sabato 31 marzo 2018

Recensione: TOKYO EXPRESS di Matsumoto Seicho (RC2018)



Un noir/poliziesco dal fascino ossessivo, morboso, che ruota attorno a uno strano caso di doppio suicidio, per risolvere il quale la polizia dovrà districarsi tra orari di treni e presunte coincidenze.



TOKYO EXPRESS
di Matsumoto Seicho



Adelphi Ed.
trad. Gala Maria Follaco
175 pp
2° ediz.
2018
Il trentaciquenne Yasuda Tatsuo, che per lavoro coltiva rapporti col Governo, è solito frequentare il Koyuki, un ristorante di poche pretese ma dove regna la discrezione e dove le ragazze intrattengono amabilmente i clienti, tra cui lo stesso Yasuda.
Un pomeriggio, l'uomo invita due ragazze del Koyuki a mangiare qualcosa insieme, e proprio quella sera i tre vedono causamente una loro comune conoscente, Otoki (anch'essa cameriera del Koyuki), salire su un treno in compagnia di un uomo, col quale sembra conversare tranquillamente. 
Forse lui è il suo fidanzato segreto?
La domanda cade nel vuoto e pochi giorni dopo la fanciulla e il suo presunto "amico" vengono ritrovati morti...

In una cala rocciosa della baia di Hakata, i corpi di Otoki e Sayama (funzionario di un ministero) vengono rinvenuti all’alba; il colorito acceso delle loro guance  non sembra lasciare dubbi: i due hanno assunto del cianuro. 
Un suicidio d’amore, sicuramente. 
La polizia di Fukuoka, nel rendersi conto di cosa si tratti, sembra quasi delusa: se è un caso di doppio suicidio d'amore, c'è poco da indagare, e se non ci sono indagini, non c'è alcun colpevole da scovare. 
Eppure, nonostante l'apparente evidenza e semplicità dei fatti, c'è qualcuno che non vorrebbe che la morte della coppia giovane e bella venisse archiviata così facilmente: si tratta di Torigai Jūtarō, vecchio investigatore dall’aria indolente e dagli abiti logori. Torigai è un tipo che non può fare a meno di ragionare e rimuginare sulle informazioni in suo possesso e a furia di pensare, fare domande e ipotizzare, intuisce che ci sono degli aspetti che proprio non lo convincono circa le ultime ore di vita dei due presunti amanti, i loro spostamenti, ciò che hanno fatto quando erano insieme o separati...

A condividere i suoi dubbi è soltanto un giovane collega di Tokyo, Mihara Kiichi,  anch'egli perlesso: qualcosa non torna, in quanto se i due sono arrivati con il medesimo rapido da Tokyo, perché mai lui, Sayama Ken’ichi, è rimasto cinque giorni chiuso in albergo in attesa di una telefonata? E perché poi se n’è andato precipitosamente lasciando una valigia? Ma soprattutto: dov’era intanto lei, l’amante, la seducente Otoki, e come ha passato il tempo prima di incontrarsi col funzionario?
Insomma, queste ed altre domande assillano sia Torigai che Mihara, i quali convengono sul fatto che i due hanno assunto un comportamento alquanto bizzarro, considerato che avevano deciso di farla finita.

Ci dev'essere un'altra spiegazione dietro a un quadro che dà l'impressione di essere troppo ovvio.
C'è qualcuno (o più di uno) che poteva volere la morte di uno dei due amanti (ma poi... chi dice che lo fossero davvero?) o di entrambi?
In fondo, il povero Sayama lavorava per un ministero che poco tempo prima era stato travolto da un grosso scandalo per corruzione...
E se la sua morte fosse collegata ad esso? Ma in tal caso, cosa c'entra Otoki? Forse è stata una vittima accidentale?

Le indagini passano a Mihara, che, diffidando delle idee preconcette e delle risposte troppo semplicistiche, e affidandosi al proprio intuito formidabile, nonchè all'ammirevole perseveranza di cui è dotato, fa di tutto per mettere a posto ogni singolo, anche insignificante, pezzo che forma un puzzle alquanto complesso e ricco di sorprese.
Indagando e scervellandosi, l'ispettore scopre che a dargli una mano per cogliere i piccoli particolari che fanno la differenza, sono niente poco di meno che.... gli orari e i nomi di tanti treni che, in un modo o nell'altro, si trovano invischiati nel caso e le cui partenze/ritorni sono intervallati da pochi minuti... Minuti che potrebbero costituire la chiave per districare i nodi?

A pensarci bene questo caso ruota tutto, dall’inizio alla fine, intorno a orari di treni e di aerei. Ne è quasi sommerso.

Un caso che, man mano che il tempo passa, abbandona sempre più chiaramente i contorni del suicidio, per assumere quelli di una macchinazione ordita da una mente diabolica, dalla gelida razionalità e capace di capovolgere la realtà, giocando con presunite coincidenze che però, a ben guardare, potrebbero rivelarsi delle messinscene.

Torigai prima, e soprattutto Mihara dopo, sono due investigatori dal fiuto infallibile; se il primo da il via affinchè venga seguita una pista parallela a quella ufficiale (suicidio), a proseguirla con tenacia ed entusiasmo è Mihara, il quale non si dà pace perchè riesce a vedere degli aspetti dell'intricata situazione che gravita attorno alla morte dei due, che nessun altro pare vedere. Fortunatamente, il suo superiore lo incoraggia ad andare avanti con le sue intuizioni, ed infatti Mihara si butta a capofitto per stanare colui (o magari colei) che ha avuto l'intelligenza di architettare un piano che, nel momento in cui si raccolgono testimonianze, si confrontano orari e luoghi, sembra reggere benissimo.
Perchè alla fine, il "guaio" è proprio questo: tutte le volte che il nostro povero ispettore sembra avere un'idea/un'ipotesi geniale per trovare delle crepe, delle falle nella parete di roccia creata dal sospettato n. 1, più questi sembra avere un alibi di ferro, e a garantire per lui intervengono varie persone...
Lo scoraggiamento. l'esasperazione, il senso di impotenza sono inevitabili, ma la cocciutaggine di Mihara è più forte di tutto, e viaggiando in lungo e in largo per il Giappone, tra traghetti e treni, alla ricerca di coincidenze ed orari che si susseguono, qualcosa comincerà a muoversi fino ad arrivare ad un finale risolutivo difficilmente immaginabile, e per questo soprendente.

Matsumoto ha scritto un romanzo poliziesco con sfumature noir che ci appare come un enorme rebus, intricatissimo, in cui davvero bisogna stare attenti ai particolari e, allo stesso tempo, seguire i ragionamenti "lucidamente folli" dell'ispettore; come già detto, il congegno perfetto creato ad arte dal colpevole, il cui meccanismo Mihara vuol comprendere, ruota intorno a una manciata di minuti, tutt'altro che insignificanti.

Mihara, nel suo modo di portare avanti le indagini, procede come preso da un impulso irrefrenabile, da una febbre che gli accende il cervello e che non lo fa schiodare dalle sue "fissazioni", le quali occupano prepotentemente la sua mente, togliendogli il sonno, la tranquillità, fino a condurlo a unire tutte le tessere del mosaico.
Ma per raggiungere il suo scopo - smascherare chi ha provocato la morte dei due giovani - Mihara dovrà sfoderare le proprie invidiabili capacità investigative e imporsi di ragionare non secondo schemi prestabiliti e scontati.

«Le persone tendono ad agire sulla base di idee preconcette, a passare oltre dando troppe cose per scontate. E questo è pericoloso. Quando il senso comune diventa un dato di fatto spesso ci induce in errore».

In certi momenti mi sembrava di perdermi nel marasma di orari e rapidi presi in esame dal protagonista, ma in realtà il bello è proprio lì, e l'Autore riesce a farci sentire tutta l'ansia e la frenesia che coinvolge totalmente Mihara, un investigatore caparbio, sagace, che non si arrende davanti ai primi ostacoli.

Una scrittura fluida, asciutta, priva di fronzoli e dettagli inutili, brillante come lo è il finale, che risponde a tutte le domande e dell'investigatore e del lettore, sempre più curioso e travolto da un'indagine che va avanti.... spedita come un treno!


Reading Challenge
Obiettivo n.32 Il libro di un autore giapponese



venerdì 30 marzo 2018

Quarta tappa del BLOGTOUR "DREAMTIME" di Michele Rampazzo: I PERSONAGGI




Cari lettori, eccoci qui a condividere la quarta e penultima tappa del blogtour grazie al quale state avendo modo di conoscere il romanzo di Michele Rampazzo, Dreamtime, pubblicato da Intrecci Edizioni.

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Se nei precedenti appuntamenti avete potuto leggere interessanti estratti, lasciarvi avvolgere dalle atmosfere create dalla colonna sonora e conoscere meglio l’Autore attraverso un’intervista, in questo ci soffermeremo sui personaggi principali (e non solo) del libro. Seguitemi per saperne di più!


MILO STOPPARD


Milo è un giovane uomo sposato con Rebecca Wade, con cui vive a Shanghai; lavora come tester per la Dreamtime, un’azienda cinematografica (di origine statunitense) che utilizza sogni, visioni e ricordi delle persone (che vengono pagate per questo “prestito”) per produrre film; il ruolo di un tester è quello di selezionare materiale mentale di qualità e scartare quello scadente.

Determinato, scaltro e razionale, Milo viene messo alla prova da una serie di eventi che sconvolgono la vita sua e di sua moglie; si ritrova, infatti, a dover affrontare e gestire prima la morte di Rebecca, per poi scoprire che è stata “soltanto” rapita; non solo, ma prima di sparire, lei ha lasciato i propri sconvolgenti ricordi alla Dreamtime, sapendo che lui li avrebbe esaminati il mattino dopo; ricordi che hanno a che fare con una catastrofica scoperta riguardante il Governo cinese che sta architettando in gran segreto qualcosa di spiacevole ai danni degli USA…

Ad aiutarlo a ritrovare Rebecca e a fuggire da quanti sono anche alle sue calcagna (essendo lui “depositario” dei ricordi della moglie) ci pensa una donna fino ad allora a lui sconosciuta, Fen Shang

“Non riusciva a concentrarsi: da cosa scappavano? E soprattutto, poteva fidarsi di lei? L’aveva svegliato quel mattino in un luogo sconosciuto e l’aveva riempito di assurdità, che si erano verificate reali e foriere di guai. Non sapeva niente di lei, cosa volesse né come l’aveva conosciuta… Invece sì, questo lo sapeva. La cisterna. Era nel bel mezzo di quel lavoro, quando aveva capito di essere stato incastrato, di essere finito in un’imboscata. (…) Urlò, sentendosi il cranio come trafitto da una cometa di cristallo. Inciampò, e solo la presa della donna lo tenne in piedi. Vide il suo sguardo allarmato, capì che lo stava chiamando, come dall’altro capo della galleria. “Milo! Milo!” diceva. Milo? Sì, era quello il suo nome, quasi rise per non averlo riconosciuto.” 

Di fronte al crollo di un’esistenza normale e in fondo tranquilla, Milo continua a dimostrare coraggio e si sforza di mantenere i nervi saldi per poter gestire le difficoltà che si trova a vivere. A muoverlo c’è soprattutto l’amore per Rebecca e il desiderio di saperla al sicuro accanto a sé.

A rendere difficile però la sua personale battaglia contro chi lo sta inseguendo ci pensano delle forti emicranie, che lo lasciano a tratti incosciente e gli provocano dei dolori talmente lancinanti da farlo quasi impazzire.
Dolori che hanno un’origine precisa e che emergerà nel corso della storia, costituendo un interessante colpo di scena. 


FEN SHENG

“Per chi non l’avesse conosciuta, Fen Shang sarebbe parsa fuori posto in uno dei livelli più bassi dei mercati sommersi. Benchè avesse superato i quaranta il suo volto ovale era perfetto come porcellana e i capelli ancora di un nero lucente. Alta, snella e appetitosa nonostante il completo sobrio, in molti le avrebbero dato una decina d’anni in meno; se poi avesse sorriso, qualcuno non avrebbe esitato a farsi avanti (…) perché quando le sue labbra si arricciavano, lei risplendeva. Il problema era che non sorrideva davvero da almeno quattro anni. Quando, sola, non si abbandonava al risentimento, si nascondeva dietro una maschera funzionale e apatica. (…) inquadrata la sua espressione torva, desistevano tutti dall’avvicinarsi a lei”.


Fen ha quarant’anni ed è una donna carismatica, dal fascino misterioso e impenetrabile; rigida e fredda nei suoi rapporti con gli altri, ha un passato nella polizia segreta che però s’è interrotto bruscamente a causa di comportamenti discutibili e poco professionali adottati da lei, che hanno indotto il suo diretto superiore, Heng Zhou, a licenziarla con disonore. Episodio, questo, che Fen ha vissuto come una punizione esagerata e che ha fatto nascere in lei sentimenti e propositi di vendetta. Ma nel corso delle vicende, il lettore capisce che dietro la dura corazza di cui la donna si fa scudo per non lasciar trapelare emozioni e sentimenti, si nasconde un cuore tutt’altro che glaciale, ma che anzi desidera ottenere una sorta di riscatto, di “riabilitazione morale”.

Sveglia, sicura di sé, precisa e intelligente nell’organizzare strategie tanto d’attacco quanto di fuga, nel corso della storia assume ruoli in certi momenti ambigui, visto che sembra schierarsi dalla parte di Milo pur essendo stata inviata dalla Dreamtime (per cui attualmente lavora) a “controllarlo” e a prendere eventualmente nei suoi confronti anche decisioni drastiche…

Eppure tra i due, nonostante le iniziali reticenze e la diffidenza di Stoppard verso la donna, si instaura un rapporto di complicità e fiducia, visto che si ritrovano a combattere contro gli stessi “nemici”, sebbene con motivazioni differenti.


REBECCA WADE


Moglie di Milo Stoppard, Rebecca lavora come interprete per Quen Jeh, Ministro dell’Ambiente, di cui scopre accidentalmente un “segreto” che potrebbe avere conseguenze politiche e sociali a livello mondiale, con conseguenze disastrose per l’intera umanità e per l’ambiente.

Pur avendo sempre rispettato il Ministro e avendo stabilito con lui un rapporto di stima e lealtà, la donna tira fuori il proprio carattere deciso, coerente, che la spinge ad affrontare di petto e senza peli sulla lingua il suo potente datore di lavoro, incurante dei possibili effetti delle proprie parole. Anche quando l’uomo la tiene prigioniera, cercando comunque di trattarla con rispetto e gentilezza, Rebecca non abbassa la testa e non viene meno ai propri princìpi e valori, continuando ad opporsi ai piani egoistici e dannosi progettati dal governo.

"Rebecca, per favore!"Strinse la maniglia della portiera di un taxi in sosta per trovare il coraggio di affrontarlo di nuovo. Solo allora si voltò, sforzandosi di essere gelida quanto dentro ribolliva: "Siete pazzi se pensate che servità". Con un gesto della mano, indicò i palazzi illuminnati tutt'intorno, e aggiunse: "Forse guardando ttto questo crede ancora di vivere in un mondo di cui siamo padroni. Le dirò una cosa: il mondo è malato, e che le piaccia o no siamo lontani anni luce da una cura. Quello che state per fare, non servirà che a spingerci un altro ppo' nel baratro in cui stiamo precipitando io, lei, tutti quanti. Non so se potrò impedirlo, ma sono sicura che non ne farò parte.".

È anche scaltra e previdente, perché pensa bene di “mettere al sicuro” ciò che scopre, affidandolo non a chiunque, ma al marito, di cui si fida ciecamente.
Eppure, questa fiducia verrà messa alla prova perché scoprirà particolari angoscianti su Milo…: il loro amore supererà queste rivelazioni inaspettate e scottanti che mostrano un Milo totalmente diverso dall’uomo che conosce ed ama Rebecca? 

Fen e Rebecca: due donne che, insieme a Milo, vivranno ore concitate e frenetiche, ognuna col proprio modo di essere. Lì dove Rebecca è emotiva e passionale, Fen è più controllata, ferma nell’agire e dotata di sangue freddo quando si tratta di prendere decisioni cruciali in poco tempo.



HENG ZHOU

Un personaggio secondario che ho trovato interessante è stato il Capo della sicurezza del governo cinese, Zhou: egli svolge il proprio lavoro con molta dedizione e professionalità, è integerrimo, saldo nelle proprie idee, caparbio, uno di quelli che quando sa di dover portare a termine una missione affidatagli, ci mette tutto l’impegno e la tenacia; solitamente ligio ai doveri e agli ordini che è tenuto ad ottemperare quando vengono dai suoi superiori, è capace anche di fare di testa sua pur di restare coerente a se stesso e di non scendere a compromessi.

Se inizialmente mi ha dato l’impressione di essere un uomo duro e implacabile, avanzando nella lettura ho avuto modo di notare come egli sia in realtà più complesso di come appare, con non poche contraddizioni nonostante si sforzi di sembrare granitico e incorruttibile, il che lo rende di sicuro più "umano" e meno distaccato emotivamente; ciò che mi ha più stupita è il suo essere fervente nella fede, in cui egli trova pace ai propri tormenti interiori.

“L’unico percorso che porta davvero alla pace è fare la cosa giusta (…). Gli ultimi ordini ricevuti erano stati chiari e sicuramente ragionevoli: c’era in ballo più di uno scandalo governativo, con tutta probabilità si sarebbe arrivati alla guerra, e a quel punto forse non ci sarebbe stata più speranza per l’umanità. Zhou riteneva la speranza un sentimento inestinguibile, traballante a volte, sventolante, ma radicato. Dio insegna ad aver sempre speranza. Allora perché si sentiva così fuori posto? (…) Nulla, pensò. Ciò che è mio compito fare, lo farò, come ho sempre fatto, e accetterò le conseguenze sapendo di aver agito nel modo migliore. Non gli importava più di mettere in discussione le direttive. E seppe di essere sulla retta via quando, leggera come un velo di seta, iniziò ad avvertire la carezza della pace”.


Spero di avervi incuriositi parlandovi di questi personaggi presenti nel romanzo; essi, tanto i principali quanto i secondari, sono ben caratterizzati e ciascuno dà il proprio robusto contributo allo sviluppo delle vicende, ciascuno secondo la propria personalità e le motivazioni individuali che li spingono ad agire.

Vi saluto ricordandovi che il 6 aprile, sul blog  Cherie Colette potrete leggere la recensione del romanzo, a conclusione di questo blogtour!

giovedì 29 marzo 2018

Recensione: VIRGILIO O LA TERRA DEL TRAMONTO di Stefano Cortese (RC2018)



Un romanzo storico ricco di fascino, dal linguaggio raffinato, che immerge totalmente il lettore in epoca romana, raccontando la vita del poeta Virgilio, in un mix di finzione narrativa e realtà.




VIRGILIO O LA TERRA DEL TRAMONTO 
di Stefano Cortese



Milena Ed.
2018
E' il 1156 e Napoli è caduta nelle mani dei Normanni. 
Stefano Cesario, poeta di corte e segretario dell'ultimo duca di Napoli Sergio VII, è costretto suo malgrado ad assistere a un fatto increscioso, per mano del negromante Ludowicus: la profanazione e la dispersione delle ceneri di colui che la città partenopea venera e chiama "il Mago": il poeta Publio Virgilio Marone, simbolo di libertà per i napoletani. 
Disperato e sconvolto per un tale sacrilegio e per ciò che questo significa per la città (chi "possiede" le ceneri di Virgilio è come se possedesse la stessa Napoli), Cesario piomba in un sonno profondo, e in questo viaggio onirico ha una visione prodigiosa: la vita di Virgilio, attraverso cinquant'anni di storia romana. 

E' il 70 a.C. quando Publio Virgilio Marone nasce ad Andes, nel mantovano, da sua madre Magia Polla e da Stimicone, suo padre, apicultore, uomo semplice, un figlio del popolo benestante e rispettato.
Sin dai primissimi anni, Virgilio mostra un carattere taciturno, è di poche parole, timidissimo; crescendo, non perde questi tratti, anzi essi paiono accentuarsi e Virgilio mostra d'essere un ragazzino sì legato alla natura - da lui ammirata, contemplata nel silenzio e nella solitudine, come a rubarne suoni, rumori, cambiamenti... - e  alla terra, ma poco incline a occuparsene come futuro uomo d'affari.
Che poi è ciò che la famiglia si aspetta da lui.
Suo padre è un buon uomo, comprensivo e magnanimo coi figli, e in particolare nel primogenito - il figlio alto di Magia Polla, così viene chiamato da chi lo conosce e lo ha visto crescere, e così lui stesso si identificherà sempre, anche quando la fama e la gloria lo raggiungeranno - ha riposto le più alte aspettative: farlo studiare, investire su di lui e per lui, così che divenga futuro proprietario e amministratori dei beni di famiglia.
Perchè si formi quale vero uomo, completo e capace di gestire le incombenze della vita e degli affari, Stimicone manda l'adolescente figliolo in una scuola a Cremona, per studiare retorica, grammatica, oratoria..., ma tant'egli quanto i suoi insegnanti si accorgono di come lo studente - seppur diligente - non abbia le caratteristiche per diventare un "uomo di parola", uno con la parlantina facile.
Virgilio è un contemplativo, non ama parlare ed esporsi in pubblico, il sol pensiero gli fa contorcere le budella e insorgere dolori al ventre ingestibili, l'ansia fa da padrone....: come potrebbe mai dedicarsi all'ars oratoria?
Ma oltre al timore di deludere i desideri paterni, c'è un altro problema: Virgilio è un poeta, o meglio, vuol diventarlo ed essere riconosciuto come tale. In lui, nella sua mente e nella sua anima sorgono versi e poesie cui egli desidera imparare a  a scrivere, dar forma... e chissà!, forse essi gli regaleranno una sorta di immortalità.
Certo, un poeta dovrà pur declamare pubblicamente ciò che scrive..., e Virgilio non sa proprio come risolverà mai questo ostacolo comunicativo.
Ma intanto scrive e dopo Cremona, verso i diciassette anni, si trasferisce a Milano, dove conosce un coetaneo che diventerà il suo più caro amico, e la loro amicizia supererà il tempo e le distanze, accompagnandoli fino alla morte: Cornelio Gallo, anch'egli aspirante poeta, ma dal temperamento più gioviale, amante della vita, di cui vuol godere ogni attimo, dei piaceri, del potere..., ed in sua compagnia lo schivo Virgilio fa le prime vere esperienze che inebriano i suoi sensi, consentendogli di allargare i propri orizzonti. Non solo, ma viene in contatto con la poetica di Lucrezio, che influenzerà la propria.

"Nulla è per noi la morte e per niente ci riguarda, poichè la natura dell'animo è da ritenersi mortale. Virgilio aveva un nuovo scopo: fare in modo che ciò che avrebbe scritto lo conducesse, in fine, all'unico traguardo a cui avesse mai sperato di attendere: l'immane grandezza del silenzio.(...) Lui avrebbe scritto (...) non per lasciare una traccia di sè, ma per pagare l'obolo della sua permanenza nel Nulla. (...) Avrebbe goduto la bellezza, vissuto i piaceri, anche amato cose e esseri umani, ma essi non sarebbero mai riusciti a possederlo. La poesia, e questo fu l'insegnamento più grande di Lucrezio, sarebbe stata l'unica compagna di vita, l'unico strumento per raggiungere la pace dell'inesistenza.".

In seguito, lui e Cornelio si trasferiscono a Roma, per studiare nella scuola di Epidio, e nella caput mundi il nostro poeta avrà modo di entrare in contatto con i grandi protagonisti del suo tempo, come Cesare, Ottaviano, Cicerone, Orazio.
Roma è immensa, troppo per uno come lui cresciuto in un piccolo paese di provincia; Virgilio non ama (e non amerà mai) il caos dei grandi spazi urbani, troppo confusionari, pieni di gente di ogni tipo, di  rumori e odori, per lo più sgradevoli, che a zaffate arrivano a fargli storcere il naso; nonostante questo, il forte fascino che la città eterna esercita su di lui, quasi lo schiaccia, rendendolo nervoso e timoroso al pensiero di non essere all'altezza di tanta immensità.
Grazie agli insegnamenti di Epidio, impara a gestire con meno apprensione la propria refrattarietà a parlare davanti alle persone, in vista del momento in cui gli toccherà decantare i propri versi.

Ma ben presto Virgilio capisce che neanche Roma può accoglierlo per sempre; è la sua stessa indole a non essere adatta alla grande città, e ne ha la conferma quando la situazione politica si fa rovente a motivo della guerra civile (lo scontro tra Cesare e Pompeo).

Si reca quindi alla scuola di Sirone, a Napoli, che lo adotta e nella quale il poeta si sente decisamente più a suo agio.

"Napoli era all'epoca una polis greca a tutti gli effetti, una città raffinata e colta, dove sorgevano numerose scuole filosofiche. (...). Era un mondo così bello che ne divenni prigione, non potei più farne a meno e poco a poco iniziai a prendere le sue abitudini, a comportarmi come l'avesi sempre vissuto, come ne fossi stato sempre parte fin dall'infanzia. La mia patria natale fu Mantova, ma io sarò sempre, d'adozione, napoletano".

L'Autore ci narra tra queste pagine la vita del protagonista, introducendo costantemente le varie stagioni della sua esistenza con le parole "... negli anni in cui furono consoli...", legandola quindi alla storia di Roma, anche quando Virgilio se ne allontana andando a Napoli.
Mescolando dati, personaggi, contesti e fatti storici con altri fittizi, diventiamo spettatori anche noi di un lungo ed intenso sogno e ci sembra di essere accanto a Virgilio, di sentirne i pensieri, i timori, le sofferenze personali, i disagi nello stare in mezzo agli altri, soprattutto quando la narrazione è affidata allo stesso Virgilio (ad essa si alterna la terza persona; nel corso del racconto, le descrizioni presenti coinvolgono tutti i sensi del lettore, così che egli riesca a vedere/sentire con gli occhi dell'immaginazione ciò che vede e sente il poeta, il che rende la lettura molto coinvolgente.

Virgilio ragazzo che si lascia travolgere dal piacere con donne e uomini (nella sua mente però solo il suo amore di gioventù sopravviverà all'usura dell'oblio - Lavinia - e in un certo senso ella sarà sempre presente in tutto ciò che Virgilio scriverà negli anni); Virgilio sofferente quando l'ansia si fa pressante; Virgilio dubbioso delle proprie capacità poetiche, e dunque stupito che gli altri invece credano tanto in lui, in ciò che diventerà ma che ancora non è; Virgilio che proprio non vuol entrare negli affari politici di Roma, di Ottaviano (con cui pure stringe amicizia); Virgilio sopraffatto dalla bellezza e dalla verità presente nella natura, ed infatti le sue prime due opere, le Bucoliche e le Georgiche, trattano di pastori e di vita agreste.


"La sua poesia era nuova, e purtuttavia era una poesia già esistita, già affermata. La gente ritrovata l'amata memoria e la speranza dell'avvenire. Era una poesia totale. Impossibile svincolarsi dalle sue spire."

E se già con queste due composizioni poetiche la fama raggiunge il vate, è l'Eneide a renderlo il poeta immortale che noi leggiamo ancora oggi.

Un romanzo storico scritto davvero egregiamente, che usa un linguaggio ricercato, raffinato, poetico (esso stesso ci sembra un poema in certi momenti), senza però mai risultare pesante o distante dalla realtà, anzi.
Con Virgilio, non solo Cesario ma anche il lettore ha modo di riflettere sulla Vita e la Morte, l'Amore, la Gloria, l'Eternità, il Nulla.

Questo libro - per il quale ringrazio Milena Edizioni - si è rivelato una bella sorpresa, mi ha coinvolta molto nella lettura; del protagonista ci viene dato un ritratto intenso, con toni nostalgici e a tutto tondo, in cui emerge la sua complessità di uomo, prima ancora che il suo essere stato un poeta sublime.

Il libro è arricchito delle belle illustrazioni di Andrea Jori. Consigliato in particolare a chi ama i romanzi storici, i poeti latini e l'epoca romana. 



Reading Challenge
obiettivo n. 8.
Un libro nel cui titolo ci sia un nome proprio

mercoledì 28 marzo 2018

Recensione: IN CAMMINO VERSO COMPOSTELA di Beatrice Masci



Ci sono esperienze in grado di cambiarti non tanto la vita in sè, quanto il modo di guardare ad essa, di concepirla e di affrontarla, con i suoi pesi e le sue bellezze, giorno per giorno. Per molti, il Cammino di Santiago de Compostela è una di queste incredibili esperienze.


IN CAMMINO VERSO COMPOSTELA
di Beatrice Masci


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Sono davvero tantissime le persone che ogni anno decidono di intraprendere il Cammino verso Santiago de Compostela. 
Un cammino che senza dubbio richiede una certa resistenza fisica - c'è tanto da camminare, percorsi in salita, in discesa, boscosi o deserti... - ma non solo, anche morale, emotiva, perchè è un vero e proprio viaggio con e dentro se stessi

In questo piccolo libro, l'Autrice ci rende partecipi della sua esperienza di pellegrina: 800 km percorsi in 33 giorni, in cui ha incontrato gente che, come lei, si è incamminata all'avventura, zaino  stracarico in spalla, eventualmente un bastone per aiutarsi nei percorsi più impervi, e tanta convinzione, buona volontà, pazienza, tenacia... al fine di arrivare alla meta.

A guidarci tra queste pagine si alternano varie "voci": da una parte abbiamo il resoconto in terza persona di ciò che Beatrice man mano viveva, vedeva, sentiva, pensava, le persone incontrate, le piccole difficoltà (superabili), dall'altra abbiamo i divertenti dialoghi tra le parti del corpo di Beatrice più interessate al viaggio!
C'è il cuore, che infonde fiducia come solo lui sa fare; il cervello che, essendo il "capo", decide come procedere (in questo caso, assecondando la padrona, Beatrice, e mettendo in riga le parti che si lamentano maggiormente), c'è la povera schiena, costretta suo malgrado a portare il peso di uno zaino sempre più pesante; e soprattutto ci sono loro...: i poveri piedi della pellegrina, che si oppongono come possono quando capiscono che Beatrice vuol fare questo viaggetto a piedi.
Gli interventi spassosi dei piedi - e non due piedi qualsiasi, ma due già provati dall'alluce valgo! - nei dialoghi immaginari con cervello&co. sono davvero esilaranti, simpaticissimi, fanno sorridere perchè proviamo ad immaginare la loro frustrazione verso la padrona, che nel prendere le proprie decisioni non ha minimamente pensato a quello che essi avrebbero dovuto vivere e sopportare, tra il gran caldo, il sudore, i cattivi odori, la sporcizia, il peso di portare non solo lei ma pure il suo benedetto borsone, e poi le vesciche e per finire i suoi bislacchi metodi per risolvere questo "inconveniente".

Insomma, si legge questo singolare  "diario di viaggio" sempre col sorriso sulle labbra, grazie allo stile spigliato ed ironico dell'Autrice, che ci regala pagine ricche di umorismo.
Accanto ad esse, però, c'è comunque il racconto vero dell'esperienza; la materia narrativa è di per sè "seria", come può esserlo questo tipo di cammino per i pellegrini che, per ragioni del tutto personali e differenti tra loro, si impegnano a portare a termine, ma il tono impiegato è deliziosamente leggero, senza che questo però renda i contenuti della narrazioni banali, anzi.

Questo tipo di viaggio, come dicevamo, non ha a che fare solo con la forza fisica, ma in particolare con la propria forza interiore, perchè in fondo esso è un modo per conoscere meglio se stessi, per guardarsi dentro e farlo per lo più in solitudine; il cammino diventa quindi una sorta di metafora della vita stessa, che, proprio come il lungo percorso che caratterizza il viaggio verso Compostela, è fatto di pianure come di montagne, di giornate di sole e di altre tempestose, di luoghi in cui ci sono corsi d'acqua ed altri aridi; e spesso, abbiamo bisogno di affrontare il deserto più di quanto pensiamo:

"C'è chi sceglie di percorrere tratti in totale solitudine. Una possibilità che nella vita di tutti i giorni non si ha più. Si finisce per perdere l'abitudine di avere, ricercare e difendere spazi di solitudine. Qui no. Qui si cercano e si trovano con la medesima facilità con la quale si trova la campagna quando se ne ha voglia.  (...) Il bello della libertà è anche questo. Ma la solitudine, a lungo cercata, spesso ti fa brutti scherzi. Ti fa pensare. (...) In alcuni casi c'è la totale assenza di persone fin dove riesce a spingersi lo sguardo ed è a quel punto che metti alla prova le tue capacità. E' anche questa la bellezza del deserto.. Poi, una volta superato, potresti anche scoprire di desiderarlo. Scherzi del cammino che ti porti dietro anche al ritorno.

E' un viaggio che può non avere necessariamente motivazioni religiose, tant'è che a farlo sono tanti non per forza di fede cattolica; quando i pellegrini si ritrovano assieme, lungo la stessa via deserta, sotto il sole bollente, con i piedi che fanno male..., si sentono uniti, come se qualcosa di profondo li legasse, pur essendo in realtà dei perfetti estranei:

"Il cammino per Santiago è anche questo: si annullano le differenze e si arriva all'essenziale. Chi hai di fronte è semplicemente una persona che, almeno per qualche settimana, diverrà il tuo migliore alleato. Poco importa se di lui si conosce solo il nome (in alcuni casi neppure quello) ma è certo che per il periodo del cammino capirà più cose lui di te rispetto a un tuo parente prossimo che ti conosce da una vita" 

E una volta giunti a Compostela, come ci si sente? Arrivati, realizzati soddisfatti, più "a posto col mondo e con se stessi", come se finalmente si avesse afferrato il senso della vita, conquista che ci permetterà di vivere meglio e più felici?

Il bello del Cammino, ci dice l'Autrice, è proprio questo: arrivati alla fine di esso, è vero che ci si sente contenti di averlo portato a termine, ma forse la più grande delle consapevolezze acquisite è che... il viaggio vero inizia proprio da quel momento in poi.

"E' proprio qui, dopo Santiago, che inizia il cammino. Sarà un viaggio a sorpresa, che si snoderà giorno per giorno lungo i sentieri della vita. (...) Se cammini, non sai mai cosa potresti incontrare. Certo, gli ostacoli non mancheranno (...). Tuttavia non mancheranno neppure le sorprese. Il problema è che non riesci a fermarti, perchè quando inizi a camminare vorresti che il viaggio non finisse mai. Perchè (...) più che la destinazione conta la strada che ti ci porta. (...) Si tratta di un cammino che coinvolge ogni parte del corpo, a cominciare dai piedi (...), per finire con la testa (...) senza dimenticare il cuore".

Beatrice Masci condivide con i suoi lettori la sua personale esperienza, tra luoghi e percorsi che hanno costituito ognuno una tappa importante in vista della meta, e incontri con pellegrini sconosciuti che hanno diviso pochi o tanti passi insieme a lei, e ce lo racconta con uno stile ironico e arguto, che sa come far riflettere sorridendo; vi sono anche delle belle foto fatte durante il Cammino.
E' stata una piacevolissima lettura, non mi resta che consigliarvela!

martedì 27 marzo 2018

PROSSIMAMENTE IN LIBRERIA (19-26-30 aprile)



Prossime uscite in cui sullo sfondo delle storie narrate c'è il mare..:




DI NIENTE E NESSUNO
di Dario Levantino


Ed. Fazi
USCITA
19 APRILE 2018
In un Sud viscerale e violento, un’intensa storia di formazione condotta con la voce, spietata e dolcissima, di un adolescente che lotta per sovvertire i morbosi equilibri di una famiglia infelice.
Brancaccio, periferia di Palermo.
Rosario è un adolescente solitario che ama il mare e la poesia. La madre, accudente e remissiva, trascorre le sue giornate a occuparsi della casa e della famiglia, mentre il padre, cinico e bugiardo, ha un negozio di integratori per sportivi in cui gestisce lo smercio illecito
di sostanze stupefacenti. 
Quando, per accontentare un desiderio della madre, il ragazzo decide di giocare nel ruolo di portiere con la Virtus Brancaccio, calcando così le orme del nonno materno morto prematuramente nel terremoto del Belice, il processo di identificazione che prelude all’età adulta ha inizio: tra pestaggi, amore e disincanto, Rosario troverà il coraggio di emanciparsi dalla violenza e dalla menzogna che hanno da sempre oppresso la sua vita


FIGLIE DEL MARE
di Mary Lynn Bracht



Ed. Longanesi
380 pp
USCITA
26 APRILE 2018
Corea, 1943. Hana è una pescatrice di perle, una professione che si trasmette da madre a figlia, donne fiere e indipendenti. È cresciuta sotto il dominio giapponese, non conosce altro. Ed è felice quando nasce una sorellina, Emiko, perché con lei potrà condividere le acque del mare che bagnano l'isola di Jeju, la loro casa.
Ma i suoi sogni si infrangono il giorno in cui, per salvare Emiko da un destino atroce, viene catturata e deportata in Manciuria. Lì, lontana dalla famiglia e da tutto ciò che conosceva, verrà imprigionata in una casa chiusa gestita dall'esercito giapponese. Ma una figlia del mare non può arrendersi senza lottare, e Hana sa che dovrà fare ricorso a tutte le sue forze per riconquistare la libertà e tornare a casa. 
Corea del Sud, 2011. Emiko ha trascorso gli ultimi sessant'anni della sua vita cercando di dimenticare il sacrificio di sua sorella, ma non potrà mai trovare la pace continuando a fuggire dal passato. I suoi figli e il suo Paese vivono ormai una vita serena... 
Ma lei riuscirà a superare le conseguenze della guerra e a perdonare se stessa?



LA LOCANDA DOVE IL MARE PARLA PIANO
di Emma Sternberg



Ed. Sperling&Kupfer
368 pp
USCITA
30 APRILE 2018
Quando Linn perde in un solo giorno fidanzato, casa e lavoro, impara due grandi lezioni. La prima: mai mettere tutta la tua vita in mano a un uomo. La seconda: mai disperare, perché la vita stessa sa sempre come sorprenderti. 
Di lì a poche ore, infatti, un certo Mr. Cunningham, "cacciatore di eredi", spunta dal nulla con una notizia sensazionale: Linn ha ricevuto una casa negli Hamptons da una fantomatica zia d'America. 
Lasciata la Germania con il primo volo per New York, Linn scopre così la Sea Whisper Inn, ovvero la locanda Sussurro del Mare: un'antica villa, un tempo adibita a pensione, dotata di parco, discesa al mare e - nuova sorpresa - cinque inquilini fissi. Sono i migliori amici della zia, cinque arzilli vecchietti che sanno come godersi la vita, tra Manhattan ghiacciati e riposini pomeridiani. Mentre Linn tenta di escogitare un piano per salvare dai debiti la casa e magari riaprirla ai turisti, è sempre più conquistata dai fantastici cinque e dai loro racconti affascinanti su zia Dorothy e sulla vita glamour che si era reinventata dopo la fuga dall'Europa. Ma in quella storia manca un dettaglio fondamentale, un segreto struggente di cui resterebbe traccia solo in un quadro, misterioso e introvabile. Proprio la ricerca di quel dipinto scomparso permetterà a Linn di aprire una porta su quel passato... e fare finalmente luce sul proprio futuro.

lunedì 26 marzo 2018

Cover primaverili ^_^



Primavera, vieni a noi!!
Si sta facendo un po' attendere questa meravigliosa stagione, allora per contrastare il freddo e l'attesa, eccomi con qualche cover molto primaverile!!

Quale preferite?


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domenica 25 marzo 2018

Anteprima Giunti Editore: LA LETTERA D'AMORE di Lucinda Riley



L'avevo anticipato l'anno scorso (in questo post), e adesso sappiamo quando farà il suo ingresso in libreria il romanzo di Lucinda Riley "The Love Letter", pubblicato in passato dall'autrice con lo pseudonimo di Lucinda Edmonds, dal titolo "Seeing double":


LA LETTERA D'AMORE
di Lucinda Riley


Giunti Ed.
USCITA
12 GIUGNO 2018
Joanna è una giovane reporter del Morning Mail che viene mandata dal suo giornale ai funerali del famoso attore Sir James Harris. All'improvviso, nella chiesa gremita, un'anziana signora vicino a lei è colta da un malore e Joanna non può far altro che offrirle il suo aiuto e accompagnarla a casa. Dopo qualche giorno Joanna riceve una strana busta: all'interno, una vecchia lettera d'amore e un biglietto dalla grafia tremolante in cui la donna chiede di vederla.
Incuriosita, Joanna corre immediatamente alla sua porta, e scopre con grande sorpresa che l'anziana signora è morta qualche giorno prima.
Il suo istinto le dice che non si è trattato di un banale incidente domestico e, quando il suo appartamento viene messo sottosopra, Joanna capisce che ha tra le mani una storia scottante.
La sua unica via d'uscita è scoprire la verità sui misteriosi amanti della lettera.
Chi erano? E perché è così importante che nessuno sappia di loro?


COSA NE PENSATE? LA TRAMA VI INTRIGA?
LA RILEY E' UN'AUTRICE CHE VI PIACE? ^_^

sabato 24 marzo 2018

Libri in lettura (marzo 2018)



Carissimi, cosa state leggendo di bello?

Io ho in lettura un bel romanzo storico con protagonista il poeta Virgilio e un poliziesco di un autore giapponese.



VIRGILIO o la terra del tramonto
di Stefano Cortese


Milena Edizioni

Napoli, anno 1156. All'alba della dominazione normanna, Stefano Cesario, poeta di corte e segretario dell'ultimo duca di Napoli Sergio VII, è costretto suo malgrado ad assistere alla profanazione e alla dispersione delle ceneri di Publio Virgilio Marone, ritenute venerabili dal popolo partenopeo. Disperato per un tale sacrilegio e per le sorti toccate alla città, Cesario piomba in un sonno profondo e nell'onirico ha una visione prodigiosa: la vita di Virgilio, attraverso cinquant'anni di storia romana. Dalla nascita del poeta ad Andes, nel mantovano, al trasferimento a Roma, dagli incontri coi grandi protagonisti del suo tempo, come Cesare, Ottaviano, Cicerone, Orazio, all'adozione di Napoli come patria d'elezione, fino alla stesura dell'Eneide, l'opera dell'immortalità di Roma. 
Questo lungo sogno indurrà Stefano Cesario a una riflessione sulla vita, nella sua sospensione tra la clausura e l'amore, tra la gloria e il nulla, tra la morte e l'eternità.

Sono oltre la metà e questo romanzo si sta rivelando una bella lettura, che sa accompagnare il lettore in epoca romana, inebriandolo degli odori e dei rumori di allora, visti attraverso gli occhi del riservato Publio Virgilio Marone, e tutto con uno stile davvero raffinato.



TOKYO EXPRESS
di Matsumoto Seicho



Adelphi Ed.
In una cala rocciosa della baia di Hakata, i corpi di un uomo e di una donna vengono rinvenuti all’alba. Entrambi sono giovani e belli. Il colorito acceso delle guance rivela che hanno assunto del cianuro. 
Un suicidio d’amore, non ci sono dubbi. 
La polizia di Fukuoka sembra quasi delusa: niente indagini, niente colpevole. 
Ma, almeno agli occhi di Torigai Jutaro, vecchio investigatore dall’aria indolente e dagli abiti logori, e del suo giovane collega di Tokyo, Mihara Kiichi, qualcosa non torna: se i due sono arrivati con il medesimo rapido da Tokyo, perché mai lui, Sayama Ken’ichi, funzionario di un ministero al centro di un grosso scandalo per corruzione, è rimasto cinque giorni chiuso in albergo in attesa di una telefonata? E perché poi se n’è andato precipitosamente lasciando una valigia? Ma soprattutto: dov’era intanto lei, l’amante, la seducente Otoki, che di professione intratteneva i clienti in un ristorante? Bizzarro comportamento per due che hanno deciso di farla finita. 
Per fortuna sia Torigai che Mihara diffidano delle idee preconcette, e sono dotati di una perseveranza e di un intuito fuori del comune. Perché chi ha ordito quella gelida, impeccabile macchinazione è una mente diabolica, capace di capovolgere la realtà. Non solo: è un genio nella gestione del tempo.
Con questo noir dal fascino ossessivo, tutto incentrato su orari e nomi di treni – un congegno perfetto che ruota intorno a una manciata di minuti –, Matsumoto ha firmato un’indagine impossibile, ma anche un libro allusivo, che sa con sottigliezza far parlare il Giappone.


E VOI, QUALI LIBRI AVETE IN LETTURA?
VI STANNO PIACENDO?

venerdì 23 marzo 2018

Segnalazione novità Metropoli d'Asia: Lancio a effetto di Omar Shahid Hamid



Per gli amanti della narrativa orientale,una nuova uscita Metropoli s'Asia:


Lancio a effetto 
di Omar Shahid Hamid

Trad. G. Garbellini


Una caccia all’uomo avvincente e originale: non si cerca l’assassino, che è in prigionia fin dall’inizio, ma il destinatario delle sue lettere. È anche la storia di un’amicizia fra tre persone e il ritratto di un Paese, anzi di un territorio più allargato (si parla del conflitto tra India e Pakistan per il controllo del Kashmir, di Afghanistan, dell’11 settembre).

È di grande attualità, anche perché le modalità con cui agisce Uzair (decapitazione filmata di un prigioniero) ricordano molto l’Isis. Inoltre l’Autore ha un’esperienza diretta, essendo un poliziotto e avendo subito un attentato e minacce da parte di terroristi.
 Vengono descritti vari ambienti, dalle scuole elitarie in Pakistan e Stati Uniti, ai campi di addestramento per jihadisti in Afghanistan, dal deserto pachistano a Londra, dai gruppi fondamentalisti religiosi alle squadre scolastiche di cricket. Si sottolineano le differenze tra Oriente e Occidente, che provocano spaesamento nei rampolli delle famiglie ricche pachistane che vanno a studiare nei college americani.
 L’Autore mette in ridicolo non solo il fanatismo religioso, ma denuncia anche la corruzione di polizia e governo.



giovedì 22 marzo 2018

Recensione: LA CUSTODE DEI BAMBINI MORTI di Maria Ielo



Una bambina morta, il cui "fantasma" continua a vagare tra le stanze della dimora in cui ha vissuto con l'amata madre, è al centro di questo romanzo dalle atmosfere malinconiche e struggenti.


LA CUSTODE DEI BAMBINI MORTI
di Maria Ielo



goWare
148 pp
2017
«Ho il lavoro perfetto per te. Si tratta di fare la custode della mia bambina. Ho un casale in campagna, a due ore di auto da qui. È disabitato. Una coppia di contadini se ne prende cura. Non manca nulla. In realtà, non è esatto dire che sia disabitato. Beatrice vive ancora in quelle stanze. Ha tredici anni. Le farai compagnia. Non dovrai stare con lei tutto il giorno. Avrai un sacco di tempo libero.»

Queste parole si sente dire Cristiana da uno sconosciuto che di lei sa diverse cose; Alessio è un ex-insegnante che ha viaggiato molto e che attualmente si è ridotto allo status di un barbone ubriacone.
Eppure quel "fagotto di stracci" sembra incredibilmente lucido quando le propone questo strano lavoro e le racconta la storia della sua famiglia.
La figlioletta, Beatrice, muore nel 1977, a tredici anni, in un incidente nella campagna umbra. 
E' trent’anni dopo che suo padre chiede a Cristiana di fare da custode alla figlia, rimasta sola nel casale di famiglia. 
La donna, perplessa ma evidentemente incuriosita, accetta, e si ritrova immersa in un mondo favoloso e inquietante, in cui si affollano misteri, protagonisti e “fantasmi” del passato.


"Chissà com’è restare per sempre ragazzini. Si mostrava nuda al mio sguardo. Non pensavo che l’avrei mai vista. Anche tu, Alessio, eri scettico. È come se lei avesse intravisto il mio cuore spezzato e compreso tutto. Nel preciso istante in cui apparve a me, la realtà di quella creatura, tutto quello che rappresentava e ancora mi era oscuro, divenne l’unica realtà possibile per me. (...) Ovunque fosse andata, l’avrei seguita. Ero venuta in questa casa per custodire una ragazzina morta: mi resi conto che era la cosa più importante da fare, ora. L’unica davvero necessaria, anche se non avevo idea di quale sarebbe stato il mio compito." 

A Cristiana si affianca Myrsine, una “governante” con poteri speciali e misteriosi.

Conosciamo quindi, grazie prima al racconto di Alessio e poi ai ricordi e alle parole di altri personaggi importanti - la stessa Cristiana, Myrsine, e un'amica di famglia, Alessandra - ciò che è avvenuto tra le mura de I Cipressi, il casale in campagna in cui la piccola Beatrice ha vissuto con la mamma Federica e dove la sua presenza ha aleggiato per più di trent'anni, dopo la morte improvvisa.
Federica era una donna che amava cimentarsi con la buona cucina umbra, e questo amore per i fornelli la induce ad aprire una piccola trattoria; ad aiutarla in cucina c'è un giovanotto discreto e fedele (innamorato di lei), Fabrizio, che le starà sempre accanto, anche quando la donna perderà ogni interesse per la vita in seguito alla tragica morte della figlia e inizierà a lasciarsi andare, a trascurare se stessa e la cucina.

Un'altra persona le resta vicina dopo la tragedia: Alessandra, un'amica carissima, che già frequentava i Cipressi quando Beatrice era viva e che diviene nel tempo anche l'amante di Federica; al contempo la donna, rendendosi conto di come Federica, pur stando bene con lei, non la ami davvero (non con la stessa intensità con cui è amata, quanto meno), non si risparmia dall'avere altre relazioni, tra cui quella, più importante e duratura, con una certa Marta; dal canto suo, Alessio aveva già da tempo lasciato il casale per vivere per conto proprio, in giro per il mondo, tornando di tanto in tanto a far visita all'ex-moglie e alla figlioletta.

Le mura de I Cipressi sono testimoni silenziosi di tutto questo, della tragedia di Beatrice come della depressione che ha spento ogni luce negli occhi di Federica, dell'amore passionale di Alessandra e di quello devoto di Fabrizio; a vegliare su di essi, contemplando impotente i giorni che trascorrono malgrado tutto e tutti, c'è lei, Beatrice, il cui spirito si è risvegliato poco tempo dopo la morte e ha iniziato a girovagare per le stanze della casa e per i terreni circostanti, guardando, con un dolore e una tristezza infiniti - consapevole di non essere vista da nessun essere vivente -, sua madre abbandonarsi all'alcool e al sesso con gli sconosciuti.

A farle compagnia, infatti, c'è solo un "fantasma" come lei, Samuele, un dolce bambino morto molti anni prima, che le sta attaccato come un'ombra, felice di avere finalmente un'amica con cui passare il tempo.

Beatrice fa tenerezza per questo suo struggente desiderio di "esserci ancora", di poter partecipare alla vita delle persone amate; vorrebbe con tutta se stessa che Federica, Alessandra... si accorgessero di lei, perchè lei c'è davvero, va da una stanza all'altra, continua a disegnare come faceva prima, trascorre ore ed ore in bliblioteca, legge tantissimo ed in particolare ama alla follia "Cime tempestose" e vorrebbe avere un'amica come Catherine, ribelle e impetuosa.

Myrsine e Cristiana riescono a "vedere" la figura evanescente di Beatrice, un'eterna tredicenne, che la morte ha reso bambina per sempre, ma questo non ha impedito al tempo di trascorrere anche per lei.
Arriverà un momento in cui il fantasma inquieto di Beatrice si stancherà di vagabondare, stanco di portarsi dietro il peso di una non-esistenza, fatta di invisibilità e di occasioni perdute per sempre?

Cristiana e Myrsine trascorrono molti anni insieme, custodi dei Cipressi e delle anime dei bambini morti che, negli anni, si affacceranno numerosi al casale, popolandolo invisibilmente di voci e risate, e per queste creature che solo loro vedono e ascoltano, esse cucinano amorevolmente, ignorando i commenti schernitori della gente di fuori.
Aspettando che la morte, serenamente, arrivi a prendere anche loro.

"C’è soltanto un modo per vincere la morte: riconoscerla. Aprirle la porta con un sorriso. (...) È struggente l’amore infinito che proviamo per il nostro corpo, perfino quando è corroso dalle malattie più terribili. Una nostalgia invincibile invade l’anima. Non vorremmo lasciarlo: è la nostra vera casa, l’unica che duri tutta la vita. Ci dà sicurezza, senso di protezione. L’idea di affrontare l’ignoto senza corpo è mostruosa. Che bello sarebbe portarlo con noi, di là... Però, se ci convinciamo che morire non è spiacevole né spaventoso, se comprendiamo che è stata la nostra mente, lei soltanto, a creare il mondo, e il mondo sarà sempre dentro di noi, attenueremo, e forse sconfiggeremo, il desiderio di tornare."

"La custode dei bambini morti" è un romanzo breve e corale che mi ha trasportato in una vecchia casa di campagna che, pur essendo collocata in una precisa regione italiana, in realtà è come se fosse isolata da tutto ciò che è ordinario, comune, normale..., terreno.

Procedendo tra passato e presente, dando voce a più di un personaggio e alla sua prospettiva personale, la prosa dell'Autrice affascina il lettore per il suo vestirsi di evanescenza, come se i fatti e le persone di cui si narra fossero sospesi tra la vita e la morte, tra la terra e il "regno dei morti", senza con questo assumere tratti angoscianti, bensì malinconici, tristi... ma di un triste non fastidioso, anzi dolce, quasi commovente.
Tra queste pagine ho trovato diverse interessanti dicotomie: ad es., da una parte c'è Alessio, che trascorre gran parte della propria vita come vagabondo, senza radici, dall'altra ci sono gli abitanti de I Cipressi, come Myrsine, Cristiana, Fabrizio, la cui esistenza sembra avere senso solo in quanto radicata lì, tra quelle mura.
Ancora, vi è tanto - per dirla "alla Freud" - una pulsione alla vita quanto un istinto di morte: se Federica muore dentro e si autodistrugge dopo la morte della figlioletta, quest'ultima sembra non accettare l'idea di essere morta, restando legata alla vita nel casolare di famiglia e desiderando con tutta se stessa che qualcuno si accorga di lei.

Se è vero che la morte sembra dominare tra queste pagine, accanto ad essa è però molto presente anche l'Amore: l'amore disperato e triste di una madre verso la figlia perduta per sempre; l'amore pacato e silenzioso di Fabrizio verso Federica; l'amore sensuale tra alcune delle donne di questa storia, un amore quasi sempre passionale, a tratti selvaggio, dirompente, affamato, voglioso di perdersi nell'unione di corpo e anima, senza freni; e ancora l'amore ossessivo di Cristiana verso l'unico uomo che abbia mai amato e che, per sua sfortuna, amava un'altra.
Una serie di inseguimenti d'amore, in cui sembra che nessuno trovi davvero appagamento e pace, ed infatti c'è sempre un filo di inquietudine e tormento che attraversa tutto il romanzo, fino a quando, dirigendoci verso la fine, una sorta di tranquilla serenità sopraggiunge nel casolare dei Cipressi, e tutti i sentimenti, i pensieri, le paure, le angosce, le tante emozioni che hanno mosso i suoi abitanti trovano finalmente requie.
Intrigante il riferimento a "Cime tempestose", il classico che personalmente amo di più, e che ben si colloca in questa atmosfera suggestiva, malinconicamente spettrale, impalpabile, intrisa di una ineluttabile nostalgia verso un passato che vive unicamente nella mente di chi ancora resiste allo scorrere impietoso del tempo.

Lettura molto piacevole, che cattura per la sua scrittura ammaliante e profonda, che sa esprimere la complessità dei sentimenti umani con vividezza pur essendo essi collocati in uno sfondo surreale, che ha i contorni di un sogno etereo.

mercoledì 21 marzo 2018

LA CUSTODE DEI BAMBINI MORTI di Maria Ielo - epigrafe



Ultima lettura terminata di cui vi parlerò domani: LA CUSTODE DEI BAMBINI MORTI di Maria Ielo; un libro intriso di un'inafferrabile malinconia di cui vi riporto l'epigrafe:



La notte intorno a me s’oscura,
Venti selvaggi soffiano gelidamente;
Ma un incantesimo tiranno mi avvince
E io non posso andare, non posso.
Giganteschi alberi protendono
I nudi rami gravidi di neve, 
E la tempesta velocemente discende;
Ma io non posso andare.
Nuvole su nuvole mi sovrastano,
Dappertutto aridità e deserti,
Ma nessun orrore mi smuove;
Non andrò, non posso andare.

(Emily Brontë, trad. E. Passananti, S. Bartoli)


[...] Is it a kind of shadow,
reaching into the night,
wandering over the hills unseen,
or is it a dream?
There’s a high wind in the trees,
a cold sound in the air,
and nobody ever knows when you go,
and where do you start,
oh, into the dark.
Bright eyes,
burning like fire
Bright eyes,
how can you close and fail?
How can the light that burned so brightly
suddenly burn so pale?
Bright eyes.

(da Bright Eyes, Art Garfunkel, Mike Batt)



"Iscrizione in fronte a un libro o scritto qualsiasi, per dedica o ricordo; più particolarm.,
citazione di un passo d’autore o di opera illustre che si pone in testa
a uno scritto per confermare con parole autorevoli quanto si sta per dire




lunedì 19 marzo 2018

Recensione: SI CHIAMAVA ANNA FRANK di Miep Gies, A. Leslie Gold (RC2018)




Il Diario di Anne Frank (RECENSIONE)è una delle testimonianza sull’Olocausto più toccanti, e sicuramente è tra le più note, lette e amate da lettori di tutto il mondo, piccoli e grandi.

Com’è giunto fino a noi quel quadernetto con la copertina a scacchi bianchi e rossi (ad essere precisi, più che di un diario si dovrebbe parlare di diari, perché Anna scrisse su vari fogli sparsi e quaderni e fece anche delle revisioni, seppur parziali, dei propri scritti, in vista di una possibile pubblicazione dopo la guerra), che una 15enne ha riempito di parole e pensieri con la propria grafia minuta e che è in grado ancora di emozionare, commuovere?


SI CHIAMAVA ANNE FRANK 
di Miep Gies, A. Leslie Gold



,
A raccontarcelo è Miep Gies, una delle persone che aiutarono i Frank e gli altri quattro amici a restare nascosti all’interno dello stabile in cui erano situati gli uffici della ditta in cui lavorava Otto Frank, papà di Anna. 

Miep è un’austriaca che da bambina viene inviata in Olanda grazie a un programma che aiutava i bimbi austriaci denutriti; vi resterà per sempre e anzi acquisirà la cittadinanza olandese; nel 1933 ottiene un lavoro presso la ditta Travies & Co, lavorando con il signor Frank, ebreo tedesco trasferitosi ad Amsterdam con la moglie Edith, le figlie Margot e Anne per sfuggire alle persecuzioni naziste.

Discreta, volenterosa e gentile, Miep piace ad Otto, che a sua volta è un uomo dolce, cortese e pacifico; con la famiglia Frank ben presto nasce un rapporto d’amicizia, che coinvolge anche il fidanzato di Miep, Henk.

Un’amicizia leale e sincera, che farà sì che Miep diventi un supporto fondamentale per i Frank – e non solo – quando nel 1942 i rastrellamenti delle SS rendono ormai impossibile la vita agli ebrei.
Per evitare di essere deportati nei campi di lavoro, Otto decide di nascondere la propria famiglia in un appartamento segreto sopra gli uffici dell’azienda; a loro si aggiungono i van Daan – Herman, sua moglie Petronella e il loro unico figlio, l’adolescente Peter – e più tardi il dottor Albert Dussel (chirurgo dentista).

Aiutata da altri amici e colleghi di Otto - i signori Koophuis e Kraler, e la giovane Elli Vossen, oltre che dal coraggioso fidanzato -, Miep per due anni si occuperà della famiglia di Anne e degli altri rifugiati, non solo fornendo loro cibo e tutto ciò di cui hanno bisogno materialmente, ma anche dando loro conforto e condividendo le novità che giorno per giorno emergono da una situazione che degenera velocemente

Mi ha fatto un certo effetto leggere la testimonianza di Miep, soprattutto perché mi sembrava di conoscerla in quanto ho riletto innumerevoli volte il Diario di Anne, e avendo provato - dalla prima lettura dello stesso, da ragazzina – un senso di familiarità ed empatia verso questa giovanissima ragazza, mi è sempre sembrato di essere lì con lei nel rifugio e di conoscere quasi personalmente, grazie alle sue descrizioni attente e spontanee, sia i rifugiati che gli amici/aiutanti, tra cui Miep in particolare.

Ho ritrovato quindi la “mia Anne”, questa ragazzina schietta, allegra, dagli occhi vispi e profondi, dal sorriso sbarazzino, e grazie a Miep mi è sembrato di risentire la sua voce fresca e gioiosa; quella voce che raccontava ciò che accadeva nel rifugio, che guardava con romanticismo Miep ed Henk e che si affrettava a chiedere all’amica le novità del “mondo là fuori”, quel mondo che per lei era temporaneamente off limits.


“Quando la mia faccia appariva, tutti gli sguardi si illuminavano, e si fissavano su di me con gioia. Erano sguardi assetati e avidi di novità. Poi Anna, sempre Anna, mi si piazzava davanti col suo fuoco di fila di domande: Che sta succedendo? Che cosa hai nella borsa? Hai sentito le ultime notizie?”.

Miep è il collegamento tra il rifugio, nel quale si è tenuti a muoversi con cautela, non facendo rumore, non aprendo le tende…, e l’esterno; lei è, per gli otto clandestini, i loro occhi, le loro orecchie; è la fonte di informazioni, che ora gettano nell’angoscia, ora donano un pizzichino di speranza.


“In un periodo in cui le strade di Amsterdam erano piene di terrore e di pericolo, entrare in quel nascondiglio era come un tempo mettersi al riparo in un santuario o in un luogo sacro. Dava un senso di sicurezza e sentivamo che i nostri amici lì potevano sentirsi al riparo. Ogni volta che spostavo lo scaffale, mi sforzavo di avere uno sguardo sorridente, di nascondere l’affanno interno. Respiravo profondamente, spostavo la libreria e cercavo di assumere un’espressione calma e confortante…”.

Miep è una giovane donna sensibile, attenta, completamente dedita al proprio compito di aiutare i suoi amici; non si può non ammirarne il coraggio, l’altruismo, lo spirito di sacrificio, le ansietà di cui si sobbarca in quel tempo di clandestinità; fa tenerezza il pensiero che Miep stesse attenta a non ammalarsi non per se stessa, bensì perché se fosse stata male non avrebbe potuto andare nel rifugio dai suoi amici, portar loro il necessario, e in più essi si sarebbero preoccupati per lei, cosa che andava assolutamente evitata, visto che vivere nascosti, senza poter vedere la luce del sole e con la paura di essere scoperti e portati via, è già un fatto drammatico di per sé e difficilissimo da affrontare.

In queste pagine veniamo immersi in quegli anni terribili, in cui la popolazione olandese (non solo essa, chiaramente) visse giorni, settimane, mesi, anni… di restrizioni, di fame, di paura: gli ebrei erano destinati a un infausto destino, a meno che non fossero riusciti provvidenzialmente a fuggire in altri Paesi o non riuscissero a restar nascosti grazie a qualche buon amico; gli olandesi non ebrei erano anch’essi tenuti sotto scacco dai tedeschi invasori, e Miep ci racconta come sia stato difficile trovare da mangiare in quel periodo e come ogni libertà fosse stata loro rubata.
Ci trasmette anche tutta l'ansia al pensiero di essere scoperti e la paura al pensiero di ciò che questo significhi, tanto per gli "aiutanti" quanto per gli "aiutati".

Ci fa sorridere la cara Anne, così curiosa, attiva, piena di idee, chiacchierona, acuta osservatrice di tutto ciò che le era attorno…, ma allo stesso tempo non si può non sentire una tristezza opprimente sapendo già qual è stato l’epilogo di questa testimonianza vera e dettagliata…

Personalmente, mentre mi avviavo verso la fine del libro, mi sono sentita quasi sopraffatta dall’emozione, come sempre mi è capitato ad ogni rilettura del Diario; una parte di me, ogni volta, si rifiuta emotivamente di accettare quello che è successo, non solo ad Anne ma in generale alle vittime dell’Olocausto.

Quando quel 4 agosto 1944 gli otto clandestini vengono arrestati, Miep ed Elli riescono a salvare i quaderni e i fogli usati da Anna, con la speranza, da parte di Miep, di restituirli alla legittima proprietaria, a guerra finita.

Perché Miep, in cuor suo, spera con tutta se stessa che i suoi cari amici, ai quali si è
miep
dedicata con convinzione e affetto, senza risparmiarsi e incurante del pericolo che costituiva il fatto di aiutare degli ebrei, ritorneranno dai campi in cui sicuramente sono stati inviati dai nazisti.


E quando Otto torna, magro ed emaciato ma sempre lui, col suo sorriso dolce e timido, con i suoi modi di fare riservati ma gentili…, Miep ci spera ancora di più: Anne e Margot torneranno e Anne potrà pubblicare il suo diario.

Ma così non è purtroppo…., e per diverso tempo Miep non riuscirà a leggere le pagine scritte dalla sua giovanissima e sfortunata amica, nonostante le sollecitazioni di Otto, che dopo la guerra riuscirà a far pubblicare il Diario, perché troppa era l’emozione, e leggere certi ricordi di certo avrebbe acuito il dolore per la perdita di Anna (e di tutti gli altri).

Inevitabilmente, si arriva a fine libro con una domanda martellante nella testa: Miep ha mai saputo/scoperto come e perchè siano stati scoperti i rifugiati? È stato un caso, frutto ad es. dei ripetuti furti in magazzino, che magari hanno fatto sì che qualcuno scoprisse la presenza di persone oltre la libreria girevole?
O forse c’è stato qualcuno che ha tradito?

Nel 1948 la polizia olandese fece delle indagini per accertarsi chi avesse tradito i nostri amici; secondo i documenti contenuti negli archivi, qualcuno aveva tradito. Nessun nome comparve sul rapporto; vi si diceva solo che la persona aveva ricevuto sette fiorini e mezzo per ogni ebreo, cioè un totale di sessanta fiorini. Noi sapevamo che i nostri amici dovevano essere stato traditi; alcuni sospettavano di qualcuno in particolare (…). Il signor Frank era l’unico a poter scoprire qualcosa; ma decise di non farlo”.

A prescindere da quale sia la verità, una cosa è certa: Anne è sì morta a Bergen-Belsen, ma la sua eredità, i suoi pensieri, il suo cuore, le sue speranze… hanno travalicato i cancelli e il filo spinato dei campi di concentramento, e hanno raggiunto milioni di persone nel corso degli anni, e di certo il Diario di Anne Frank ha ancora tanto da donare a quanti si accostano ad esso per conoscere questa ragazzina vispa e intelligente che desiderava diventare una scrittrice e che ha raccontato l'orrore del nazismo con la naturalezza e l'innocenza tipiche della sua età.

E persone come Miep restano per noi un esempio di cosa voglia dire sacrificarsi per il prossimo, mettere a repentaglio la propria sicurezza e la propria vita per aiutare chi è in difficoltà e che sta subendo un’enorme ingiustizia a causa di un’ideologia folle e spregevole.

È un libro che desideravo leggere dai tempi della scuola media e che ho trovato in un mercatino di oggetti e libri usati; una lettura che consiglio, in particolare a quanti sono interessati a questo periodo storico e ai tragici fatti che l’hanno contrassegnato.


Reading Challenge
obiettivo n. 29.
Un libro che nel titolo abbia una parola palindroma.


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