua sconosciuta e dove la vita ha ritmi e abitudini differenti, ma ancor più perché la guerra, con tutte le sue atrocità, continua e nel villaggio ci sono ancora parenti (come i nonni, che non vogliono lasciare la propria casa) ed amici, le notizie che arrivano per telefono sono drammatiche, preoccupano babo e mamma, il cui pensiero è sempre là, dove hanno lasciato gli affetti e dove continuano a desiderare di tornare, a guerra finita.
Intanto, nasce il fratellino, Ibro, ma neppure il suo arrivo riesce a rimettere in ordine le cose: il padre è sempre sfuggente, irritato, silenzioso, non accetta che gli si risponda e ci si ribelli ai suoi ordini; la madre è chiusa in sé stessa, è depressa, infelice, nervosa.
Da loro Aida raramente riesce ad avere un gesto affettuoso, una parola rassicurante, un abbraccio consolante; mentre pian piano quel fratellino diventa amatissimo e, con la sua vivacità incontenibile, conquista tutti, la ragazzina cresce, matura, e se è vero che diventare grandi è difficile per chiunque e ovunque, per una bambina sradicata bruscamente dal proprio contesto e inserita in un altro - in cui si sente un'estranea, sola, smarrita - lo è ancora di più.
A dare una notevole mano (sotto diversi punti di vista, anche economico) alla famiglia di Aida è una coppia di coniugi senza figli, Emilia e Franco, i quali si affezionano da subito a Fatima e ai bambini, in particolare ad Aida; Emilia, infatti, è molto materna nei suoi confronti, la invita a casa sua, cerca di riempirla di attenzioni ed è felice di occuparsi di lei, di aiutarla nei compiti, di regalarle ciò di cui ha bisogno.
Questo genera inevitabilmente malumori e gelosia nei genitori della bambina, che vedono queste cure amorevoli come un subdolo tentativo di "prendersi" Aida, allontanandola da loro.
La ragazzina percepisce questi sentimenti e lei stessa si sente confusa: da una parte desidera che Emilia le dia quelle attenzioni e quell'affetto che sua madre è, per carattere, restia ad elargire e dimostrare - una freddezza, questa, che l'ha sempre fatta soffrire, facendole provare emozioni contrastanti verso la mamma: amore e desiderio viscerale di essere amata e considerata, ma anche risentimento nel constatare come questo non avvenisse -, dall'altra una sorta di diffidenza (Emilia le vuol bene perché è lei o semplicemente perché vede in Aida la figlia che non ha mai avuto?) mista alla paura di dare un dispiacere ai genitori, che potrebbero sentirsi messi da parte e rimpiazzati da questi due italiani forse un tantino invadenti, che in cambio dell'aiuto poi vogliono prendersi la figlia.
Diventa un'adolescente, Aida, si invaghisce di un compagno, e intanto studia, a scuola è brava e si applica con impegno; ogni tanto i suoi sentono l'urgenza di ritornare nel loro piccolo paese in Bosnia, ma ogni volta che torna a Milano, Aida riprende con slancio la vita alla quale ormai si è abituata; a volte riprende ad andare con più frequenza a casa di Emilia (Mimì), allontanandosi da mamma e papà, e anche un po' dall'amato Ibro.
"Sentivo di essere separata e la separazione scavava piano, in silenzio, una cavità e in quella cavità cresceva un’altra me, piccola, cieca, senza pelle. Ma crescere era doloroso, separarsi era doloroso."
Il racconto in prima persona di Aida travolge il lettore e lo fa sentire parte delle vicende narrate, facendogli percepire in modo intenso le emozioni della giovane protagonista: le sue paure nello scappare con la madre in stato avanzato di gravidanza; il senso di spaesamento una volta giunta in Italia; i sentimenti contraddittori verso quel villaggio in cui è nata e ha vissuto per sei anni, a cui appartiene per famiglia, cultura, tradizioni, per la presenza dei parenti (tanto i vivi quanto i morti), ma dal quale, allo stesso tempo, prende le distanze perché la vita va avanti e lei ha bisogno di ricostruirne una nuova lontano dalle macerie della vecchia.
" Mi sono chiesta come si possa sopravvivere alla propria vita."
"Tutta la nostra vita era divisa tra un prima e un dopo, a dispetto dell’età che potevamo avere, vent’anni, quindici o ottanta. La vita prima della guerra era una dimensione parallela, a volte mi domandavo se fosse davvero esistita."
Eppure, se Aida riesce a guardare avanti a sé e a porsi degli obiettivi, per i suoi cari non è così; è come se i suoi genitori non riuscissero ad integrarsi, anzi... non lo vogliono davvero, perché convinti di essere solo di passaggio in Italia: la loro casa nel paesino da cui vengono ancora li aspetta e il sogno di tornarvi non li abbandona, perché le loro radici sono lì, in quella loro terra così profonda e difficile da decifrare.
E Ibro?
Lui è sempre il solito ragazzo pieno di energie, di vitalità..., ma è quel tipo di vitalità eccessiva, quasi anomala; verso di lui Aida prova molti sensi di colpa, soprattutto quando si rende conto di stare vivendo la propria vita lontana dal fratello, che sicuramente sente la sua mancanza e forse ce l'ha anche un po' su con la sorella per questo.
Il caro, inafferrabile e tormentato Ibro - «kuća moja mila» mia casa adorata, «Oči moji mili» occhi miei adorati: a un certo punto, quando ormai è un giovanotto, qualcosa in lui comincia a non andare, a rompersi sotto gli occhi sgomenti e impreparati dei genitori, stanchi e confusi, e anche per Aida, che continua a studiare per diventare medico anestesista.
Il ragazzo manifesta comportamenti strani, bizzarri, sregolati; in special modo ad eccedere sono la sua irrequietezza, il senso opprimente di dover fare qualcosa - qualunque cosa! - per dare un senso alle proprie giornate (non lavora, non studia, ciondola per casa senza uno scopo o un interesse in cui investire sogni e capacità), e poi la sua aggressività, che si riversa su chi gli è vicino (babo e mamma), sia a livello verbale che fisico: cosa vogliono dire questi modi di fare? Sono forse segnali di un malessere specifico e che va assolutamente curato?
La malattia, che irrompe con violenza nei loro già (e da sempre) fragili rapporti famigliari, scardina tutto, ogni piccola certezza, mette in luce crepe, divisioni, rancori, cose non dette, un'infelicità che è sempre stata lì, sulle loro spalle, come un fardello di cui è diventato troppo difficile liberarsi.
I problemi di Ibro finiscono necessariamente per dividere e, a un tempo, riunire, come spesso succede quando in famiglia sopraggiungono problemi gravi: "Il suo disturbo era la faglia delle nostre vite divise tra un qui e un là."
Aida è presente per amore del fratello minore, che ha bisogno di lei, ma anche per quei genitori, da sempre irraggiungibili, incapaci di comunicare pure tra loro, amati con rabbia, una rabbia così pura da provocarle dolore.
Sullo sfondo di una guerra da cui ci si allontana per sopravvivere, Alessandra Carati ci racconta la storia di una ragazza e della sua famiglia lacerata dentro e fuori dalla paura delle atrocità che avrebbero potuto subire (e di cui sentono parlare da chi le ha viste da vicino) nel loro paese, che continuano ad amare e il cui pensiero resta fisso nel cuore e nella mente, accompagnato dalla malinconia di chi non si arrende a vivere e morire in terra straniera.
È la storia di come la guerra renda orfani, se non necessariamente in senso materiale, sicuramente in quello "spirituale", morale: non se ne esce indenni, mai, e l'incertezza del proprio futuro segue passo passo, come un segugio fedele, chi fugge.
È la storia di un padre che non sa esprimere il proprio amore per i figli in maniera adeguata, ma che per loro darebbe la vita; di una madre che dentro soffre, si strugge e fuori è dura e inarrivabile come una fortezza inespugnabile ma, se riuscisse a parlare senza freni, confesserebbe le proprie paure, le lacrime e i sospiri di chi è disposto a sacrificarsi per coloro che ama, con la segreta speranza di salvarlo da quel dolore che tormenta lei.
È la storia di una bambina che, diventando donna, non smette di essere costantemente alla ricerca di un po' di pace, di un posto in cui sentirsi a casa e in cui ritrovare l'amore dei propri cari, quell'amore in cui è custodito il dolce segreto della sua infanzia e che forse, per emergere in tutta la sua bellezza e purezza, ha bisogno di un'esplosione, di una supernova da cui nascano altre stelle.
Un romanzo di formazione davvero molto bello, struggente, che tocca profondamente il lettore sia per la sua giovanissima protagonista - che vediamo crescere tenera e forte insieme, pur tra le tante difficoltà e i conflitti famigliari -, sia per la storia intensa, drammatica, terribilmente attuale in questo periodo.