domenica 31 agosto 2025

[ Recensione ] IL MISTERO DI ANNA di Simona Lo Iacono

 

In una mescolanza di realtà e fantasia, tra personaggi fittizi e reali, questo romanzo incanta e fa sorridere di tenerezza e fanciullesco stupore per il suo essere poetico e commovente, denso di passaggi significativi che portano il lettore a riflettere sul potere e sulla bellezza della parola, della poesia e della letteratura, su come esse possano portare luce e donare nuove e più ricche prospettive da cui guardare il mondo e le persone attorno a sé.



IL MISTERO DI ANNA
di Simona Lo Iacono



Neri Pozza
160 pp

Nel 1968 Anna Cannavò ha dieci anni e frequenta la quinta elementare a Siracusa. 
La piccola proviene da una famiglia molto semplice e povera ma altresì dignitosissima, guidata da genitori umili e gentili.
La famiglia Cannavò vive ai margini della società ma Anna non ne soffre perché ciò che la distingue da chi le è intorno è il suo sguardo: lei vede ogni cosa attraverso gli occhi di chi ama imparare parole nuove per poter descrivere con consapevolezza la realtà attorno a sé ma soprattutto per esprimere emozioni, stati d'animo, pensieri, sogni.
È affascinata dal mistero delle parole poetiche e sta imparando ad amarle, a giocare con esse, a scoprire nuovi significati e a saperli adoperare nei momenti e contesti giusti. 
È una bimba straordinariamente vispa, dall'intelligenza acuta e vivace, con un'invidiabile velocità di apprendimento e una inconsapevole maturità nel dare valutazioni su fatti e persone, dando giudizi ed opinioni con estrema pertinenza e con una naturalezza da lasciare stupiti gli adulti.

Quando la maestra annuncia in classe che il ministero della Pubblica istruzione ha indetto un concorso e che il premio consiste nel trascorrere un'intera settimana a Milano in compagnia di una famosa scrittrice, Anna Cannavò decide di partecipare. 
Il concorso consiste nello scrivere una lettera alla scrittrice  Anna Maria Ortese raccontandole la propria giornata e la giovanissima studentessa si lancia con gioia, fiducia ed entusiasmo in questo compito, scrivendo - con quella schiettezza e freschezza che appartengono a una ragazzina curiosa e piena di gioia di vivere qual è lei - com'è la  sua vita e quella della sua famiglia, e soprattutto manifestando tutto il suo amore per le parole e la poesia, conscia di star scrivendo ad una scrittrice e poetessa famosa. 

Con grande stupore di tutti (del preside, che ne è egoisticamente contrariato; dei genitori, persone semplici che nulla sanno di letterati e artisti ma sono felici per questa vittoria della loro piccola) e della stessa Anna Cannavò, questa viene scelta e così parte alla volta di Milano per trascorrere sette giorni a casa della «signora Anna». 

Arrivata a destinazione la bambina si accorge che ad ospitarla non è soltanto la signora Ortese, ma  anche sua sorella Maria. 

Anna è felicissima di poter condividere una settimana con le due sorelle Ortese, di chiacchierare amabilmente con Maria e di sentire il ticchettio dei tasti della macchina da scrivere della "signora Anna" quando è concentrata nel suo lavoro.
I giorni trascorsi insieme rompono la solitudine nella vita della scrittrice e della sorella, e queste ultime godono dell'allegria e della spensieratezza che la piccola sicula porta con sé in quell'appartamento milanese, regalando risate e conversazioni vivaci e divertenti.

La stessa scrittrice resta meravigliata dalla sensibilità della bambina verso il magico mondo delle parole:

"...ti capita spesso di rimanere colpita dalle parole?"

"Spesso? Signorina Anna, io non faccio altro che restare colpita da tutte le parole, quelle libere e quelle oppresse. E da quelle poetiche, soprattutto, che riconosco per il semplice fatto che mi danno una sensazione di caldo, qui, ma anche di dolore. Oppure le riconosco perché invece di farmi proseguire mi fanno fermare, o perché sono dolci ma hanno pure un certo sapore di inferno. Io mi sono ammalata di parole poetiche, signorina Anna, e sono dispiaciuta di non conoscerle tutte, perché mi sono detta che – forse – a conoscerle davvero tutte, le parole, capivo meglio il mondo...". 


Il racconto dell'eccitante esperienza di Anna Cannavò nel 1968 si alterna a un altro racconto, che si colloca negli anni Cinquanta e che ci viene narrato in forma epistolare, attraverso lo scambio di lettere tra due donne e amiche: Anna Maria Ortese e una certa "signora R.".

In queste lettere, il lettore ha modo di conoscere un po' meglio Anna Maria Ortese, il rapporto con l'amata e fedele sorella (che verrà colpita da una malattia degenerativa), il dolore per la morte dei fratelli, le sue opere letterarie, le sue preoccupazioni, i dubbi, le collaborazioni con altri intellettuali e con le case editrici, il continuo cambiare casa e città, e personalmente un tale "assaggio" della vita e delle opere di questa letterata italiana, mi ha fatto venir voglia di conoscerla ancora meglio attraverso i suoi scritti.

I due filoni narrativi - l'incontro della "piccola Anna" con la "grande Anna", nel 1968, e lo scambio di lettere avvenuto oltre un decennio prima tra la Ortese e la misteriosa amica R. - sembrano scollegati ma ovviamente non lo sono e verso la fine del romanzo capiamo cosa li lega.

Il personaggio fantasioso di Anna Cannavò è meraviglioso, l'ho amato moltissimo, mi ha divertita e commossa insieme; il suo amore per le parole poetiche e per il loro "potere" benefico sulle persone nel guidarle su come vedere e affrontare la vita, è trascinante.

Anna è davvero una "singolare creatura", "Poverissima, ma inconsapevole di esserlo. Poetica, senza
sapere cosa sia la poesia. Innamorata di tutte le parole, che la schiudono al mistero della felicità.
Anna viene (...) guardando i libri alle pareti con gli occhi sgranati, la vedo che si dibatte per il desideri di leggerli. (...) Anna è una creatura letteraria. Per ogni parola trasale, per ogni fenomeno umano mostra uno stupore dolente. Ha capito che la vita è un mistero, e va enumerando tutto ciò che in quel mistero si muove. Non sa ancora che la scrittura è l’unico modo che avrà per sopravvivere, e ignora la forza di questo suo sguardo."


Gli adulti, a causa dei problemi, delle paure, dei fardelli e dei dolori che accompagnano il vivere quotidiano..., spesso sembrano dimenticare com'è stato essere bambini, come ci si sentiva eccitati nel far domande su domande, nello stupirsi ad ogni minima scoperta, entusiasmarsi anche per una piccola novità o traguardo raggiunto...: dovremmo sforzarci di recuperare l'Anna curiosa di apprendere e crescere che vive dentro ciascuno di noi e imparare ogni giorno a guardare il mondo con gli occhi dei fanciulli, più ottimisti, più sensibili, più semplici.

Questo romanzo mi è piaciuto moltissimo, leggerlo è stata una piacevolissima scoperta e lo consiglio perché, nella sua leggerezza e semplicità, ci permette di conoscere meglio la scrittrice Anna Maria Ortese e lo fa attraverso una bambina sveglia e intelligente che "richiama alla mente certi cardilluzzi chiusi nella gabbia,  inconsapevoli di essere in prigione, che si struggono a cantare la bellezza senza sapere di piangere".


IL MORSO di S. Lo Iacono ( RECENSIONE)

Citazioni

"⟪pure per voi la vita è solo il presente?⟫
⟪Sì, è solo il presente, ma la vita si pone anche sul piano dell’immortalità, perché è una chiamata, una scelta non nostra, una specie di obbedienza a un disegno voluto da altri. Ma una obbedienza tutta speciale e particolare, come risposta a un progetto pensato solo per te. ⟫
(...)
⟪E io a cosa venni chiamata?⟫
⟪Tu sei chiamata alla bellezza, perché cercare la bellezza è emergere dal male. E perché la scuola della bellezza non è altro che disciplina. La disciplina dello straordinario.⟫"


"... la periferia è qualcosa che sta ai margini di qualcos’altro, perciò se ami le parole devi andare a  cercarle proprio dove nascono, e anche là dove mancano.
Ma cose dei pazzi, mi sono detta a quel punto. E io che pensavo che le parole nascevano dalle cose  belle. Quanto mi sbagliavo. La signorina Anna mi ha fatto capire che le parole non nascono dalla bellezza ma dalla mancanza. E non dal centro ma dai margini. E non dal Duomo di Milano, ma dai muri pieni di scritte."



venerdì 29 agosto 2025

Cold case australiani: quando la finzione viene ispirata dalla cronaca nera (parte 2)

 

Nel post precedente abbiamo ricordato due tristi casi di cronaca nera: la misteriosa ed irrisolta scomparsa dei fratelli Beaumont e la morte di Azaria Chamberlain a causa di un dingo.

In questo post, come anticipato, vedremo gli altri due casi citati da Kate Morton in Ritorno a casa: la ragazza dal pigiama giallo e l'Uomo di Somerton.


Linda Agostini (nome completo: Florence Linda Platt) è nata a Forest Hill (un sobborgo di 
Londra) il 12 settembre 1905; è nota come la "ragazza in pigiama" (o "la ragazza dal pigiama giallo") ed è stata una vittima di omicidio, il cui cadavere fu ritrovato lungo un tratto di strada ad Albury, nel Nuovo Galles del Sud, in Australia, nel settembre del 1934.

Trasferitasi a 19 anni in Nuova Zelanda, vi rimase fino al 1927, quando pensò di andare a vivere in Australia a Sydney. 
Trovato lavoro in un cinema, prese casa presso una pensione in Darlinghurst Road a Kings Cross, dove si racconta che intrattenesse uomini giovani e attraenti. 
Linda aveva il vizio di alzare il gomito, amava frequentare feste e quando iniziò una relazione con l'italiano Antonio Agostini, lo sposò nel 1930 ma il matrimonio si rivelò da subito infelice; per cercare di salvare il salvabile, la coppia decise di partire per Melbourne per sottrarre Linda all'influenza dei suoi amici di Sydney.

Linda sparì in una giornata di fine agosto del 1934 e pochi giorni venne ritrovata senza vita, con indosso un pigiama di seta gialla con un motivo a drago cinese, dettaglio che faceva pensare che la vittima fosse benestante in quanto quell'indumento, in quegli anni (Grande Depressione) era ritenuto "lussuoso". 

A trovare il corpo della vittima fu Tom Griffith, un uomo del posto che stava conducendo un toro da competizione lungo il ciglio di Howlong Road, vicino ad Albury; Linda giaceva in un canale di scolo sotterraneo, gravemente ustionata e nascosta in un sacco di iuta.
La testa della pyjama girl era avvolta in un asciugamano, era stata picchiata selvaggiamente e, da una radiografia, si scoprì che aveva un proiettile nel collo. 

In un primo momento non si riuscì a identificarla (furono fatti più nomi di ragazze scomparse in quel periodo) e la salma fu portata a Sydney, dove fu esposta al pubblico; conservata in un bagno di formalina presso la Facoltà di Medicina dell'Università di Sydney fino al 1942, fu poi trasferita alla sede della polizia, dove rimase fino al 1944, anno in cui, in seguito a numerose prove forensi e al riesame dell'arcata dentaria, si arrivò a identificare il cadavere con Linda Agostini. 

Ovviamente il coniuge di Linda, Antonio (Tony) fu informato del ritrovamento; l'uomo era da poco tornato a Sydney dopo essere stato internato nei campi di Orange, Hay e Loveday dal 1940 al 1944 (per le sue simpatie per il nazifascismo). 
Il capo della polizia rintracciò Tony nel ristorante in cui lavorava come cameriere e lo interrogò. 

Tony Agostini confessò di aver causato la morte della moglie sparandole, anche se disse che non voleva ucciderla; spaventato dal proprio irreparabile gesto, aveva gettato il corpo nel tombino, lo aveva cosparso di benzina e dato fuoco per distruggere le prove. 
Agostini fu processato per omicidio ma - con gran sorpresa da parte dell'opinione pubblica - fu riconosciuto colpevole di omicidio colposo e condannato a (soli) sei anni di carcere (se ne fece tre). 
Fu rilasciato nel 1948; morì in Italia nel 1969.

In teoria il caso fu chiuso, ma successivamente nuove prove scoperte da Richard Evans, uno storico di Melbourne, avevano messo in dubbio la ricostruzione e la conclusione da parte della polizia; nel libro "The Pyjama Girl Mystery", Evans ha sottolineato che ci fossero delle importanti differenze tra la donna trovata morta e Linda Agostini; ad es., la ragazza in pigiama aveva una taglia di seno diversa da quella di Linda, come anche la forma del naso e il colore degli occhi (Linda li aveva azzurri, la ragazza in pigiama castani). 
Richard Evans sostenne inoltre che erano ben 125 le donne presenti nella lista delle possibili identità in mano alla polizia, e che queste non fossero mai state rintracciate.

Il regista italiano  Flavio Mogherini ha prodotto, nel 1977, un film intitolato "Il caso della ragazza in pigiama" con Dalila Di Lazzaro e Michele Placido.



L'altro caso è sempre australiano ed è altrettanto celebre: l'Uomo di Somerton.


Siamo a Somerton, un sobborgo di Adelaide nell’Australia Meridionale.
La sera del 30 Novembre 1948 un uomo dai capelli biondo-rossicci, di circa 40-45 anni, ben vestito, semidisteso sulla spiaggia con la testa appoggiata all’argine, le gambe allungate con i piedi incrociati  e una sigaretta spenta sul viso, viene notato da alcune coppie che passeggiano; sembrerebbe dormire, se non fosse che degli insetti gli girano intorno e lui non ne è infastidito.
La mattina dopo, quel corpo è ancora lì e non ci sono dubbi: è morto e non presenta segni di violenza.

Non è in possesso di documenti, né di portafoglio; vengono ritrovati due biglietti per viaggiare (uno
Un busto in gesso del cosiddetto Uomo di Somerton

usato per un autobus da Adelaide a Glenelg, e un altro non usato per il treno, da Adelaide a Henley Beach).

Si stima che sia morto verso le due del mattino per un arresto cardiaco causato dall’assunzione, si ipotizza, di un veleno.

La salma viene imbalsamata così da preservarla in vista di futuri esami; da una successiva analisi autoptica, l’avvelenamento si conferma l’ipotesi principale.

Nel gennaio 1949 c'è una svolta: al deposito bagagli della stazione ferroviaria di Adelaide viene ritrovata una valigia, che era lì dal 30 novembre; dentro vengono ritrovati diversi oggetti e indumenti, questi ultimi privi di etichette; su alcuni di essi è riportato il nome T. Keane o Kean  ma la polizia dubita che si tratti del nome del morto.
Controllando i registi ferroviari viene fuori che l’uomo era giunto in stazione nella notte del 30 novembre, si era fatto una doccia e si era rasato in un bagno in città e poi era ritornato in stazione, acquistando il biglietto per il treno delle 10:50 per Henley Beach ma in realtà poi aveva cambiato idea e preso il pullman per Glenelg.

Si brancola nel buio sino a quando, esaminando di nuovo i pantaloni dell’uomo misterioso, in una tasca interna viene recuperato un pezzo di carta su cui si leggono queste parole: Taman Shud. 

Sembra che Taman Shud siano le parole finali di una raccolta di poesie (il "Rub’ayyat") del matematico, astronomo e filosofo persiano dell’XI secolo  'Umar Khayyám  e significano “è finito” o “è concluso”.

Esse vogliono forse indicare che il misterioso individuo senza identità si sia suicidato?

Ma i colpi di scena non sono finiti.

messaggio in codice mai decifrato


Siccome quel pezzo di carta era la pagina strappata da un libro, si scopre che esso proviene da una copia rara del 1859; tanto per aggiungere un ulteriore pizzico di mistero, sul retro di questo libro vi sono cinque righe di annotazioni scritte a matita - che sembrano dei messaggi in codice - e anche un numero di telefono appartenente a Jessica “Jestyn” Thomson (il nome non viene rivelato subito), un'ex infermiera di Glenelg, la cui abitazione è a circa 400 metri a nord del luogo dov’era stato ritrovato il cadavere. 

Quando alla donna viene mostrato un calco in gesso della parte superiore del torso dell’uomo, ha una reazione di sgomento e riconosce in quei tratti un certo Alfred Boxall, sottotenente dell’esercito australiano Sezione Trasporti Acquatici, al quale aveva regalato nel 1945 proprio quella raccolta di poesie.

Il problema era che il presunto Boxall era vivo più che mai e ancora in possesso sua copia del Rub’ayyat.

E se il codice misterioso indicasse che l'uomo era una spia sovietica? 

A nutrire questa teoria si aggiunse la notizia della morte (nell'agosto 1948) di Harry Dexter White, funzionario del Dipartimento del tesoro statunitense morto per avvelenamento da digitale (digossina) e ritenuto un agente sovietico. 

Ma non finisce qui.
Nel 2013 la figlia di Jessica Thomson rivelò che sua madre (simpatizzante comunista), prima di morire, le confidò di aver mentito sull’identità dell’uomo di Somerton, il quale era noto non solo a lei ma anche a livello istituzionale e alla stessa polizia.

Ad ogni modo, le impronte digitali di Somerton Man furono inviate in tutto il mondo, ma nessuno riuscì a identificarlo; fu sepolto nel cimitero di Adelaide nel 1949 e sulla lapide è stato scritto "Qui giace l'uomo sconosciuto che è stato trovato a Somerton Beach".

uomo di Somerton  >> Carl Webb
Settant'anni dopo, all'intricata storia dell'uomo trovato sulla spiaggia si aggiunge un nuovo tassello grazie alla tenacia di un ricercatore dell'Università di Adelaide, Derek Abbott, che è riuscito ad analizzare il DNA dell'uomo dai capelli, conservati quando le autorità fecero realizzare il busto in gesso.
Dalle tracce genetiche si è costruito l'albero genealogico e da lì sono stati rintracciati i parenti ancora in vita.

Abbott ha finalmente dato un nome e un'identità all'individuo sconosciuto: Carl Webb, ingegnere elettrico di Melbourne,  sposato con Dorothy Robertson; ma a parte questo, tante domande ancora non hanno trovato risposta, una su tutte com'è morto ed eventualmente per mano di chi.

Chissà se questa enigmatica storia riserva ancora sorprese?


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martedì 26 agosto 2025

Cold case australiani: quando la finzione viene ispirata dalla cronaca nera (parte 1)

    

Durante la lettura dell'ultimo libro recensito qui sul blog. Ritorno a casa di Kate Morton, ho notato che l'autrice cita al volo alcuni casi reali di scomparse misteriose, accostandoli al mistero attorno al quale verte la storia narrata nel romanzo, vale a dire la misteriosa morte di quattro membri di una stessa famiglia mentre erano a fare un picnic durante la vigilia di Natale.


Curiosa qual sono, ho cercato informazioni su questi casi di cronaca nera, accaduti tutti in Australia diversi decenni fa; oggi vedremo la misteriosa scomparsa dei fratellini Beaumont e la tragica morte di Azaria Chamberlain.


Partiamo dalla scomparsa dei fratellini Beaumont, avvenuta il 26 gennaio del 1966, durante l'Australia Day, giorno di festività nazionale attraverso la quale si celebrano le origini di questo meraviglioso Paese.

Jane, Grant e Arnna Beaumont nel 1965. © MRU
 
Sin dal mattino quella giornata prometteva di essere molto calda e i tre fratelli Beaumont (Jane di 10 anni, Arnna di sette e Grant di quattro) chiesero il permesso alla madre (Nancy) di andare alla spiaggia a Glenelg Beach, distante cinque minuti di autobus dal sobborgo di Adelaide in cui abitavano.

Permesso concesso, per cui i tre presero l’autobus delle 8:45 promettendo di ritornare con quello di mezzogiorno; ma quando passò l'autobus senza i fratellini, e poi anche il successivo, Nancy cominciò a preoccuparsi. 

Non appena rientrato il marito (Jim Beaumont) dal lavoro (alle 15), i coniugi si recarono immediatamente alla spiaggia per cercarli ma niente: i bambini non c’erano. 

I genitori pensarono di tornare indietro, verso casa, rifacendo la strada che i figli potrebbero aver percorso tornando a piedi (nel caso avessero perso l’autobus), si recarono anche da amici e conoscenti ma senza ottenere risultati.

Così, passate le 17, decisero di denunciare la scomparsa alla polizia.

La polizia fece perlustrare la spiaggia e le aree adiacenti, vennero controllati anche l’aeroporto, le linee ferroviarie e le strade interstatali.
Tre giorni dopo, il 29 gennaio, sul Sunday Mail comparve un articolo che parlava dei tre fratellini scomparsi: forse erano stati rapiti e assassinati da un molestatore sessuale?

Come spesso accade in questi casi, numerose furono le testimonianze di avvistamenti che cominciarono ad arrivare: chi li aveva visti presso il porto turistico di Patawalonga Boat Haven, chi nel parco di Colley Reserve, vicino alla spiaggia, in compagnia di un uomo sulla trentina alto, biondo e magro, con cui i tre si erano messi a giocare, dando l'impressione di essere sereni e felici. I quattro si erano poi allontanati dalla spiaggia orientativamente verso le 12.15.

I Beaumont reputarono questa testimonianza poco attendibile, in quanto, a detta loro, i loro figli non erano soliti dar confidenza o addirittura giocare con gli sconosciuti, ma - su sollecitazione della polizia - Nancy ricordò che effettivamente la figlia minore Arnna le aveva detto che Jane aveva “trovato un fidanzato in spiaggia”, ma lei aveva pensato che parlasse di un compagno di giochi e non ci aveva più pensato.

Un panettiere di Glenelg Beach riferì che Jane aveva comprato pasticcini e una meat pie con una banconota da una sterlina (una somma superiore a quella data loro dalla mamma); tempo dopo, una donna riferì che la notte della scomparsa aveva visto entrare un uomo, accompagnato da due ragazze e un ragazzino, in una casa disabitata vicina alla propria; addirittura, aveva osservato una scena allarmante: più tardi il bimbo era uscito di casa ma l'uomo lo aveva brutalmente acchiappato e riportato dentro; la mattina dopo, l'edificio tornò ad essere vuoto.

Ben due anni dopo la scomparsa, Jim e Nancy ricevettero due lettere (spedite dallo Stato di Victoria) firmate “Jane”, e un’altra da un uomo che si firmava “The Man”, in cui questi diceva di avere con sé i bambini; dalle analisi forensi, inizialmente le missive furono ritenute autentiche, ma anno dopo si appurò che erano false.

Diversi individui furono sospettati di aver rapito i bambini Beaumont, tra essi Harry Phipps, un ricco uomo d'affari di Adelaide accusato in precedenza di abusi sui minori, e Bevan Spencer von Einem, un assassino che negli anni '80 aveva rapito ed ucciso un ragazzo; secondo la soffiata di un informatore anonimo, von Einem si vantava di aver rapito tre bambini da una spiaggia diversi anni prima ma, dopo accurate indagini, per quanto ci fossero elementi che potessero sostenere questo possibile coinvolgimento del criminale, si arrivò alla conclusione che von Einem non c'entrasse nulla, anche perché non ci si trovava con l'età del rapitore: l’uomo avvistato in compagnia dei tre bambini, infatti, era stato descritto come “trentenne”, mentre von Einem all’epoca aveva solo vent’anni.

Jim e Nancy Beaumont rimasero per anni nella loro casa di Somerton Park, nella speranza che i loro figli un giorno tornassero a casa...

L'angosciante storia dei tre fratellini Beaumont, mai ritrovati, è uno dei cold case più tristemente famosi in Australia.

Di recente (febbraio c.a.), c'è stato un nuovo interesse per questo caso.
Avete presente uno dei principali sospettati, Phipps?
Ecco, nel 2008 lo scrittore Stuart Mullins contattò l'ex detective Bill Hayes per mostrargli il proprio personale fascicolo in cui aveva raccolto dati ed ipotesi circa la scomparsa dei fratellini Beaumont e in cui faceva il nome del presunto rapitore...

Mullins si avvicinò a Bill dopo aver individuato una prova interessante: la borsa beige con clip che Jane Beaumont portava con sé il giorno della fatidica gita, Stuart la vide mentre visitava la casa di un'anziana vedova, Elizabeth Phipps, nel giugno 2007.
Un particolare da brividi, soprattutto se si considera che sovente gli assassini collezionano 'souvenir' appartenenti alle loro vittime.

Per Stuart, tale avvistamento confermò ciò che sospettava da tempo: l'uomo che aveva rapito i Beaumont quel giorno era il defunto marito di Elizabeth, il milionario e pedofilo Harry Phipps. 
Quando però Stuart ottenne che la polizia indagasse su questo particolare, Elizabeth affermò di aver gettato via la borsa. 

E fu così che Mullins si decise a chiedere aiuto a Bill; questi prese a cuore il caso e, indagando, si rese conto che tutte le strade portavano a Phipps, uomo ricco e influente nella comunità, con legami con la Chiesa e lo Stato. 
Bill e Mullins sottolineano come egli possedesse delle proprietà a pochi passi o a breve distanza da Glenelg Beach, il luogo della scomparsa dei tre fratelli.
A dare conferma della perversione sessuale di Phipps è lo stesso figlio, Haydn, che  confessò di essere stato abusato dal genitore, quand'era un bambino...; non solo, ma egli, che aveva 15 anni al momento della scomparsa dei bambini, affermò di aver visto i Beaumont nella sua casa di famiglia a Glenelg.

Ma la svolta per un'eventuale riapertura avvenne nel 2013, quando due uomini si fecero avanti dopo aver ricordato di aver scavato una buca di due metri per un metro nella fabbrica Castalloy (North Plympton, Adelaide) di Phipps l'ultimo fine settimana di gennaio del 1966. 
L'uomo che commissionò la buca corrispondeva alla descrizione di Phipps. 

Ci sono state, quindi, delle operazioni di scavo nel sito dell'ex fabbrica Castalloy ma mi sembra - leggendo diversi articoli nel web - che non sia stato trovato nulla di rilevante, almeno per ora...

Altro elemento ritenuto importante da Mullins e Hayes: una persona vicina alla famiglia Beaumont ha riferito che, dopo la scomparsa dei fratelli, la nipote di Phipps si fossebsposata con un cugino di Jim Beaumont, il che fa supporre che allora Harry Phipps potrebbe aver avuto modo di conoscere Jane, Arnna e Grant, e magari proprio in virtù di questa conoscenza i tre non si sarebbero allarmati quando l'uomo gli aveva avvicinati...

Non ci resta che aspettare che emergano altre novità, con la speranza di poter sapere cosa sia accaduto a quelle tre anime innocenti e per mani di chi.

📝📖📝📖📝📖📝📖📝📖📝📖

L'altro caso nominato dalla Morton è quello della piccola Azaria Chamberlain.

Figlia di un pastore avventista, Azaria morì a poche settimane di vita uccisa da un dingo; nell'agosto 1980 la piccola era nella tenda all'interno di un campeggio a Uluru (Ayer's Rock, Australia) e fu portata via dall'animale.

Fu sua madre, Lindy Chamberlain, a riferire di aver visto un dingo uscire dalla loro tenda subito dopo la scomparsa della bimba, e immediatamente partirono le ricerche ma il corpicino non fu ritrovato.

Una settimana dopo la scomparsa di Azaria, un uomo, mentre stava scattando foto di fiori selvatici vicino ad Ayer's Rock, notò dei vestiti strappati vicino a un masso, che si rivelarono essere un pannolino strappato e la tutina di un neonato.

Lindy purtroppo fu accusata di aver ucciso la propria figlia, nonostante non vi fossero prove oggettive che facessero pensare a lei quale autrice di questo crimine abietto; la donna fu comunque condannata in primo grado di omicidio sulla base di prove circostanziali, tra cui il sangue trovato nell'auto di famiglia, inizialmente ritenuto appartenente ad Azaria, cosa che venne confermata da una biologa, mentre il medico legale sostenne che gli strappi trovati nella tuta di Azaria fossero più compatibili con delle forbici che con il morso di un dingo. 

Nel 1982, Lindy fu condannata all'ergastolo, mentre suo marito, Michael, ricevette una pena minore.

I Chamberlain erano membri della Chiesa Avventista del Settimo Giorno e su quest'affiliazione religiosa ruotarono numerose speculazioni e teorie assurde, tra cui quella che i genitori avessero ucciso la figlia in una sorta di sacrificio rituale. 

Ma mentre Lindy era in prigione, nuove prove emersero a favore della donna: anzitutto, venne fuori che nell'auto della famiglia c'era dell'emulsione di vernice e non del sangue. 
Ma l'evento determinante fu un fatto del tutto accidentale: un escursionista inglese (David Brett) cadde da Ayer's Rock, il suo cadavere fu ritrovato otto giorni dopo la caduta in una zona piena di tane di dingo e lì gli investigatori rinvennero la giacca mancante di Azaria, in una delle tane. 

I coniugi Chamberlain e i loro sostenitori dovettero lottare molto e a lungo perché fosse fatta giustizia ma perché la donna fosse liberata e il verdetto ribaltato, dovettero attendere il 2012, quando perché il coroner emise la sentenza ufficiale: il responsabile della morte di Azaria fu un dingo.

Dopo la vicenda e il tragico errore giudiziario, la vita della famiglia Chamberlain cambiò radicalmente: Lindy si trasferì negli States e Michael dedicò il resto della sua vita alla lotta per la giustizia e contro i pregiudizi e le persecuzioni. 


Gli altri due casi - la ragazza del pigiama giallo e l'uomo di Somerton - li vedremo in un prossimo post.




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domenica 24 agosto 2025

[ Recensione ] RITORNO A CASA di Kate Morton



In un caldo pomeriggio estivo, i quattro membri di una famiglia sono stesi sul prato; hanno l'aria di essere serenamente addormentati e, a vederli, la scena è così perfettamente immobile da sembrare un  dipinto.
Ma se si osserva con attenzione, si può notare che tutta quell'immobilità è troppo strana, tanto da risultare sospetta ed infatti quelle persone (una donna con i suoi tre figli) sono morti.
Che cosa è successo? Perché un normalissimo picnic è finito in tragedia?
Decenni dopo, una donna - appartenente a quella famiglia - si proporrà di capire cosa sia davvero successo.


RITORNO A CASA 
di Kate Morton

HarperCollinsIt
trad. R.Zuppet
592 pp
Adelaide Hills, Australia Meridionale, 1959. Quando il fattorino Percy Summer si avvicina alla bellissima tenuta di campagna, chiamata Halcyon dai padroni di casa, vede una donna e i suoi bambini appisolati, nel corso di un picnic.
La donna è Isabel Turner e i tre sono i suoi figli Matilda, Evie e John, che hanno evidentemente deciso di trascorrere il pomeriggio della vigilia di Natale del 1959 a fare merenda sul prato e forse a fare una nuotata.
Eppure, agli occhi di Percy c'è qualcosa in quella che sembra una scena tranquilla e bucolica, che stona terribilmente.

"La scena sotto il salice trasmetteva una certa intimità, una certa vulnerabilità. Ecco una famiglia riunita che dormiva, con le tracce del pranzo ancora disposte a casaccio sulla coperta: piatti e tazze, croste di pane e briciole di torta. 
Fu allora che l'immobilità della scena lo colpì. Era quasi innaturale. (...) Qualcosa si muoveva sul polso della bambina più piccola, notò. Si avvicinò cautamente. E fu allora che vide la fila di formiche strisciare sul suo corpo, lungo il braccio e verso gli avanzi del picnic. Tutto il resto era statico, silenzioso. I lineamenti non si contraevano nel sonno. Nessuno sbadigliava o cambiava posizione (...). Nessuno alzava o abbassava il petto".

In un misto di sorpresa e terrore, Mr Summers si rende conto che i quattro... sono morti!

Senza indugio, ed evitando di farsi domande che in quel momento resterebbero prive di risposta, monta sul proprio cavallo e va a cercare aiuto.

Partono immediatamente le indagini per capire cosa sia accaduto ai Turner: come sono morti? Si tratta di un incidente o è un pluriomicidio? 
La piccola e tranqueilla città di Tambilla sprofonda in uno dei casi di omicidio più sconvolgenti della storia dell’Australia Meridionale e ad incrementare il livello di angoscia e di shock ci pensa un altro agghiacciante particolare: Percy, preso dalla paura, non si era accorto di un elemento importantissimo e che però si palesa, agli occhi della polizia, quando questa giunge sulla scena della tragedia (o del delitto?), vale a dire che appesa a un ramo c'è una cesta in cui doveva esserci la piccola Thea, l'ultimogenita della signora Isabel.
Dov'è finita la piccola, che ha solo pochi mesi? Chi l'ha presa e perché?

Percy Summers è sconvolto e quella maledetta scena che gli si è presentata davanti non la dimenticherà più, anzi assumerà i contorni di un incubo che continuerà a perseguitarlo e tormentarlo negli anni a venire.

Ovviamente, la polizia deve battere tutte le piste possibili ma è tutto molto misterioso in quanto i corpi non presentano alcun segno che faccia pensare ad un'aggressione da parte di qualcuno....

Come sono morti i Turner? E se sono stati assassinati, da chi? Chi poteva avere interesse a uccidere tre minori e una signora bella e gentile proveniente dalla lontana Inghilterra, sposata con un uomo rispettabile (purtroppo spesso via per lavoro)?

La narrazione si divide in due piani temporali: il 1959, appunto, e il 2018 e per capire nel dettaglio cosa sia accaduto in quel torrido 24 dicembre del 1959, il lettore farà molti salti da un anno all'altro e sarà nel 2018 che una donna - legata per parentela ai Turner - farà di tutto per capire cosa sia accaduto in quel drammatico pomeriggio e  per sciogliere ogni piccolo dubbio su colpe e responsabilità.

Questa donna è Jess Turner-Bridges, che nel 2018 è vicina ai quarant'anni; vive a Londra, ha da poco chiuso una relazione importante ed è stata pure licenziata, per cui è alla disperata ricerca di un lavoro come giornalista; ad aumentare il carico di ansia e disperazione ci pensa una telefonata dall'Australia (la sua terra natia) che avrebbe preferito ricevere il più tardi possibile: la sua cara e amata nonna Nora è ricoverata in ospedale in seguito a una caduta e, quando Jess va a trovarla, sembra non sia rimasto nulla della donna coraggiosa che conosceva.

L'anziana è immobile in un letto d'ospedale, per lo più dorme ma, in quei rari momenti in cui riesce ad articolare suoni, mormora parole incomprensibili e misteriose in cui è evidente come la nonna abbia paura..., paura che qualcuno voglia rubarle la sua bambina...

D quale bambina sta parlando? Di Jess o della propria figlia Polly (la madre di Jess)?

Jess non capisce cosa turbi la donna e, in più, viene a sapere che Nora è caduta mentre cercava di andare su in soffitta, quella stessa soffitta che a Jess, da bambina, era stata severamente proibita.
Ovviamente, proibire qualcosa a una bimba vivace e curiosa come Jess era come invitarla a disobbedire, ed infatti ella ha costantemente frequentato di nascosto la vecchia soffitta a Darling House, la bella casa di Nora, in cui Jess ha trascorso gran parte della propria vita e a cui sono legati tantissimi cari ricordi.

Certo, questi ricordi sono meno cari quando Jess pensa alla madre Polly, verso la quale nutre non pochi rancori: Polly, infatti (ragazza madre e -pare - abbandonata dal padre di Jess), a un certo punto prese la decisione di lasciare la figlioletta (allora decenne) a Darling House, con Nora; nonostante avesse promesso di andare a riprenderla e portarla con sé, non l'aveva mai fatto e questa distanza fisica ne aveva creata una emotiva, così da deteriorare il legame madre-figlia.

Nora ha fatto da madre a Jess, c'è sempre stata per lei, non ha fatto che incoraggiarla ad essere una ragazza determinata, vincente, a non arrendersi davanti agli ostacoli ma a porsi degli obiettivi e a lavorare sodo per raggiungerli.
Jess ama sua nonna teneramente e il pensiero che potrebbe morire in quell'asettica stanza d'ospedale, la fa star male.
Ma cosa ancora più urgente, Jess vuole scoprire cosa angosciava Nora tanto da spingerla a rischiare di prendere la scala e salire in soffitta: cosa cercava in quell'angolo della casa? Cosa la turbava tanto nei giorni precedenti la caduta?

Jess inizia a scavare nella polvere di Darling House e, grazie alla lettura di un testo - un libro-inchiesta scritto in una forma romanzata -, "Come se dormissero" del giornalista americano Daniel Miller, apprenderà una tragica verità sul passato dei Turner: c'è stato un terribile omicidio il giorno della Vigilia di Natale del 1959, un cold case rimasto irrisolto e che ha inquietanti collegamenti con la stessa Jess, che si appassiona tanto alla lettura del libro da non riuscire a staccarsene: lei deve assolutamente capire cosa effettivamente sia accaduto a Isabel, a John, a Matilda, ad Evie...
E poi c'è la questione della neonata rapita, Thea, anche se vent'anni dopo (quindi nel 1979), un tristissimo ritrovamento (non distante dal luogo del tragico picnic) farà ritenere chiusa almeno quella parte del mistero.

Il romanzo ha una trama davvero molto articolata e complessa, composta da numerosi personaggi, dislocata in un arco di tempo che va dal 1959 (con "fermate" nel 1978-'79) al 2018; l'autrice unisce il passato al presente attraverso una narrazione a più livelli, per cui alla prospettiva di Jess (nel presente) si aggiunge quella offerta dall'autore del saggio "Come se dormissero" (il reporter  Miller), letto dalla stessa Jess ("libro nel libro", in pratica) e che   occupa non poco spazio, permettendo tanto alla protagonista quanto al lettore di immergersi totalmente nella vita della famiglia Turner all' interno dell' affascinante tenuta Halcyon, sbirciando nel privato di Isabel, dei suoi figli, ma anche dei Summers e degli altri abitanti di Tambilla, così da sentirsi coinvolti emotivamente dalla brutta faccenda riguardante la morte dei quattro sfortunati nel corso del picnic.

La ricerca della verità conduce Jess ad aprire un baule (letteralmente e metaforicamente) pieno zeppo di segreti, di cose non dette, di verità taciute per paura o egoismo, di bugie e inganni che però pian piano verranno tutti a galla e questo permetterà a Jess di dare un senso a quel suo tornare a casa - in generale, in Australia, e a Darling House nello specifico - per comprendere meglio, con chiarezza e senza più ombre e nebbie, le proprie origini, la storia della propria famiglia, per guardare da vicino e ad ascoltare con attenzione un lungo e doloroso racconto che parla di donne forti ma anche sole, di madri che hanno dovuto fare delle scelte difficili e sofferte, di figli molto desiderati ed amati, di azioni incoscienti dalle conseguenze atroci.

Ricco di descrizioni suggestive delle due case in cui i personaggi si muovono (Darling House ma soprattutto Halcyon), il romanzo ha per lo più un ritmo pacato, dilatato, in cui io personalmente ho avuto modo di gustarmi ogni particolare, ogni descrizione (di persone, ambienti naturali, di pensieri e stati d'animo dei personaggi...) senza sentirmi mai annoiata, ma anzi accogliendo questa calma come coerente con l'impianto narrativo, fatto di attese lunghe decenni.

Forse qualche pagina in meno non avrebbe guastato, senza dubbio il romanzo soffre di un po' di lentezza, ma io ho amato molto la storia, i luoghi, i piccoli colpi di scena, l'intreccio fitto di misteri e graduali scoperte che girano attorno al picnic, alla morte dei Turner, alle origini di Jess, a ciò che successe alla bimba scomparsa dalla cesta.

Un racconto corale molto ricco, quindi, di tanti elementi e dettagli, in cui il concetto di casa, di sentirsi a casa, lì dove si è al sicuro e accolti e amati per ciò che si è, accompagna Jess e il lettore dall'inizio alla fine, e dove la conoscenza della verità e del passato sono necessarie per capire chi si è.

"Casa, aveva capito, non era un luogo, un tempo o una persona, benché potesse essere tutte queste cose insieme. Casa era una sensazione, un senso di completezza. Il contrario di casa non era lontananza, bensì solitudine. Quando qualcuno diceva: <Voglio andare a casa> in realtà intendeva che non voleva più sentirsi solo".

A me è piaciuto molto; per i miei gusti letterari, la Morton si conferma una bravissima narratrice e ho amato questo romanzo dalle atmosfere inevitabilmente malinconiche, nostalgiche, decadenti, come lo sono, di sovente, le grandi case di campagna quando, dopo anni in cui sono state abitate e riempite di voci, risate, giochi e scherzi tra bambini, vengono  poi abbandonate, lasciate all'incuria crudele del tempo, diventando tristemente silenziose ma pur sempre cariche di ricordi e storie da scoprire.

"Le persone che sono vissute nelle vecchie case arrivano a capire che gli edifici hanno un carattere. Che hanno ricordi e segreti da raccontare. Bisogna solo imparare ad ascoltare e poi a comprendere, come con qualsiasi lingua."

Consigliato a chi ama i libri che si concentrano su vicende famigliari e misteri da risolvere.


Alcune citazioni

"Eppure c'erano momenti in cui provava terrore per la propria desolazione, per la sensazione tormentosa di aver perso qualcosa a cui non sapeva dare un nome e che dunque non poteva sperare di ritrovare".

"...all'interno delle copertine c'erano mondi interi, pieni di persone e luoghi, di avventure e umorismo, che aspettavano solo che lui vi prendesse parte".

"...la paura è la porta dell'opportunità. E posso assicurarti, tesoro, che ogni cosa bella che mi è successa da allora è arrivata quando ho agito nonostante le mie paure".

"Le cose brutte succedono anche alle persone migliori e non possiamo lasciarci sopraffare. La vita non va sempre come l'abbiamo pianificata, ma alla fine le cose si risolvono".

"Le parole (...) sapevano essere insidiose quanto le persone: sembravano dire una cosa, mentre sotto la superficie si nascondeva un altro significato segreto".

"La lettura plasma le persone. Il paesaggio dei libri è più reale, per certi versi, di quello fuori dalla finestra".

"La casa è dove si trova il cuore, e il cuore può essere un luogo oscuro e danneggiato ".




giovedì 21 agosto 2025

Recensione || YARA GAMBIRASIO. UN CASO IRRISOLTO di Federico Liguori

 

Il 26 febbraio 2011 il corpo senza vita di una ragazzina viene ritrovato in un campo a Chignolo d'Isola: si tratta della tredicenne Yara Gambirasio, scomparsa dal novembre 2010, dopo essere uscita dal centro sportivo di Brembate di Sopra, da lei abitualmente frequentato.
L'omicidio della piccola Yara assume da subito una notevole rilevanza mediatica per diverse ragioni, tra cui quella riguardante la ricerca dell'assassino, individuato in Massimo Giuseppe Bossetti, sulla cui colpevolezza l'opinione pubblica si divise (e si divide ancora oggi), come spesso accade nei casi di cronaca particolarmente complessi, in frange innocentiste e colpevoliste.


YARA GAMBIRASIO. UN CASO IRRISOLTO 
di Federico Liguori


Giraldi Ed.
278 pp
18 euro
Il presente saggio documentaristico è ad opera di un giovane molto preparato che personalmente seguo su YouTube da quando ha aperto il canale >> QUI <<.

Federico Liguori mostra una sincera passione e un genuino interesse per l'omicidio di Yara, che lo hanno indotto a documentarsi con molta cura e serietà su questo doloroso e drammatico fatto di cronaca nera che, benché ufficialmente risolto, custodisce in realtà numerosi interrogativi e perplessità che tre sentenze di condanna non sono riusciti a placare in chi - se anche non volesse mettere in dubbio la colpevolezza di colui che sta scontando l'ergastolo per l'omicidio di Yara - trova che comunque le indagini siano state condotte in modo lacunoso e che forse la colpevolezza di Bossetti non sia stata provata oltre ogni ragionevole dubbio.

"Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli 
al di là di ogni ragionevole dubbio." 
(art. 533 del Codice di Procedura Penale)


Federico parte da un giusto e importante presupposto: quando si vuol parlare di delitti bisogna analizzare i fatti ed attenersi a ricostruzioni verificabili e plausibili.
Ed è ciò che egli, nel suo piccolo e con i mezzi e le capacità di cui dispone, ha provato a fare, partendo dalla lettura e dallo studio di tutto il materiale cui ha avuto accesso, per poi recarsi nei luoghi in cui si è consumata la tragedia, vedere con i propri occhi quei posti e collocare ipotesi e ricostruzioni nel loro contesto reale.

Liguori si fa domande, molte domande, e tutte legittime, ed esse prendono vita non da posizioni "complottiste" bensì da dubbi che nascono spontaneamente quando ci si accosta al caso senza pregiudizi ma con la sola voglia di capire se ci siano o meno dei punti rimasti oscuri nonostante i tre gradi di giudizio.

Partendo dall'inizio e contestualizzando fatti e persone, Federico riassume con cura e doviziosamente gli eventi che hanno preceduto e quelli che sono susseguiti alla scomparsa della povera Yara, a partire dalle piste investigative iniziali, e quindi il modo in cui i giornali italiani hanno scelto, da subito, di narrare di volta in volta i fatti e le novità che man mano emergevano, i tentativi per trovare la "pista giusta" e le "cantonate" prese dagli inquirenti, le speranze, i sospetti, il panico di chi viveva a Brembate e aveva ragione di credere che tra loro vi fosse un mostro che rapiva minorenni.

E poi c'è lui, il muratore di Mapello, l'uomo smilzo dagli occhi di un azzurro ghiaccio e la barbetta ossigenata, con tutto il carico di informazioni e congetture che su di lui (e sui famigliari maggiormente coinvolti: la moglie Marita, la madre Ester Arzuffi, il padre biologico Giuseppe Guerinoni...) è stato possibile tirar fuori, vero o falso che fosse.

Attraverso Federico, il lettore ripercorre ogni tappa delle indagini, ricordandoci dei cani molecolari che fiutarono qualcosa nel cantiere o del primissimo sospettato (Fikri): il terribile caso di cronaca esplose con prepotenza su tutte le prime pagine dei giornali per prendersi spazio su carta, in tv, ovunque sui media. 

Il ritrovamento del corpo della piccola è l'inizio di un mistero che durerà per ben otto anni, passando per l'arresto di Bossetti (avvenuto in modo quasi "cinematografico", a favor di telecamera) nel 2014 per arrivare al 12 ottobre 2018, quando la Corte di Cassazione condanna con sentenza definitiva l'uomo ritenuto colpevole del delitto.

Ergastolo. 

Bossetti: un uomo qualsiasi, un muratore incensurato dalla vita normale, un padre amorevole, sposato dal 1999 con la sua Marita, con la quale il matrimonio procedeva, seppur tra alti e bassi come in ogni coppia. 
Su Bossetti i media si fiondano come avvoltoi sui cadaveri, scavando nella vita sua e dei suoi cari, magari tirando fuori anche questioni che col processo in sé non avevano a che fare (vedi i tradimenti della moglie), ma tutto con lo scopo di sbattere il mostro in prima pagina, poi che importa se tante notizie date per certe e per assodate non fossero state neanche minimamente verificate!

Massimo Bossetti è stato giudicato per tre volte colpevole; contro di lui una serie di prove indiziarie ma una su tutte, per gli inquirenti, è quella che lo inchioderebbe con le spalle al muro e senza se e senza ma: la prova granitica della traccia di DNA ritrovata sugli indumenti intimi della tredicenne.

Ignoto 1.
Chi non ha sentito nominare, e non una volta sola, questo sconosciuto individuo ritenuto, senza ombra di dubbio, l'assassino?
Così come sicuramente tutti ricordiamo la straordinaria indagine che ha permesso, attraverso la raccolta di un numero notevole di campioni di DNA nella zona e tra i frequentatori dei luoghi chiave, di arrivare al padre biologico di Ignoto 1, alla madre biologica dello stesso e, quindi, a lui: Massimo Giuseppe Bossetti.

I giudici non hanno avuto dubbi e il caso è stato chiuso, con Bossetti dietro le sbarre a vita.

Ma è davvero risolto questo terribile caso che ha travolto e cambiato per sempre la povera famiglia Gambirasio e scosso l'Italia intera?

Dopo tanti anni, questo libro si propone di ricapitolare, analizzare con estrema chiarezza e mettere in fila tutte le domande senza risposta, i punti oscuri che aleggiano su questa tragica vicenda: nessun movente, nessun testimone, nessuna arma del delitto, nessuna confessione. 

L'autore ha un approccio al caso umile, proprio di chi vuol davvero capire e trovare risposte, senza pretendere di avere delle verità in tasca, ma usando la logica e il buon senso per cercare di seguire il percorso fatto dagli inquirenti per arrivare alla certezza della colpevolezza, individuandone le lacune, le ambiguità, e soprattutto mettendosi al fianco della difesa di Bossetti, che tenacemente non ha mai smesso, neanche dopo la condanna in Cassazione, di combattere affinché al loro assistito fosse garantito davvero il diritto di difendersi attraverso l'analisi dei reperti e del materiale genetico (oggetti e vestiti di Yara, le tracce di DNA ritrovate e appartenenti a più soggetti mai individuati...).

Diciassette sono i ragionevoli dubbi che Liguori espone ragionando sulle dinamiche dell'omicidio, tenendo conto degli orari, di celle agganciate, di furgoni (veri o presunti) che girano attorno alla palestra, di quanto le strade "incriminate" fossero più o meno trafficate nell'ora interessata, di quanto fosse più o meno facilmente praticabile il campo in cui il corpo della giovanissima vittima è stato rinvenuto, della reale ed effettiva possibilità che esso sia stato lì per tre mesi oppure no, del tempo che avrebbe impiegato l'assassino per fare ciò che ha fatto, ed altri interrogativi fondamentali.

A fine lettura, il dilemma resta: in carcere c’è l’assassino o un innocente che è rimasto intrappolato in un meccanismo infernale? 

Per l'autore, il caso è ben lontano dall’essere risolto “oltre ogni ragionevole dubbio”, a fronte delle non poche ed evidenti mancanze e delle sospette superficialità da parte di chi ha indagato, del pauroso sciacallaggio mediatico ("questo caso mi ha mostrato il volto più squallido del giornalismo"), di tutte le assurde supposizioni e delle bugie...

Cerca di essere lucido, analitico ed imparziale, Federico Liguori, e io credo che ci riesca perché ho intravisto, tra queste pagine, il suo sincero sforzo di raccontare i fatti con ordine e razionalità, mettendo da parte pregiudizi o presunte certezze già acquisite, cercando di mettere nero su bianco  quello che è stato scritto e detto su Yara, Bossetti, DNA e tutto ciò che ruota attorno al caso che, non dobbiamo dimenticarlo, vede come vittima una ragazzina di tredici anni che, dietro quel sorriso e quegli occhi vivaci che tutti abbiamo imparato a conoscere e anche a voler bene - come se fossero di nostra figlia, cugina, nipote, amica... -, custodiva e coltivava dei sogni, che un criminale ha spezzato con sadismo e crudeltà.

Un'altra cosa che mi è piaciuta molto è l'empatia che Federico manifesta nell'accennare a Yara, come anche alla sua famiglia e a quella di Bossetti, anch'essa innocente e finita in un tritacarne mediatico aberrante.

E se anche Bossetti fosse da annoverare tra le vittime di questa triste vicenda?

"Questa è la storia di un lupo travestito da agnello o di un agnello a cui è stato cucito addosso il vestito di un lupo?  Questa è la storia di un'indagine straordinaria e senza pari nella storia italiana o di una serie di elementi dati per scontato e poi sommati fino a diventare una certezza che nessuno poteva più mettere in discussione? Ignoto 1 è davvero l'assassino della piccola Yara? Massimo Bossetti ha subito un giusto processo?".

Come dicevo, Federico si pone e guida anche il lettore a porsi un sacco di interrogativi, nessuno di essi fantasioso o campato in aria, anzi.
E l'assenza di risposte definitive potrebbe indurvi a chiedervi: "possiamo fidarci di questa giustizia? Possiamo fidarci dei media?"

Consigliato a chi è interessato a questo atroce fatto di cronaca italiana e a chi vuol avvicinarsi ad esso con l'atteggiamento aperto e curioso di chi non smette di farsi domande e di mettere in discussione ciò che crede di sapere con certezza.





lunedì 18 agosto 2025

Recensione || NEVER FLINCH. LA LOTTERIA DEGLI INNOCENTI di Stephen King



Un uomo, accusato ingiustamente di un reato che non ha commesso, viene ucciso in carcere; un serial killer decide di vendicarne la morte uccidendo un certo numero di innocenti.
L'investigatrice privata Holly Gibney dà il proprio prezioso contributo alla polizia per individuare l'assassino ma questi non sarà l'unico uomo a cui darà la caccia: una femminista, che ha assunto Holly  come guardia del corpo, sta ricevendo pericolose minacce da uno stalker mosso da uno spirito religioso decisamente fanatico.



NEVER FLINCH. LA LOTTERIA DEGLI INNOCENTI
di Stephen King


Sperling&Kupfer
trad. L. Briasco
512 pp
Quando l'ispettrice Izzy Jaynes e tutto il dipartimento di polizia di Buckeye si vede recapitare una lettera in cui un certo Bill Wilson (nome sicuramente falso) minaccia una diabolica missione di espiazione, capiscono sin da subito di essere di fronte ad un'indagine oscura e pericolosa. 
Tale Wilson promette vendetta: ha intenzione, infatti, di uccidere tredici innocenti e un colpevole come riscatto per «l'inutile morte di un innocente».
L'innocente cui fa riferimento il killer è Alan Duffrey, accusato e condannato per possesso di materiale pedopornografico; l'uomo è stato ucciso in prigione e della sua morte - frutto di un clamoroso errore giudiziario - qualcuno deve rendere conto e pagare lo scotto.
Il "signor Wilson" non toglierà la vita a chi materialmente ha contribuito a condannare ingiustamente un innocente, bensì si vendicherà a sua volta su degli innocenti.

"Quando avrà finito, il mondo intero saprà che se un innocente muore, altri innocenti devono morire insieme a lui. È l’unica espiazione davvero perfetta.
«Perché i colpevoli soffriranno»"

Purtroppo, come avremo modo di constatare nel corso della lettura, il killer sceglie a caso le proprie vittime; esse non hanno alcun collegamento né con Duffrey né con il vero colpevole del reato contestato a Duffrey (e che ha deciso di confessare per ragioni egoistiche e perché è in una condizione in cui "non ha più nulla da perdere"...) né con il giudice o la giuria che ha emesso sentenza.

Il nome vero del serial killer lo conosceremo molto più in là, ma ciò che ci viene detto è che spesso - in taluni contesti, come durante le riunioni degli Alcolisti Anonimi cui partecipa - si fa chiamare Trig.
 
Ovviamente - proprio come Bill Wilson - anche Trig è un soprannome per cui Izzy e la sua amica detective Holly Gibney devono assolutamente individuare l'identità che si cela dietro questi pseudonimi; non solo, ma devono capire come si muove, se c'è un minimo di criterio nella scelta delle vittime innocenti e, soprattutto, perché lo sta facendo.
Sì, certo, la motivazione ufficiale e dichiarata è vendicare Duffrey... Ma perché l'assassino ha così a cuore il caso? È forse un parente o un amico di Duffrey? Cosa lo lega all'ingiusta condanna di cui quell'uomo è stata vittima?

Parallelamente, seguiamo le vicende turbolente di Kate McKay, attivista dal notevole carisma, simbolo di una nuova ondata di femminismo, che tiene numerose ed affollatissime conferenze in diversi stati, "predicando" con fervore soprattutto sul diritto delle donne di poter decidere della propria vita e del proprio corpo, ad es. in merito all'aborto. 

Le sale in cui Kate - seguita ed assistita dalla sua stretta e fedele collaboratrice, la giovane Corrie Anderson - va ad urlare con passione e convinzione "Potere alle donne!", si riempiono ovviamente di sostenitori ed estimatori dell'attivista ma anche di detrattori ed in particolare di frange di cristiani estremisti che la ritengono un'assassina di feti e, di conseguenza, una donna pericolosa, portatrice di messaggi diabolici e contrari alla fede cristiana.
Tra questi cristiani si acquatta, nell'ombra degli angoli meno illuminati delle sale, qualcuno più fanatico di altri che è intenzionato a mettere a tacere la McKay, costi quel che costi. 
All'inizio si tratta solo di piccoli sabotaggi, ma presto il pericolo si fa reale e proprio Holly viene chiamata da Kate per proteggerla facendole da bodyguard.

La Gibney, quindi, si muove tra due casi che viaggiano su due binari distinti e distanti ma che, a un certo punto, si incroceranno: da una parte, Holly vuole essere d'aiuto all'amica Izzy, cercando di ragionare con lei su come arrivare a capire chi si celi dietro il nomignolo Trig, dall'altra deve fare i conti con una datrice di lavoro - Kate - che è bella tosta, una donna altamente sicura di sé, che quasi si sente imbattibile e inaffondabile, ma che dovrà accettare, suo malgrado, come il suo stalker sia tenace e determinato almeno quanto lei, e che quelli che, inizialmente, erano solo dei dispettucci (per quanto comunque già sgradevoli e, in una certa misura, pericolosi), man mano diventano dei reati che mettono a rischio la vita sua, di Corrie, della stessa Holly e del fiume di gente che va ad ascoltare (per osannarla o insultarla) la McKay.

La narrazione segue la prospettiva dei numerosi personaggi che, in vari modi e per diverse ragioni, sono coinvolti nelle vicende riguardanti i due casi (Trig/Kate), compresa quella del criminale che ha architettato questa sanguinosa "lotteria degli innocenti".

Trigg è una persona intelligente, scaltra, che, nell'organizzare la sua malvagia missione omicida, si sforza di stare attento a non lasciare tracce del proprio passaggio sulle varie (e, il più delle volte, estemporanee) scene del crimine, ma ha un enorme problema: è una personalità disturbata e in ogni momento (tanto più in quelli cruciali) sente la voce sprezzante di suo padre (morto) che lo prende in giro o lo rimprovera, fatto che lo manda in ansia e che innesca rabbia e frustrazione, così da porlo in una condizione di estrema violenza ma anche di vulnerabilità.

E quando si è vulnerabili, è più facile commettere errori e sviste, e se poi sulle tracce del serial killer c'è una riflessiva Holly, che non smette di rimuginare su particolari e dettagli ambigui fino a quando non le si accende la lampadina, c'è da star certi che presto o tardi si arriverà al colpevole.

C'è solo da sperare di non arrivare troppo tardi e che il serial killer non finisca per portare a termine il proprio malefico piano criminale...

Cosa dire di questo romanzo?

Premessa n.1: non ho letto molti libri di King, anzi, ne ho letti decisamente meno di quanto avrei voluto, il che non mi rende un'esperta della produzione letteraria kinghiana.
Premessa n.2: so che Holly è presente in altri romanzi precedenti a questo, e così pure altri personaggi che compaiono qui, ma io non ho mai letto null'altro, prima, con Holly Gibney.

Detto questo, onestamente mi tocca ammettere che per almeno metà libro mi sono quasi... annoiata; ho trovato il ritmo lento, troppo dilatato, ciò che veniva raccontato - nonostante ci fosse questo serial killer  in giro ad ammazzare gente a caso - non mi coinvolgeva, non mi dava suspense, non mi sembrava proprio granché, ecco, forse perché mi sono accostata a questo romanzo con l'idea che, essendo scritto dal maestro dell'horror (lo so che Never flinch non è horror e non mi aspettavo lo fosse), risultasse appassionante, con personaggi che mi inchiodassero al testo e che fossero, se non malvagi sino al diabolico, quanto meno interessanti, impattanti.

Ora, riconosco che Holly non è male come personaggio principale: una donna over 50, coi capelli brizzolati, minuta e tanto, tanto insicura, con numerose fragilità e con una bassa autostima, che però riesce a tirar fuori intuizioni importanti per risolvere i casi ai quali lavora. Mi è sembrato un personaggio complesso, ben costruito e questo mi è piaciuto.

Trig, invece, che comunque è principale anch'egli in questo thriller (poco "thrilleroso", ahimè), mi ha convinto poco, l'ho trovato piatto e privo di mordente, artificioso, insomma non mi ha stupito né in bene né in male.

L'idea di base è carina, un po' meno interessante la storia parallela della femminista invasata (al pari dei fanatici religiosi che la vogliono morta) e che va in giro urlando in nome del potere alle donne; anche lo stalker che la pedina (di cui conosceremo la storia personale) non mi ha conquistata.

Insomma, nel complesso devo dire che questo romanzo non mi ha entusiasmata, l'ho trovato debole su molti fronti, privo di tensione per la maggior parte della trama; si salva nelle ultime cento pagine, in cui il ritmo si fa più dinamico, si sente l'adrenalina dovuta alla corsa contro il tempo per fermare Trig e verso la fine, infatti, la mia attenzione ha avuto un picco verso l'alto.
Finale criptico e, per questo, positivo.

Salvo il romanzo per l'ultima parte, che mi ha coinvolta maggiormente; purtroppo per 2/3 non mi ha presa, come dicevo, e non ho mollato per testardaggine mia.

Ultima confessione: mentre leggevo, spesso mi son ritrovata a chiedermi: ma l'ha scritto davvero Stephen King?????

Senza infamia e senza lode.
Non lo consiglio spassionatamente, ma solo a chi ama King a prescindere.




sabato 16 agosto 2025

Recensione// IL CANTO DEGLI INNOCENTI di Piergiorgio Pulixi

 


In questo primo volume della serie "I canti del male", il commissario Vito Strega deve vedersela con due casi complessi e di non facile soluzione.
Il primo ha a che fare con una serie di omicidi compiuti, senza ombra di dubbio, da dei ragazzini...
Il secondo, invece, ha al centro Vito stesso: egli costituisce per sé stesso il più importante caso da risolvere per poter essere un uomo davvero libero da tormenti e demoni interiori e tornare a svolgere il suo lavoro con professionalità, sostenuto da un'intuizione geniale che lo rende unico e indispensabile.


IL CANTO DEGLI INNOCENTI
di Piergiorgio Pulixi


Bur Rizzoli
264 pp

Vito Strega è giunto ad un momento piuttosto critico della sua vita personale e professionale.

Commissario di polizia tanto brillante quanto misterioso e tormentato, ha di recente commesso, mentre era in servizio, un'azione grave (di quelle che i colleghi difficilmente dimenticano o perdonano del tutto) che potrebbe costargli la carriera, per non compromettere la quale è costretto ad accettare di andare in analisi.
"Punizione" che non gli è affatto nuova ma questa volta, con la  tenace e determinata dottoressa Livia Salerno, sembra andare leggermente meglio, nel senso che quanto meno la psicologa ha un minimo di accesso alla personalità complicata del poliziotto, conoscenza necessaria, del resto, perché lei possa, al termine delle loro turbolenti sedute, dichiarare se Vito Strega sia o no idoneo ad essere reintegrato e riammesso in servizio.

E di lui c'è un gran bisogno perché in città si sta verificando, a una velocità preoccupante, una sfilza di omicidi efferati di cui si conoscono i colpevoli... eppure...

L'ispettrice Teresa Brusca, che si occupa del caso e che deve portare risultati il prima possibile all'iracondo vicequestore Palamara, sa di aver bisogno del punto di vista del collega Strega, e infatti non esita a chiedergli pareri e ad esporgli ciò che si sa degli omicidi, nonostante l'uomo sia momentaneamente sospeso.

La situazione è questa ed è semplice e chiara: alcuni ragazzini (anche molto giovani, persino tredici anni)  si stanno rendendo autori, a pochissimi giorni l'un dall'altro, di violenti assassinii a danno di adulti a loro vicini.
Cosa spinge questi minori a commettere tali reati e ad andarne fieri, tanto da mettersi a ridacchiare o a rispondere con indifferenza a chi li interroga?

In teoria, i casi parrebbero di immediata soluzione in quanto l'identità di ogni assassino è nota oltre ogni ragionevole dubbio, ma Strega è del parere che chiudere tutto troppo velocemente sia un grande errore.

Questa scia di delitti, compiuti da ragazzini dal volto angelico e lo sguardo imperscrutabile,  è un mistero inquietante che da subito coinvolge Strega, che non riesce a non indagare e a non rifletterci su anche se non gli toccherebbe.

Sostenuto dall'amica e collega Teresa Brusca (che ha un'infatuazione per lui...), Vito si sforza di far caso a dettagli, di farsi domande e cercare piste per risalire all'origini di tutto, rispondendo in primis a un interrogativo imprescindibile: e se dietro questi crimini commessi tutti da minorenni ci fosse un intreccio ben più oscuro di ciò che appare?
E se ci fosse una mente diabolica che sta armando la mano di questi ragazzi? Quale "burattinaio" si nasconde dietro la loro furia? Quale "missione" sta perseguendo e perché?

Parallelamente all'indagine - che vede Vito e Teresa mettersi sulle tracce dei giovanissimi killer, cercando di conoscere i contesti da cui provengono e le ragioni che si celano dietro ai loro folli gesti -, Strega porta avanti anche una propria privata battaglia: quella contro sé stesso e il suo amore verso l'ex-moglie, Cinzia.

Cinzia l'ha lasciato perché negli anni Strega era cambiato, dandosi anima e corpo al proprio lavoro, finendo per trascurare ogni altro ambito dell'esistenza personale e di coppia.

Il suo lavoro ha marchiato l'anima di Strega, rendendolo cupo, tormentato dai casi da risolvere, dai criminali da acchiappare, per non parlare di quel maledetto e persistente "canto degli innocenti", il costante e atroce lamento, che gli riempie la testa, di tutte quelle vittime che gli chiedono di non lasciarli soli, di dare loro giustizia.
E Vito Strega prende sul serio ogni indagine e sa come attingere sia alla sua vasta conoscenza ed esperienza in materia filosofica, psicologica e criminologica, sia a quel formidabile intuito che lo rende capace di risolvere i casi più spinosi.

Ma tutta questa dedizione non poteva non influire sul matrimonio con Cinzia, la quale a un certo punto si è decisa ad interrompere la relazione con Strega e attualmente sta con un altro uomo.

Se lei è riuscita ad andare avanti e a rifarsi una vita senza Vito, quest'ultimo non si dà pace, sente di amare ancora Cinzia e non immagina un futuro senza di lei.

Vito è un uomo dal fisico imponente, statutario, affascinante e riservato, la cui aurea di mistero lo rende, agli occhi di molte donne, pieno di carisma, intrigante, insomma un uomo tutto da scoprire.

Ma Vito ha il cuore impegnato e occupato dall'amore per Cinzia e sono solo tre le donne che attualmente possono avvicinarglisi e offrirgli amicizia e compagnia: la signora Ada e l'adolescente Jessica (sue vicine di casa) e l'imprevedibile e snob gatta Sofia.

A dire il vero c'è un'altra donna che fa capolino, apparentemente in modo casuale, nella sua vita: si chiama Marina e Vito Strega diventa ben presto la sua ossessione...


"Il canto degli innocenti" è un noir psicologico che mi è piaciuto moltissimo in quanto unisce un'indagine interessante, con dei killer così giovani da rendere tutto più sinistro e inquietante, e la storia personale del protagonista, un uomo brillante e perspicace, devoto e appassionato nello svolgimento della propria professione, che nasconde nell'animo profonde cicatrici, traumi mai risolti, rimpianti e fragilità che lo rendono la persona complessa che è, umanamente travagliata ma professionalmente affidabile e di certo molto empatica quando si tratta di dedicarsi con tutta sé stessa a un caso e alle persone coinvolte.

Vito Strega è un personaggio che ho già imparato ad apprezzare e amare, lo trovo davvero molto ben tratteggiato nel suo essere sia fragile e dilaniato da malesseri interiori che intelligente, intuitivo e combattivo quando c'è da individuare e fermare criminali.
Come ormai dico sempre, la scrittura di Pulixi è tanto tanto scorrevole, i capitoli sono relativamente brevi, i personaggi interessanti e si procede nella lettura ad un ritmo incalzante.

Non posso che consigliarlo.



Romanzi recensiti (in cui c'è Vito Strega):

lunedì 11 agosto 2025

PROSSIMAMENTE IN LIBRERIA



Un paio di anteprime che hanno attirato la mia attenzione.


L'ULTIMO BALLO
di Mark Billingham


Fazi Ed.
trad. S. Terziani
360 pp
19 euro
USCITA
2 SETTEMBRE 2025
A Blackpool, cittadina sul mare nella contea del Lancashire, il detective Declan Miller è tornato al lavoro dopo un periodo di lutto; sua moglie Alex, collega investigatrice e compagna di ballo amatoriale, è stata assassinata in circostanze misteriose. 

Al rientro, Miller trova la nuova partner Sara Xiu, giovane detective appassionata di heavy metal e motori. 
Alla coppia viene affidata l’indagine su un duplice omicidio: due uomini sono stati uccisi al Sands Hotel, in due stanze a pochi metri l’una dall’altra, con la stessa modalità, un colpo di pistola in fronte. 
A destare agitazione nelle forze dell’ordine e nello stesso Miller è il fatto che una delle vittime sia il giovane Adrian Cutler, rampollo di una famiglia malavitosa. 
I primi indizi suggeriscono che ci siano di mezzo un sicario e un lavoro mal riuscito. 

Miller inizia a indagare con i suoi metodi non sempre ortodossi e riallaccia i contatti con la sua vecchia rete di conoscenze: gli amici del gruppo di ballo, l’informatrice senzatetto Finn e persino il fantasma della moglie, che continua a comparire nella sua cucina. 
Il fatto che Alex prima di morire stesse indagando sulla famiglia Cutler complica le cose e, mentre Miller si avvicina alla verità, si rende conto che il pericolo è in agguato anche per lui.


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Come riportato dalla pagina facebook dedicata alla amata e indimenticata scrittrice Lucinda Riley, ad ottobre verrà pubblicato da Giunti Editore L’ULTIMA CANZONE D’AMORE di Lucinda Riley.


Negli anni ’90, Lucinda pubblicò questa storia dal titolo Losing You con il nome Lucinda Edmonds.
Il romanzo, quindi, rinasce con una nuova anima, grazie al lavoro appassionato del figlio Harry Whittaker, in una versione rieditata. 

Proprio come ha fatto con Atlas – La storia di Pa’ Salt, Harry ci regala di nuovo la voce di sua madre.


L'ULTIMA CANZONE D'AMORE
di Lucinda Riley



Anni ʼ60. Con e Orla scappano dalla selvaggia e provinciale Irlanda e giungono a Londra convinti di 
Giunti ed.
22 euro
USCITA
21 OTTOBRE 2025

poter realizzare i propri sogni.
Con è un bravissimo musicista e sa di potercela fare. All’inizio è molto difficile, i soldi guadagnati cantando per strada o in metropolitana non bastano neanche per il latte.
Ma è solo questione di tempo e finalmente un giorno accade il miracolo: Con è notato da una band che sta cercando un bassista. È fatta! 
Mentre lui comincia a calcare i palcoscenici di pub e locali scrivendo le sue canzoni, Orla trova la sua strada come modella. La fama è immediata, anche se tutto ha un prezzo… 

1986. I Fishermen hanno accettato di tornare a suonare insieme per un grande concerto di beneficenza allo stadio di Wembley. Ma il quarto membro della band, Con Daly, rubacuori e portavoce di una generazione, è scomparso ormai da diciassette anni, a seguito di un atto di violenza estrema e apparentemente inspiegabile. 
Solo una persona ha la possibilità di svelare il mistero di quella notte, perché se Con dovesse riapparire prima che la verità venga a galla, la storia potrebbe ripetersi con conseguenze ancora più tragiche. 

Dall’Irlanda a Carnaby Street, nel cuore della Swinging London si consumano le storie d’amore e passione, gelosia e vendetta, di protagonisti cui ambizione sfrontata, bellezza e gioventù non vi lasceranno indifferenti.



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