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venerdì 5 luglio 2024

RECENSIONE * LA CERIMONIA DELL'ADDIO di Roberto Cotroneo *



La cerimonia dell'addio è una storia che racconta di una perdita e di come chi resta si sforzi di trovare delle ragioni per andare avanti nonostante l'assenza di chi non c'è più pesi sul cuore ogni giorno e per anni.


LA CERIMONIA DELL'ADDIO
di Roberto Cotroneo



Mondadori
164 pp
La storia è ambientata negli anni '70 in una città di provincia come tante: Anna è sposata con Amos e i due sono molto innamorati, hanno due bambine e, inseguendo la loro passione per le storie e la poesia, hanno aperto una libreria. 
In una domenica come tante, mentre la coppia sta facendo colazione, di punto e in bianco Amos  all’improvviso, appare smarrito, incapace di rispondere a domande semplicissime e, soprattutto, non riconosce più Anna, sembra aver dimenticato tutto, persino di avere due figlie; eppure, solo pochi minuti prima aveva citato una poesia a memoria... ed ora non sa più nemmeno chi è. 

Un episodio di amnesia? Dovuto a cosa?

Pochi attimi dopo, l'uomo torna in sé ma con Anna decidono di andare a Roma per consultare uno specialista; a un certo punto, egli insiste per uscire da solo a fare due passi: “Non preoccuparti, sto bene, arrivo a Trinità dei Monti e rientro”.

Ma da quella passeggiata non farà mai più ritorno e di lui si perderà ogni traccia.

Passano i minuti, le ore, e poi i giorni...; tutti sono preoccupati: cosa gli è successo? Ha avuto un’altra amnesia e si è perso? 
Anna è spaventata e confusa e, tra le mille comprensibili domande, ce ne sono altre più insidiose, come: "E se avesse deciso di andarsene, abbandonando volutamente lei e le bambine?".

Questo genere di domande accompagneranno Anna per tutti gli anni a venire; sì, perché Amos non tornerà più e ciò che resta alla moglie sono solo l'amore provato e vissuto e i ricordi, oltre ai tanti interrogativi che resteranno senza risposta.

Anna negli anni continua a non darsi pace, a non capacitarsi di come un uomo possa essere scomparso senza che nessuno lo abbia visto, lo abbia eventualmente aiutato a tornare a casa, a contattare parenti e amici, o mandato a lei una comunicazione anonima per dirle: "Guarda, tuo marito s'è rifatto un'altra vita, non cercarlo e non pensarci più."

Niente di niente, invece, ed è proprio il non sapere a struggere la donna, che si sente ancora sì moglie, ma di un fantasma, e di certo non accetta l'ipotesi di essere vedova, se (e finché) Amos non viene ritrovato morto.

Diversi anni dopo, quando le figlie Emma e Cecilia sono ormai adulte e indipendenti (erano piccoline, in età da asilo, quando il papà - che infatti a malapena ricordano - è sparito), giungerà una lettera che le farà conoscere dei dettagli del passato di Amos da lei ignorati.
Informazioni che forse, in parte, le permetteranno di azzardare delle ipotesi circa suo marito, se non nel senso di capire cosa gli è accaduto da quando l'ha lasciata, per lo meno nel senso di immaginare che genere di problematiche celava dentro di sé.

Il lettore segue Anna nei suoi pensieri, mentre si tiene stretta al sentiero dei ricordi, provando a trovare segnali, indizi, crepe che le consentano di comprendere di più il passato di quel marito che, in fondo, non ha avuto chissà quanto tempo per conoscere bene.

Il pensiero di lui è una costante che non l'abbandona mai, inducendola così a rimandare di anno in anno la decisione interiore di dirgli addio, di lasciar andare il ricordo di un uomo che semplicemente e senza spiegazioni, a un certo punto, è uscito via dall'esistenza sua e delle bambine, a loro volta cresciute all'interno di questo tempo sospeso - il tempo dell’abbandono, della continua e straziante attesa (per molto tempo, Anna verserà il caffè anche per lui, a tavola, terrà le sue cose nell'armadio nel caso tornasse...) di qualcosa (risposte, ad es.) che potrebbe non arrivare mai.

Il dolore dovuto all'assenza incolmabile di questo marito - che resta sullo sfondo pur essendo molto presente, apparendoci come una figura adombrata di mistero - scandisce l'esistenza della protagonista, costretta a confrontarsi con il proprio mondo interiore, le proprie insicurezze, le mancanze ma anche le risorse emotive a sua disposizione,necessarie per continuare ad andare avanti nonostante tutto; emerge, tra queste pagine, il grande potere della memoria e la capacità dei ricordi di tener vivo un amore.

Siamo davanti a un romanzo delicatissimo e profondo, intriso di una struggente malinconia, che esplora il tema del lutto, della perdita, dell'abbandono, dell'attesa e il modo che la protagonista ha di elaborare il tutto; una lettura commovente, piena di passaggi molto belli e significativi, scritti con uno stile poetico ed evocativo, che sa emozionare il lettore.

Bello.


martedì 2 luglio 2024

TUTTO SU DI NOI di Romana Petri ✓ RECENSIONE ✓



Marzia nasce e cresce in una famiglia che si può definire, senza tema di smentita, disfunzionale: una famiglia che non è nido d'amore, rifugio accogliente, porto sicuro e riparo dalle tempeste.
Tutt'altro.
In casa Marziali si respira cinismo, egoismo, puerilità da parte degli adulti, tradimenti, piccole e grandi perfidie che possono far male e davanti alle quali non resta che difendersi e, all'occorrenza, magari anche attaccare.


TUTTO SU DI NOI
di Romana Petri


Mondadori 
216 pp
Marzia Marziali ha un nome che è tutto un programma e che si riflette nel suo modo di essere: cammina con un'andatura marziale e ama uno sport come la lotta greco-romana.

Non solo, ma in lei c'è qualcosa di "marziale" nel senso di battagliero, intrepido ed è con questo atteggiamento che ci racconta la storia sua e della sua famiglia.

Marzia si sbottona con furia, violenza, spudoratezza, ci lascia entrare dentro casa, nello spazio soffocante condiviso con il padre, la madre e il fratello.

La sua è una famiglia malata, in cui si passa dall'indifferenza e dall'anaffettività alla cattiveria gratuita più tremenda.

Se dovessimo sintetizzare i caratteri dei tre famigliari di Marzia, potremmo descriverli così: il cattivo (il padre), la sottomessa (la moglie) e il menefreghista (il fratello).

Cresciuta nella periferia di Roma, Marzia ha avuto un'infanzia non propriamente infelice, perché in fondo ci sono storie e famiglie ben peggiori, ma di certo non ha avuto dei genitori esemplari.

Al centro della sofferenza di tutti c'è lui, il capo famiglia: un uomo fisicamente tozzo, tarchiato, sgradevole, chiamato da Marzia "il nano dalle gambe corte", la cui brutta fisicità è lo specchio di un'anima altrettanto penosa.

Un padre crudele e codardo, capace di atti di pura malvagità contro moglie e figlia; un fedifrago seriale che non nascondeva i tradimenti, anzi, li sbatteva in faccia a moglie e figlia con un godimento disgustoso; ferire, umiliare, schernire, ridere delle lacrime e del dolore da lui stesso provocati, era motivo di grasse risate da parte sua.
Un genitore incapace di amare, di lasciarsi andare a parole e gesti d'affetto.
Come vieni su con un padre così?

E la madre?
Lei è sempre e solo stata moglie, la coniuge devota e fedele al marito infedele e str****, che avrebbe meritato di essere cacciato a pedate da casa.
E invece più lui la tradiva e umiliava, più lei gli si attaccava come una cozza, aspettando, come un cagnolino smarrito, briciole di attenzioni, che poi non erano mai affettuose ma solo fisiche, per sfogare le bramosie sessuali di lui.

Il racconto di Marzia mi ha travolto perché è duro, verace, forte, dice "pane al pane e vino al vino", senza mai rinunciare a una certa dose di ironia e autoironia, descrivendo la famiglia e le diverse e bizzarre situazioni vissute con schiettezza, con la ormai serena rassegnazione di chi per quel caos vi è passato, l'ha attraversato..., ok, forse non indenne ma è sopravvissuta.

Nel conoscere i molteplici aneddoti tramite i quali la protagonista ci presenta i suoi, mi sembrava di esserle accanto e di poter guardare le cose con i suoi occhi disincantati, realisti, tanto è l'abilità narrativa dell'autrice di immergere totalmente il lettore nella storia.

Marzia non risparmia nessuno, neppure sé stessa, dai giudizi impietosi sui Marziali, e si rende conto che essere cresciuta senza impazzire già è stato un miracolo.

Mentre suo fratello ha scelto la strada dell'estraniazione, dell'alienazione (cuffie nelle orecchie sempre, in ogni momento; lui non sente e neppure vuol guardare, sapere, dire la sua: nulla, un'ombra che cerca di restare sullo sfondo di quella famiglia matta), lei invece ha vissuto il marcio in casa affondandovi mani e piedi, ma del resto non poteva fare altrimenti perché i suoi genitori l'hanno sempre coinvolta nei loro "affari", nei loro problemi di coppia, trattandola come una pari, dimenticandosi volutamente che Marzia era una ragazzina ed era figlia, non compagna e confidente.
Andava protetta e non trascinata con forza in una relazione di coppia tra due adulti sciagurati.

E come fare a non soccombere in un contesto fagocitante ed egoistico oltre misura?
Rafforzandosi, nel corpo e - si spera - nello spirito, attraverso uno sport "da maschio", molto fisico, con cui acquisire disciplina, sacrificio, impegno; Marzia educa e allena il proprio corpo, imparando a mettere fra sé e il mondo la barriera di un fisico scolpito, asciutto.

Un fisico poco sensuale e femminile... Forse un modo (inconscio) per sfuggire alle attenzioni di uomini predatori e fissati per il sesso come suo padre?

Certo, questo non impedisce a Marzia - al di là della durezza e della franchezza spiazzante che la caratterizzano - di individuare le proprie debolezze e fragilità, i propri bisogni di dare e ricevere quell'amore che in casa manca.

Lei non desiste dal sognare e desiderare la perfezione, anche in amore; il suo cuore non dimenticherà per molti anni un ragazzo (chiamato, nella sua immaginazione, "l'uomo perfetto"), con cui ha avuto una breve avventura ma il cui pensiero continuerà a seguirla per molto tempo, perché lui è quanto di più lontano ci sia dalla figura paterna.
Malgrado la famiglia strampalata che le è capitata, il cuore di Marzia è capace di voler bene senza limiti, e lo dimostra soprattutto nel rapporto con Kore, un cagnolino randagio che lei "adotta"; Kore le vuol bene per ciò che è, non la giudica, non ride di lei, anzi la segue gioioso e scodinzolante, pronto a farla sentire importante e altrettanto fa lei con l'animale.

Purtroppo, la cattiveria paterna si estenderà sino a Kore provocando a Marzia il dolore più grande della sua vita; da quel momento in poi, ella svilupperà e nutrirà un odio talmente grande verso il padre da desiderare di ucciderlo.

Seguiamo la protagonista negli anni, la vediamo crescere, proseguire con le competizioni sportive, impegnata in relazioni sentimentali che non la soddisfano, e sempre lì a barcamenarsi tra quei due genitori infantili, nell'inutile attesa che finalmente maturino e smettano di pensare unicamente a loro stessi.

Rabbia, rimpianti, delusione, tristezza, paura di essere sbagliata, di non saper dare amore per non averlo ricevuto...: a Marzia nulla è stato risparmiato e lei stessa non risparmia nulla ai lettori, che leggono la sua storia sperando che, crescendo, ella provi ad essere felice, a buttarsi alle spalle la zavorra di questa famiglia anomala e disordinata, che si conceda un amore (o qualcosa che gli assomigli) senza farsi troppe paranoie, che riesca a perdonare, se non quel nano malefico che l'ha generata, almeno quella madre che ha vissuto un'esistenza all'ombra di un uomo che ha fatto di tutto per farsi detestare.

Ho ascoltato il libro su Audible, scegliendolo a istinto e mi è piaciuto davvero molto!

domenica 23 giugno 2024

X di Valentina Mira [ RECENSIONE ]



Come si racconta di aver subito uno stupro?
E per raccontarlo a chi, poi?
La protagonista di questo romanzo trova il modo di parlarne attraverso una lettera che forse il destinatario non leggerà mai: lui è suo fratello ed è assente da anni dalla sua vita, ma è proprio a lui che Valentina sente il bisogno di palesare l'uragano di pensieri ed emozioni che le si agita dentro dal giorno in cui il suo corpo e la sua anima sono stati violati.



X
di Valentina Mira



Fandango Libri
176 pp
Valentina è un fiume inarrestabile di parole; parole che si è tenuta dentro per troppo tempo ma che finalmente hanno trovato un'apertura da cui uscire.
Adesso è arrivato il momento di dire ciò che sente, pensa, ciò che l'ha fatta soffrire.

X è una lunga lettera scritta per Fabio, il suo fratellino.

Con Fabio non hanno relazioni da anni, né lei né i genitori; il ragazzo, infatti, ha preso una strada lontana dalla famiglia per unirsi ad amicizie legate agli ambienti neofascisti.

Di recente suo fratello, in realtà, s'è fatto vivo ma nel peggiore dei modi: è entrato in casa dei suoi e ha commesso un atto tanto stupido quanto aggressivo, una sorta di "dispetto" a quei genitori con cui non ha più rapporti.

Ed è a questo fratello che Valentina scrive per raccontargli con dovizia di particolari la sua vita di oggi, i sacrifici fatti per arrivare ad essere ciò che è - una giornalista - e soprattutto tutto quello che non ha avuto la forza di dirgli in passato.

C'è un momento specifico del passato che ha segnato un punto di rottura per lei perché è legato ad un evento terribile avvenuto una sera d'estate del 2010 - l’anno della sua maturità -, in occasione di una festa piena di musica e alcol; un evento che determinerà da quel momento in poi un prima e un dopo nella sua vita.

A quella festa Valentina si lascia andare a baci ed effusioni con un ragazzo che è amico suo e del fratello: G., un ottimo studente della scuola cattolica.
Ma quella sera il bravo ragazzo diventa uno stupratore; l'amico simpatico si trasforma in un mostro che non ha la faccia né da mostro né da stupratore, e che vive in un quartiere normale di un paese normale.

A quel ragazzo Valentina quella sera dice NO, e non una volta soltanto; sì, è vero, aveva bevuto un po' ma lei ricorda tutto e sa che non era ubriaca; sa benissimo di aver respinto G. con fermezza.

Ma lui le fa violenza sessuale, con tanto di lividi e sangue sulle lenzuola.

Valentina non denuncia e, anche se proverà a farlo e a "minacciare" lui di farlo, non lo farà.

Esattamente come il novanta per cento delle donne che subiscono violenza, quel danno resta taciuto per anni. 
Sua madre nota che, nei giorni successivi a quella maledetta sera, la figlia è strana, distante, triste, ma a lei, cattolica fervente e convinta, che ritiene il sesso un argomento tabù, Valentina non riuscirà a confidare lo stupro subito.
C'è una persona con cui si sfoga: Fabio.
Ma Fabio sceglie - con doloroso stupore da parte di Valentina - di credere al'amico, non crede alla sorella, anzi, si allontana da lei e rimane amico di G., lo stupratore.

Dieci anni dopo, Valentina si sente più forte, tanto da decidere di riprendersi la propria storia spezzando quelle maledette catene fatte di paura, vergogna, omertà, consapevole che se c'è qualcuno che deve vergognarsi non è lei, non sono le donne violentate, ma è il "suo" violentatore, sono i violentatori delle tante donne che hanno la sfortuna di incontrarli.

Valentina Mira dà il proprio nome alla protagonista (e voce narrante), le dà un'identità precisa perché le vittime di stupro non sono delle donne anonime, senza un volto, un vissuto...: sono persone, che hanno subito una violenza carnale e che, oltre e dopo questa, si sentono ancora violentate da una società e da un modo di pensare che attacca e stigmatizza chi invece va difeso, protetto, creduto, aiutato a denunciare. 

Non è stato facile continuare la propria vita dopo quella notte; la sofferenza di aver subito uno stupro, tutta la valanga di emozioni contrastanti ad esso collegate, l'allontanamento dell'amato fratello (il loro è sempre stato un legame fortissimo) e le sue scelte di vita discutibili, e poi la precarietà del lavoro anche dopo la laurea, le umiliazioni affrontate per cercare di non perdere quel po' che s'era costruita negli anni, la solitudine, la paura di non farcela, di dover continuare a consegnare pizze per sempre abbandonando il sogno di fare la giornalista...: Valentina infila tutto in questa lettera decisiva e definitiva, la prima e forse l'ultima e l'unica che scriverà mai a qualcuno vomitando in essa tutto.

Scrivere diventa una necessità per sopravvivere, per aggrapparsi a qualcosa, per denunciare come la violenza non sia solo quella di dieci anni prima con G., ma sia all'interno dei più differenti contesti e si esprima in diversi modi.

Si può essere violati anche per altre vie, che non contemplano necessariamente un bruto col ghigno che ti prende in un angolo buio e ti strappa gli slip: la violenza può risiedere anche in un datore di lavoro che, con voce melliflua e sorriso sornione, ti fa capire che se vuoi mantenere un posto di lavoro..., hai capito, sì?

Ma sul corpo ferito di Valentina ormai c'è una indelebile X che vuol dire NO, e il no è no, senza se e senza ma.

Il romanzo (autobiografico) di Valentina Mira è spiazzante perché schietto, diretto, feroce; la voce della protagonista è potente, è un grido di dolore e di rabbia, in cui c'è tutto il bisogno e il diritto di urlare che non è lei quella sbagliata, che no, non se l'è cercata quella sera, che una donna stuprata non deve sentirsi mettere in dubbio ciò che racconta e, anzi, va aiutata a sapere cosa deve fare per poter denunciare il suo stupratore

Ho ascoltato questo libro su Audible e mi ha colpito tanto, l'ho trovato disarmante nel suo essere onesto, lucido, e il modo di narrare dell'autrice mi ha smosso molte emozioni, dalla commozione alla rabbia, dall'empatia all'indignazione.

È un libro potente, come vi dicevo, che dà voce con vigore e franchezza alle donne che hanno vissuto, loro malgrado, un'esperienza drammatica come la violenza sessuale, e induce a mettersi al loro fianco non certo per giudicarle ma per unirsi alla denuncia di quello che poi è tutto un sistema, un modo di pensare intriso di misoginia; i concetti di vergogna, pudore, colpa, responsabilità vanno ribaltati, devono "passare" dalla vittima al violentatore, e la stessa vittima ha diritto (ma anche il dovere verso sé stessa) di non vedersi per sempre in questa "veste" - come la vittima di una violenza -, quanto piuttosto di dare spazio a un atteggiamento di resistenza, individuale e collettiva, una resistenza che implica la rivendicazione del proprio diritto di esistere.

Dolorosamente bello. Consigliato!!  


martedì 26 marzo 2024

🐦RECENSIONE 🎻 LE AVVENTURE DI NUVOLA E ANTONIUS di Germana Quadrini

 

Le fiabe musicali che oggi vi presento hanno in comune due speciali protagonisti giovani e inesperti che trovano il coraggio di sognare in grande e di provare a realizzare i loro sogni andando oltre limiti e insicurezze, sfidando timori e insuccessi.




LE AVVENTURE DI NUVOLA E ANTONIUS
 - DUE FIABE DI GERMANA QUADRINI - 




Queen Kristianka Edizioni
Musiche originali di Loreto Gismondi

Le avventure dell’uccellino Nuvola (Durata 11’:44’’)
Antonius, il sogno di un violino (Durata 18’:23’’)

6,00 euro
Voce narrante: David Duszynski
AUDIOLIBRO DIGITALE
FORMATO MP3, scaricabile dalle piattaforme
 IlNarratore, Kobo, Google Play


Nella storia "Le avventure dell’uccellino Nuvola", il passerottino Nuvola è chiamato così per la sua abitudine ad aver sempre il becco rivolto verso il cielo.

Vispo e curioso, ama giocare con tutti gli animali della valle e sogna di volare in alto come un'aquila.

Gli amici, inizialmente, non capiscono come Nuvola possa avere desideri troppo  ambiziosi, ma poi il loro affetto per il passerotto ha la meglio e decidono di aiutarlo nella difficile impresa.

Nuvola è un passerotto con il becco rivolto sempre verso il cielo.
Vispo e curioso, ama giocare con tutti gli animali della valle e sogna di volare in alto come un'aquila.

Gli amici, inizialmente, non capiscono come Nuvola possa avere una tale ambizione, ma poi l'affetto per il passerotto ha la meglio e decidono di aiutarlo nella difficile impresa.

Nuvola dovrà affrontare le proprie paure per ottenere ciò che desidera e volare sempre più su, là dove neanche lui era sicuro di poter arrivare.

Questo simpatico uccellino non si accontenta semplicemente di ciò che conosce ma aspira a qualcosa di più grande ed è desideroso di andare alla scoperta del mondo e della libertà.


"...il cielo è così infinito che appartiene a tutti. 
Trova il tuo pezzo di cielo."


*******

Nella seconda fiaba sonora, "Antonius, il sogno di un violino", conosciamo un vivace e curioso violino che coltiva nel cuore il desiderio far emozionare le persone con la bellezza della sua musica. 

Il liutaio Samuel costruisce con tanto amore pregiati violini, viole e violoncelli; per lui sono come delle creature, dei figli, un po' come Pinocchio per il buon mastro Geppetto; ad esse, l'anziano dà anche dei nomi e il violino della nostra storia si chiama, appunto, Antonius.

Antonius capisce sin da subito che lui e gli altri strumenti di Samuel sono speciali e il suo sogno è poter andare in giro per il mondo nelle mani di un musicista bravo che non lo abbandonerà mai e che lo "userà" per suonare melodie bellissime ed emozionanti.

La sua incredibile voglia di ritrovarsi nelle talentuose mani di un violinista lo spinge, però, a intraprendere dei passi incauti e frettolosi.

Ma per ogni cosa c'è il suo tempo, e come gli esseri viventi crescono attraversando delle tappe e fasi, così è per i violini di questa storia e Antonius lo imparerà molto presto.

Aver fretta di fare ciò per cui non si è ancora pronti e maturi non è una buona idea perché si rischia di fallire e di dover fare i conti con il timore di deludere gli altri e di non essere all'altezza delle aspettative.

Ce la farà Antonius a realizzare il sogno di essere "uno strumento dell'anima" capace di produrre musiche meravigliose nelle mani di un sensibile violinista?


Entrambi i racconti ci ricordano, con molta dolcezza e un pizzico di magia, che ci vuol coraggio e una sana fiducia in sé stessi per raggiungere i propri obiettivi, e che tutti noi possiamo realizzare i nostri sogni, anche dopo qualche errore o insuccesso.


Il linguaggio adoperato è semplice e adatto ad ascoltatori anche molto piccoli; l'ascolto è oltremodo piacevole, sia perché il narratore ha una voce calda, avvolgente e la lettura è espressiva e in grado di coinvolgere l'ascoltatore, sia per la presenza della musica che, lungi dall'essere un semplice "sottofondo", è anzi un elemento centrale, che dà corpo alla costruzione della fiaba stessa, accompagnando sapientemente di volta in volta i personaggi nei loro vissuti e accordandosi alle loro emozioni.

È una tipologia di fiaba ideale da proporre ai bambini in quanto ha tutte le caratteristiche per stimolare la creatività, l'immaginazione, favorire l'espressione di sentimenti ed emozioni, introdurre al meraviglioso mondo della musica e tiene accesa l'attenzione di chi ascolta grazie alla varietà di strumenti musicali, di melodie e ritmi che contribuiscono a far percepire la storia e i personaggi come esseri vivi e con una loro specifica identità.

Un audiolibro, quindi, composto da due fiabe davvero belle, delicate e magiche, con messaggi positivi e che ben si presta ad essere impiegata in ambito educativo.

lunedì 12 febbraio 2024

RECENSIONE 👨‍👩‍👧‍👦 UNA FAMIGLIA AMERICANA di Joyce Carol Oates



Questa è la storia di una famiglia borghese benestante che negli anni Settanta vive in una fattoria da fiaba, tra cavalli e mici, in un'atmosfera famigliare serena, gioiosa.
I Mulvaney destano invidia in quasi tutti coloro che li conoscono.
Fino al giorno infausto in cui accade una cosa che colpisce uno di loro e, di conseguenza, tutta la famiglia. Un evento drammatico da cui parte il "disfacimento" dei Mulvaney, tanto a livello sociale che privato.


UNA FAMIGLIA AMERICANA
di Joyce Carol Oates



Ed. Il Saggiatore
trad. V. Curtoni
512 pp

I Mulvaney, se li conosci, li ami.
O li invidi.
Sì, perché sembrano perfetti, felici, affiatati, sereni, moderatamente cristiani, sempre educati e corretti, di un'esuberanza e di un'allegria sane, floride.
A far da sfondo a quest'allegra combriccola - composta da Micheal Sr, mamma Corinne e i quattro figli, Patrick, Mike, Marianne e Judd - c'è la loro dimora: High Point Farm, una bella e grande fattoria nel Nord dello stato di New York dove gli umani convivono pacificamente con cavalli, gattini e altre bestiole.

I Mulvaney si sono guadagnati il rispetto di tutti quelli che li conoscono: lui, il capofamiglia, ha un’impresa edile ben avviata ed è un rispettato membro del Country Club; Corinne è una donna attiva, profondamente religiosa e con la passione per l’antiquariato e la politica. 
Anche i figli fanno la loro bella figura: Mike junior è un campione di football, Patrick uno scienziato in erba (intelligentissimo e colto, dà del filo da torcere a chiunque incappi in una conversazione "filosofica" con lui, che ha sempre la risposta e le argomentazioni pronte); il piccolo Judd è la mascotte della squadra; la femminuccia di casa - la dolce Marianne - è una studentessa modello, altruista, comprensiva, sempre attenta agli altri, una sedicenne brava e obbediente che mai si sognerebbe di infilarsi volontariamente in qualche guaio né di commettere cattive azioni.

L'unica "colpa" di Marianne è essere una Mulvaney di sedici anni, ingenua.

La vita idilliaca di questo nucleo famigliare si spezza nel giorno di san Valentino del 1976: c'è il ballo della scuola, a conclusione del quale accade qualcosa di terribile alla povera Marianne. 
Quello che le accade, in famiglia verrà chiamato sempre l'«incidente», cercando di evitare accuratamente altri termini più adatti a descrivere il tipo di violenza subita dalla ragazza ad opera di un compagno di scuola, tale Zachary Lundt.

"L'incidente" diventa un fattaccio da non nominare più con nessuno e in nessun caso; Marianne sviluppa tanti e sbagliati sensi di colpa, che la inducono a tenersi tutto dentro e non voler rendere noto "il fattaccio".

A casa, quando la cosa si viene a sapere, tutti ne restano addolorati, sconvolti, arrabbiati.
Se Judd e Mike cercano "semplicemente" di evitare l'argomento doloroso per Marianne e per i genitori, Patrick matura dentro di sé un'enorme e cieca rabbia verso il farabutto che s'è approfittato della sua sorellina.
Corinne è distrutta, non accetta l'idea di non essersene accorta immediatamente e vorrebbe proteggere la sua bambina da tutto, compresi i pettegolezzi cattivi e ingiusti di chi non sa e parla alle spalle, addossando colpe a chi non ne ha e scagionando chi le ha.
E poi c'è lui, il padre: Micheal Sr è anch'egli dilaniato e vorrebbe spaccare la faccia a tutti gli ipocriti che si sono già schierati dalla parte del figlio di papà, contro cui nessuno ha intenzione di mettersi.

"...i Mulvaney erano una famiglia nella quale tutto ciò che accadeva era prezioso e tutto ciò che era prezioso era immagazzinato nel ricordo e tutti avevano una storia. Per questo molti di voi ci invidiavano, credo. Prima degli eventi del 1976, quando tutto per noi andò in pezzi e non venne mai più ricomposto nello stesso identico modo".

La serenità della casa è ormai annientata; in un attimo la famiglia perfetta non esiste più: ciascuno combatte la propria lotta in nome della giustizia, della vendetta o del perdono, tutti si trasformano e si allontanano, sia col cuore che fisicamente. 

Ogni Mulvaney prende la propria strada, prendendo le distanze dalla fiabesca fattoria in cui hanno vissuto la felicità e l'unione, per percorrere cammini differenti, distanti l'un dall'altro; per dimenticare, per non litigare, per non riversare rancori e ira su chi si ama, per cercare di andare avanti, ingoiando il boccone amaro dell'ingiustizia.

Da amati e ammirati a reietti: i Mulvaney diventano, all'interno della cerchia di amicizie (di adulti e ragazzi) degli appestati, gente da cui è meglio stare alla larga perché son capaci di combinare pasticci.

Attorno ai membri di casa Mulvaney si forma la cosiddetta "terra bruciata", un'opera meschina di isolamento e allontanamento da parte di coloro che, fino a una settimana prima, erano amici.

Pur amandosi, i due genitori e i quattro figli non sanno più interagire tra loro; a separarli c'è quel muro creato dall'incidente occorso a Marianne, ed è lei la prima che va allontanata in quanto la sua presenza ricorda troppo tutto il dolore, l'impotenza, la rabbia.

La storia ci viene narrata in retrospettiva dal piccolo di casa, Judd, attraverso il cui racconto entriamo in questa famiglia e, già dopo poche pagine, ci sembra di conoscerli e riconoscerli come se facessimo parte di loro.

"Narrando questa storia dei Mulvaney, dei quali mi trovo a essere il figlio più giovane ma anche, spero, un osservatore neutrale, o almeno qualcuno le cui emozioni sono state purgate ed esorcizzate dal tempo, io voglio scrivere ciò che è vero. (...) Molto si basa su ricordi e su conversazioni con membri della famiglia su cose che non ho vissuto in prima persona e che non potrei mai conoscere, se non seguendo le vie del cuore. Come diceva papà (...) «Noi Mulvaney siamo legati dal cuore»."

Ci fanno sorridere i nomignoli affettuosi affibbiati a tutti - umani e no -, i piccoli e simpatici aneddoti legati all'infanzia che, quando si ricordano da adulti, sembrano sempre più divertenti e buffi; li vediamo cambiare da un giorno all'altro dopo l'incidente, condividendo con ciascuno la sua tempesta emotiva; di alcuni comprendiamo le scelte, di altri meno, ma negli anni impariamo a capirli, a scusarli, e a me personalmente tutti hanno suscitato tenerezza per motivi diversi, nonostante qualcuno (come papà Michael) abbia preso una strada peggiore degli altri. 

Nell'arco di 14 anni, i Mulvaney non si allontanano mai del tutto ma ognuno di essi intraprende un cammino personale importante, imparando a liberarsi dall’obbligo sociale di incarnare la perfezione,di comportarsi secondo delle etichette, di essere per forza  accettati dagli altri per contare qualcosa, e scegliendo di diventare semplicemente se stesso.

"Quali sono le parole giuste per riassumere una vita, tanta affollata confusa felicità che si conclude con un atroce dolore al rallentatore?"

Già, lettori, quali sono le parole giuste per parlare dei Mulvaney?
Di Micheal senior: l'aitante, il gioviale, il burlone, il ricco e carismatico padre, marito, amico e imprenditore o l'uomo solo, arrabbiato col mondo e con i propri cari, ridotto a una larva che trova piacere soltanto nel bere?
Di Corinne, la madre e moglie cristiana, fervente, saggia, entusiasta, o della "seconda Corinne" che vede il proprio nido casalingo disfarsi sotto i propri occhi?
Di Marianne, debole, indifesa, bisognosa di amore, di essere accolta, accettata per ciò che è e per quella macchia sul suo passato.
Di Patrick, la cui razionalità non basta per calmare i fiumi di furore e vendetta che lo lacerano dentro.

La Oates ha saputo magistralmente raccontarci le vicende di questa famiglia, di come l'ossessione per l'ingiustizia subita da una di loro abbia pesato sulle loro vite, singole e in quanto membri del medesimo nucleo famigliare.

Il tratteggio umano che emerge da queste pagine mi ha soddisfatta appieno, la penna della scrittrice americana scorre senza intoppi e facendo crescere, di capitolo in capitolo, l'interesse e la partecipazione affettivo-emotiva ai fatti narrati e ai personaggi coinvolti.

Si fa il tifo per loro, per i cari Mulvaney.
Vi prego, ritrovatevi. Basta un abbraccio e una sincera pacca sulla spalla per spazzare via le nubi.


Un romanzo che mi è piaciuto davvero molto e che vi consiglio, se amate la narrativa americana contemporanea e le saghe famigliari.

sabato 27 gennaio 2024

"IL SEGNALIBRO DELLA MEMORIA"





AUDIOFICTION


LA SIGNORA DEI TULIPANI di Mauro Ruggiero

Un'anziana e taciturna signora dai capelli bianchi vende fiori in una strada di Praga tra l'indifferenza dei 


passanti. Ad accorgersi di lei sembra essere solo un giovane giornalista che, spinto dal desiderio di aiutarla, compra spesso quell'unico mazzetto di tulipani che la donna offre.
Presto, però, il giovane scoprirà che dietro quegli occhi azzurri e assenti, la "Signora dei tulipani" nasconde una storia incredibile e toccante iniziata al tempo dell’occupazione nazista della Cecoslovacchia e della Shoah.



L'uomo incapace di sorridere di Giancarlo Villa

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Londra, 28 Novembre 1962. È una piovosa serata di fine autunno, gelida e cupa.
Due giovani avventori del locale "The Star" si stanno godendo gli ultimi minuti di una serata blues. Il chitarrista del gruppo è un tipo strano, cupo, eccentrico.
La sua terribile storia è una storia di sopravvivenza estrema contro il male; la Storia di un sopravvissuto al campo di sterminio di Mauthausen.

Pur essendo due fiction, quindi con personaggi fittizi, di fantasia, ciò che viene narrato rispecchia vicende assolutamente realistiche; sono racconti brevi ma aventi una loro intensità, che coinvolgono emotivamente l'ascoltatore spingendolo a riflettere sui concetti di bene e di male, e di come questi siano presenti entrambi nel profondo dell'animo umano; in particolare nel secondo audiolibro, il personaggio principale è sopravvissuto all'Olocausto per cui la sua esperienza è ovviamente (e tristemente) fedele alla realtà.
In entrambi i casi l'ascolto è stato gradevole grazie all'espressività dei narratori espressivi.



BIOGRAFICO

Il comandante Franz Ziereis di Giancarlo Villa.
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Al centro vi è la figura del massimo comandante di Mauthausen, 
il campo di concentramento dove venivano deportati principalmente gli intellettuali polacchi e i prigionieri di guerra sovietici.
Dopo esser entrato nella polizia tedesca, Ziereis scala gli ordini gerarchici fino a ottenere il comando del campo, dove si trasferì con la propria famiglia e risiedette per tutta la durata del suo ruolo.
 
Passato alla storia come uno dei più spietati e crudeli gerarchi, incapace di pentirsi persino in punto di morte, Ziereis era noto per la sua ossessione di sparare dalla sua abitazione, davanti al figlio undicenne, a qualsiasi prigioniero tentasse di scappare.

In questa breve ed essenziale biografia l'ascoltatore apprende come sia stata l'infanzia di Ziereis a Monaco, che era un bambino timido e vittima di bullismo da parte dei coetanei, fino ad arrivare agli orrori commessi da comandante nazista, nell'angolo di secolo più buio per l'umanità.
Interessante, permette di conoscere un altro personaggio meschino che ha contribuito a scrivere una pagina nerissima della storia.


TESTIMONIANZE

Le storie di Stanka e Maria: Il campo di concentramento di Gonars e la deportazione dei rom e dei sinti in Friuli Venezia Giulia durante la Seconda guerra mondiale di Andrea Giuseppini


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Nel campo di concentramento fascista di Gonars, un paese in provincia di Udine, furono internate decine di migliaia di civili sloveni e croati. Il campo rimase in funzione dalla primavera del 1942 fino all’8 settembre del 1943. Si calcola che in questo periodo, all’interno del campo, morirono di fame e di malattie circa 500 persone.

Stanka è un’anziana donna rom, nata nella provincia di Lubiana e deportata nel 1942 nel campo di Gonars. Nei ricordi di Stanka, raccolti in questo audio documentario, ci sono la terribile fame, il gran freddo, e le morti, tra cui quella di una piccola bambina rom.

Maria è invece una sinta italiana, nata nel 1929 a Trieste. Per fuggire ai pericoli dei bombardamenti, Maria e la sua famiglia si rifugiano nelle campagne friulane. Qui, dopo l’8 settembre del 1943 e l’occupazione tedesca, incontrano i rom sloveni deportati a Gonars.

Nei mesi successivi, la madre e un fratello di Stanka, il fratello di Maria e altri giovani rom saranno catturati dai tedeschi e deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti.
Solo in pochi faranno ritorno.

Nell’audiolibro, oltre alle voci di Stanka e Maria, si possono ascoltare quelle della storica Alessandra Kersevan, della partigiana Rosa Cantoni e dello scrittore Boris Pahor.

Testimonianze che vanno ascoltate, conosciute perché sono storie vere, drammatiche, dolorose, che escono direttamente dalla bocca di chi le ha vissute sulla propria pelle, di chi ha sofferto la fame, il freddo, la paura di essere picchiato, ucciso per il solo fatto di essere rom.
Storie che per molto tempo sono state ignorate, non considerate, storie di crimini per i quali i colpevoli non sempre hanno pagato.


Tutte storie da ricordare per il Giorno della Memoria ma affinché questa ricorrenza - che è giustissimo celebrare, non solo il 27 gennaio, ma sempre - non perda il suo valore e il suo fine, è necessario, a mio avviso, denunciare ogni sopruso, violenza, crimine di guerra, tentativi di pulizia etnica/sterminio ecc... che ancora oggi purtroppo avvengono.
Il fatto che ad oggi in tante parti del mondo i diritti di tanti uomini, donne, bambini... vengano costantemente violati non deve far cadere nell'errore di credere che il Giorno della Memoria abbia perso significato, che sia pura retorica e che quindi non serva più ascoltare ancora le testimonianze dei sopravvissuti (il cui numero, ovviamente, si fa sempre più esiguo), leggere libri/articoli o  guardare film/documentari a tema...; nondimeno, proprio per onorare con onestà e in una logica inclusiva questa giornata, nessuna vittima di azioni criminali a scopo di sterminio, di negazione dei diritti umani, va ignorata, sminuita, dimenticata, altrimenti la memoria di ciò che è accaduto durante la seconda guerra mondiale non sarà mai un ricordo, se poi sotto i nostri occhi continuano a verificarsi ingiustizie simili davanti alle quali si tende a girare la testa dall'altra parte e quasi a considerarle "di serie B".


"...se la storia e la memoria pubblica sono un antidoto dovremmo chiedercelo sempre, dove eravamo e dove siamo. Per provare a non correre il rischio di finire in quel maledetto scantinato stantio, a rifugiarsi nello studio, mentre i bambini gridano nella notte. “La memoria della Shoah è di tutti”, ha sostenuto sul sito di “Gariwo” la storica Anna Foa, e ha ragione: è anche delle donne e dei bambini intrappolati a Gaza o nei campi profughi di tutto il Medio Oriente. Sempre che sopravvivano.

Forse, chissà, un giorno succederà quello che immagina Elie Duprey (“Contretemps”, 23 dicembre 2023):

"La situazione non lascia spazio all'ottimismo. In Palestina, innanzitutto e prima di tutto, dove il sostegno incondizionato dato a Israele dalle potenze occidentali rende difficile immaginare qualcosa di diverso dall'approfondimento delle dinamiche attuali: pulizia etnica, apartheid, fascistizzazione sempre più spinta della società israeliana, indignazione generale – da parte dell'Occidente – di fronte alle esplosioni di violenza più spettacolari, indifferenza generale – da parte dell'Occidente – di fronte alla violenza quotidiana della colonizzazione. La storia degli Stati Uniti dimostra che certi processi coloniali possono trionfare e certi popoli scomparire. Forse un giorno qualche turista entrando in un casinò di Gaza verserà una lacrima in memoria dei crimini passati, prima di tornare a godere dei benefici della civiltà. Forse no".

Forse sarà così, forse no – in ogni caso decine di migliaia di persone non ci sono più. Dipende anche da noi, dal poco – pochissimo – che contano le nostre voci. Se non le alzeremo abbastanza, e se non verremo ascoltati, chissà, può essere che un giorno qualcuno ci verrà a cercare, sempre che non sia già troppo tardi. Quando busserà alla nostra porta chiedendoci se davvero non sentivamo, non vedevamo, non parlavamo, noi, o almeno io, probabilmente non sapremo cosa dire."


(stralcio di un articolo di Carlo Greppi presente su Gariwo)

sabato 6 gennaio 2024

⌛ RECENSIONE ⌛ IL SENSO DI UNA FINE di Julian Barnes



Un romanzo breve ma che, attraverso numerosi flashback e ricordi da parte del protagonista, con intensità e con una scrittura raffinata, colta e coinvolgente, induce a riflettere sul senso dell'esistenza, dello scorrere del tempo e sugli inganni della memoria.


IL SENSO DI UNA FINE 
di Julian Barnes 



Einaudi Ed.
trad. S. Basso
161 pp
"Con quale frequenza raccontiamo la storia della nostra vita? Aggiustandola, migliorandola, applicandovi tagli strategici? 
E più avanti si va negli anni, meno corriamo il rischio che qualcuno intorno a noi ci possa contestare quella versione dei fatti, ricordandoci che la nostra vita non è la nostra vita, 
ma solo la storia che ne abbiamo raccontato. 
Agli altri, ma soprattutto a noi stessi."


Ricevere un'eredità a sorpresa, senza che il beneficiario se lo aspetti, è sicuramente un evento che fa piacere, a prescindere poi dall'entità materiale del lascito.

È ciò che succede a Tony Webster, un uomo in là con gli anni al quale giunge una lettera da parte di un avvocato che gli annuncia un’inattesa quanto enigmatica eredità.
Ad avergliela lasciata è una certa Mrs Sarah Ford, deceduta da qualche mese. 

Chi è Sarah Ford?

No, non è una quasi sconosciuta zia zitella che lo ha nominato unico erede dei propri beni, bensì una persona che sbuca dal lontano passato di Tony e che egli ha visto una sola volta nella propria vita (e ben 40 anni fa!), vale a dire quando era uno studente universitario ed aveva una relazione con la figlia di Sarah, Veronica.

Con Veronica non è durata molto eppure quel fidanzamento ha avuto la sua importanza per Tony (per diverse ragioni, di cui una in particolare e che coinvolge un'altra persona vicina a lui), che trascorse anche una notte a casa dei genitori di lei, unica occasione in cui conobbe Sarah Ford.

L'eredità lasciatagli dalla mancata suocera è accompagnata da un'informazione che stupisce Tony e lo riporta con virulenza indietro nel tempo, facendo riaffiorare tanti ricordi di gioventù e non pochi turbamenti, sensi di colpa, indefiniti rimpianti: oltre a ricevere dei soldi, a Tony spetta anche la copia originale del diario di Adrian Finn.

Chi è Adrian Finn?

Adrian è stato un carissimo amico di Tony negli anni della scuola; assieme ad altri due compagni, formavano un quartetto di inseparabili, tra i quali Adrian spiccava e si distingueva per essere il più colto tra loro, il più intelligente, quello che si lasciava andare a disquisizioni filosofiche con la stessa facilità e dimestichezza con cui gli altri parlavano di ragazze, a ragionamenti su argomenti importanti ed esistenzialistici, insomma non era un giovanotto vanesio ma, anzi, un tipo intellettuale che prometteva una bella e onorata carriera in qualsiasi ambito avesse scelto di lavorare.

Adrian era suo amico anche nel breve periodo in cui Tony aveva frequentato Veronica ed ha smesso di esserlo quando, lasciato da Veronica, il giovane Webster era stato informato dallo stesso Finn del proprio fidanzamento... con Veronica.

Veronica e Adrian insieme?

Per Tony è stato un colpo, una sorta di doppio tradimento: Veronica ha mollato lui per mettersi con quel noioso di Adrian? Inconcepibile!! E lui che era praticamente il suo migliore amico che fa? Si mette con la sua ex?

Il legame d'amicizia tra i due ragazzi si spezza e dopo non molto Tony apprende, con grande turbamento e dispiacere, una spiacevole notizia riguardante Adrian..

La narrazione è un continuo andare dal passato al presente, un flusso di ricordi tramite i quali il protagonista ci porta con sé negli anni in cui era uno studente, raccontandoci il suo rapporto con i coetanei, le esperienze che hanno caratterizzato la propria educazione morale, sentimentale e sessuale, le delusioni, il senso di inadeguatezza e quella fastidiosa consapevolezza che sin da giovane l'ha accompagnato, per non abbandonarlo neppure nella senilità: l'essere un individuo dalla natura così... piatta, il suo essere "grigio", mai brillante, privo di qualsiasi guizzo o dinamicità che lo inducessero mai a primeggiare, a porsi obiettivi ambiziosi.

Tony Webster è sempre stato un uomo privo di grosse qualità, mediocre in tutto: nel lavoro, negli studi, nei rapporti interpersonali, in amore, come marito e padre.
Lui si definisce tranquillo e pacifico ma Veronica era convinta - già da quando erano giovani - che egli fosse un codardo, uno che teneva lontano il rischio, che non si faceva domande "pericolose" che potessero scuoterlo e minare le sue scarse certezze; uno che "ristagnava", privo di nerbo, di verve.

Nel presente, Tony ci racconta del proprio matrimonio e di come esso sia finito in un divorzio; con l'ex - Margareth - ha mantenuto ottimi rapporti ed infatti a lei l'uomo confida insicurezze, pensieri, dubbi, perplessità in merito a tutto ciò che lo tormenta: la singolare decisione di questa emerita (quasi) sconosciuta, il ricordo di Veronica, della loro fugace storia d'amore, i problemi riscontrati in quella breve relazione, l'amicizia (interrotta) con Adrian.

A Margareth Tony non nasconde nulla perché lei è sempre stata un punto di riferimento solido, un porto sicuro: lei così serena, imperturbabile, comprensiva, ascoltatrice empatica, paziente e soprattutto limpida, trasparente, onesta, priva di zone d'ombra.
Margareth non è mai stata una donna misteriosa, al contrario di Veronica, furba, enigmatica, circondata da un alone di mistero che inevitabilmente le conferiva un certo fascino.

E Veronica ricompare anch'ella nel presente, portandosi dietro il suo essere complicata, difficile da capire e con cui Tony ha sempre avuto problemi a rapportarsi, essendo lui fin troppo banale e semplice nei confronti di tutti e di ogni cosa.

Ricordate il diario di Adrian che Mrs Ford ha lasciato scritto debba andare a Tony Webster? Ebbene, è nelle mani di Veronica, che non ha alcuna intenzione di darlo a quell'ex che, da 40 anni a questa parte, non è cambiato per niente.
Per lei, Tony Webster non capiva niente prima e non capisce niente neppure adesso; gli sfugge ogni dettaglio importante, lo si deve imboccare come fosse un ragazzino a cui spiegare tutto.

Perché Veronica si rifiuta di separarsi da quel diario? E perché Tony ci tiene tanto ad averlo, cosa crede (o spera) di trovarvi scritto e che sia, in qualche modo, "dedicato a lui"?

"Il senso di una fine" esplora con grande finezza psicologica e una notevole fluidità la vita con i suoi dolori inesplorati, i segreti, i rimorsi che fanno male ("significa morsicato due volte: ed è questa la sensazione che si prova"), la fallacia che emerge quando si raccontano episodi del passato illudendosi di farlo in maniera oggettiva quando invece la memoria è fragile, è costellata di "buchi" e inganni, intaccata da cose non dette, dalla mancanza della giusta ed esatta "documentazione storica" e quindi delle informazioni sufficienti.

Quanti errori di valutazione si commettono perché crediamo che l'evento x sia conseguenza dell'evento y, ma non sapevamo in realtà che c'erano di mezzo altri fattori a complicare il tutto?

Leggiamo di suicidi e delle possibili e razionali ragioni di chi sceglie di porre fine alla propria vita, di rapporti umani (amicizia, amore), dell'influenza della filosofia su alcune menti più brillanti di altre, di reminiscenze inaffidabili, di spiegazioni sbagliate che ci si è dati di fatti che invece si conoscevano poco o per niente, di parole atroci dette e che ormai è impossibile rimangiarsi, della tristezza provata nel rendersi conto di quanto inetti si è stati in certi momenti e in certe azioni, di come si sarebbe potuto affrontare determinate fasi della vita con più coraggio e non con quella mollezza che dà un senso di illusoria tranquillità.

Come spesso accade alle storie in cui il filo della memoria lega il racconto del presente con il passato, ho avvertito durante la lettura delle note malinconiche e nostalgiche, a volte struggenti, figlie della consapevolezza di come non ci resti unicamente che la possibilità di pensare a ciò che è stato senza potervi intervenire per modificarlo, per correggere il tiro, per chiedere scusa a chi si è ferito, per rimediare agli errori commessi.

Un libro che mi è piaciuto per lo stile e le tematiche presenti.

Cercherò altro di questo autore.


ALCUNE CITAZIONI


"Che ne sapevo io della vita, io che ero sempre vissuto con tanta cautela? Che non avevo mai vinto né perso, ma avevo lasciato che la vita mi succedesse? Io che avevo avuto le ambizioni di tanti, ma che mi ero ben presto rassegnato a non vederle realizzate? Che avevo evitato il dolore e l’avevo chiamato attitudine alla sopravvivenza?"

"...sono comunque gli occhi che continuiamo a guardare, no? È negli occhi che abbiamo incontrato l’altro ed è lì che ancora lo troviamo. Gli stessi occhi nella stessa faccia di quando ci siamo conosciuti, abbiamo fatto l’amore, ci siamo sposati..."

"All’improvviso mi sembra che una delle differenze tra la gioventù e la vecchiaia potrebbe essere questa: da giovani, ci inventiamo un futuro diverso per noi stessi; da vecchi, un passato diverso per gli altri."

"Il tempo però… ah, come può trascinarci alla deriva e confonderci le idee. Credevamo di aver raggiunto la maturità quando ci eravamo soltanto messi in salvo, al sicuro. Fantasticavamo sul nostro senso di responsabilità, non riconoscendolo per quello che era, e cioè vigliaccheria. Ciò che abbiamo chiamato realismo si è rivelato un modo per evitare le cose, ben più che affrontarle. Già, il tempo ci riserva… il tempo necessario a farci percepire le nostre più salde risoluzioni come traballanti, le nostre certezze come capricci momentanei."

"La vita non è solo fatta di somme e sottrazioni. C’è anche l’accumulo, la moltiplicazione delle perdite, dei fallimenti."

"Certe volte penso che lo scopo dell’esistenza sia quello di riconciliarci, per sfinimento, con la sua perdita finale, dimostrandoci che, indipendentemente dal tempo che ci vorrà, la vita non è affatto all’altezza della propria fama."

venerdì 15 dicembre 2023

☪ RECENSIONE ☪ LA LEGGENDA DEL SANTO BEVITORE di Joseph Roth



Pubblicato postumo nel 1939, La leggenda del santo bevitore può essere considerato, per molti versi, il testamento di Joseph Roth: breve e poetico, questo racconto ha al centro un clochard che, nella sua semplicità e generosità, come nella sua dipendenza dall'alcool, incarna il bisogno di redenzione che si scontra, però, con le debolezze umane e con una serie di bizzarre coincidenze che lo deviano dal suo più grande e segreto desiderio: pagare il debito contratto con una santa.



LA LEGGENDA DEL SANTO BEVITORE
di Joseph Roth


Adelphi Ed.
trad. C. Colli Staude
77 pp
Andreas Kartak vive sotto i ponti della Senna, tirando avanti con i pochi cenci che ha addosso, con le carte di giornali come coperte e qualche goccio di alcool rimediato come può.
Una notte fa un incontro che cambierà, in un certo senso, la sua vita perché da quel momento si susseguiranno diversi eventi, e alcuni personaggi - vecchi e nuovi - faranno capolino nelle sue misere giornate.
Uno sconosciuto avanti negli anni e dall'aspetto gentile vuol fargli un dono in denaro: duecento franchi. 
Il clochard, che sarà pure straccione e poveraccio ma ha un senso inscalfibile dell’onore, in un primo momento non vuole accettare: sono davvero troppi per lui, che si accontenterebbe di una ventina di franchi!
E poi Andreas sa bene che non è in grado di restituire quei soldi, per cui preferisce non contrarre debiti.

Ma lo sconosciuto insiste e gli suggerisce di restituirli, quando potrà, alla «piccola santa Teresa» nella chiesa di Santa Maria di Batignolles. 

Da quel momento il pensiero di pagare il debito portando il denaro a Santa Teresa diventa il dolce segreto nonché il pensiero fisso dell'uomo, che però comincia a vivere una serie di piccole avventure che alternano "momenti di miracoli" (in cui Andreas trova il modo di racimolare soldi senza che si renda conto neanche lui di come ciò sia potuto accadere) con altri in cui purtroppo egli stesso li sperpera, che sia da solo o in compagnia.
Il destino, infatti, mette sul suo cammino uomini e donne (alcune di queste persone hanno fatto parte del suo passato) che lo distraggono dal nobile obiettivo di restituire il debito alla giovane santa e lo inducono, in qualche modo, a spendere i soldi che man mano si ritrova in mano, o in tasca, in pernod, alberghetti di basso livello e compagnie femminili.

Seguiamo le vicende di Andreas con un misto di divertita curiosità e una tenera simpatia perché capiamo che quest'uomo, nonostante il vizio del bere, è una persona buona e generosa, che non sa dire di no a un amico che gli chiede aiuto (pur avendo egli per primo dei mezzi limitati) e che desidera davvero, con tutto il cuore, visitare la santa e mantenere la promessa fatta qualche settimana prima allo sconosciuto altruista. 
Riuscirà Andreas a portare le fatidiche 200 euro in chiesa in onore di santa Teresa?

La vita è burlona ed egli, un po' come un bambino ingenuo in balia di eventi più grandi di lui e poco controllabili, si lascia influenzare, deviare, distrarre.
Per dirla prendendo a prestito un noto proverbio, la strada per la redenzione è lastricata di buone intenzioni, le quali però troppo facilmente vengono abbandonate durante il cammino.

Un libro molto breve cui mi sono accostata per curiosità su Audible (un po' per il titolo e un po' perchè avevo voglia di una cosetta veloce), l'ascolto è stato molto piacevole grazie alla versione drammatizzata, arricchita da ambientazioni e sound design.

Ha il sapore di una favola malinconica e un po' triste.
A me è piaciuto e lo consiglio, in questo periodo mi pare ci stia ancor più bene.

giovedì 7 settembre 2023

RECENSIONE ✨ ATLAS. LA STORIA DI PA' SALT di Lucinda Riley, Harry Whittaker ✨

 

Avventurosa, imprevedibile, non priva di pericoli e scoraggiamento ma, allo stesso tempo, piena di amore e di incontri importanti, di quelli capaci di deviare il corso di una vita: così è la storia di Atlas D'Aplièse, il Pa' Salt delle sette sorelle, pronte - adesso che sono tutte insieme, comprese la sorella perduta - a leggere il lungo e appassionante racconto dell'intera esistenza del loro enigmatico genitore.

E il lettore le segue in questo viaggio, che alterna il presente e il passato, e che pone la parola fine alla saga della compianta scrittrice irlandese.


ATLAS. LA STORIA DI PA' SALT
di Lucinda Riley, Harry Whittaker


Giunti Ed.
trad. L. Taiuti
816 pp
Ci siamo, il cerchio si sta chiudendo: le coordinate incise sulla sfera armillare sono state raggiunte da ciascuna sorella, che ha intrapreso un viaggio alla ricerca delle proprie origini, in Paesi più o meno lontani, là dove Maia, Alcyone, Taygete, Celaeno, Electra e Asterope sono state trovate da Pa' Salt, da lui adottate e portate ad Atlantis (in Svizzera); alle prime sei mancava la sorella perduta, e anch'ella finalmente è stata ritrovata, ma con il non piccolo particolare che Merry (Merope) è figlia naturale del loro genitore adottivo.
Ora che le sette donne D'Aplièse sono tutte insieme e unite, sanno di poter dire definitivamente addio al loro amato papà, ma per farlo devono affrontare la verità.

Chi è davvero Atlas D'Aplièse? È davvero questo il suo nome? Da dove viene? Con quale criterio egli ha scelto proprio quelle sei bambine da adottare? E Merry? Perché non l'ha cresciuta lui? Cosa o chi li ha divisi?

Le sette donne - in compagnia dei rispettivi partner, e Merry assieme ai figli - si trovano riunite a bordo del sontuoso e confortevole yacht di famiglia, in procinto di salpare per commemorare la morte di Pa’ Salt. 

Merry, però, arriva portando con sé il prezioso diario del padre e così, nelle lunghe ore di navigazione per raggiungere il Mar Egeo, le sorelle, col supporto discreto e amorevole dei loro cari e sotto gli sguardi apprensivi e premurosi di Georg, Marina e Claudia, possono leggere e scoprire la verità sul meraviglioso, buono ma anche misterioso uomo che le ha accolte e cresciute e che in fondo conoscevano appena.

Il diario viene distribuito e ogni sorella si immerge, curiosa e con il cuore palpitante, nella lettura, che trasporta loro e noi lettori nel lontano 1928, quando un bimbetto magrolino e silenzioso, di soli sette anni, viene trovato svenuto nel giardino, a Parigi, della famiglia Landowski, che lo salva e accoglie in casa propria, trattandolo come se fosse uno dei loro figli. 
Quel bimbo è, ovviamente, Pa' Salt/Atlas; gentile, intelligente e talentuoso ma... muto: qualcosa, in fondo ai suoi occhi, rivela che egli è spaventato e che non è intenzionato a dare spiegazioni sul proprio nome, le proprie origini, ed infatti, pur di non spiegare da che cosa (o dai chi?) sta fuggendo, nei primi tempo si chiude in un ostinato mutismo. 
Il piccolo cresce, diventa un giovane uomo bravissimo nel suonare il violino, tanto da riuscire ad entrare nel prestigioso Conservatorio di Parigi; si innamora, ricambiato, della dolce e bella Elle e la giovane coppia sogna un futuro felice insieme.
Ma Atlas sa che la sua felicità non sarà mai completa fino a quando il passato sarà alle sue calcagna; e questo passato ha un nome ben preciso: Kreeg Ezsu.

Questo cognome non è assolutamente nuovo ai lettori della saga, i quali sicuramente ricordano l'antipatico e arrogante Zed Ezsu, ossessionato dalla sorelle D'Aplièse, tanto da seguire alcune di loro e non certo con buone intenzioni.
Kreeg è suo padre e lui ed Atlas, da bambini, sono cresciuti insieme e sono stati come fratelli; ma qualcosa di drammatico è accaduto e ha distrutto per sempre la loro amicizia fraterna; a causa di alcune vicende e coincidenze, Kreeg si è convinto che Atlas abbia ucciso sua madre per rubarle un oggetto prezioso (un diamante di inestimabile valore), per poi fuggire via lontano per non essere preso.
Atlas, negli anni, cercherà di spiegare a Craig che mai si sarebbe sognato di uccidere sua madre, che tra l'altro amava come fosse propria (essendo lui orfano di ambo i genitori per ragioni e in circostanze che si intrecciano con grandi avvenimenti sociali, politici, storici accaduti in Russia negli anni '20-'30 del secolo scorso) e tanto meno ha rubato qualcosa che non gli apparteneva, ma Kreeg non sentirà ragioni e inseguirà in lungo e in largo il povero Atlas per ucciderlo.

Ovunque vada, Atlas sa di dover nascondere il proprio nome (che è Atlas Tanit, russo) per timore che il suo acerrimo nemico lo trovi e lo uccida.
E se c'è una cosa che accompagnerà Atlas per sempre è l'assoluta certezza di voler vivere, di non essere disposto a soccombere allo sterile e cieco odio di un uomo cocciuto e presuntuoso che non vuol sentir ragioni; del resto, la sua stessa esistenza - così densa di fatti, persone, imprevisti, conquiste e perdite - gli testimonia ogni giorno che egli deve restare in vita perché la sua grande generosità può portare del bene a tanta gente in difficoltà.

Come dicevo, Atlas ed Elle sono innamorati e felici, a un certo punto pronti a salpare per l'Australia e a sposarsi durante la traversata... ma qualcosa interviene e li separa irrimediabilmente: Atlas è costretto a proseguire da solo, disperato per essere stato lasciato inspiegabilmente dalla sua Elle, ma sul suo cammino incontra, di volta in volta, persone - adulti e bambini, uomini e donne - che riescono a dargli la spinta giusta per non abbattersi, per porsi degli obiettivi e per raggiungerli.

Per chi, come me, s'è gustato ogni fantastica tappa del viaggio che ha coinvolto le sette sorelle, sa che esse si sono recate ognuna in diverse parti del mondo e hanno scoperto informazioni fondamentali sulle proprie famiglie, senza però mai arrivare a capire, in modo chiaro, in che modo Pa' Salt le abbia scovate e abbia deciso di prendere proprio loro.

Ed è questo che scopriamo, leggendo questo corposo e appassionante romanzo; non nego che, durante l'ascolto *, mi son ritrovata spesse volte a sorridere quando apprendevo delle modalità in cui Atlas veniva a contatto con quei personaggi che riconoscevo quali nonni/genitori delle singole sorelle.

E così conosciamo da vicino i legami di amicizia e lealtà intercorsi tra Atlas e il maestro Landowski, scultore a cui è stata affidata la costruzione della statua del Cristo Redentore in Brasile, evento a sua volta collegato con la storia della famiglia di Maia.

Leggiamo del breve soggiorno di Atlas ed Elle in Norvegia e della bella ma sfortunata amicizia con Karine Rosenblum e il suo fidanzato Pip (Jen) Halvorsen (nonni di Ally).
Li vediamo varcare insieme la soglia della Arthur Morston Books (cui è associato il passato della famiglia di Star), vanno negli USA, dove Atlas soccorre Cecily Huntley-Morgan (>> Electra); seguiamo Atlas in Australia, dove conosce Kitty McBride ( >> CeCe) e in Spagna, dove il suo destino si incrocia con quello di una giovane brujas con doni speciali (Angelina, nipote della nonna di Tiggy), tra cui quello di "sentire" le persone, di mettersi in contatto con il loro interiore e di predire pochi ma importanti frammenti di futuro; sarà proprio l'enigmatica Angelina a svelare a uno stupito Atlas che egli avrà delle figlie, e l'uomo intuirà che, oltre a quelle che, nel corso degli anni, adotterà, ce n'è una (la prima!), che evidentemente è collegata alla sua amata e mai dimenticata Elle... Ma com'è possibile? Forse Elle era incinta quando lo lasciò? Oppure si riuniranno e avranno modo di costruire la famiglia che avevano sognato da ragazzi?

Tutte queste persone costituiscono degli incontri e delle amicizie vere e importanti e lo diventano ancor di più quando, per motivazioni specifiche, ciascuna si ritrova a chiedere al buon Atlas di prendere con sé una bambina appena nata, che appartiene a loro ma che non possono crescere per determinate ragioni.

Inizialmente, Atlas è restio ad adottare, anche perché è un uomo single in attesa di trovare e riabbracciare il suo amore perduto, Elle (l'uomo non smetterà mai di cercarla, di sperare che sia viva e che, magari, abbia con sé la loro presunta figlia); ma poi, sempre in seguito ad eventi apparentemente casuali ma che, in realtà, sembrano far parte di un disegno più grande, grazie all'aiuto di tre personaggi - che diventeranno parte integrante della sua vita - si convince ad adottare e così, dal 1974 in poi, Maia, Ally, Tiggy, Star, CeCe ed Electra, fanno il loro amabile ingresso nella sua vita, riempiendola di amore.

Le persone cui mi riferisco (che entrano nella vita di Atlas quando sono molto giovani, e sono da lui aiutate nel momento del bisogno) sono Georg Hoffman (l'avvocato), sua sorella Claudia e Marina; anche circa loro, come per le ragazze, apprendiamo in quali tristi circostanze hanno incontrato Atlas e di come abbiano maturato verso di lui amore, rispetto, fedeltà assoluta e riconoscenza.

Quando le sorelle, tra lacrime e commozione, scoprono ognuna la modalità in cui sono venute a contatto con l'adorato padre, potrebbe sembrare che le rivelazioni siano terminate, ma non è così: c'è ancora un'altra parte (finale) di diario, che l'avvocato avrebbe consegnato loro successivamente ma, su insistenza di Ally, si vede costretto ad anticipare i tempi.

Tra queste ultime pagine, leggeremo altri particolari, relativi ad Elle, Merry e al burrascoso rapporto con Kreeg, che sta giungere a una soluzione, anche perché gli eventi messi per iscritti da Atlas arrivano sino al 2008, quando ormai entrambi gli ex-amici sono molto anziani, al termine delle loro esistenze.
Anche Kreeg, ormai, ha poco da perdere e darà ad Atlas le risposte alle tante domande che si porta dietro da anni e anni, e che riguardano Elle e la figlia perduta.
C'è anche una parte che va ancora più indietro nel tempo,  raccontandoci dei genitori di Atlas.

I fans della Riley sanno bene come la scrittrice sia venuta a mancare prima di terminare il romanzo conclusivo della serie, che è stato poi terminato dal figlio Harry, che si è avvalso, ovviamente, delle bozze scritte dalla madre.
Ecco, detto con umiltà (non sono nessuno per giudicare il lavoro altrui): secondo me Harry ha fatto un buon lavoro e credo che sua madre sarebbe fiera del risultato finale.

Leggere l'ultimo capitolo della saga è stato un viaggio pieno di emozioni, di incontri, di sorprese; Pa' Salt emerge in tutta la sua complessità e bellezza, essendo un personaggio pieno di virtù: coraggioso, buono, altruista, intelligente, onesto, non perfetto, certo, ma una cosa è sicura: tutto ciò che ha fatto - sbagli compresi - l'ha fatto per amore, con la speranza e la fiducia che le sue sette sorelle (le Pleiadi) da lassù non hanno mai smesso di guidarlo, di proteggerlo, di aprirgli nuove strade proprio quando se ne chiudevano alcune.

La storia di Pa' Salt è quella di un bambino che, appena nato, ha già sulle spalle il peso del mondo perché non nasce in condizioni favorevoli, anzi, di lì a poco la vita gli toglierà tanto; è la storia di un ragazzino che, in più fortunate circostanze, avrebbe potuto diventare un virtuoso del violino ma il destino ha giocato sporco con lui più di una volta, continuando a strappargli persone importanti.
Eppure, egli non si è fatto buttare giù: pur con le lacrime nel cuore, ha resistito e ha reso la sua esistenza ricca, piena di azioni ammirevoli, di decisioni difficili ma sagge, che hanno fatto sì che tante persone gli volessero bene e lo tenessero in grande considerazione.
É la storia di un uomo innamorato che ha amato la propria donna fino all'ultimo dei propri giorni: un padre che ha dato tutto l'amore di cui era capace a bambine che, senza di lui, chissà che destino infelice avrebbero potuto avere.

Sono giunta alla fine con quel pizzico di malinconia che, solitamente, accompagna gli addii, e qui l'addio è doppio: da lettrice, devo salutare le Sette Sorelle e, soprattutto, farlo con la consapevolezza che non c'è più Lucinda e che questo è davvero il suo ultimo libro.

Una saga appassionante, ricca di personaggi indimenticabili, tratteggiati mirabilmente, resa coinvolgente da quel sapiente mix di fantasia e realtà, dalla bravura dell'autrice di descrivere doviziosamente i contesti storici di riferimento, dall'alternanza di passato e presente, narrati sempre con armonia, senza creare confusione nel lettore.

Sono otto libri, per lo più corposi, ma ne vale la pena, leggerli, ed è inevitabile affezionarsi ai personaggi e alle loro storie.


* ho ascoltato l'audiolibro su BookBeat


"Le Sette Sorelle":

1. Le Sette Sorelle. Maia
2. Ally nella tempesta
3. La ragazza nell'ombra
4. La ragazza delle perle
5. La ragazza della luna
6. La ragazza del sole
7. La sorella perduta






venerdì 2 giugno 2023

RECENSIONE : "Women's Empowerment – 3in1" di Arteiu Azizian [ DONNE E DIRITTI ]

 


Women's Empowerment – 3in1  è un audiolibro composto e interpretato da Arteiu Azizian e ruota attorno al tema dei diritti delle donne e del loro riscatto socioculturale; è un'opera sperimentale in cui l'artista crea il branolibro attraverso tre diversi stili musicali.

Il brano è suddiviso in tre capitoli: 
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Capitolo 1 - UNA DONNA SOFFERTA
Capitolo 2 - LA DONNA NUOVO CONTATTO
Capitolo 3 - IO DONNA NELL'OLTRE


Nel primo capitolo, la voce maschile parla immedesimandosi in una donna che esprime sofferenza, la quale può essere causata dalle violenze subite come dal fatto di non essere compresa, valorizzata, di non essere totalmente libera di decidere per sé, del proprio corpo; si accenna alle difficoltà a denunciare da parte delle vittime e del coraggio - non privo di conseguenze - che ci vuole per affermare sé stesse.

"se siamo sottovalutate come diamo valore aggiunto a noi e alla società? 
Le disparità sono stanze sinistre senza finestre di luce".

Segue il secondo capitolo in cui cambia il genere musicale e dal rap si passa al punk rock: la voce maschile dell'artista continua a parlare al femminile immaginando di rivolgersi a un'altra donna, con cui condivide i pesi delle esperienze, dei dolori, riconoscendo come la condivisione unisca e dia la forza per lottare insieme.

L'ultimo segmento musicale esprime una sorta di elevazione spirituale, di acquisizione di una nuova consapevolezza da parte della donna, delle proprie risorse, della propria identità e anche l'accompagnamento musicale è coerente con questa nuova "dimensione".

I tre capitoli che compongono il branolibro sono interpretati con espressività dal compositore, che adatta voce e stile ai concetti espressi; il video musicale è corredato dal testo cantato da Arteiu. 

E' un progetto interessante, in cui emerge la sensibilità dell'autore per la tematica della parità di genere e il suo eclettismo musicale, nel passare da uno stile all'altro nell'arco di un unico brano. 
 


Arteiu Azizian, artista poliedrico bresciano classe 91, dopo una decennale carriera come cantautore nel rap e in altri generi si forma come produttore musicale, collaborando con artisti italiani ed esteri.
The Women Album è tra i progetti principali ideati progettati e coordinati da Arteiu: 35 tracce con talenti internazionali in molteplici generi musicali.
Nel 2022 crea il brand artistico EcletticArte - Qual'è la tua Creatività?, community in evoluzione che riunisce artiste e artisti di diverse formazioni.
Arteiu si dedica alla donna nell'arte per eventi e produzioni musicali, a fronte di quel gap dove l'uomo riceve per lo più maggiori benefci.
Il 25 aprile 2023, festa nazionale della Liberazione, viene pubblicato il branolibro “Women's Empowerment – 3in1”, tematica donna e diritti in tre capitoli aventi stili differenti.
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