domenica 30 luglio 2023

# RECENSIONE # COSE CHE NON SI RACCONTANO di Antonella Lattanzi



Quanto può essere difficile raccontare un dolore.
Spesso, ci sembra che manchino le parole - quelle giuste - per descriverlo, per parlarne affinché gli altri (che ci ascoltano, ci leggono) abbiano un'idea più esatta possibile del nostro dolore.
Perché succede, quando un dolore è troppo intenso, di non riuscire ad esprimerlo come vorremmo e, anzi, sembra che, parlandone, quasi lo sminuiamo, privandolo dell'intensità che gli appartiene.
In queste pagine, che trasudano sofferenza e coraggio assieme, Antonella Lattanzi trova le parole per raccontare "le cose che non si raccontano", il fiume intimo e privato di pensieri, stati d'animo, paure, speranze..., che hanno caratterizzato la sua difficile esperienza della maternità.
Una maternità temuta, messa in stand by, desiderata, sofferta, negata.


COSE CHE NON SI RACCONTANO 
di Antonella Lattanzi


Einaudi
216 pp
"...sto scrivendo il mio libro.
Dopo tutto quello che mi ha abbandonata, questo resta. Questa testardaggine. Non si tratta di salvare. Non si tratta di redimere. Non si tratta di urgenza, né di necessità. Si tratta di cercare di creare qualcosa che abbia ancora un valore per me, di provarci con tutte le forze. Si tratta alla fine di esistere."

Ogni donna che desidera avere un figlio deve, superata una "certa età", tener conto del benedetto (o maledetto?) orologio biologico che, impietoso, le ricorda che più passa il tempo... e meno tempo ha, che si traduce in "meno possibilità hai di restare incinta in modo naturale", a cui segue: "eh ma se intraprendi un percorso di procreazione assistita, mica è detto che vada a buon fine, perché comunque l'età c'è...".

Senza considerare le frasi (sceme, inutili) di chi ti fa sapere ciò che tu non avresti mai immaginato (sono ironica): "Eh, c'è un tempo per tutto e i figli bisogna farli quando è tempo (= quando sei giovane). Non potevi pensarci prima?".

Quando Antonella comincia a maturare l'idea, il desiderio di diventare mamma, ha superato la famosa "certa età", che in questo caso è vicina ai 40.

Non è certo facile, del tipo < "speriamo di restare incinta subito" e così avviene > no no, figurati (al massimo questo accade agli altri, che te lo raccontano meravigliati e felici: "Ci siamo detti: dai, siamo pronti, adesso ci proviamo! E pouf!... incinta!" Più veloce di un ordine su Amazon, insomma), c'è da penare, ogni mese speri di non vedere quel sangue sugli slip che, puntuale, arriva eccome, frantumando ogni speranza e mettendo un'ulteriore X sul calendario - sempre quello biologico -, che ti ricorda che il tempo sta per scadere, datti 'na mossa!.

Antonella teme di non essere mai mamma e di meritarsi questa punizione: perché lei, quando era molto più giovane, ebbe ben due possibilità di diventare madre e cosa fece? Abortì, perché allora non era pronta.
C'era da lavorare, viaggiare, divertirsi, stare spensierati; poi si è concentrata sul voler diventare una scrittrice - la sua ambizione più grande - e l'ha inseguita con tenacia e determinazione.
Però, adesso che è attorno ai fatidici 40, è pronta: la sua relazione con Andrea è stabile, col lavoro tutto ok, insomma manca solo un figlio e la felicità sarà a portata di mano.
Sì, come no, credici.

Il corpo non è d'accordo e il bimbo tanto bramato non arriva; e così ha inizio lo sfiancante ma necessario iter per avere un figlio tramite l'aiutino della medicina, e quindi giù con punture, ormoni, visite, pillole, acido folico..., nella straziante attesa di restare in attesa.

Passa un po' di tempo e non accade nulla, se non che questo desiderio, che fatica a realizzarsi, semina angoscia, frustrazione, rabbia, nervosismo (ma ci sono sempre state tante donne col pancione in circolazione o aumentano di proposito nel momento in cui si desidera e si prova ad avere un figlio che non arriva??) e, non ultimi, sensi di colpa: perché se tu i figli li avessi fatti quando avevi vent'anni, invece di interrompere le gravidanze, ora saresti mamma e non dovresti passare questo strazio! Mamma scellerata che non sei altro: i figli si proteggono non si abortiscono! Te lo meriti di non averne e di soffrire per cercare di averne!

"...quando è successo tutto quello che è successo, e anche da molto prima, quando finalmente mi sono decisa e ho cominciato a provare ad avere un figlio, per anni, quando non arrivava mai, il pensiero di quei due bambini è diventato costante. Questa tragedia, non ho potuto che concludere, io me la sono meritata.
Nei momenti di dolore cerchi sempre un perché. Perché è successo tutto quello che è successo? ho chiesto. Perché non si gioca con la vita, mi ha risposto una voce ancestrale, una voce da pensiero magico. Hai rifiutato due vite. E allora sei stata punita."

Eppure, a un certo punto, qualcosa sembra - finalmente!! - andare per il verso giusto.
Certo, il periodo è tutto fuorché giusto: in piena fase Covid, per cui è complicato fare visite mediche, Antonella deve far tutto da sola perché al compagno non è permesso entrare per accompagnarla, c'è l'emergenza sanitaria dovuta al virus..., insomma restare incinta in quel frangente storico... se non è soggetto a sfiga poco ci manca!

Fatto sta, che in quel tunnel buio comincia a vedersi una piccola luce di speranza: la speranza di diventare genitori sembra concretizzarsi.

Purtroppo, la gioia di scoprire di aspettare un bambino viene presto offuscata da una serie di notizie non proprio rincuoranti che aprono lo scenario di una gravidanza complicatissima.

Il calvario non è finito e ciò che accadrà nei successivi mesi sarà un inferno privato fatto di dolore, molta paura e qualche timida speranza (per carità, sussurrata, ché a dirla a voce alta sicuro si schianta a terra in mille pezzi), lacrime, visite mediche, ecografie, messaggi con le poche amiche a cui ha confidato il dolce e complicato segreto, i silenzi sofferti con chi, invece, non sa niente ma, a modo suo, riesce a dare sostegno con la sola presenza, i malumori all'interno della coppia, il dover fare i conti con l'insensibilità di certi medici e infermieri ma anche con - fortunatamente - l'umanità di altri.

E intanto, in mezzo a tutta questa esperienza difficile e dagli esiti molto, troppo!, incerti, c'è un libro che incombe, che sta per uscire e va presentato, ci sono interviste da fare e in casa editrice non sanno nulla...

Maternità e sacrificio: un connubio che l'autrice odia ma che si rivela sempre presente.

Per qualcuno "uscire incinta", portare il proprio figlio in grembo per nove mesi e darlo alla luce, è una cosa naturale, semplice..., per altri può essere una via crucis.
E siccome la voglia di essere mamma è forte, lo si affronta 'sto percorso ad ostacoli.
Ma la volontà e il desiderio, da soli, possono non bastare.
Che altro ci vuole: la fortuna? la benedizione divina? 

Antonella non lo sa e vive giorno per giorno, durante il periodo in cui ha "della vita" dentro di sé, con un misto di ansia e gioia segreta, dicendosi "magari andrà bene, no? Perché non dovrebbe andare bene, dopotutto?".

Questo libro tiene il lettore incollato perché è autentico e vero, e non solo perché ciò che viene raccontato è autobiografico (la voglia di "andare a controllare" alcuni particolari della narrazione sui profili social dell'autrice c'è, non per sfiducia o incredulità, ma per una sorta di "desiderio di condivisione", un modo per empatizzare con lei, seppur a distanza di tempo e spazio) ma per il modo in cui è scritto: con onestà, senza sotterfugi né tentativi di indorare la pillola o di nascondere il fiume di pensieri e stati d'animo "negativi" (quelli che, quasi sempre, ci si vergogna di aver nutrito e che, quindi, teniamo per noi, non li condividiamo per paura di essere giudicati male) provato.

Le cose che l'autrice scrive e racconta sono di quel tipo che facciamo fatica a raccontare perché, come dicevo nell'introduzione, è difficile verbalizzarle.
Non soltanto perché ci sembra di non riuscire a dire con precisione ciò che ha caratterizzato quel particolare e doloroso vissuto, ma anche perché nel dirlo, lo riviviamo, riprovando (se mai se ne andasse...., ma non se ne va) lo stesso dolore, lo teniamo in vita e, soprattutto, realizziamo con più lucidità che... è successo davvero, che quella sofferenza c'è stata, che le lacrime versate ci sono state e pure tante.
Che ciò che è stato rotto, resta tale e non c'è tecnica giapponese che riesca a riparartelo, a valorizzarne le crepe.

"E allora perché adesso sto raccontando?
Io che non racconto mai niente.
Sto raccontando perché nella mia testa non c’è nient’altro."

Alla fine, si racconta perché nella testa e nel cuore, quello c'è, e prima o poi da qualche parte deve uscire.
E magari, dopo averlo tirato fuori, forse, si comincia a un po' a trovare pace, a guarire, poco alla volta, non del tutto, ma almeno un po'. 
Forse.

Si viene risucchiati dal racconto di Antonella Lattanzi, si trattiene anche un po' il fiato seguendo le peripezie relative alla gravidanza, al prima e al dopo; l'autrice sa come farci sentire con intensità il carico dei suoi pensieri, che vanno a mille, delle sue contrastanti emozioni, e ci si sente travolti dal dolore, dalla rabbia, dal senso di impotenza, da questa voglia di felicità che sbatte contro una realtà piuttosto avara di grazie e miracoli.

"Non credevo di essere una persona che non racconta niente di sé. Non ho mai creduto di esserlo. Adesso so che lo sono. Che ho una diga nella testa dove stanno nascoste tutte le cose che fanno davvero troppo male. Quelle cose, io non voglio dirle a nessuno. Io non voglio pensarle, quelle cose. Io voglio che non siano mai esistite. E se non le dico non esistono."

Quando l'ho iniziato, non ero certa che l'avrei proseguito e terminato, perché l'inevitabile immedesimazione mi sembrava emotivamente "troppa" da gestire, ma poi ho pensato che se l'autrice ha trovato il coraggio di scriverlo (rivivendo tutto), io potevo affrontarne la lettura e ciò che essa significa per me, personalmente. E così, leggerlo mi ha fatto bene perché quelle cose che non si raccontano sono anche un po' mie e, forse, di tutti noi.


ALCUNE CITAZIONI

"Se consegni a un’altra persona una parte così grande di te, come fai a proteggerti? Se consegni le tue cose più profonde a qualcuno, poi fanno più male. Perché da quel momento esistono. Non ci pensavo mai."
"La speranza è una macchia negli occhi per aver guardato il sole, si fa sempre piú grande, intacca tutto e si prende tutto. Ho imparato che la speranza quando è troppa diventa certezza. Che non è verde e nemmeno gialla. La speranza è nera, perché ti distrugge."

"...io non ne parlo mai. Questo mi fa ancora più male. Non avere nessuno che mi chiede più come stai, raccontami."

" La vita è quello che succede mentre combatti contro la paura? Oppure sono tutti gli attimi di gioia e inconsapevolezza che riesci a ricavarti per non farti prendere dalla paura?"

venerdì 28 luglio 2023

[ RECENSIONE ] I RAGAZZI DI VILLA GIARDINI. Il manicomio dei bambini a Modena di Paolo Tortella



Com'era la vita all'interno dei manicomi?
Tra le pagine della testimonianza di chi ha lavorato per un anno in un istituto per minori subnormali, veniamo a conoscenza di come fosse "vile, iniquo e sadico" il modo di gestire luoghi come questi che, lungi dall'assolvere alle funzioni di assistenza, cura, educazione, integrazione nella società ecc..., spesso erano dei veri e propri inferni, nei quali si consumavano abusi, ingiustizie e umiliazioni e dai quali difficilmente si usciva.


I RAGAZZI DI VILLA GIARDINI.
Il manicomio dei bambini a Modena
di Paolo Tortella



Compagnia editoriale Aliberti
E.Becchi (curatore)
141 pp


Paolo Tortella non ha ancora venti anni quando, nel 1970,  viene assunto prima come vigilante e poi come insegnante a Villa Giardini, l'istituto medico psicopedagogico di Casinalbo di Formigine, poco distante da Modena, che accoglie bambini e ragazzi subnormali provenienti da tutta Italia.

È pieno di entusiasmo il neodiplomato, ha voglia di mettere a frutto le proprie conoscenze pedagogiche, immagina di poter attuare strategie educative efficaci, innovative, sulla scia dell'esempio di don Milani..., ma quando mette piede nella struttura la realtà gli viene sbattuta in faccia con violenza, crudezza e con un sapore di ineluttabilità che accompagnerà tutta la sua esperienza lì dentro.

La realtà vissuta a Villa Giardini è terribile, infernale: vengono ospitati circa quattrocento minori (i più piccoli hanno sei anni) che vivono una quotidianità fatta di solitudine, mancanza di affetto ed empatia, di assistenza e cure (e per il corpo e per la psiche), di soprusi, punizioni, botte, tentativi di sopravvivenza a colpi di pugni e risse, scarsità di cibo, di igiene, zero attività educative, ricreative, religiose...

Ma dove diavolo sono finito?, si chiede costernato Paolo. Che razza di posto è questo? Se è un istituto medico... dove sono i medici?? Se è "psico-pedagogico", dove sono gli psicologi, gli educatori, i maestri preparati? 

Da subito, Paolo viene avvertito su come funzionano lì le cose, su che tipo di rapporto c'è con i pazienti, o meglio: non c'è un vero rapporto con i ragazzi, visto che non li si tiene impegnati in alcun modo; ciondolano, ammassati, in posti troppo piccoli per loro, li si porta dalle stanze al refettorio e viceversa e guai se creano disordini nel tragitto, vengono sadicamente incoraggiati a picchiarsi, per poi essere puntualmente puniti (prendono botte, calci, manganellate...), finendo in infermeria, dove vengono imbottiti di sedativi, così da tenerli buoni e docili per un po'.

Paolo è sconvolto e arrabbiato: lui non ci sta, non vuole essere complice di una gestione vergognosa come questa, e comincia a manifestare dissenso e malumore, a partire dalle riunioni sindacali, attirandosi addosso le ire del direttore e le antipatie di capi-reparto e colleghi vigilanti.

Se lavori a Villa Giardini, devi assecondarne e far tuoi i "metodi (dis)educativi", che contemplano principalmente le percosse fisiche, le punizioni, i maltrattamenti a ogni ora del giorno e della notte.

Potrei descrivervi alcuni episodi specifici ma ovviamente vi invito a leggere il libro: è doloroso e fa indignare apprendere, e quindi immaginare, cosa accadeva tra quelle mura, quale fosse l'orribile quotidianità dei fragili ospiti dell'ospedale, abbandonati dalle famiglie e maltrattati da chi avrebbe dovuto prendersene cura.

Paolo, come dicevo, prova a ribellarsi a questa situazione e a fare il proprio lavoro, soprattutto quando finalmente può insegnare alla sua classe, ai suoi ragazzi.

Rigettando in toto i metodi punitivi vigenti, Paolo vuole che i giovani pazienti imparino cosa c'è al di là del filo spinato che circonda il manicomio, e così ottiene di portarne fuori alcuni col pulmino, affinché respirino un'aria ben diversa e osservino il mondo fuori con i propri occhi.
Questi ragazzi hanno bisogno non di botte e medicine che li stordiscano, bensì di socializzare, di fare apprendimenti utili, concreti, che li avvicinino alla società, invece di alienarli.

E purtroppo questo si scontra con la concezione che si ha - ricordo che siamo agli inizi degli anni '70, la famosa legge Basaglia, che porrà termine ai manicomi, è del '78 - della malattia mentale e, quindi, dei "matti" quali individui pericolosi, ingestibili, di cui la famiglia e la società si vergognano e che vanno "nascosti", rinchiusi in strutture da cui non devono uscire (non tanto facilmente, almeno) perché non c'è posto per loro nella comunità sociale.

Paolo, invece, si rende conto di come questi ragazzi abbiano bisogno di "attimi di ordinaria semplicità" per poter rendere nullo il "vincolo cieco e fasullo del pregiudizio".

"...non erano diversi da noi. Erano disorientati, provenivano da contesti famigliari assenti o complicati."

Se l'istituto li aveva portati lontani dalle famiglie e da ogni riferimento al reale, nel tempo in cui lavora a Villa Giardini, Paolo cerca di aiutarli a riappropriarsi di ciò che era stato loro sottratto, a partire dalla loro identità, e lo fa con la consapevolezza di come questo dia enormemente fastidio a colleghi e superiori, tanto da rischiare biasimo e licenziamento più di una volta.

Ma la sua coscienza di giovane uomo con dei valori e di maestro convinto della propria "missione educativa", fa sì che si opponga agli equilibri ingiusti e violenti che da sempre avevano caratterizzato la vita dell’istituto, senza farsi fermare dalla paura (che comunque c'era).

È per questo che non si tira indietro quando si tratta di denunciare ciò che ha vissuto ed esperito con tutti i sensi: riferisce a chi di dovere delle cinghiate, delle sconvolgenti e disumane "abitudini" verso i più piccoli (ad es., lo scotch sulla bocca tutta la notte), del fetore insopportabile presente nei padiglioni in cui i pazienti dormivano assieme ai vigilanti, dei pianti, del (poco) cibo avariato..., insomma ce ne sono di cose da dire e Paolo parla, racconta e infine scrive questo libro-testimonianza in cui fa conoscere le ingiustizie e gli abusi perpetrati a Villa Giardini.

Sull'operato del direttore e di parte del personale verranno avviate inchieste e fatte indagini da parte della Magistratura, fino ad arrivare alla chiusura dell'ospedale (nel 1972) in quanto assolutamente non idoneo ad assolvere alla sua funzione.

Paolo ricorda quel periodo ed esprime pensieri, sentimenti, speranze, anche nostalgie al pensiero di quale possa essere stato il futuro dei suoi ragazzi.

"Mi chiedevo se li avrei mai rivisti. Per loro ci sarebbe stato un futuro più clemente, più alla portata di ragazzi quali erano, non diversi da tanti altri, con i loro pregi e le loro mancanze? Avrebbero mai trovato la libertà di vivere con innocenza e spensieratezza, come avrebbe dovuto essere? Avrebbero mai sperato di poter uscire un giorno all’aria aperta, e vivere l’esistenza che li attendeva?"

Ho provato, leggendo, grande ammirazione per Paolo e per chi, come lui, ha avuto il coraggio - fatto non scontato - di ribellarsi a uno status quo deplorevole, inumano, non etico; egli avrebbe potuto - giovane com'era - cercarsi un'altra occupazione e, sentendosi impotente davanti a una realtà che era difficile da cambiare perché ormai radicata da tempo, arrendersi, evitando di combattere contro chi comandava e attirarsi inimicizie. E invece non ha abbassato il capo ma ha dato senso e valore al proprio compito di educatore e maestro, rispettando i suoi alunni in quanto persone: non pezzi di carne da lasciare inattivi in cortile o nelle stanze, dimenticati, soli e sofferenti, ma esseri umani da aiutare, educare, amare.

In appendice c'è la ricostruzione storica delle vicende che hanno coinvolto l'istituto Villa Giardini, corredata dagli articoli di giornale usciti in quegli anni.

È uno di quei testi da leggere per conoscere in che condizioni vivevano le persone affette da patologie psichiatriche rinchiuse nei manicomi, per riflettere sui pregiudizi e lo stigma sociale che da sempre (anche oggi!) le circonda, oltre che sulla necessità di aiutare le famiglie che si trovano a dover gestire da soli uno o più famigliari con problemi psichiatrici più o meno gravi, e che non sempre ricevono sufficiente supporto dallo Stato.


martedì 25 luglio 2023

RECENSIONE ❤️ PER AMORE DI BRIGGS di Tess Thompson




Lui è cresciuto con la convinzione di essere un artista mediocre, superficiale, un buono a nulla che non combinerà mai niente di bello in nessun ambito, compreso in quello sentimentale.
Lei è una ragazza timida, reduce da una doppia cocente delusione (in amore e in amicizia) e con scarsa autostima, convinta anch'ella di poter aspirare a ben poco nella vita. 

L'amore li farà incontrare e forse potrebbe guarire i loro cuori feriti.



PER AMORE DI BRIGGS
(Il sensale misterioso di Ella Pointe Vol. 3)
di Tess Thompson



Trad. Isabella Nanni
275 pp
"L'amore è l'unica risposta a ciò che ci perseguita".

Nel precedente volume abbiamo assistito alla nascita dell'amore tra Benedict Tutheridge e la sua segretaria Amelia; adesso è la volta di Briggs.

Briggs, a differenza di Benedict, è un giovanotto sempre allegro, un buontempone che ha trascorso parte della giovinezza (dopo essere stato cacciato di casa dal padre) ricercando divertimenti, impiegando il tempo a bere e in compagnia di svariate donne. 
Oltre a dipingere, certo.

Sua madre desidera dare una spinta a questo figlio un po' scapestrato perché metta la testa a posto, e così si rivolge nuovamente alla signora Mantle di Boston affinché mandi la fanciulla adatta, con i requisiti giusti per conquistare Briggs.

Miss Mantle, con quell'infallibile fiuto che la spinge a capire le persone già da pochi sguardi e scambiando poche parole, non fa fatica a vedere in quella ragazza sola e triste, che in un museo guarda con aria rapita un'opera d'arte, una possibile "metà della mela" per Briggs.

La ragazza in questione è Faith Fidget ed è davvero bisognosa di un cambiamento: deve solo rendersene conto.

Tradita dal fidanzato Lionel (che sta per sposarsi con Mable, la sua migliore amica), Faith è affranta, delusa e amareggiata.

Vorrebbe fuggire, sì...  ma per andare dove e a far cosa?

Non è mai stata intraprendente e poi non potrebbe mai abbandonare suo padre, proprietario di una panetteria a Boston;  abbandonato dalla moglie tanti anni prima, l'uomo ha cresciuto con amore e dedizione la sua unica figlia, e proprio perché la ama, quando viene a sapere che alla ragazza è stato offerto un impiego (come assistente di un pittore) nella lontana ma incantevole Whale Island, la incoraggia a buttarsi in questa avventura.

Quale migliore occasione per riprendersi dal dolore per un matrimonio mancato e un'amicizia distrutta dal tradimento più perfido, così da riacquistare fiducia in se stessa?

Seppur titubante, Faith accetta il lavoro e va ad Ella Pointe, nella bella e calorosa dimora dei Tutheridge.

Se la giovane donna si era immaginata un artista matto con il capello spettinato e lo sguardo da invasato, il pittore a sua volta si aspettava di vedere comparire un' assistente di mezza età con i peli sul mento e poco avvenente.

Resteranno entrambi piacevolmente smentiti.

Briggs e Faith restano colpiti l'uno dall'altra, a cominciare dall'aspetto fisico, ma se Briggs è consapevole di essere bello, seducente, simpatico e solare, Faith è meno conscia del proprio potenziale: si vede piccola, magra, insignificante con quei capelli scialbi e sottili e la sua aria seriosa e austera.

All'inizio non sarà facile per loro interagire, perché l'imbarazzo e la paura di sbagliare e offendere l'altro avranno la meglio, bloccandoli e rendendoli timidi e incerti.

Come già nel precedente romanzo, anche in questo l'autrice dà rilevanza all'aspetto psicologico ed emotivo, lasciandoci conoscere in profondità i caratteri dei due protagonisti, le insicurezze, le fragilità, la bassa autostima generata dalle persone sbagliate incontrate nella vita.

Faith crede di essere priva di attrattive a causa del tradimento di Lionel, che le ha preferito l'amica; Briggs si ritiene indegno di ricevere amore e rispetto perché la crudele voce di suo padre gli risuona nel cervello ricordandogli percosse, insulti, minacce e punizioni subite.

Faith e Briggs: due anime gentili e buone, ferite dall'insensibilità di chi non è stato in grado di amarli, proteggerli e rispettarli.

Mentre i due sondano il terreno imparando a conoscersi e ad apprezzarsi, ricordiamo che c'è un assassino ancora in giro sull'isola.

Chi ha ucciso l'odiato Roland Tutheridge? 
In tanti avevano delle ragioni per volerlo morto, ma il colpevole è uno e finora l'ha fatta franca.

Lo sceriffo sembra essere orientato a sospettare di Hudson (il fratello n. 3, che tra queste pagine quasi non compare) ma nella seconda parte del libro veniamo coinvolti in vicende più avventurose che ci avvicinano  man mano alla verità.

Purtroppo altri delitti verranno commessi e l'identità della mano che ha sparato a Tutheridge verrà svelata portando dolore e sgomento, ma anche una inevitabile pace, perché finalmente la verità è emersa e, da quel momento in poi, tutti potranno voltare pagina.

Anche questo romance della serie è piacevole e carino, con la doppia prospettiva narrativa, il romanticismo dolce e pulito, l'importanza data ai rapporti familiari - sinonimo di sostegno e aiuto - e il tocco giallo che è più presente che nei precedenti volumi.
Inoltre, l'autrice sa come fare innamorare il lettore della "sua" isola, con i suoi paesaggi splendidi e quell'atmosfera di serenità che si respira (nonostante l'ombra del delitto).

Ideale per chi è alla ricerca di una lettura leggera e sentimentale.

sabato 22 luglio 2023

[[ SEGNALAZIONI EDITORIALI ]] giallo, narrativa, poesia

 

Buon pomeriggio, cari lettori!

Oggi ci sono delle segnalazioni; si tratta di testi appartenenti a differenti generi letterari, spero possano interessarvi e costituire dei suggerimenti di lettura, magari da portare con voi in vacanza.


Partiamo dalla prima opera: è una silloge pubblicata per una realtà editoriale modenese

NAUFRAGI DI PAESAGGI INTERNI – FRAMMENTI di Andrea Ravazzini (Gruppo Edizioni Sigem, 132 pp).


Indelebilmente posata nel corso di lunghi anni dalle forme mutevoli, la parola viva e lucente ha sorvolato densi paesaggi interiori, maree polifoniche, radure adombrate, in un farsi e disfarsi ininterrotto a cavallo della trama frastagliata in cui si dipana lento, lento, il silente cammino in cui naufraga - di attimo in attimo - il destino fugace del canto del tempo.
I frammenti raccolti nel corso di quest’opera ne sono una voce singolare, insatura, che narra una semplice storia contornata da un inizio e da una fine irripetibilmente mai tali, ma adornata di sguardi velati che si librano su ali d’altrove.

L'autore.
Andrea Ravazzini vive tra Modena e Corlo, una frazione del Comune di Formigine(MO).
Da sempre appassionato di letteratura, avido lettore e instancabile viandante nel mondo dei libri, lavora per il Centro di Solidarietà di Reggio Emilia Onlus, sul territorio reggiano, nell’area Dipendenze Patologiche, in una struttura residenziale.
Ha pubblicato nel 2022 un saggio di tipo psicologico sulle dipendenze patologiche (“Addiction. Attaccamento, disconnessioni e fattori evolutivo-relazionali”, casa editrice Kimerik, Patti) ed è in fase di lavorazione presso la stessa casa editrice in vista di una prossima pubblicazione un saggio sui disturbi alimentari maschili.
A livello locale ha collaborato con contributi personali ad alcune opere autoedite dell’artista modenese Gianni Martini
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Proseguiamo con una saga famigliare: 

LA GIOSTRA DELLA VITA di Lisa Beneventi (Nua Edizioni, 515 pp, 18 euro).

È la storia della famiglia Colombo che vive nelle terre emiliane, lungo le rive del Po; sullo sfondo la

storia del Regno d’Italia e della Repubblica italiana fino al secondo dopoguerra e agli anni del boom economico.
Nelle pagine di questa saga familiare la vita quotidiana di quattro generazioni si intreccia con storie e fatti straordinari, successi e fallimenti, lotte, guerre e rappresaglie.
Tra alti e bassi, ricchezza e povertà, indifferenza verso i fatti politici o di partecipazione attiva in un 
campo o nell’altro, i personaggi si muovono su piani diversi, su e giù, proprio come sui cavalli di una giostra, trascinati da eventi più grandi di loro.


Notizie biografiche
Nata a Reggio Emilia, Lisa Beneventi vive e lavora tra Quattro Castella in Val Pusteria. Felicemente sposata, ha tre figli e due nipoti. Ama la montagna, l’opera lirica, la pittura astratta. Il suo hobby: creare gioielli.
È stata docente di lingua francese nei licei della sua città e formatrice in corsi di aggiornamento di docenti di scuola secondaria su incarico del Ministero dell’Educazione.
È autrice di numerosi corsi multimediali di lingua francese, grammatiche e storie della letteratura per le scuole superiori, pubblicati con la Editrice Zanichelli. Spinta dal desiderio di rinnovarsi e di scoprire nuovi modi di espressione è stata, in tempi più recenti, prepotentemente attratta dalla pittura, sua antica passione, che l’ha portata a raggiungere risultati importanti e a partecipare a mostre personali e collettive in Italia e all’estero (Parigi, Londra, Praga, Rotterdam, San Pietroburgo, Svezia). Per la sua attività artistica ha ricevuto la medaglia di bronzo del Senato della Repubblica italiana. Non ha mai abbandonato l’interesse per la scrittura creativa. Negli ultimi anni, tale interesse si è concretizzato nella stesura del suo primo romanzo "Noi siamo come le farfalle"
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Il terzo libro ha come tema... l'aviazione!

MAI SCESI DEL TUTTO di Sergio Barlocchetti  (TraccePerLaMeta Edizioni, 302 pp).

...Così questo libro è dedicato anche a tutti quelli che nella vita hanno avuto tanti grandi amori, ma una sola vera sposa: l’aviazione. In tutto questo, come una fedele compagna che non si può tradire, come una fonte di nutrimento dello spirito libero che è in ognuno di noi, l’aviazione è sempre presente, parte di noi come noi di lei e del cielo. La nostra vita di uomini volanti è immersa nel suo fluido magico che trasforma l’aria in qualcosa di concreto in grado di sollevarci. Basta così, voltate pagina, allacciate le cinture che si comincia.
(dall’introduzione dell’Autore)





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Proseguiamo con un giallo non cruento ma a tratti divertente, dove il dialetto milanese accompagna tutta la storia.


TIRA MÒLLA E MÈSSEDA. Le indagini del Bar William di Paola Varelli (Todaro Ed., 200 pp)


«Tira mòlla e messèda» è un'espressione dialettale milanese che ha un significato simile a “gira che ti
rigira”, intendendo il perdere tempo e girarci intorno. 
Ed è proprio “girandoci intorno” che il virile gommista Mario e l'idraulico Pino, aiutati da Eddy la buttafuori e Viliam il barista, risolveranno l'enigma di un'audiocassetta misteriosa e incomprensibile, recapitata in forma anonima. 
Fa da sfondo a questo romanzo una Milano anni '80, il quartiere del "Borgh di Ortolan" (zona Sarpi) e un bar sui generis, dove i nostri stravaganti investigatori si concedono innumerevoli “biciclette”, aperitivo d'Antan, mentre cercano di fare chiarezza sugli eventi e salvare una persona in pericolo.



venerdì 21 luglio 2023

RECENSIONE > DELITTO AL CONDOMINIO MAGNOLIA di Maria Cristina Buoso



Un anziano maestro, da tutti conosciuto come una persona mite e solitaria, viene trovato morto in casa proprio, con il corpo trafitto da numerose coltellate.
A chi appartiene la mano assassina? Chi poteva avere motivo per volerlo morto?



DELITTO AL CONDOMINIO MAGNOLIA
di Maria Cristina Buoso


Ed. PlaceBook Pub.
Collana: Città in Giallo – Padova 1
116 pp

È ancora notte quando Caterina Angeli - commissario capo in pensione da poche settimane - viene svegliata dalle sirene della polizia: nel condominio Magnolia dev'essere accaduto qualcosa di grave, ma lei non è più in servizio, per cui non ritiene opportuno attivarsi per chiamare in centrale.

Il mattino successivo, mentre fa colazione in un delizioso locale, apprende che c'è stato un omicidio, proprio nel condominio: un uomo 
di settant'anni, Ernesto Ludi, maestro di scuola in pensione, è stato assassinato con ben 14 coltellate.

L'attuale commissario capo Claudia Trini, dirigente della Prima Sezione della Squadra Mobile della Questura di Padova e amica di Caterina, la contatta per farsi aiutare nelle indagini, che da subito si presentano non semplici in quanto non sembra ci siano piste utili da seguire.

La vittima viveva da solo: vedovo, senza figli, aveva vissuto una vita dedicata all'insegnamento e, da pensionato, si limitava a dare qualche lezione privata; tutti i vicini e i conoscenti lo indicano come una persona a modo, gentile, sempre sulle sue e con l'unico passatempo di guardare i ragazzini giocare al parco.
Caterina e Claudia cominciano a indagare nella vita del morto: dev'esserci per forza qualcosa che permetta di capire chi potesse odiarlo tanto da ucciderlo!

E se dietro quella maschera di rispettabilità si fosse celata una persona non proprio limpida?
Interrogando i parenti, le due donne scoprono che Ernesto era detestato da tutti loro e che nessuno ne piange l'assenza.
Anzi.

Il fratello della moglie del Ludi non lo aveva mai sopportato: non solo riteneva che il maestro fosse un individuo senza qualità, ma soprattutto ha condotto un tipo di esistenza raminga che sicuramente ha reso infelice la sorella: la coppia, infatti, con la scusa del lavoro di lui, ha sempre cambiato città, in un susseguirsi inconcepibile di trasferimenti da un posto all'altro, da un istituto all'altro.

Ma perché questa assurda e scomoda esigenza di lasciare il posto di lavoro per andarsene altrove?
Perché non mettere radici in una località e basta, e vivere così  tranquilli, nella stabilità?
Cosa spingeva Ludi a non voler restare nella stessa scuola?
Non voleva... o non poteva?
Forse è qui il nocciolo del problema e rispondere a un tale quesito potrebbe essere la strada giusta per la polizia, per capirci qualcosa in quello che pare essere un omicidio senza capo né coda.

Caterina viene anche a sapere che Ludi aveva un fratello ma i due non avevano alcun rapporto.
Come mai? Se nessun famigliare tollerava il maestro, evidentemente questi tanto buono e bravo non doveva essere!

Scava e scava, come una diligente squadra di archeologi, Claudia e i suoi uomini, supportati dall'intuito e dall'esperienza di Caterina, cominciano pian piano a grattare la superficie e a vedere che qualche scheletro nell'armadio il maestro l'aveva eccome...

Ciò che scopriranno le turberà perché dovranno scontrarsi con le storie di altre persone che hanno sofferto e stanno ancora soffrendo per qualcosa di cui Ernesto è responsabile.
Forse le sue azioni gli si sono rivoltate contro come un boomerang?

Tra chiacchierate informali con chi sa qualcosa, appostamenti e i giusti collegamenti tra persone e fatti, Caterina aiuterà Claudia a districare ogni nodo, grazie alla sua empatia nell'entrare in contatto con le persone da interrogare, nel comprenderne le azioni senza emettere sentenze affrettate, nel condividerne le sofferenze..., fino ad arrivare a prendere decisioni difficili, forse anche moralmente discutibili, ma che in quel momento la sua coscienza le impone di adottare.

Questo breve e scorrevole romanzo di Maria Cristina Buoso presenta gli elementi del giallo classico (già la copertina vintage ce lo suggerisce): c'è un cadavere sin dalle prime pagine; parte un'indagine, con cui si cercano le cause, il movente che ha portato il colpevole (o i colpevoli) a macchiarsi di un delitto; vi è la polizia che porta avanti le indagini ufficiali ma c'è anche la protagonista - che procede in via ufficiosa, mettendo in campo competenza, esperienze, "fiuto" e istinto - che dà un contributo fondamentale e risolutivo al mistero. 
Ad accendere la lampadina a colei che risolverà il caso è un film, che a sua volta si ispira a un celebre giallo. Non dico altro per non svelare nulla -_^

È un romanzo che si legge velocemente, semplice e immediato nel linguaggio, ideale per intrattenere in queste giornate in cui si ha voglia di letture piacevoli e che ci regalino momenti di svago.

giovedì 20 luglio 2023

[[ SERIE TV & PODCAST - Parliamone ]]



Salve, cari lettori!

Il post di oggi non ha a che vedere col mondo dei libri, bensì con serie tv e podcast.

Parto da quest'ultima categoria per consigliarvene un paio ascoltati di recente.
Entrambi hanno a che fare con casi di cronaca molto noti: l'omicidio, tutt'oggi irrisolto, di Simonetta Cesaroni negli uffici di via Carlo Poma 2, a Roma, e il caso del Forteto.

  • LE OMBRE DI VIA POMA 

E' un podcast di HuffPost Italia che comprende 8 episodi; ricostruisce e ripercorre le fasi fondamentali
del "giallo di via Poma", che in oltre trent'anni ha visto susseguirsi una sfilza infinita di bugie, errori e depistaggi, che non hanno fatto altro che allontanare sempre più dalla verità.
Gli episodi partono dal racconto di quella fatidica notte del 7 agosto 1990, quando nell’ufficio del comitato regionale per il Lazio degli Ostelli della gioventù in via Poma a Roma, viene trovato il cadavere di Simonetta Cesaroni, colpito da 29 coltellate.
Ci si sofferma, nei successivi episodi, sulle diverse persone che via via sono state indagate e imputate (poi prosciolte), dal portiere Pietrino Vanacore (morto suicida nel 2010 in circostanze quanto meno dubbie; tre giorni dopo avrebbe dovuto deporre al processo contro Busco) a Federico Valle, nipote di Cesare Valle, l’architetto presso cui Vanacore aveva trascorso la notte tra il 7 e l’8 agosto. 
Federico venne indagato in seguito alle assurde dichiarazioni fatte agli inquirenti nel 1992 da un certo Roland Voller, un truffatore austriaco; vent'anni dopo l'omicidio, è toccato a Raniero Busco (il fidanzato di Simonetta), che viene prima condannato a 24 anni ma poi definitivamente assolto.

Ad oggi, non è stato mai individuato l'assassino (o gli assassini) della povera Simonetta, ma una cosa è certa: le indagini sono state condotte malissimo da subito, gli indizi trascurati sono stati troppi, come ad esempio una traccia di sangue, vicina a quello della vittima, ignorata che avrebbe potuto "dire" molto sulla mano assassina.

Un podcast scorrevole, chiaro e interessante, da ascoltare se si vuol ripercorrere le tappe salienti di questo cold case italiano.

  • L'ISOLA CHE NON C'ERA. La favola nera del Forteto

Questo podcast consta anch'esso di otto episodi e racconta ciò che accadde per decenni nella comunità denominata Il Forteto.

Era il 1977 quanto un certo Rodolfo Fiesoli fondava sulle colline del Mugello, alle porte di Firenze, la cooperativa agricola "Il Forteto": un posto bellissimo, immerso nella natura che attrae da subito moltissimi giovani per il modo di vivere comunitario, lontano dalla società moderna.

Ma cos'è esattamente il Forteto? 
Nata come una cooperativa agricola che vive dei prodotti della terra grazie alle vendite porta a porta, col tempo il suo fondatore, dall'innegabile capacità persuasiva (o meglio, manipolatoria), ne fa una comunità sociale, che arriverà ad accogliere bambini in affidamento, provenienti da realtà famigliari disfunzionali, problematiche. Ma ed essere disfunzionale, in realtà, è il tipo di "famiglia" concepita dal Fiesoli, che poi famiglia non è perché egli "predicava" lo scioglimento dei legami famigliari, ritenuti inutili, se non dannosi, per l'individuo e la comunità, e condannava la famiglia tradizionale composta da mamma-papà-figlio.

Se comincerete ad ascoltare questo podcast, verrete immediatamente risucchiati dalla storia narrata dalla voce di Marco Maisano che, in modo intenso, coinvolgente e pulito, illustra, di capitolo in capitolo, le losche caratteristiche del Forteto, al cui interno si verificavano abusi (psicologici, fisici sessuali) tanto nei confronti degli adulti che vi erano entrati volontariamente (e che hanno faticato ad allontanarsene, plagiati com'erano dal loro falso profeta) quanto verso i minori che, purtroppo, il Tribunale per i Minorenni di Firenze affidava alle cure di Fiesoli e collaboratori.

La cosa che vi stupirà apprendere, e che fa sorgere tanta rabbia, è che fino al 2011 la politica, la magistratura, gli assistenti sociali e molti altri, hanno elogiato l'operato del Forteto e del suo fondatore, e questo nonostante questi e il suo braccio destro (Luigi Goffredi) fossero già stati condannati nel 1985 per atti di libidine, corruzione ecc.

Non si capisce come sia stato possibile che il Tribunale e i servizi sociali abbiano continuato a mandare  nella cooperativa dei poveri ragazzini che purtroppo hanno subito in prima persona gli abusi del “Profeta“, le sue bugie e le sue manipolazioni. 
Fiesoli agisce impunito, con la tranquilla certezza che nessuno gli va a chiedere conto di come gestisce il Forteto, di cosa accade al suo interno: è convinto di non poter essere fermato da nessuno ed è ciò che effettivamente accade, visto che per anni nessuno andrà mai a bussare alla porta della sua cooperativa.

La storia del Forteto è definibile come un vero e proprio cortocircuito sociale che per quasi quarant'anni ha permesso all'inferno di sembrare il paradiso; si dà voce ad alcuni degli adulti che vi sono entrati perché lo volevano, che si sono sottomessi alla volontà e ai capricci del profeta, e anche a ragazzi che, in quanto minorenni, anni prima erano stati inviati lì per essere aiutati.
La storia del Forteto ci ricorda che in tanti - in politica, a livello istituzionale - sapevano ma non hanno fatto assolutamente niente.

Da ascoltare, sono fatti drammatici che, davvero, fanno indignare non poco!!


SERIE TV

La serie su cui desidero soffermarmi è TREDICI (13 reasons why), tratta dal romanzo di Jay Asher e con Dylan Minnette, Katherine Langford, Brandon Flynn, Christian Navarro, Alisha Boe, Justin Prentice, Miles Heizer, Ross Butler, Devin Druid, Amy Hargreaves.

La serie è un teen drama che ruota attorno ai problemi di un gruppo di adolescente, tutti studenti della Liberty High School; il numero 13 fa riferimento alle 13 ragioni che hanno spinto la giovanissima Hannah Baker al suicidio.

Il protagonista assoluto della serie è il suo compagno di scuola Clay Jensen, che - dopo poco tempo la tragica morte della ragazza - si vede recapitare un pacchetto con dentro delle cassette.
Comincia ad ascoltarle e la voce narrante appartiene proprio ad Hannah: in esse sono elencate le motivazioni che l'hanno spinta a compiere il terribile gesto.

Nella prima stagione tutto gira attorno alle
.

cassette; ogni cassetta è dedicata a un/a compagno/a che, in qualche modo, ha a che fare con il malessere emotivo e psicologico provato da Hannah; nell'ascoltarle, Clay - che aveva una cotta per lei ma, per timidezza, non è mai stato in grado di dichiararsi apertamente  e quando sembrava stesse per avvicinarsi, tutto è scoppiato in una bolla di sapone - apprende cose di cui era all'oscuro e che riguardano alcuni dei ragazzi della Liberty: Justin Foley, il primo ragazzo che Hannah ha baciato e che purtroppo le ha mancato di rispetto lasciando che girasse una foto "fraintendibile" su Hannah, da cui sono partite una serie di insulti e maldicenze, che hanno dipinto la ragazza come una facile.
La suicida parla anche di Jessica Davis, sua grande amica, dalla quale però si è sentita tradita, e poi Alex, Courtney, Tyler, Bryce, Zack, Ryan...: tanti sono gli studenti citati da Hannah e da lei "portati in giudizio" per aver dato un contributo - chi più, chi meno - affinchè lei si sentisse sola, presa ingiustamente di mira, umiliata, bullizzata, tanto da star male e da decidere di tagliarsi le vene.

Clay anche è nelle cassette, seppur con un ruolo e un peso differenti, e anche se non le ha fatto del male, non ha fatto nulla per "salvarla", per farla sentire amata e supportata. 

Andando avanti nell'ascolto di ogni cassetta, Clay riesce a riordinare cronologicamente tutta la storia di Hannah e, nell'individuare le persone coinvolte nella tragedia e le loro colpe - singole e di gruppo -, comincia a infilarsi sempre più in una storia che diventa un'ossessione, un pensiero fisso che lo martella, gli dà incubi, allucinazioni..., insomma ne è dentro, troppo dentro, e più ascolta la straziante confessione di Hannah, più ne è dilaniato emotivamente e psicologicamente, provando più sensi di colpa di quelli che gli spetterebbe provare.

A supportarlo c'è, però, Tony Padilla, amico di Hannah, che da lei ha ricevuto l'incarico di assicurarsi che tutti i destinatari ricevano le cassette.

Come vi dicevo, nella prima stagione si va di cassetta in cassetta, per cui i flashback si mescolano col presente e noi conosciamo Hannah, la sua vita, la sua personalità, le insicurezze, la voglia di essere apprezzata, corteggiata, di confidarsi, e iniziamo a renderci conto di come la Liberty High sia una scuola sì all'avanguardia e con numerose attività e iniziative per i gli studenti, ma come allo stesso tempo non li tuteli davvero.

Il preside Bowen è di un superficiale all'inverosimile, a lui interessa che tutto proceda con ordine, disciplina e che non si creino disordini che minino la sua persona; il counselor dell'istituto, Porter, è un brav'uomo e ci prova ad essere empatico con i ragazzi, ma purtroppo non fa del suo meglio e anch'egli figura tra coloro che avrebbero potuto aiutare concretamente Hannah Baker... ma non l'hanno fatto.

Dalle cassette verranno fuori situazioni incresciose, che vanno dal bullismo (prese in giro, insulti terribili scritti ovunque, foto private - potenzialmente inappropriate - fatte circolare per tutta la scuola, percosse...) alle violenze sessuali, il che vuol dire che ci sono ragazzi che hanno commesso dei reati e non certo delle semplici bravate.

La famiglia di Hannah, intanto, denuncia la scuola perché si prenda le proprie responsabilità circa ciò che è successo alla loro figliola.

La seconda stagione, infatti, comprende il processo alla Liberty, per cui l'accusa e la difesa chiamano a testimoniare adulti e studenti, cercando ciascuno di dimostrare la propria tesi, che verte in pratica attorno alla domanda: a scuola, professori, preside, psicologo e anche i compagni, avrebbero potuto accorgersi delle difficoltà e sofferenze di Hannah così da ascoltarne il muto grido d'aiuto, fermare il bullismo e quindi prevenire il gesto suicida?

Ovviamente, più si va avanti nello scavare nei comportamenti di tutti e più emergono i segreti torbidi di ciascuno, la stessa Hannah non aveva detto tante cose di sé neanche ai genitori o a Clay, con cui comunque erano molto amici.

Fino alla seconda stagione, devo dire che mi sono sentita altamente coinvolta dalle drammatiche vicende dei ragazzi, provando una gamma di stati d'animo ed emozioni, dalla rabbia alla commozione al dispiacere; la trama si fa più complicata quando emerge che non è solo Hanna, ovviamente, ad essere stata vittima della condotta deprecabile sempre dello stesso gruppetto di ragazzi, che - guarda caso - appartengono alla squadra di football, per cui si spalleggiano e si difendono come se fossero una organizzazione criminale fondata su legami inossidabili.

In pratica, ci sono state diverse ragazze stuprate - alcune in stato di ubriachezza, per cui non ricordano nulla - e, per quanto ad essere coinvolti sono diversi studenti - l'unico colpevole è uno di essi, che poi è tra i ragazzi più in vista ed influenti, figlio di papà, ricco, con una grande disponibilità di soldi e di droga.

Andando avanti con la terza stagione - dove ormai il processo è finito - ci si concentra man mano su ciascuno dei ragazzi nominati nelle cassette che, col tempo, hanno legato, formando un gruppetto di amici sempre pronti a difendersi, a guardarsi le spalle, ad aiutarsi nel momento del bisogno: Clay, Tony, Justin (che si avvicina molto a Jensen e famiglia, non avendone una sua, purtroppo), Jessica, Tyler (pure lui povera vittima di una violenza assurda, ad opera di uno studente noto per i suoi comportamenti aggressivi, da bullo), Alex, Zack..., a volte litigheranno, se le daranno e diranno di ogni ma ci sarà sempre un doppio filo a legarli.

Un filo fatto di menzogne, complicità in reati, occultamenti di prove..., insomma da teen drama Tredici si trasforma, nella terza stagione, in una sorta di thriller psicologico in quanto ci sarà un omicidio e i sospettati saranno praticamente tutti i componenti del gruppo di amici di Clay (dalla terza si aggiunge Ani, una ragazza bella e sveglia che, almeno inizialmente, mi starà un po' sulle scatole perché  è un'impicciona di prima categoria!! Sta sempre a origliare e a farsi i fatti altrui, ma si guarda bene dal dire i propri, e infatti pure lei ha i suoi scheletri nell'armadio), Clay compreso.

Ecco, parliamo di Clay.
All'inizio, lo si ama perché è il classico bravo ragazzo che non potrebbe far del male a nessuno; certo, ha qualche "problemino" a livello emotivo, e quando comincia ad occuparsi del "caso Hannah" per svelarne ogni aspetto, l'equilibrio psichico traballa; ma di stagione in stagione, esce proprio fuori di capoccia!! Allucinazioni, paranoie e tanto altro che non sto a dire per non spoilerare, roba che me l'ha reso onestamente un po' stancante come personaggio, patetico e pesante.

Però alla fine gli si vuol bene e mi è dispiaciuto vederlo sbroccare una puntata sì e l'altra pure; fortunatamente, ha una famiglia che lo sostiene e anche i suoi amici - Justin e Tony in particolare - gli daranno una grande mano quando sarà in serie difficoltà.

La serie termina con la quarta stagione, che forse è quella che ci poteva essere risparmiata.
A dire il vero, già dalla metà della terza ho pensato: la stanno tirando con le pinze, sforzandosi di mettere troppa carne sul fuoco, di creare intrallazzi che però hanno finito per rendere le vicende surreali e poco appassionanti.

Tanto per capirci: la scuola è dipinta come un covo di delinquenti, bulli e stupratori che gli adulti non puniscono più di tanto; spesso mi sono ritrovata a chiedermi se non fosse decisamente esagerato il ritratto che ne viene fuori di 'sti ragazzi, che sono un concentrato di problemi: li hanno tutti loro, santa pace.

Io ho continuato a guardarla perchè ormai volevo sapere come sarebbe finita e anche perché mi ero affezionata ai ragazzi; devo dire anche, comunque, che verso la fine della quarta gli sceneggiatori mi hanno dato la mazzata finale rifilandomi un lutto straziante, che mi ha commossa fino alle lacrime, per cui li perdono per aver allungato il brodo.

Concludo.
È una serie che tratta tematiche serie e importanti: bullismo, violenze domestiche, stupri, tossicodipendenza, omosessualità e discriminazione, la responsabilità degli adulti - spesso assenti, distratti - e il loro essere o meno dei validi punti di riferimento per i giovani, ma mette al centro anche l'amicizia quale valore fondamentale nella vita degli adolescenti (e di tutti, certo, a ogni età).
Nel complesso a me è piaciuta, nonostante parte della terza e della quarta siano un po' forzate, e dopo averla terminata mi sono accorta che i ragazzi della Liberty (che confermo essere una scuola orrenda, un vero inferno) mi mancavano.

Per compensare il vuoto emotivo lasciatomi da Mr Paranoia Clay e dalla sua...ehm... vivace cricca di amici, ho iniziato una serie norvegese su Raiplay (Rumors), sempre con degli adolescenti come protagonisti, ma la sto trovando moscetta. Però proseguo un altro po', magari migliora.

martedì 18 luglio 2023

RECENSIONE ♣️ LA MUSA DEGLI INCUBI di Laini Taylor


Il mondo, così come l'aveva immaginato il Sognatore, il romantico e puro Lazlo Strange, si sta sfaldando sotto i piedi suoi, della sua amata e bellissima ragazza dai capelli color cannella e dalla pelle blu, e della loro gente.
Tutti - umani, figli degli dèi e fantasmi -, divisi tra chi vuole solo vendetta e chi vorrebbe seppellire per sempre odio e rancori, sembrano aspettare la fine dell'uno che, inevitabilmente, coincide con l'inizio per l'altro.
Chi riuscirà a sopravvivere? E quale forza, tra l'amore e l'odio, sarà più forte?

>>  Se non avete ancora letto il precedente romanzo (Il Sognatore) ma avete intenzione di farlo, tenete presente che, essendo questa la recensione del sequel, è altamente improbabile che io non incorra in qualche spoiler, per quanto possa provarci per evitarli. <<




LA MUSA DEGLI INCUBI
di Laini Taylor


Fazi Ed.
trad. D. Rizzati
526 pp
Ci siamo.
Proprio quando Lazlo e la sua dolce dea blu, Sarai, sono a un passo dal vivere il loro amore, ecco che l'idillio svanisce; abbiamo, infatti, lasciato i nostri protagonisti dal cospetto di una drammatica realtà: la piccola (solo d'aspetto, in realtà è la più grande tra i figli degli dèi) Minya è pronta a sferrare il proprio attacco contro gli umani (che hanno ammazzato la sua gente anni prima) e Sarai è... morta.

Il suo corpo senza vita giace tra le braccia di Lazlo e davanti ai volti sgomenti e addolorati dei ragazzi della fortezza, Ruby, Sparrow e Feral.
Come fare per salvarla, per averla ancora con sé? A Lazlo interessa solo questo ed è disposto a tutto perché Sarai resti con lui, e poiché il fantasma della ragazza è, in effetti, cosciente ed è ancora in mezzo a loro, il giovanotto spera che non svanisca.
Colei che regge i fili dell'evanescente esistenza di Sarai è Minya: lei ha il potere di trattenere gli spiriti dei morti e, come da anni sta trattenendo decide e decine di fantasmi di umani - rendendoli suoi "schiavi" e formandone un esercito ai suoi ordini -, così può fare con Sarai: trattenerla, lasciare che la sua parte immateriale continui ad esserci, a vivere - seppure in diverse condizioni e possibilità - in mezzo ai suoi amici e accanto al suo innamorato.

Ma Minya è diabolica e non fa nulla per nulla; trattiene sì lo spirito di Sarai - pur avendo nei suoi confronti una grande rabbia, in quanto la ritiene una traditrice - ma ad una condizione: Lazlo dovrà fare ciò che vuole lei, altrimenti Minya farà volar via per sempre la sua dolce metà.

E cosa vuole Minya se non vendicarsi di chi ha distrutto il suo mondo e ammazzato dèi, grandi e piccini?
In particolare, è Eril-Fane (il "Massacratore degli dèi") il suo principale obiettivo, perché fu la sua spada ad abbattersi su tanti piccoli innocenti all'interno della nursery: tanti bambini, figli degli dèi, pagarono con la vita il prezzo della crudeltà dei propri genitori.
Ne sopravvissero in pochi: Sarai, Feral, Ruby, Sparrow... e naturalmente Minya, che a quel tempo (quindici anni prima) aveva solo sei anni ed era riuscita a salvare solo quattro bimbi.

Adesso che gli abitanti di Pianto hanno scoperto che nella minacciosa fortezza di mesarzio ci sono ancora alcuni figli degli dèi, e avendo appreso come lo stesso Sognatore sia uno di loro - un dio dalla pelle blu -, l’oscura e infuriatissima Minya è decisa ad effettuare la propria implacabile vendetta, tanto più che dispone del proprio esercito di fantasmi e dei poteri dello stesso Lazlo, costretto, per amore, ad obbedirle suo malgrado.

Ma Sarai e Lazlo non hanno alcuna intenzione di assecondare quella finta bambina capricciosa e piena di rancore e, insieme agli altri ragazzi blu, mettono su un piano per rendere inoffensiva, almeno temporaneamente, Minya.
Ci riescono e questo dà modo a umani e "feccia degli dèi" di conoscersi, di imparare a relazionarsi al di là delle cose brutte accadute in passato; Eril-Fane è pentito, si vergogna del male fatto ai bambini degli dèi, anche se non aveva avuto scelta - visto che erano stati proprio gli dèi ad attaccarli, rapirli, umiliarli, stuprarli, a mettere incinta le donne per avere, intenzionalmente, tanti piccoli semidèi a disposizione.

"Perché gli dèi avevano violentato degli umani e li avevano costretti o a fare da padre o a partorire la loro “prole”? Lazlo era sicuro che gli stupri in sé non fossero lo scopo, ma il mezzo. Che lo scopo fossero i bambini. Era troppo organizzato perché non fosse così. C’era persino una nursery. Quindi la domanda era: perché? E che cosa avevano fatto di loro? Che cosa avevano fatto con tutti quei bambini?"


Le risposte alle tante domande passano necessariamente attraverso altre questioni, che hanno a che fare con l'origine stessa dei Mesarthim e di tutti i bambini nati nella fortezza durante il dominio di Skathis: che ne è stato di essi?

Se Minya e il suo piano di vendetta sono, per adesso, "congelati", è un'altra la minaccia che sopraggiunge con virulenza e che rischia di porre fine a tutto e tutti, umani e dèi, Pianto e fortezza: si tratta di una creatura che sta viaggiando da decenni, attraverso dimensioni e portali, alla ricerca dell'unica persona che abbia mai amato in vita sua e che è in pericolo; per salvarla, anch'essa è disposta veramente a tutto.

Costei è Nova e le sue origini sono precedenti a Lazlo e allo stesso Eril-Fane; Nova è cresciuta con sua sorella Kora, erano tutto l'una per l'altra ma a un certo punto i Mesarthim - e il terribile Skathis principalmente - le hanno separate, rapendo Kora e sfruttando il suo dono, ma abbandonando al proprio triste e solitario destino la povera Nova, anch'essa portatrice di un dono potentissimo ma decisamente sgradito e ritenuto pericoloso, per cui da tener lontana dagli dèi.

Ma non c'è uomo o essere divino che possa indurre una sorella a smettere di amare la propria gemella, e la prima è capace di viaggiare per mari e monti, superare barriere spazio-temporali, pur di riavere con sè la propria amatissima sorellina.

Insomma, le minacce sono due: Minya e Nova e chi tra esse sia la più spaventosa, è tutto da vedere.
Una cosa è certa: quando i portali dimenticati si aprono di nuovo, mondi lontani diventano pericolosamente vicini e tanto il mondo degli uomini quanto quello degli dèi rischiano di crollare miseramente, sotto un cumulo di macerie, figlie dell'odio più selvaggio, del rancore più vendicativo, della voglia irrefrenabile di distruggere tutto perché quel tutto ha portato solo dolore.

Entrambe le minacce - Minya e Nova - sono in realtà due creature estremamente sofferenti, ferite, che hanno assaporato la solitudine, il tradimento, il senso di impotenza nel non riuscire a salvare le persone amate; sono due donne cui è stato tolto tanto, tutto, e a dar loro l'unica ragione di vita è sempre stata la vendetta, che forse non ripristinerà il loro mondo, ma potrebbe dar loro la pace.

Ma è così? Dare sfogo all'odio dona realmente la pace?

«Non è fragilità scegliere la pace invece della guerra».

L'unica "arma" che resta ai ragazzi della fortezza e agli abitanti di Pianto è Sarai, la Musa degli Incubi, colei che entra nei sogni di tutti, ne conosce le paure più recondite e può, quindi, scandagliare nei ricordi più dolorosi delle due nemiche, per andare all'origine dei loro traumi.

"Lei era la Musa degli Incubi. I sogni le obbedivano. Non potevano nasconderle le cose.
(...) Ma lei non voleva più essere la Musa degli Incubi. Chi voleva essere davvero? Ricordò Lazlo che, prima che entrasse per la seconda volta nei sogni di Minya, le diceva: «Tu non stai tentando di sconfiggerla. Ricordalo. Stai tentando di aiutarla a sconfiggere il suo incubo»."

Ce la farà Sarai a trovare un modo per comunicare con quella parte buona di Minya e Nova, soffocata dalle brutture vissute?
Il destino di tutti è appeso a questa flebile speranza.

Anche il secondo romanzo della dilogia del Sognatore mi ha davvero rapita e incantata perché è scritta divinamente, per quanto mi riguarda.

La narrazione si concentra su tre filoni: le vicende drammatiche e avventurose che coinvolgono Lazlo, Sarai, gli umani e i figli degli dèi quando si ritrovano nella fortezza; la parte relativa a Thyon Nero, che è in compagnia della delegazione di Eril-Fane e che deve trovare un modo per interagire con i ragazzi che ne fanno parte, scendendo dal piedistallo e imparando finalmente a vivere, a relazionarsi, a lasciarsi guidare dalle emozioni e a sentirsi parte di un gruppo. A tal proposito, mi è piaciuta molto la sua crescita psicologica.
Il terzo filone è collocato nel passato e ha a che fare, come anticipato, con vicende accadute duecento anni prima, quando gli dèi hanno cominciato a prendere con sé coloro che possedevano poteri per dominare sugli uomini; è in questa sezione che conosciamo le sorelle Kora e Nova.

"Tanto tempo fa, c’era un silenzio che sognava di diventare una canzone, poi ho trovato te e adesso ogni cosa è musica."


Dolci sono i momenti relativi all'amore tra Lazlo e Sarai, pieno di ostacoli ma da questi addirittura rafforzato.
I due innamorati sono interiormente divisi perché da una parte vogliono essere fedeli alla propria gente e dall'altra non possono non riconoscere che ambo gli schieramenti - umani e divini - sono vittime e che qualcuno dovrà pure fare il primo passo per la pace.

Lazlo finalmente ha scoperto chi è: "non un orfano di guerra proveniente da Zosma, ma un mezzosangue, figlio di un dio, benedetto dal potere che era stato la maledizione di Pianto, appena in tempo per salvarla."


Come dicevo, trovo la Taylor brava brava, ha una straordinaria capacità di farti entrare nei suoi mondi magici, di descriverteli con una tale vividezza di particolari da permetterti di immaginarli, di sentirti inserito e parte di quella dimensione fantastica.
Io che solitamente non amo le "battaglie fantasy", ho seguito con molto coinvolgimento gli avventurosi scontri tra i personaggi, viaggiando assieme a loro tra magici portali, sentendomi spettatrice in prima linea di tutte le vicende narrate che, per quanto siano fantasiose, sono anche tanto umane, dal punto di vista delle emozioni, dei desideri (buoni e cattivi), delle speranze e delle paure.
È questo che amo, in special modo, del modo di scrivere di questa scrittrice: mi piace il suo stile - poetico e, allo stesso tempo, concreto - di mostrarci sentimenti e realtà interiore dei personaggi; la sua penna è profonda, delicata ma anche intensa, le sue storie sono complesse ma ben descritte e senza buchi o cose irrisolte, ricche e appassionanti nelle diverse dinamiche ed evoluzioni.

Vabbè è chiaro che adoro Laini Taylor; come mi fa amare il fantasy lei, non ci riesce nessun altro.

Consigliato, è un romanzo che appassiona, emoziona, fa sognare e anche riflettere su quanto difficile e tortuoso sia il percorso che conduce al perdono e alla riconciliazione, ma come valga sempre la pena percorrerlo.

Il finale è risolutivo e soddisfa il lettore, eppure l'autrice dà una piccola speranza circa un eventuale seguito (magari!!).


CITAZIONI


"Se qualcosa era semplicemente intollerabile, la mente vi costruiva intorno un muro, oppure lo seppelliva in una tomba. Aveva visto orrori nascosti in una scatola di biscotti e piantati sotto un germoglio in modo che le radici vi sarebbero cresciute intorno e lo avrebbero tenuto stretto. La mente è brava a nascondere le cose, ma c’è una cosa che non può fare: non può cancellare. Può soltanto dissimulare, e le cose dissimulate non sono scomparse. Marciscono. Vanno a male, rilasciano veleni. Fanno male e puzzano. Sibilano come serpenti nell’erba alta."

"Arriva un punto, con i sogni e le speranze, in cui o li lasciamo perdere, oppure lasciamo perdere tutto il resto. E se scegliamo il sogno, se continuiamo a seguirlo, allora non lo lasceremo mai perché non avremo nient’altro."

"Possiamo essere in conflitto, odiarci e desiderare la reciproca distruzione, ma nella disperazione siamo tutti smarriti nelle stesse tenebre, respiriamo la stessa aria mentre soffochiamo nel nostro dolore."

"...la verità aveva un suo modo di filtrare. La mente non può cancellarla. Può soltanto nasconderla, e le cose nascoste non sono scomparse."

"«I desideri non si avverano. Sono soltanto il bersaglio che dipingi intorno a quello che vuoi. Il centro devi sempre colpirlo da sola»."

venerdì 14 luglio 2023

RECENSIONE 🕵️‍♂️ UNO STUDIO IN ROSSO di Arthur Conan Doyle 🔍



Un doppio omicidio tocca Londra, Scotland Yard si mette in azione e, tra funzionari che brancolano nel buio delle proprie imperfette ipotesi, un investigatore dal potere intuitivo formidabile e dalle capacità logiche ammirevoli, in compagnia di un amico dottore, riuscirà a sbrogliare l'ingarbugliata matassa.


UNO STUDIO IN ROSSO
di Arthur Conan Doyle


Ed. Feltrinelli
trad. G. Carlotto
175 pp
"Nella matassa incolore della vita, corre il filo rosso del delitto, 
e il nostro compito consiste nel dipanarlo, nell’isolarlo, 
nell’esporne ogni pollice."

John Watson è un medico congedato dall'esercito per una ferita e sta cercando casa in quel di Londra; un amico gli presenta una persona che, a sua volta, avrebbe piacere a condividere l'appartamento con qualcuno: questi è Sherlock Holmes, l'investigatore inglese famoso per le straordinarie competenze in chimica e anatomia pur non essendo né scienziato né medico.

Sin dai primi momenti in cui fa la sua conoscenza, il buon Watson intuisce di trovarsi al cospetto di un uomo stravagante, dall'umore ballerino (passa dall'essere un gran chiacchierone al mutismo), sicuro di sé, ignorante di politica ed economia ma colto in tutti quei campi del sapere per lui interessanti, compresa la conoscenza dei veleni.

Ma soprattutto, le sue qualità più spiccate convergono in una direzione ben precisa: Sherlock ha un'intelligenza acutissima, una incredibile capacità deduttiva e di ragionamento analitico che gli permettono di partire da pochi particolari fisici o da dettagli relativi all'abbigliamento di una o più persone, per trarre su di esse conclusioni chiare e azzeccate. 

Al centro di "Uno studio in rosso" vi è il misterioso omicidio di un uomo, trovato morto in una casa con accanto un anello nuziale da donna e la scritta "Rache" (che vuol dire vendetta in tedesco) sul muro; c'è del sangue per terra ma non è del morto, che non presenta ferite sanguinanti. 

"Il delitto più banale è spesso il più misterioso perché non presenta caratteristiche nuove o particolari da cui si possano trarre delle deduzioni..."

Da subito, il caso sembra ostico in quanto privo di elementi che palesemente potrebbero spingere verso una pista piuttosto che verso un'altra e i due principali funzionari di Scotland Yard - Lestrade e Gregson - non sanno che pesci pigliare, azzardando ipotesi più fantasiose che realistiche; essendone consapevoli, cercano aiuto - senza darvi però troppa importanza, l'orgoglio non glielo consente - presso il loro amico Sherlock Holmes, di cui conoscono l'arguzia, lo spirito d'osservazione e il formidabile intuito. 

L'investigatore più celebre di Londra, figura iconica e affascinante delle detective stories, attira le simpatie del lettore con gran facilità, per la sua "mentalità troppo scientifica… che rasenta il cinismo" (come rileva il dottor Watson), la naturalezza con la quale applica alla vita normale alcuni precetti dell’arte dell’osservazione e della deduzione, i suoi ragionamenti, l'attenzione posta a minuzie e particolari cui nessun altro fa caso, il suo far su e giù nei pressi del luogo del delitto perché esso "gli parli", gli indichi che via prendere, su cosa concentrarsi; fa meraviglia come Holmes sappia dedurre, senza tema di smentita, caratteristiche fisiche delle persone coinvolte nel delitto pur non conoscendole, ma solo basandosi su dettagli contestuali.

"Nella scienza dell’investigazione, non c’è nessun ramo tanto importante e tanto negletto quanto l’arte di individuare le orme."

Capire chi sia la prima vittima (un certo Drebber, e dopo di lui, il suo segretario) e chi poteva aver ragione di volerli morti, è fondamentale e l'autore, dopo averci narrato il presente - i delitti, le deduzioni e le investigazioni di Holmes e il suo risolvere il caso sotto al naso dei colleghi contrariati e sbigottiti -, ci introduce, attraverso un lungo flashbask, in un altro luogo e in un altro tempo per esporci gli antefatti, così da mettere insieme tutti i pezzi e vederne la stessa logica che vi ha scorto l'investigatore.

Qualcosa è accaduto una ventina di anni prima a Salt Lake City che ha gettato le basi per i delitti di Londra; conosciamo così la storia di un uomo e della bimbetta a lui affidata, di come egli l'amasse come una figlia e di come, in un momento di forte difficoltà, i due abbiano ricevuto l'aiuto di un gruppo di mormoni (fondamentalisti) e si siano uniti ad essi.
Ne segue una storia che racchiude amore, fanatismo religioso, desiderio di tiranneggiare di alcuni (in nome di Dio!!) e la sottomissione passiva di altri (per evitare conseguenze terribili), disperazione e voglia di fuggire per avere un futuro, rancore, odio, vendetta.

"Uno studio in rosso" è il primo romanzo (pubblicato nel 1887) con protagonista Sherlock Holmes ed è appassionante, si divora in poco tempo perché fluido nel ritmo, interessante e anche divertente nel presentarci, sullo sfondo di una Londra avvolta in una nebbia fitta e impenetrabile, il bizzarro e intelligente personaggio, affiancato dal tranquillo Watson, persona comune che - come noi lettori - ne subisce il fascino, seguendo passo passo il suo modo di giungere alla soluzione del caso ragionando all’indietro, per poi appurare come tutta la faccenda non fosse altro che "una catena di fatti logicamente collegati senza un difetto né una soluzione di continuità."

Piacevolissimo, adatto a tutti, anche a chi solitamente non è un fan di gialli/polizieschi, e ideale per chi cerca letture leggere da portare in vacanza.


martedì 11 luglio 2023

§ RECENSIONE § LUGH (The Crimson Thrones #2) di Francesca Trentini


Lui è il dio della luce, adorato per secoli dagli umani ed oggi dimenticato; lei è una ballerina di lap dance costretta a vendere il proprio corpo per pagarsi le medicine, con le quali tenere a bada un'oscura e dolorosa malattia. Un'antica profezia vuole che i due, insieme, debbano contribuire a salvare la terra, preda dell'attacco di mostruose creature.


Il presente romanzo è uscito il 1° luglio 2023; lo trovate su Amazon (in eBook, Cartaceo e KindleUnlimited).
È il secondo volume della serie “The Crimson Thrones”, così composta:


1. SETH di Laura Fiamenghi
2. LUGH di Francesca Trentini (USCITA: 1° LUGLIO 2023)
3. NERGAL di M.D. Ferres (USCITA: 1° AGOSTO 2023)
4. KÀRI di Monica B.


LUGH
(The Crimson Thrones #2)
di Francesca Trentini



Self publishing
348 pp
LINK AMAZON

Lugh (chiamato anche Logan) è il dio celtico della luce, ma a guardarlo non giureresti di trovarti di fronte ad una divinità potente e rispettabile, visto che passa il tempo a bere birra, esponendosi anche a prese in giro e sberleffi da parte degli amici.

Eppure c'è stato un tempo in cui ha vissuto in modo degno della propria posizione divina, grazie in particolare alla propria invincibile lancia.
In virtù delle sue innegabili capacità di combattente, Logan è riuscito ad aggiudicarsi la vittoria al torneo organizzato per scegliere i quattro guerrieri destinati a fronteggiare l’imminente fine del mondo. 
Purtroppo, però, durante il combattimenti, l’arma del dio si è spezzata, privandolo di fatto dei suoi poteri. 

E senza la sua lancia, Lugh è un Logan qualsiasi.
Si sente mutilato, imperfetto, incapace.
Come farà a combattere e a sconfiggere i Distruttori che stanno invadendo la terra?

Logan si vede recapitare due oggetti che saranno fondamentali nella sua missione: il frammento di uno scudo datogli direttamente dalla dea Atena e una pergamena su cui è scritta la parte della profezia che lo riguarda.
O meglio, che riguarda anche lui, ma non solo: il frammento gli mostra, in una visione, una donna che è collegata alla sua missione e che vive a Lione; in groppa al suo destriero, Enbarr, che per l'occasione si trasforma in una moto, Logan si reca in Francia, a Lione, e lì conosce Melanie.

Melanie è una bella ragazza che però conduce una vita orribile: devastata quotidianamente da fitte lancinanti alla testa - e che cerca di curare con costosi farmaci -, per campare fa la ballerina di lap dance per clienti che chiedono ben più di un ballo privato.
La ragazza non vorrebbe fare questo tipo di vita ma è praticamente sola al mondo (i genitori l'hanno rinnegata e lasciata sola) e si è rassegnata a un'esistenza di questo tipo; l'unica cosa che le dà un po' di conforto è pregare il dio celtico Lugh, sperando che egli l'ascolti e "la salvi".

Ed è ciò che accade.
Un giorno, mentre è a lavoro, si presenta un uomo che dice di essere un agente segreto di nome Logan McDanae e da quel momento la sua vita cambierà radicalmente.
In seguito ad un improvviso attacco da parte di creature viscide e filiformi, in cui Melanie dà prova, del tutto inconsapevolmente, di possedere dei doni speciali adatti a fronteggiare la minaccia aliena, Logan la prende con sè e la "costringe" a seguirlo nella sua missione salvatrice.

Ovviamente, la ragazza è perplessa, non comprende come sia possibile che una come lei, malata e che che conduce uno stile di vita discutibile, possa addirittura essere arruolata per combattere i nemici mostruosi e salvare l'umanità, ma così è e sarà compito di Logan aiutarla a convincersi che il suo ruolo nella sconfitta dei Distruttori è assolutamente fondamentale e imprescindibile.

C'è qualcosa in lei che è in grado di richiamare a sé il potere della lancia spezzata del dio Lugh: insieme, il dio del sole, della luce, della fertilità e del raccolto estivo, e questa fragile e testarda umana, possono e devono diventare i protagonisti di un'impresa tanto avventurosa quanto piena di pericoli.

Le famigerate e squallide creature tentacolari, con bocche bavose e denti aguzzi, stanno attaccando l'Europa e i loro assalti si verificano ogni giorno con più frequenza e in modo inaspettato e violento, seminando morte e distruzione.

Logan, intanto, per preparare al meglio Melanie al compito affidato loro dagli dèi, le dà modo di addestrarsi, di prendere consapevolezza della propria natura e delle capacità sovrannaturali di cui è dotata e che, in qualche modo, sono collegate alla sua malattia.

Stare insieme 24 ore su 24 da sì che i due imparino a conoscersi sempre meglio, a rendersi conto di quanto tra loro ci sia una chimica molto forte, una forza che attrae tanto i corpi quanto le anime; la passione fa capolino molto presto e sembra volerli divorare, ma Logan sa che presto giungerà il momento di svelare alla bella compagna di avventura la propria identità divina.

Come prenderà Melanie la notizia che quell'uomo alto e imponente, dal fisico meraviglioso, forte e pieno di coraggio, che dice di essere un agente segreto... è in realtà il "suo" Lugh, il suo amato e adorato dio da lei pregato con fervore per anni?

Entrambi hanno un bel caratterino e, in particolare, Melanie, che è dolce e buona ma anche molto caparbia e indipendente.
Ma ad accomunarli e ad avvicinarli molti è un aspetto per nulla trascurabile: tutti e due vengono da un passato costellato da delusioni, rabbia, frustrazioni, che ha generato insicurezze e il timore di non essere all'altezza del grandioso compito assegnato.

Come già Seth, pure Lugh è un dio sì potente ma altresì pieno di fragilità, insuccessi, che si vede perso e meno forte a causa della lancia spezzata, il che lo fa sentire indegno di adempiere ai propri doveri; lo stesso vale per Melanie, che non si stima in quanto sa di essere solo una poco di buono, che balla mezza nuda per uomini bavosi e lascivi, che altro non aspettano se non prenderla e soddisfare le proprie voglie. Una come lei, per di più con il corpo afflitto da un male senza nome ma doloroso, cosa e chi vorrebbe mai salvare?

Ambedue, insomma, prima di imbarcarsi nell'impresa di salvare il mondo, devono salvare sé stessi.
E quale forza più efficace dell'amore è in grado di eliminare ogni traccia di buio e a far rispendere la luce che c'è in loro?

Anche Lugh è un paranormal romance avventuroso, denso di dialoghi, con una narrazione agile e dal ritmo vivace, che punta molto sulla caratterizzazione dei protagonisti, anche grazie all'uso della doppia prospettiva (la "voce" di Logan si alterna a quella di Melanie); la temperatura tra i due, che si piacciono sin dal primo istante, sale fino a sfociare in momenti "bollenti".
Una lettura che consiglio in special modo agli amanti del genere.
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