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lunedì 14 aprile 2025

DIMMI CHE NON VUOI MORIRE di Stefania Crepaldi [ RECENSIONE ]


Chi ha conosciuto Fortunata (nei precedenti libri in cui è protagonista), tanatoesteta per professione, sa quanto - nonostante la sua innegabile bravura nello svolgere il mestiere per cui è conosciuta in quel di Chioggia - il suo sogno nel cassetto sia poter lavorare come pasticciera/cuoca in un ristorante stellato.
Mai si aspetterebbe, invece, di vestire nuovamente i panni di investigatrice dilettante e di divenire protagonista di una missione segreta non priva di pericoli e difficoltà.
Missione che la porrà ancora una volta al fianco dell'uomo che le ha già spezzato il cuore in passato e per il quale continua a provare un sentimento molto forte.



DIMMI CHE NON VUOI MORIRE
di Stefania Crepaldi


Salani Ed.
297 pp
16 euro
Aprile 2025
È la notte di Halloween e, mentre Fortunata sta truccando il viso di un'anziana signora per il funerale che si terrà di lì a poche ore, suo padre si diverte a travestirsi da Dracula, accogliendo i bambini che vanno in giro di porta in porta chiedendo "Dolcetto o scherzetto?".

Cosa darebbe per essere altrove!
Per carità, Fortunata, da brava figlia qual è, ama dal profondo del cuore suo padre e ha un sincero rispetto per l'agenzia di pompe funebri che viene portata avanti con dignità da generazioni ("Tiozzo Pizzegamorti E&F: rendiamo onore alla storia di una vita"), ma non può fingere di essere felice e di star facendo ciò che davvero desidera.

Non sono i pennelli per truccare le salme gli strumenti di lavoro che vorrebbe avere in mano, ma utensili da cucina per lavorare e perfezionare le proprie creazioni culinarie.
Non è tra bare e candele che vorrebbe ritrovarsi, in un silenzio di morte e in un'atmosfera di tristezza, ma in una cucina rumorosa, popolata da cuochi che, come lei, rispondono "Sì, chef!" mentre realizzano piatti che faranno sorridere e recheranno piacere a chi li gusterà.

Eppure è lì che si trova: accanto a cadaveri da "sistemare" prima che venga dato loro l'estremo saluto, e la divisa che per ora può indossare è un camice e non un grembiule.

Come spiegare a suo padre che vuol essere libera di seguire la propria strada, i propri sogni e che questi sogni la portano via dalla loro rispettata e rinomata agenzia funeraria?

Solo sua nonna sa capirla, perché lei è il suo rifugio, colei che è capace di farla sentire compresa, accettata, e le sue braccia sono sempre aperte ed accoglienti per Fortunata, che trova nell'anziana una continua e solida fonte di saggezza a cui rivolgersi in caso di dubbi e difficoltà.

E le difficoltà stanno per affacciarsi nelle grigie e lattiginose mattinate della nostra tanatoesteta.

Tutto parte da un'inaspettata telefonata da parte di Dante Braghin, suo amato e sempre presente padrino nonché colonnello della Guardia di Finanza, che la convoca per darle diverse notizie.
E nessuna di esse è bella.

La prima è sicuramente la più drammatica e triste: una giovane donna è stata ritrovata senza vita, soffocata nell'incendio di una fabbrica; Dante le chiede di occuparsi del trasporto in ospedale.
Ma non è tutto: il padrino chiede alla figlioccia di fare per lui qualcosa di importante, delicato e anche pericoloso: una "missione segreta" per dare un contributo significativo alla caccia a criminali invischiati in loschi traffici.

E come se non bastasse, Dante le spiega che questi traffici illeciti coinvolgono in qualche modo l'attività delle pompe funebri di suo padre Emilio...

Parlando con Dante, Fortunata realizza alcune amare verità e, soprattutto, una su tutte le diventa palese: come fare per slegarsi dalla professione di tanatoesteta?
I problemi che stanno per travolgere l'agenzia Tiozzo Pizzegamorti potrebbero inchiodarla ancora e per sempre in quel ruolo professionale che lei svolge sì con cura e dedizione, ma che non sente davvero suo.

Lei vuol fare la pasticciera, vuole creare piatti sofisticati ed eccellenti, avere a che fare con antipasti e primi piatti, aperitivi e dessert: è stufa di truccare cadaveri e non ha alcuna intenzione di accollarsi l'attività di famiglia.

Ma le brutte notizie non sono mica finite: Dante le fa sapere che il "loro comune amico", l'agente Vito Sabelli, è di nuovo operativo e i due lavoreranno insieme in questa missione speciale.

C'è solo un dettaglio positivo in questa storia piena di molte perplessità: avrà modo di lavorare come cuoca e pasticciera sotto copertura, in due contesti davvero particolari, stimolanti dal punto di vista professionale ma non privi di rischio per via della segretezza e della delicatezza del suo vero ruolo e dello scopo da raggiungere.

Fortunata è protagonista, in questo romanzo, di un'avventura che la pone davanti ai suoi desideri, alle sue esigenze, al suo diritto di dare alla propria esistenza la direzione che vuole; avrà modo di confrontarsi con diverse persone, imparando a modulare il proprio comportamento in base a chi ha di fronte e sempre tenendo in mente il perché si trovi con essi e al loro servizio.

Non sarà semplice, per tante ragioni: le verrà ordinato di tirar fuori tutte le proprie abilità per realizzare piatti e portate complessi, belli da vedere e ottimi da gustare, e questo da una parte la spaventerà (all'idea di non essere all'altezza), dall'altra le darà modo di crescere, mettersi alla prova e lasciar emergere quella creatività e quella passione che le ardono dentro come pasticciera e cuoca.

Non sarà semplice in quanto dovrà interfacciarsi con gente che, solitamente, non frequenta e che è distante dal suo modo di essere e vivere: persone ricche e viziate, uomini d'affari ambigui e impenetrabili, donne arroganti e piene di sé, ma anche adolescenti insicure e infelici...

E poi c'è lui: Vito.
Il suo affascinante e imprevedibile Vito, capace di sbucare dal nulla e sparire all'improvviso dalla sua vita senza che lei riesca ancora ad imparare come fare per tenerlo accanto a sé, o anche solo per capire se può amarlo e immaginare un futuro con lui oppure no.

Vito è un uomo dalla personalità forte, è sicuro di sé, del proprio carisma, è molto bravo nel proprio lavoro e se c'è una cosa che sa fare benissimo è fingere, portare maschere, indossare panni che non sono suoi e tutto per ottenere risultati professionali significativi.

È disposto a tutto pur di ottenere i propri scopi?
Anche "usare" Fortunata, calpestandone i sentimenti?

Fortunata è confusa al cospetto di Vito, perché è cosciente di come soltanto averlo accanto, essere guardata da lui o sfiorata, la mandi in confusione.

Il sentimento che li lega c'è ancora... ma ha un futuro?

A mandarla ulteriormente in tilt ci pensa una presenza amica, un uomo altrettanto bello e affascinante che c'è sempre per lei, per ascoltarla, confortarla e farla sorridere: Andrea.

Andrea è il contrario di Vito.

Tanto rassicurante, solare, simpatico, premuroso il primo, quanto ombroso, imprevedibile, enigmatico, spesso brusco e scontroso il secondo.
Luce e ombra.
Sicurezza ed incertezza.

Il suo cuore, affamato d'amore, è diviso tra i due uomini.
Com'è diviso al pensiero di suo padre, all'eventualità di lasciarlo per inseguire i propri sogni.

"Il passato pesa e il futuro è una nuvola nera che incombe".

La missione affidatale da Dante la conduce dalla bellissima Chioggia alla meravigliosa e suggestiva Venezia, con i suoi canali silenziosi, i palazzi antichi, la luce del sole che danza sulle acque, le calli strette e tortuose.

"Venezia non è solo una città: è un luogo sospeso tra sogno e realtà, tra passato e presente. Ed è lì che sto andando, verso una sfida che non posso permettermi di perdere".

Su uno sfondo lagunare ricco di bellezza, fascino e storia, si snoda una trama originale e coinvolgente, che mescola la freschezza della commedia con atmosfere noir, in cui la protagonista - "detective dilettante" coraggiosa e sveglia - deve barcamenarsi in una situazione complessa, ricca di sorprese, rischi, fattori di imprevedibilità, in cui comprendere di volta in volta, e in base alle circostanze e a chi ha davanti, come agire, in che modo carpire le informazioni che le servono, il che rende le vicende anche avventurose e sicuramente interessanti da seguire.

Mi sono piaciuti molto i momenti in cui l' autrice descrive Fortunata mentre si dedica alla realizzazione di piatti ricercati e curati nei minimi dettagli.

Il lettore è quindi spinto ad avanzare con curiosità nella lettura per rispondere ad ogni interrogativo e gustarsi il modo in cui Fortunata affronta ogni ostacolo, compresi i dubbi sul proprio futuro lavorativo e sul fronte sentimentale.

"Dimmi che non vuoi morire" è un cozy crime appassionante, con una scrittura molto fluida, che alterna toni ironici e leggeri con toni più malinconici; il ritmo scorre vivace e trascinante, le vicende narrate divertono e intrattengono senza mancare della giusta profondità quando ci si sofferma sulla psicologia della protagonista, sulle sue speranze, sulle fragilità e le insicurezze che sempre accompagnano ogni persona quando è chiamata a fare scelte fondamentali per il proprio futuro.

Ringrazio di cuore l'Autrice per la copia autografata con dedica e non posso che consigliare la lettura di questo romanzo, in special modo a chi ama il mix tra commedia e giallo, ma anche chi vuol cominciare a leggere qualcosa di questo genere o a chi semplicemente desidera una lettura avvincente e dinamica.


Altri romanzi con protagonista Fortunata:

1. Di morte e d'amore: La prima indagine di Fortunata, tanatoesteta (2022) RECENSIONE
2. Morire ti fa bella (2023)

sabato 12 aprile 2025

[ RECENSIONE ] MARINA di Carlos Ruiz Zafôn



Per le strade, le piazze e i luoghi più nascosti di una Barcellona degli anni '70, affascinante ed enigmatica, si intreccia una storia di mistero, amore e oscuri segreti che emergono dal passato, sconvolgendo il presente di un adolescente solitario e in cerca di avventure ed emozioni.


MARINA
di Carlos Ruiz Zafôn



Ed. Mondadori
trad. B. Arpaia
306 pp
Vi è mai capitato di essere per strada e di sentirvi irresistibilmente attratti da una melodia, un rumore, delle voci indistinte udite in lontananza, e di dirigervi, curiosi e timori insieme, verso la fonte di questo suono?

È ciò che accade al protagonista di questo particolare e ammaliante romanzo di Zafón (la sua prima pubblicazione): nel 1979 Óscar Drai ha quindici anni, studia in collegio ed è sostanzialmente un tipo solitario e con una spiccata vena decadente, malinconica.
Ama ammirare la bellezza dell'edificio in cui vive, gustando la magia del tramonto del sole ogni pomeriggio, e passeggiare da solo per le strade di Barcellona, sognando ad occhi aperti e facendo volare la propria fervida immaginazione.

Un pomeriggio di settembre, prima di tornare in collegio, accade qualcosa di diverso, che segnerà l'inizio di una vera e propria avventura, ricca di emozioni ma anche di pericoli.

Mentre sta camminando col naso all'insù, ammirando residenze antiche e palazzi, una musica melodiosa lo attira, conducendolo fino alle finestre di una grande casa. 
All'interno, un vetusto grammofono suona una canzone per voce e pianoforte. 
Curioso seppur esitante, il ragazzo si attarda ad ascoltare la musica, fino a quando non vede una figura che gli si avvicina; spaventato, fugge, portando con sé un oggetto che non gli appartiene: un bellissimo e brillante orologio da taschino.

Óscar non è un ladro e questo "furto involontario", frutto di un momento di imbarazzo (è entrato in casa altrui senza permesso) e di indefinibile paura, lo mette molto a disagio, così decide di tornare in quella dimora e restituire il maltolto.

Ad accoglierlo c'è il gatto nero, dall'aria diffidente e snob, che c'era anche il giorno prima, ma non solo: entrando nuovamente in casa incontra i proprietari, vale a dire i Blau.

Germàn Blau,  pittore, vedovo inconsolabile, è il padrone di quella villa che, dall'esterno, sembra quasi disabitata, e vive lì con la figlia adolescente Marina.

Questo primo incontro sarà l'inizio di una vera e propria frequentazione fra i tre, perché Óscar comincerà a recarsi in casa Blau praticamente tutti i giorni, non riuscendo a fare a meno di Marina, della sua innocente bellezza, della sua intelligenza, della sua acuta ironia, della sua compagnia stimolante.

Con lei riesce a non sentire la solitudine che lo avvolge quando è in collegio; i due chiacchierano molto e sono entrambi due ragazzi curiosi.

La loro curiosità li porta dritti al cimitero di Sarrià, in cerca di brividi ed emozioni, e da lì a poco realizzano che di brividi ne proveranno e molti: mentre sono in giro osservando lapidi e iscrizioni funerarie, si accorgono di un'ombra, o meglio di una figura femminile vestita di nero che, dopo aver lasciato una rosa su una lapide anonima - decorata unicamente dal simbolo di una farfalla nera - va via, scomparendo tra i vicoli bui di Barcellona.

Questo inseguimento è solo il primo passo di un'avventura che durerà mesi e che vedrà Marina e Óscar addentrarsi in luoghi tenebrosi e sconosciuti e nelle vie più cupe, sinistre e minacciose di una Barcellona ricca di leggende e di segreti inquietanti, paurosi, di cui sono protagoniste persone le cui esistenze sono state segnate da eventi funesti, drammatici, angoscianti e densi di enigmi che sussurrano di restare come sono: nascosti, celati agli occhi e alle orecchie del mondo, che resterebbe inorridito se solo sapesse...


Ma i due giovani amici non sanno starsene buoni e tranquilli: sono fatti per l'avventura, per la ricerca caparbia e impavida di verità, e i fatti e i personaggi di cui verranno a conoscenza sono incredibili, fuori dall'ordinario, rasentano il paranormale, e Óscar stesso, un domani, dubiterà di essere stato effettivamente testimone e conoscitore di quegli avvenimenti e individui.

Codesti personaggi sono uomini e donne dal vissuto singolare, dotati di capacità inusuali e di ambizioni pericolose.

Incontreremo il dottor Shelley, medico ormai anziano che, molti anni prima, ha lavorato per un certo Michail Kolvenik, sulle cui losche attività ha per anni, e inutilmente, indagato l'instancabile e mai rassegnato ispettore di polizia Victor Florián.

Attraverso la loro voci conosceremo, appunto, Kolvenik, un individuo con un passato contrassegnato da dolore e morte, che si renderà protagonista di oscuri esperimenti medici che sfidano l'etica e il comune senso del rispetto per la vita e la morte; sapremo anche di sua moglie Eva Irinova, artista talentuosa ma sfortunata.

Il lettore si pone al fianco di Óscar e Marina e con essi va in giro per le strade di una città bellissima proprio per il suo essere decadente, avvolta da un alone magico, stregato, con i suoi vicoli tetri, i palazzi e i giardini immensi e abbandonati, il cimitero silenzioso ma, al contempo, abitato da voci lontane, ricordi, sentimenti, illusioni, sogni mai realizzati.


Le esperienze cui vanno incontro, un po' da incoscienti, i due amici sono dense di pathos perché associate a storie del passato (dal dopoguerra in poi) che contengono elementi spaventosi, dalle sfumature gotiche, quasi horror, in quanto hanno a che vedere con il delirio di onnipotenza di persone che credono di poter disporre del corpo e dell'esistenza altrui, per dimostrare a sé stessi e al mondo che, grazie al loro ingegno e ad un'ambizione senza freni e limiti, possono fare ciò che appartiene solo alla divinità: dare e togliere la vita (la strizzatina d'occhio al Frankestein di Shelley c'è).

La narrazione procede a un ritmo via via sempre più incalzante man mano che Óscar e Marina si addentrano nelle viscere non solo di una storia sbalorditiva e mostruosa (letteralmente...) ma anche della loro amata Barcellona, che non smette mai di essere il teatro ideale per le prodigiose e lugubri verità che emergeranno progressivamente.

E anzi, possiamo dire che Barcellona diviene, a buon diritto, anch'essa protagonista, con i suoi segreti, le sue leggende e la sua atmosfera crepuscolare, alcune volte fosca, altre malinconica, ma comunque sempre piena di seduzione proprio perché criptica, occulta, indecifrabile.

Come precisò lo stesso Zafòn, Marina è un romanzo difficile da classificare perché contiene elementi appartenenti a più generi narrativi: thriller, gotico, horror, avventura, e potremmo inserirlo, in generale, nella "narrativa per ragazzi".

Leggerlo è stata una vera e propria immersione in una cornice oltremodo suggestiva, dark, intrisa di arcani da svelare, di un pizzico di orrore ma anche di romanticismo, e infine di una dolce e struggente malinconia, soprattutto in riferimento al finale.

Zaf
òn è (stato, ahinoi) uno scrittore abile nel creare trame intricate, originali, ricche di colpi di scena che tengono alta la tensione dalla prima all'ultima pagina, sapendo rendere l'ambientazione scelta molto evocativa, ammaliante, grazie a descrizioni dettagliate e incisive.

Mi è piaciuto il personaggio di Óscar, un ragazzo sveglio ma timoroso che, grazie all'incontro con Marina - con la sua bellezza sfuggente e inconsapevole, i sorrisi ora maliziosi ora ingenui, la sua sincerità - riesce a tirare fuori un'audacia che forse non sapeva neppure di avere.

Carlos Ruiz Zafòn è uno scrittore che voglio assolutamente approfondire, la sua prosa raffinata e poetica mi piace moltissimo.

giovedì 10 aprile 2025

IL TEMPO DELL'ODIO di Antonio Lanzetta [ RECENSIONE ]



Siamo nel sud Italia, nel Cilento.
È il 1943, c'è la guerra e un ragazzo appena adolescente, dopo aver assistito impotente a un episodio drammatico e violento ai danni della sua famiglia, si incammina per una via che lo condurrà dritto verso un abisso di furia cieca e desiderio di vendetta verso coloro che, dopo aver distrutto ciò che aveva di più caro, continuano a lasciarsi dietro una scia di sangue e violenza.



IL TEMPO DELL'ODIO 
di Antonio Lanzetta


La Corte Ed.
282 pp
"La morte venne a cercarmi nell’estate del 1943. Avevo quattordici anni quando sparai per la prima volta in faccia a un uomo. È passato molto tempo da allora e le cose che ho fatto, le cose brutte che sono stato costretto a fare, mi hanno cambiato per sempre."


Nell'estate del 1943 Michele ha solo quattordici anni quando la sua vita viene sconvolta e cambiata per sempre da eventi tragici e dolorosi che inevitabilmente segneranno il suo futuro.

In un pomeriggio apparentemente come gli altri, Michele sta tornando da una giornata di lavoro nei campi quando vede una camionetta di fascisti sulla strada che lo porta a casa. 
Con un nodo a serrargli la gola e la paura che qualcosa di terribile stia per accadere,  il ragazzo corre a perdifiato e si nasconde in mezzo ai cespugli per vedere cosa sta succedendo a casa sua. 

Paralizzato da un senso di impotenza e terrore, assiste alla tragedia che si consuma ad opera dei fascisti guidati da un certo Balzano (un brutto soggetto già tristemente noto a Michele e famiglia), a discapito della madre e delle sorelle, Gloria di diciassette anni ed Anna di dodici; queste ultime vengono rapite.

Le urla disperate delle  tre donne che più ama al mondo straziano il cuore di Michele, che però non accorre a difenderle, consapevole di essere un ragazzino contro un gruppo di camicie nere senza scrupoli e senza pietà.

Balzano e compagni si accorgono di lui, Michele scappa e riesce a sfuggire alle loro grinfie nascondendosi nel bosco.

È la fine, per Michele, dell’adolescenza e l'inizio precoce, brutale e feroce, dell'età adulta, che sarà contrassegnata da ricordi dolorosi di quel maledetto pomeriggio, da quelli più nostalgici di un'infanzia serena con i suoi cari che non sono più accanto a lui, e dagli inevitabili sentimenti distruttivi che lo accompagneranno nelle settimane e nei mesi a venire: vendetta, odio e il desiderio di trovare le sorelle.
Ammesso che siano ancora vive. 

Ferito e sconvolto, viene accolto da Lucia, un'anziana vicina vedova e senza figli (morti in guerra), che si prende cura di lui e gli offre rifugio, vitto e alloggio in cambio di una mano nel lavorare la terra. 

Anche se i giorni sembrano riprendere un attimo di respiro e un minimo di pace, la testa e il cuore di Michele sono un groviglio di pensieri ed emozioni che gli si affastellano dentro rendendolo inquieto, turbato, agitato: il pensiero che le sue sorelle siano nelle mani di criminali bruti e spietati non gli permette di essere sereno: come potrebbe?

"Ormai avevo intrapreso una strada che mi portava via da tutto ciò che conoscevo, dal giovane che ero e dall’uomo che sarei potuto diventare."

Il pensiero di ciò che ha subito la sua povera e coraggiosa madre sotto i suoi stessi occhi e il timore costante che Anna e Gloria stiano soffrendo lo attanaglia mozzandogli il respiro, rendendo il passato felice un ricordo doloroso e il presente un amaro scorrere di minuti e ore privi di valore.

Nei momenti di maggiore disperazione e sconforto, un'immagine gli si affaccia davanti, nitida e inquietante insieme: quella di suo padre Arturo che, senza parlare ma solo con il suo sguardo sicuro e penetrante, gli indica la via da seguire.

Una via che conduce verso l'abisso più nero e infernale.
E purtroppo la realtà, spesso, può rivelarsi più oscura e tenebrosa dell'inferno stesso.

Grazie all'aiuto di un uomo misterioso che si fa chiamare Teschio, Michele viene a sapere che anche altre ragazze del paese stanno sparendo. 
Sono giovani donne strappate alle loro famiglie e portate... dove?
Chi si cela dietro tutto questo e che fine fanno le vittime?

Per scoprirlo Michele dovrà armarsi di tutto il coraggio di cui non credeva neppure di disporre, e lasciarsi guidare dalla furia e dalla disperazione più cieche per mettersi sulle tracce delle sorelle.

Entrare nel bosco - così noto a Michele eppure allo stesso tempo spaventoso perché cupo, opprimente nei suoi silenzi e, ancor più, nei suoi rumori sinistri e improvvisi, un abisso avvolto da un'oscurità impalpabile, dove le fronde degli alberi somigliano a dita scheletriche e l'aria è densa di umidità dell'odore forte di resina e foglie morte - significa addentrarsi in un buco nero e pericoloso, teatro di terribili verità.

Verità che Michele è intenzionato a scoprire, anche se questo significherà stare al fianco di un gruppo di briganti, di cui fa parte l'impenetrabile Teschio, il cui sguardo selvatico, penetrante e implacabile mette i brividi anche a chi, come lui, sa di potersi fidare del suo aiuto.
Grazie al loro coraggio, il ragazzo capirà cosa significano le parole che un giorno il padre gli aveva rivolto:

"Una volta papà mi aveva detto che se prendevi la strada della violenza poi non tornavi più indietro, e adesso ne comprendevo il senso. Adesso comprendevo parecchie cose."

Le verità con cui dovrà confrontarsi hanno a che vedere con il peggio che giace nel cuore dell'uomo quando questi abbandona ogni forma di umana pietà, di compassione, per essere una creatura malvagia che si nutre di terrore e che gode del dolore inflitto alle proprie vittime.

Ma anche una creatura così, per quanto diabolica e perversa, resta un uomo.
E Michele sa che è a quest'uomo maledetto che deve dare la caccia per scoprire dove siano le sue sorelle.


"Il tempo dell'odio" è un romanzo di formazione con elementi storici e thriller che ho trovato davvero appassionante in ogni suo aspetto: la collocazione storica, il tratteggio dei personaggi, l'evoluzione psicologica e umana del protagonista (le cui esperienze non possono che modellarlo e segnarlo, nel bene e nel male), l'atmosfera ricca di pathos e suspense, l'ambientazione del bosco, descritto con accuratezza in quanto luogo imprevedibile, selvaggio, cupo, pericoloso, misterioso, in cui si acquattano "mostri", che sono sia gli esseri umani crudeli che hanno perso ormai ogni frammento di umanità, sia i demoni e le paure che bloccano e terrorizzano il protagonista.

«E se tu scruterai a lungo nell’abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te…»

L'abisso in cui è costretto a guardare il giovane Michele è fatto di violenza, ferocia, brutalità e rischia di fagocitarlo, inghiottirlo, distruggerlo, così come il bosco può diventare un luogo irto di minacce nascoste nel buio e che da un momento all'altro possono assalirlo alle spalle e farlo fuori.

Il passaggio dall'età adolescenziale a quella adulta è fin troppo brusco, spietato; lo sviluppo e la maturazione del protagonista sono evidenti e passano purtroppo per esperienze atroci e di sofferenza, delle quali non si libererà mai perché la memoria, anche negli anni a venire, quando ormai la guerra sarà un lontano ricordo, andrà sempre ai fatti di quel 1943, in cui la sua vita è cambiata e ha dovuto combattere contro un nemico oscuro e terrificante.

Mi è piaciuto il periodo storico: sono i giorni che precedono lo sbarco degli Alleati a Salerno, i nazisti sono fuori controllo e vi è un clima di grande incertezza e paura, uno sfondo, quindi, drammaticamente ideale per gli avvenimenti turpi ed efferati che vengono narrati.

L'autore cattura l'attenzione del lettore sin dalle prime pagine proprio attraverso il racconto dell'episodio iniziale che darà il via al desiderio di vendetta del protagonista e al suo odio verso i "mostri" che hanno distrutto la sua famiglia; un incipit duro e feroce che crea da subito un clima di tensione che permarrà lungo tutta la narrazione in quanto Michele è continuamente immerso nel suo vortice di malessere e tristezza, e questo fa sì che egli sia preda di incubi ad occhi aperti, di visioni vivide e inquietanti che lo spingono verso il bosco, lì dove deve recarsi per trovare tutte le risposte che vuole, nonché per cercare giustizia e placare la sete di vendetta.

Il libro è attraversato da una costante atmosfera intrisa di suspense e di ansiosa attesa, grazie a descrizioni (di luoghi fisici ma, ancor più, del mondo emotivo del protagonista, con le sue paure e le sue angosce) mai dispersive, ma sempre dinamiche e funzionali alla narrazione, e quindi efficaci nel conferire un'anima nera alla storia.   

Il finale - collocato in un tempo in cui ormai ci siamo decisamente lasciati la guerra alle spalle - è aperto, nel senso che suggerisce che per Michele i demoni di quel passato, che sembrava dimenticato, sono invece ancora in agguato...

Il mio giudizio su questo romanzo di Antonio Lanzetta è assolutamente positivo.

domenica 6 aprile 2025

LE MIE LETTURE DI MARZO 2025

 

Buongiorno, cari lettori!

Eccomi con il mio recap del mese di marzo.




1. LA FURIA di S. Chalandon: romanzo basato su fatti realmente accaduti. Un adolescente evade da una colonia penale e non viene riacciuffato. Come sarà la sua vita al di fuori di quelle mura in cui si consumano violenze e sopraffazioni? (4.5/5) SE CERCHI UNA LETTURA DURA E FEROCEMENTE REALISTICA.
2. SPLENDEVA L'INNOCENZA di R. Camurri: narrativa italiana - Camurri scrive un libro intriso di nostalgia, in cui lo sguardo è rivolto costantemente e troppo al passato, col rischio di restarne imprigionati (3.5/5). PER CHI CERCA UNA LETTURA MALINCONICA, STRUGGENTE E DAL RITMO PACATO (TROPPO?).
3. I TITOLI DI CODA DI UNA VITA INSIEME di D. De Silvanarrativa italiana - esistono delle parole adatte per raccontare la fine di una bella storia d'amore? (3/5). ADATTO A CHI AMA I LIBRI IN CUI SI PARLA (TANTO) DEI RAPPORTI DI COPPIA.
4. LE RAGAZZE DELLA VILLA DELLE STOFFE di A. Jacobs: romanzo storico, secondo libro di una saga famigliare incentrata sulle vicende degli imprenditori tedeschi Melzer e dei loro domestici nel pieno del primo conflitto mondiale (3,5/5). SE HAI INIZIATO IL PRIMO E TI È PIACIUTO, PERCHÉ NON  LEGGERE IL SEGUITO? 😅
5. I SENTIMENTI ORFANI di T. Tanto: narrativa di formazione, fortemente introspettiva che punta sulla complessità dei sentimenti che colorano le nostre esperienze (belle e brutte) e che non possono che essere raccontati con un linguaggio profondo che ne colga le tante sfaccettature (3.5/5). PER CHI AMA NARRAZIONI INTIMISTE E CHE METTONO AL CENTRO IL MONDO EMOTIVO.


READING CHALLENGE



Per la RC di quest'anno, lo schema ripercorre la sfida letteraria del 2024: alle categorie fisse - cui si può attingere durante tutto l'anno e più di una volta - si aggiungono di volta in volta gli obiettivi specifici di ogni mese; a marzo gli obiettivi sono stati i seguenti:

- un libro che parli di disabilità 
- un libro da cui è stato tratto un film
- un libro ambientato nell' est Europa
- Il soldato perduto  (G. Marchand)

Io però ho attinto alle categorie fisse con l'obiettivo SAGA FAMIGLIARE.

6. LA CASA di M. McDowell: terzo libro della saga gotico-paranormal di Blackwater, in cui assistiamo all'inasprirsi dello scontro tra le due donne del clan Caskey: chi la spunterà tra l'enigmatica Elinor e la prepotente matrona Mary-Love? (4/5). PERSONALMENTE MI STA PIACENDO MOLTO QUESTA SAGA, IN PARTICOLARE PER LE ATMOSFERE CUPE E MISTERIOSE.


SERIE TV

Ho concluso la settima stagione di Outlander, che continua a rapirmi e io non posso non amare 

parola d'ordine:
stai all'erta, sempre.
(sulla scia del motto Je suis prest)
Jamie,  Claire e tutto il cucuzzaro, sentendomi già malinconica all'idea che ci avviciniamo inesorabilmente alla fine con l'ottava stagione. 

Siamo nel pieno della rivoluzione americana: Jamie è impegnato a partecipare al conflitto impartendo ordini pure Claire, assistendo i feriti. 
Si intrecciano, con queste dinamiche avventurose e belliche, quelle legate a Ian e al suo rapporto con Rachel, a William (che scopre di chi è figlio biologicamente e la cosa non gli fa proprio piacere...) e al suo legame con una giovane prostituta.
Qualche attrito tra il focoso Jamie e il gentile e fin troppo generoso (eheheh 😏) lord John a causa di Claire...
Intanto, Brianna e Roger devono vedersela con le drammatiche conseguenze provocate da un losco figuro che utilizzerà i viaggi nel tempo per i propri egoistici interessi e causerà scompiglio nelle esistenze della coppia e dei loro bambini.

Come accade sempre, a fine stagione c'è un colpo di scena che verrà "risolto" nella prossima.

Ho guardato L'ARTE DELLA GIOIA della Golino e ne ho parlato QUI.

Ho iniziato COBRA KAI e sono alla seconda stagione; mi sta piacendo moltissimo e, quando avrò terminato la serie (e non ci vorrà molto considerando la velocità con cui sto proseguendo), vi scriverò la mia opinione. 

giovedì 3 aprile 2025

"IL VIAGGIO DI COLIBRI" di Pamela Comi [ RECENSIONE ]



Dal 18 Marzo è disponibile in libreria e in tutti gli store digitali il nuovissimo libro scritto e illustrato da Pamela Comi: IL VIAGGIO DI COLIBRÌ, edito dalla C.E. Pensiero Creativo, collana narrativa Kids.



80 pagine illustrate
Età di lettura: 5 – 8 anni
Prezzo: 13€

Al centro di questo bellissimo e colorato libro per bambini vi è il
tema del distacco dai genitori e il desiderio di allontanarsi da essi per esplorare e conoscere il mondo esterno, vivendo così nuove e indimenticabili esperienze che fanno crescere.

Il protagonista è, come si intuisce dal titolo, il piccolo Colibrì, che vive con la sua mamma in un rassicurante nido.

Attorno a loro tutto è grigio e senza emozioni.
Ma l'uccellino è un tipetto curioso e, nonostante ami la sua mamma e sia da lei tanto amato e protetto, prende una decisione importante: provare ad uscire dal nido, imparare ad usare le sue piccole ed inesperte e ali per... spiccare il volo!

Cosa c'è fuori dal loro nido e dalla città in cui finora è cresciuto?

Se non voli via, non lo saprai mai, Colibrì!

Ci vuole coraggio e curiosità per fare nuove esperienze e al nostro piccolo uccellino queste qualità non mancano; lasciare la sua mamma è il primo, fondamentale passo per la libertà e per cogliere l'opportunità di scoprire che ci sono tante realtà lontano "da casa", diversissime tra loro ma tutte sorprendenti.

Cosa vedranno i curiosi ed eccitati occhi di Colibrì, una volta abbandonato il grigiore della metropoli per immergersi nei colori brillanti e vivaci della natura?

Nell'andare alla ricerca dei propri simili, Colibrì avrà modo di incontrare svariati, e fino ad allora sconosciuti, habitat che accolgono altre specie animali, e potrà cominciare a capire che il mondo fuori dal nido è grande e meraviglioso, pieno di amici e di sorprese da ammirare a "becco aperto"!

Il primo, sorprendente viaggio del simpatico protagonista di questo libro terminerà e lui farà ritorno a casa, dalla sua mamma che lo aspetta.

Sarà lo stesso colibrì che era quando è partito?
O forse le esperienze vissute lo hanno cambiato, rendendolo forte, maturo e indipendente?


“Tu sei cambiato piccolo mio,
è cambiato il tuo modo
di vedere le cose.”



"Il viaggio di Colibrì" è un libro che ha tutte le caratteristiche per catturare l'attenzione dei giovanissimi lettori cui è principalmente rivolto: la storia è ricca di spunti di riflessioni perché verte sul naturale ed inevitabile bisogno/desiderio dei piccoli di cominciare a staccarsi dai genitori per esplorare l'ambiente circostante, vedere cose nuove, fare esperienze diverse; le illustrazioni sono semplicemente meravigliose, ogni pagina è coloratissima e fa da splendida cornice alla parte narrativa caratterizzata da parole e frasi semplici, comprensibili ai piccoli; leggendo insieme ad essi questo libro, l'adulto è sicuro di poter contare su un contenuto e su una grafica assolutamente attraenti, coinvolgenti e in grado di stimolare la fantasia dei bambini, di poter intavolare con loro, a fine lettura, anche delle brevi conversazioni per riflettere insieme su ciò che si è letto e sulle emozioni e i pensieri che ne sono scaturiti.

A queste già positive peculiarità, se ne aggiungono altre:

- in appendice al libro ci sono alcune pagine contenenti informazioni scientifiche (riportate sempre con un linguaggio adeguato al pubblico di piccoli lettori) sul colibrì e, in generale, sull'affascinante e variegato mondo degli animali;
- le ultime pagine sono dedicate a stimolanti e divertenti giochi tematici e didattici.


Curiosità

Il testo è liberamente ispirato alla canzone “Colibrì” di Cesare Cremonini.

Parte del ricavato dell’autrice sarà devoluto al WWF


 




L'autrice.
Pamela Comi è una grafica che per diversi anni ha lavorato in tipografie e litografie dell’hinterland milanese, quando ancora si usavano le lastre, la fotocomposizione, il cutter &co.Continua a lavorare come factotum in agenzie di pubblicità milanesi, occupandosi di comunicazione a 360 gradi.
Diventa mamma e si appassiona all’editoria per l’infanzia creando storie che cercano di riscoprire i valori di una volta e insegnare la magia dell’immaginazione!




lunedì 31 marzo 2025

LA FURIA di Sorj Chalandon < RECENSIONE >


Negli anni Trenta del secolo scorso, Jules ha solo tredici anni quando viene tradotto in un istituto (una colonia penale) che accoglie minori per rieducarli, "raddrizzare" con lo scopo di restituirli "civilizzati" alla società e  con la speranza che non siano adulti deviati e problematici.
Ma, in realtà, la colonia di Belle-Île-en-Mer, un’isola al largo della Bretagna, è tutto fuorché un luogo di rieducazione e fuggire da quell'incubo in terra è il sogno di ogni ragazzo costretto a trascorrere l'adolescenza tra quelle tristi mura.

La storia narrata tra queste pagine si ispira a vicende realmente accadute.


LA FURIA
di Sorj Chalandon



Guanda Ed.
336 pp
Jules Bonneau ha solo tredici anni quando fa il suo ingresso a Belle-Île-en-Mer, una colonia penale per minori in cui questi ultimi, sottoposti a una disciplina rigorosissima, sono costretti a lavorare in ambito agricolo o marittimo per scontare la propria pena detentiva.

Non è necessario aver commesso chissà quali reati per essere imprigionati in questo postaccio; non ci sono solo delinquentelli col vizio di rubare, aggredire, creare scompiglio, appiccare incendi, ma anche vagabondi o orfanelli senza nessuno a prendersi cura di loro.

Jules non ha più una madre, la quale lo ha abbandonato anni prima, lasciandogli come ricordo un foulard dal quale il ragazzo non si separa mai; suo padre non è mai stato in grado di prendersi cura di lui e lo ha infatti mandato a stare dai propri genitori che però, a loro volta, non hanno mai avuto alcuna voglia di crescere ed educare questo nipote ribelle e testa calda.

"Sono nato senza parenti, né genitori né amici. Senza baci di una madre, né ordini di un padre. E anche senza bambini al mio fianco, amici a scuola...".

Quando, dopo averne combinata una delle sue, Jules viene arrestato e messo a Belle-Île-en-Mer, non sa cosa lo aspetta.

Ma lo scoprirà a breve, perché in quella prigione per ragazzi le guardie dominano sui giovanissimi detenuti, trattandoli con inumana severità e soprattutto sfogando su di loro rabbia e frustrazione attraverso punizioni corporali feroci.

"Ci manipolavano, ci spezzavano, ci modellavano come un impasto. Macinavano i chicchi cattivi. Ci volevano teneri e lisci come pane bianco, In cella di sorveglianza i mascalzoni, i problematici, i ladruncoli. Sotto il tunnel di schiaffi i degenerati, i depravati, gli incorreggibili. In isolamento gli infami. Spezzare i piccoli, annientare i più grandi, i sogni degli uni, la rabbia degli altri. Trasformare quelle potenziali prede in futuri soldati, poi in uomini, e poi in niente. Spettri che vagano nella vita come nei bracci di una galera, servili, vergognosi. (...) Che non si ribelleranno mai".

Leggere il resoconto del protagonista (e voce narrante) su come sono le giornate a Belle-Île-en-Mer è tristemente doloroso perché purtroppo parliamo di cose che accadevano (e accadono ancora oggi in alcune realtà) davvero, e basta cercare informazioni su questa colonia per rendersi conto che Chalandon non ha calcato la mano ma - con quell'approccio da giornalista e documentarista che gli appartiene per professione - ha riportato, attraverso Jules, ciò che realmente si verificava tra quelle mura.


Parliamo, ovviamente, non solo di botte e manganellate fino a ridurre i malcapitati come stracci sul pavimento, ma anche di altri tipi di abusi, inclusi quelli sessuali.

E in una sera come le altre, mentre i prigionieri sono in mensa, accade qualcosa che in fondo non è una novità, ma solo l'ennesimo episodio di un sopruso violento dei sorveglianti su uno (tra i più giovani e deboli) dei ragazzetti.
La vittima è Camille Loiseau, un ragazzino fragile, taciturno, timido, di quelli che le prendono sempre da tutti - guardie e detenuti più aggressivi e bulli -, senza che riesca mai a reagire.
È uno dei tanti che là dentro è esposto alla violenza e alla feroce "disciplina educativa" di Belle-Île-en-Mer, e soffre sicuramente come ognuno dei carcerati.
Eppure verso di lui Jules Bonneau sente sorgere un inaspettato senso di pietà e protezione, benché faccia di tutto per soffocarlo, perché in quel luogo infernale non puoi permetterti alcuna emozione o empatia, che è sinonimo di debolezza.

Ma in quella sera del 27 agosto 1934 i ragazzi in mensa si ribellano alle guardie carcerarie e scatenano un putiferio che porterà ben cinquantasei di loro - tra cui Jules e Camille - ad evadere dalla colonia. 

Mentre scatta la caccia agli adolescenti - operazione che vede impegnati non soltanto le guardie e i gendarmi, ma pure abitanti e turisti di Haute-Boulogne, spinti dalla promessa di una ricompensa in danaro (venti franchi per ogni fuggiasco acciuffato e riconsegnato) -, Jules si ritrova a nascondersi e scappare in quella landa aspra e desolata che è al di fuori della prigione e ad accompagnarlo c'è Camille, gentile, coraggioso, leale, propositivo e convinto che... ce la possono fare a non farsi prendere!

Ma il piano avventuroso non procede secondo i desideri e le speranze, e in poco tempo tutti vengono catturati. 

Tutti tranne uno: il 56esimo evaso.
Jules Bonneau, appunto. 

Nella realtà - così come ha scoperto Chalandon, documentandosi -, sull'evaso mai ricatturato girarono poi un sacco di voci ed ipotesi su che fine avesse fatto; ebbene, l'autore immagina per noi un'identità per il 56esimo evaso e una storia al di là di quelle mura carcerarie.

Impariamo da subito a conoscere il protagonista attraverso il racconto che egli fa del proprio passato, della propria famiglia e della propria vita a Belle-Île-en-Mer.

Il suo soprannome è Tigna perché in quel posto maledetto Jules impara a farsi rispettare e temere, guadagnandosi questo soprannome: l'obiettivo ogni mattina fino a sera è sopravvivere a una realtà crudele, feroce, dominata da prevaricazioni, vessazioni e ingiustizie

"Tigna è la mia matricola e la mia rabbia. Il mio campo dell'onore".

Jules sogna di diventare marinaio e intanto, dentro di sé, cova una rabbia cieca che fa fatica a contenere ma che gli è assolutamente necessaria per non soccombere alla solitudine, alla tristezza, alla paura, al dolore, alle privazioni, alle cattiverie, alle violenze.

"Bonneau non poteva tradire la Tigna. io non avevo diritto ai sentimenti. I sentimenti erano un oceano dove annegare. Qui dentro, per sopravvivere bisognava essere di pietra. Non un lamento, non una lacrima, non un urlo e nessun rimpianto. Anche quando avevi paura (...), quando l'oscurità disegnava il ricordo di tua madre in qualche recesso della memoria".

"Nessuno sa niente. Nessuno, mai, parlerà di questa solitudine. Di questa miseria. Dell'immensità di una notte senza un tetto sopra la testa. Della brina del mattino che imperla la giacca di un povero.".

Tigna sa di dover essere sempre in atteggiamento di attacco perché solo così può tentare di difendersi e non farsi schiacciare.
E sa di non avere amici in quel luogo squallido, di non potersi fidare realmente di nessuno, anche se poi, durante quelle ore di fuga nella notte, il piccolo e innocente Camille si rivelerà essere il primo vero amico per la diffidente Tigna.

Jules, quindi, è l'evaso non catturato.
Ma come fa a salvarsi, a nascondersi, avendo tutto il villaggio pronto a cercarlo e a dargli addosso per consegnarlo alla giustizia?


"...ferito e furibondo. Sarebbe stata lei, la mia rabbia, a guidare i miei passi e a condurmi (...). Lei, a illuminare la traversata nella notte. Lei, la mia rabbia, a liberarmi di quella maledetta isola. Volevo che le mie galosce lasciassero nella sua terra l'impronta della mia furia".

Grazie a scaltrezza, pazienza e non poca fortuna, ci riesce e deve ringraziare in particolare una persona: Ronan, il pescatore di sarde, l'anarchico che va contro le istituzioni e lo stato.

Nell'imbattersi in quel selvaggio spaventato e diffidente, Ronan è deciso a non denunciare: non ci tiene a intascare il prezzo di un ragazzino, ma anzi - senza che Jules capisca perché - si offre di coprirlo e di aiutarlo, prendendosene anche i rischi.
Rischi che è costretta a prendersi anche la di lui consorte, Sophie, che accetta suo malgrado di tenersi in casa un delinquentello che tutti ad Haute-Boulogne stanno cercando.

Quando incontra la moglie del pescatore, Jules si rende conto di conoscerla già e di averla incontrata più di una volta proprio a in prigione...

Cosa accadrà a Jules Bonneau, il cui destino è - che lo voglia o meno - nelle mani di una coppia di estranei, di cui non sa nulla ma della quale non ha altra scelta che fidarsi?

Per uno come lui, cresciuto a pane e abbandoni, assenze, miserie e percosse, dare fiducia a un altro essere umano è tutt'altro che semplice.

"Io non ero mai stato accarezzato, rassicurato, consolato. Sin dall'infanzia, la mia sofferenza era stata solitaria e brutale."

Intelligente e consapevole della propria natura, Jules non esita a definirsi una canaglia; egli non cerca di impietosire il suo "salvatore", non lo prega, non piange, non supplica: lui è una Tigna, uno cresciuto  senza padre, senza madre, senza niente di tutto ciò che rende umani.
E sa di essere una furia vivente e a questa rabbia impetuosa non vuole, non può e non deve rinunciare perché è lei la sua garanzia per restare vivo.

A cosa porterà l'incontro tra questi tre esseri umani che, ad unirsi, hanno più da perdere che da guadagnarci?


Ciò che Chalandon ci racconta, in questo romanzo, non è una semplice avventura in stile "fuga da Alcatraz" e non è neanche (solo) la denuncia delle drammatiche e terribili condizioni in cui sono costretti a vivere i minori affidati a certi riformatori (cosa che mi ha ricordato, ad es, il film "Sleepers"): il dopo evasione si sofferma sull'evoluzione di Jules, sulla sua maturazione umana, sulle sfide che è chiamato ad affrontare e che lo costringeranno a interrogarsi su sé stesso e sul prossimo.

Jules è un ragazzo che non ha conosciuto amore, baci e carezze, protezione, sicurezza, cura, comprensione, amicizia...; il suo giovane bagaglio d'esperienza è pieno di fatti e vicende intrisi di dolore, angoscia, solitudine, sfiducia, pugni e schiaffi, rabbia, crudeltà.

Quanto può essere difficile per una persona con una tale vissuto affidare la propria vita a uno sconosciuto?

Eppure, anche per lui potrebbe essere arrivato il momento di aggiungere un'altra esperienza al proprio background: nel mondo ci sono persone semplicemente buone, altruiste, mosse da valori e principi che le rendono degne di fiducia e rispetto.

Non è facile tenere a bada la Tigna, sempre pronta a riapparire e a guidare Jules a reagire con aggressività e rabbia.
Del resto, le delusioni sono dietro l'angolo perché i suoi aiutanti non sono perfetti, sono esseri umani anch'essi, con le proprie debolezze, i propri errori, le proprie idee, e può succedere di non capire il perché di certe scelte, azioni, comportamenti.

Jules dovrà imparare a liberarsi della furia che finora gli ha permesso di sopravvivere in una realtà deviata, malvagia, ingrata, e accogliere l'idea che sia possibile vivere diversamente, che può circondarsi di persone perbene, che se alzano una mano su di lui non è per dargli un ceffone ma un'amichevole pacca sulla spalla, che ridono con lui e non di lui, che sono pronte a confidargli segreti e fragilità perché sanno che egli non le tradirà.

Il lettore assiste, curioso e anche un po' commosso, alla crescita umana ed emotiva del protagonista che, pian piano e non senza dubbi e turbamenti, sarà chiamato a decidere quale natura far predominare di sé, se credere che c'è speranza anche per una Tigna come lui di uscire fuori dall'isola di rancori e infelicità in cui è cresciuto e di andare incontro a un destino differente da quello che altri erano pronti a scrivere per lui.

Questo romanzo di Chalandon mi è piaciuto molto e mi ha suscitato molte emozioni durante la lettura, cosa inevitabile perché tra queste pagine vengono narrati episodi di violenza, vessazioni, brutalità nei confronti di ragazzini che già provengono da famiglie disagiate, e in più si ritrovano a dover subire di tutto là dove, invece, dovrebbero ricevere aiuto, educazione e l'opportunità di cambiare, migliorare e scegliere una vita onesta e non criminale.

Ci si affeziona a Jules nonostante lui faccia di tutto per rendersi detestabile, mostrandoci il lato di sé più cinico e disilluso, ma il lettore si pone al fianco di Ronan e accoglie quella rabbia, la comprende e la guarda da vicino non per giudicarla ma per incanalarla, per offrirle nuove opportunità e speranze.

Bello, lo consiglio; il mio primo incontro con Chalandon è assolutamente positivo e conto di conoscerlo ancora meglio attraverso altri suoi scritti.


lunedì 24 marzo 2025

[ Recensione ] SPLENDEVA L'INNOCENZA di Roberto Camurri



Con delicatezza e semplicità, in un'atmosfera che resta, dalla prima all'ultima pagina, intrisa di una struggente nostalgia, Camurri ci racconta una storia di amicizia amore e ideali, in cui ritroviamo la tenerezza e la passione del primo amore, l'allegra spensieratezza della gioventù, la forza di un'amicizia sincera che travalica gli anni e il passaggio all'età adulta, il peso di colpe per le quali non ci si è ancora perdonati e quella scomoda sensazione di essere intrappolati nel passato e di non aver ancora imparato a vivere appieno il presente.



SPLENDEVA L'INNOCENZA 
di Roberto Camurri


NN Editori
192 pp
Siamo a Monterosso, nelle Cinque Terre, dove "la paura dell'alluvione non passa mai" ma questo non ha impedito alla comunità di risollevarsi dopo una calamità naturale, di ritornare a vivere e di mettersi al passo coi tempi.
Solo il bar di Luca è rimasto uguale a quando lo gestiva suo padre: una sorta di ritrovo per nostalgici, cristallizzato nel tempo e sopravvissuto al suo naturale processo di usura e cambiamento.

Ma Luca è contento così: a quarant'anni non ha alcuna voglia di modernizzare il proprio locale perché è tra quelle mura, tra quei tavoli di plastica rovinati, che  trova la propria pace.

"È anche per questo che Luca continua a mantenere il bar così anacronistico. Si rende conto che è un rifugio, un posto adatto a chi vive ai margini, a chi non riesce a integrarsi nella contemporaneità. Un luogo privo di giudizio."

Del resto, se c'è una condizione che connota la sua esistenza è proprio la tendenza all'immobilità, all'abitudinarietà, al corazzarsi dietro gesti, atti, posti, compagnie... che sono sempre gli stessi e che lo proteggono dal caos che c'è fuori.

Luca con il caos  e la confusione non è mai andato d'accordo, eppure c'è stato un momento in cui ci si è infilato mani e piedi nella baraonda di persone - sia giovani come lui che più mature - pronte a far sentire la propria voce con "l’ambizione di voler fare qualcosa per questo mondo che stava prendendo una direzione sbagliata"

Cambiare il mondo con la forza delle proprie idee e di animate proteste nelle piazze.

Ma questo è stato molto tempo fa, più precisamente nel 2001, quando Luca non aveva neppure vent'anni e amava divertirsi con i suoi due più cari amici - quelli di una vita, che ci sono da sempre e ancora oggi -, Pietro ed Alessio; quando il suo cuore e il suo corpo sussurravano un unico nome: Valentina.

Valentina è stato l'amore di gioventù: bella, solare, piena di vita ed energie, sensibile a tematiche sociali e politiche.
Valentina, che era accanto e sopra di lui ma allo stesso tempo irraggiungibile, inafferrabile.
Vicino a quella ragazza senza inibizioni e dolcemente sfrontata, Luca si sentiva inadeguato, come se non fosse alla sua altezza.

Ed è con Valentina e con lo scanzonato Alessio che, in quell'estate del 2001, Luca decide di andare a Genova in occasione del G8, per dare il proprio contributo in modo concreto partecipando al corteo di giovani e meno giovani, uniti dalla comune speranza di creare "un sistema equosolidale, di fratellanza tra i popoli, in pace con la natura e l’ambiente."


La narrazione del presente si alterna a quella del passato (estate 2001), così che passiamo dal conoscere Luca adulto a quello di oltre vent'anni prima, alle prese con il primo amore e i drammatici fatti del G8 di Genova, che credo in tanti non abbiamo mai dimenticato.

Nel presente, Luca vive le proprie giornate senza grossi slanci, impegnato con il bar e con una donna - Giulia - con la quale ha una relazione instabile, che vede lei andare e venire da casa di lui senza mai che questo rapporto diventi più definito, chiaro e duraturo.
Ma all'uomo sta bene così: i tanti flashback ci fanno capire come egli per primo non riesca (e non voglia?) investire in una relazione seria perché la verità è che non ha mai dimenticato Valentina, nonostante ella sia scomparsa da anni dalla sua vita e sia legata ad un episodio del passato che è poi il fulcro dell'indefinibile malessere che affligge Luca.

"Negli anni si è costruito una vita a prova di emozioni, una routine che lo tiene al riparo dalla sofferenza, dal caos emotivo, dalle aspettative e dalle speranze. Ha lavorato di cazzuola e cemento per costruirsi una difesa insormontabile, una roccaforte di apatia da cui si concedeva di uscire soltanto quando Alessio aveva bisogno di lui",

E Alessio ha di sovente bisogno dei suoi amici, Pietro e Luca; ma se il primo (l'unico fra loro tre ad essersi sposato) non sempre viene coinvolto nei guai di Alessio, ad esserci sempre è il pacato e razionale Luca, che non si stanca di correre dietro all'amico quando questi perde sé stesso a causa dell'abuso di alcol e droga.

A spingerlo ad aiutarlo non è soltanto l'affetto verso Alessio, ma anche qualcos'altro: un vecchio senso di colpa nei suoi confronti, che affonda le proprie radici in quell'estate 2001, in cui accaddero molte cose...


Splendeva l'innocenza è un romanzo che scorre placido per la maggior parte della narrazione, che trae la propria potenza narrativa non tanto e non solo dalle vicissitudini che coinvolgono i personaggi quanto dalla capacità dell'autore di prendere per mano, con estrema naturalezza e con un linguaggio semplice e asciutto, il lettore e indirizzarlo lungo quel sentiero che intraprende il protagonista: un sentiero contrassegnato dai ricordi.

Ricordi di parole, di risate e scherzi con gli amici; di attese trepidanti e ansiose alla stazione, di timidi sorrisi e gesti imbarazzati al cospetto dell'esuberante Valentina; di discorsi impegnativi su temi sociali importanti e su cui Luca - prima di Valentina - non aveva mai riflettuto.

Ma su tutti, i ricordi di quella giornata a Genova: la gioia della manifestazione prima che la piazza esplodesse e si verificassero i fatti sanguinosi che conosciamo.

Quel giorno è diventato una sorta di spartiacque nella memoria di Luca,  che "continua a muoversi in avanti con lo sguardo rivolto all’indietro".

Sarebbe stato più logico e saggio per lui lasciarsi il passato alle spalle in quanto ancorarsi con ostinazione a ciò che è stato è del tutto improduttivo, inutile e frena ogni volontà di diventare responsabili, di fare i conti con sé stessi, con quello che si è realizzato, con il tipo di persona che si è diventati.

Cosa c'è nel passato di Luca - e nel ricordo che ne ha - che lo blocca, che gli toglie serenità?
Tornare a quel punto di rottura è essenziale per fare pace con sé stesso e riuscire finalmente a non voltarsi più indietro ma a vivere il presente con lo sguardo rivolto al domani.


È un romanzo di cui ho apprezzato molto la scrittura (immediata e lineare, prima di fronzoli ma anche molto profonda), il potere della memoria e dei ricordi, il conseguente sentimento di nostalgia che pervade la narrazione e l'importanza della dimensione introspettiva, delle relazioni umane, delle fragilità, contraddizioni, paure, rimpianti e rimorsi del protagonista, che è un uomo semplice e complesso insieme, e nelle cui insicurezze e malinconie molti lettori si possono rispecchiare.

È stato il primo romanzo che ho letto di Roberto Camurri e credo che leggerò altro di suo.

martedì 18 marzo 2025

Recensione || I TITOLI DI CODA DI UNA VITA INSIEME di Diego De Silva



Quali sono - se ci sono - le parole giuste per descrivere una grande storia d'amore quando ormai è giunta al termine?
Fosco ed Alice si sono amati tanto e sono ad un passo dal dirsi addio.
Ciascuno si racconta con parole proprie, toccando fili che nessun atto giudiziario potrà mai anche solo sfiorare.


I TITOLI DI CODA DI UNA VITA INSIEME 
di Diego De Silva 



Einaudi
284 pp

"Se c’è una colpa che mi addosso, per gli ultimi tre anni soprattutto, è di aver finto di non capire che fra noi stava finendo. Colpa, non errore. L’errore è ignorante, inesperto o distratto. La colpa sa. Sapere e permettere: quello è colpa. Ho colpa di essere scappato mentre l’amore si sfaldava."

Fosco Donnarumma lo sa che con sua moglie Alice è ormai al capolinea.
Eppure i due vivono ancora insieme e condividono ogni spazio della casa in cui hanno vissuto insieme anni felici con il figlio Cristiano. 
Letto compreso.
Si può dormire insieme e non amarsi più?

Si può. 
Anche se in realtà non sarebbe corretto dire che Fosco non ami più Alice e viceversa.
L'amore non è evaporato come ghiaccio al sole, però evidentemente si è trasformato in un sentimento che non è più il motore sufficiente a far camminare e tenere in vita il loro matrimonio.

Marito e moglie si rivolgono entrambi agli avvocati; se Alice sceglie un'avvocata di grido, famosa anche per la sua presenza nei salotti televisivi, oltre che per essere battagliera e determinata, Fosco si affida all'amico di sempre, il buon Marco Barbirotti, il quale non solo gli prepara atti giuridici ma si offre per ascoltarlo e consigliarlo come fa un amico.

Il lettore ha modo, proseguendo di capitolo in capitolo, di entrare nelle vite dei protagonisti, di ascoltare dalle loro voci il racconto di questo amore che sta capitolando, anzi, è già capitolato.
Ma lasciarsi definitivamente, veder andar via l'altro con una misera valigia in mano in cui sono state infilate, in fretta e furia, le cose fondamentali, è meno semplice e meno liberatorio, di quanto sembri, a parole o col pensiero.

La verità è che la frattura che si è creata tra marito e moglie fa soffrire entrambi ed è lontana dall' essere risanata. 

Alice prova a parlare con Fosco della loro situazione, a farsi dare risposte, a fargli notare errori, distrazioni tutt'altro che irrilevanti, mancanze, parole non dette, ma lui sminuisce, glissa, ironizza, sembra non essere mai pronto a quel confronto con la moglie che li porterebbe dritti verso la soluzione.
Lasciarsi, punto.

E invece tutti e due si lasciano travolgere - e, con essi, il lettore - da un vortice di parole più o meno giuste o più o meno sbagliate, da abbracci notturni che rivelano un gran bisogno di tenerezza e vicinanza fisica e che ricordano come, anche se l'affetto non è svanito, esso comunque non basta a riaccendere la fiamma dell'amore, perché i silenzi, le spalle voltate e le porte sbattute sono altrettanto forti.

Allora, se non siamo in grado di dircele come dovremmo, chiediamo aiuto agli avvocati, con le loro lettere e i loro ricorsi, con il loro linguaggio formale e burocratico. Forse sapranno trovare i termini giusti per descrivere la fine di questo amore per 
per mettere nero su bianco i "titoli di cosa di una vita insieme"?

– E i titoli di coda? – chiede.
– Li stiamo scrivendo, non vedi? Sono già questi, i titoli di coda.


E così assistiamo alle due opposte posizioni dei coniugi in fase di separazione: Alice aspira a una conclusione più drammatica, come se renderla ufficiale e sostenuta da parole forti e nette, desse dignità e sostanza al loro grande amore, di cui sono rimaste le macerie, le ferite. 
Sia lei che il suo avvocato cercano il conflitto, la separazione davanti al giudice con contorni evidenti, raccontati con passione, sull'onda di recriminazioni e accuse sulle mancanze e le colpe dell'altro.

Al contrario, Fosco è quasi indifferente,  ha un atteggiamento passivo, arrendevole, non accusa di nulla la moglie e subisce ogni attacco, adeguandosi ad ogni sua richiesta e condizione. 

Ma essi stessi si rendono conto che i documenti in cui i legali tentano di ridurre il loro matrimonio sono mortificanti e, in realtà, non rendono neanche lontanamente l'idea di ciò che è stata la loro vita insieme. 

Ma allora come fare per trovare le parole giuste e per riscrivere con una dignità diversa i titoli di coda della loro storia?

Fosco ed Alice decidono di ritirarsi in una casa amata, tra i fantasmi dal passato e di quella felicità tradita, rivedendo persone che hanno accompagnato gli anni felici dell’infanzia di Fosco e, più tardi, quelli con Alice.

Trovarsi lì, in quella casa, diventa un modo per attraversare insieme il viale dei rimpianti fino a esaurire ogni sofferenza, per estrarre dalle macerie del tempo ciò che rimane vivo e trovare la forza di affrontare l'inevitabile anche quando ci si vorrebbe arrestare perché si ha paura.

In questo romanzo Diego De Silva si sofferma sulla coppia, in particolare su quei meccanismi, pensieri, timori, speranze, illusioni, su tutta la gamma di emozioni e sentimenti che possono accompagnare due persone che si vogliono ancora bene ma che, allo stesso tempo, non riescono e non sanno più come fare per continuare ad essere una coppia.
Una coppia che, in realtà, "s'è già lasciata" ma non sa dirselo, perché dirselo fa soffrire troppo e così procrastinano, "allungano il brodo" per tener lontano il dolore - quello tagliente, lacerante ed inevitabile - che accompagna la separazione definitiva.

È senza dubbio un testo per lo più scorrevole, forse un po' lento in alcuni passaggi, in cui la parte narrativa è arricchita da molte considerazioni e riflessioni, diverse delle quali sicuramente profonde.

Nonostante si racconti di un amore naufragato, i toni sono leggeri (senza essere superficiali) ed ironici, il punto di vista dei due si alterna e così di ciascuno dei due protagonisti possiamo conoscere le speranze, le delusioni, le felicità sepolte, il complicato groviglio di sentimenti che nutrono l'uno verso l'altra e verso la fine de loro amore.

Attraverso Alice e Fosco, il lettore ha modo di riflettere e farsi domande sull'amore, sui rapporti di coppia e su ciò che può "rovinarli" (abitudinarietà, assenza di dialogo, timore di affrontare i problemi, ignorare/trascurare le esigenze dell'altro, minimizzare le difficoltà, le richieste di aiuto ecc...) in un'ottica mai pesante (da seduta psicoterapeutica di coppia, per intenderci) ma con la giusta dose di sensibilità mista a una sfumatura agrodolce e malinconica.

Complessivamente, mi è piaciuto.



CITAZIONI

"...l’abitudine è un segreto di Pulcinella, è il tappeto sotto cui nascondiamo la polvere dei rapporti finiti, basta semplicemente sollevarlo, con intenzione o per inciampo (il piú delle volte è inciampando che si smuovono le cose)."

"L’amore è intelligente, e sa aspettare. Con gli anni ho imparato ad ascoltarlo, e ho capito che la sa piú lunga di me. Soprattutto, l’amore non è orgoglioso. Accetta il dolore, se lo considera un giusto prezzo. Certo, è tanto bello il tempo in cui si scrive a quattro mani la stessa storia, uniformando la prosa, dandole ritmo, profondità e leggerezza".

"Ma chi soffre e non lo dice, chi convive con un dolore che non passa (un dolore che ti segue con la fedeltà di un cane, che prende le tue abitudini e t’impone le sue, che ti cambia nell’intimo e anche nell’aspetto: non sorridi come una volta, anzi non sorridi piú, tendi le labbra, volti sempre un po’ la testa perché non ti guardino negli occhi), prova un sentimento che non aspira all’uguaglianza, che rifugge dalla classificazione".

"Con gli anni mi sembra di aver capito che il carattere di una persona è fatto soprattutto di insistenze. Medie e piccole maniacalità da cui siamo abitati o sopraffatti, che ci rendono molto piú comuni di quanto pensiamo di essere."

"È quella la solitudine, non vuoto ma mancanza, non trovare piú la mano nel buio che ti tiene quando la cerchi. "

"...quel rimorso somigliava allo smarrimento degli amori perduti, lasciati andare alle prime avvisaglie di stanchezza, quando al senso di liberazione iniziale segue la vera solitudine, che è mancanza di uno e non di tutti (perché le persone sono infungibili, e non esistono vuoti colmabili)."

"...sono le minuzie che modellano la vita insieme. I piccoli gesti ricorrenti con cui disegniamo le parole nell’aria, i tic (che l’altro ben conosce e tollera oppure ama, se ti ama proprio tanto), le pause che ci prendiamo per ribattere, sono la punteggiatura della convivenza."

"...i libri danno una sensazione termica simile al calore, ma meno definita. Qualcosa che intuisci piú che sentire. Le case con i libri sono piú abitate di quelle senza libri. 
E piú vive".

«Dai dolori guariamo superandoli. Letteralmente: lasciandoceli alle spalle, voltandoci e scoprendo di aver messo abbastanza strada fra noi e loro, abbastanza da sentirci sicuri di non poter piú essere raggiunti».

«Aspetto la fine del mio sogno come il momento in cui mi volterò indietro e non vedrò piú, nemmeno sollevandomi sulle punte, quella casa che avevo e che ho perso».



mercoledì 12 marzo 2025

LA CASA di Michael McDowell (Blackwater III) [ RECENSIONE ]



È il 1928 e a Perdido prosegue la silenziosa e tesa lotta tra le due donne più influenti del clan Caskey: Mary-Love ed Elinor. 
Pur vivendo a venti metri di distanza, suocera e nuora non potrebbero essere più distanti; ad unirle indissolubilmente ci sono l'odio e la repulsione che provano l'una per l'altra e in questo aspro scontro tutto al femminile non potrà che uscirne rafforzata una sola di loro due.


LA CASA 
(Blackwater III)
di Michael McDowell




Neri Pozza
ed. E. Cantoni
256 pp
La vita dei membri della famiglia Caskey sta proseguendo apparentemente placida e tranquilla da qualche anno quando, a un certo punto, cominciano ad affacciarsi i primi problemi.

La cognata di James Caskey, Queenie, vive ormai serena con i tre figli nella sicura Perdido ma la sua pace viene stravolta dal ritorno del bruto e spietato marito, Carl, che pretende di vivere in casa con lei e di sfruttarla economicamente.
Le cose finiranno per degenerare e ci penserà l'imperturbabile Elinor Dammert ad intervenire definitivamente, con la modalità che le è propria (chi ha letto i predenti romanzi sa) e coerentemente con la sua natura inquietante, indefinibile, che cela segreti oscuri e legami con una dimensione sovrannaturale alla quale non riusciamo ancora a dare una specifica identità.

Quello che è certo è che Elinor è legata alle acque rosse e fangose del fiume di Perdito, come se si appartenessero reciprocamente.
Questo verrà fuori ancora in diverse occasioni.

Sono passati alcuni anni e mentre la primogenita di Oscar ed Elinor - Miriam - continua a vivere con nonna Mary-Love, ricevendone affetto e educazione, la secondogenita, Frances, vive con i genitori a venti metri dalla sorella maggiore, con la quale non ha rapporti.

Frances è una bambina dolce, taciturna, riflessiva, fisicamente gracile e dalla salute cagionevole, tanto che nel corso degli anni le verrà diagnosticata l'artrite, che le causerà periodi di paralisi totale e immobilità a letto.
La piccola guarda con ammirazione e sincero affetto la sorella Miriam e sogna di poter avere con lei un  vero legame tra sorelle; ma Miriam non è dello stesso avviso, anzi: cresciuta con la puzza sotto al naso da una nonna che le ha insegnato a guardare tutti dall'alto in basso, a non mischiarsi con chi è più giù nella scala sociale e a disprezzare chi è debole, la ragazzina vede la sorella minore come un esserino insignificante, non meritevole della propria attenzione, figuriamoci del proprio amore fraterno.

L'unica cosa che le interessa è che Frances non sia meglio di lei in nulla e la sola idea di perdere in una qualsiasi forma di competizione (scolastica, ad es.) le scatena picchi di invidia e risentimento degni di Mary-Love.

Le tensioni tra le sorelline sono una riproduzione, in piccolo, di quelle tra la nonna e la mamma, che continuano a detestarsi nonostante si ignorino.

Ma i rapporti famigliari peggiorano un po' alla volta, a partire da quando Oscar si vede costretto a chiedere un considerevole prestito economico alla madre, che glielo rifiuta, cosa che creerà una situazione di gelo tra mamma e figlio.
Ed Elinor, perfidamente intelligente e paziente, si infilerà proprio in quella crepa per dimostrare alla suocera chi è la più forte tra le due, chi merita di prendere lo scettro nel clan Caskey.

Al centro, quindi, anche di questo terzo capitolo della saga famigliare, vi è la rivalità tra Mary-Love ed Elinor, che non potrà non influenzare anche gli altri membri della famiglia.

Mary-Love è una matriarca dalla tempra d'acciaio, prepotente, che ama avere tutto e tutti sotto controllo, che brama tenere il potere nelle proprie mani e sapere che i parenti (figli, nipoti, cognato...) dipendono da lei, dalle sue innumerevoli ricchezze e che, in caso di bisogno, è a lei che devono chiedere umilmente e gentilmente aiuto.
È  una mamma controllante, petulante, che pretende rispetto e amore devoto dai due figli ma non risparmia loro critiche severe e rimproveri scoraggianti.

È una suocera sdegnosa, criticona, piena di sé  ma in Elinor ha trovato un'antagonista caparbia, che le tiene testa.

È una nonna premurosa per Miriam e assolutamente indifferente verso la povera Frances, che invece meriterebbe più attenzioni ed affetto, viste anche le condizioni precarie di salute.
E la sua condotta crudele verso Frances sarà una delle motivazioni per cui i rapporti tra Mary-Love e i coniugi Caskey andranno logorandosi sempre più in modo drammatico.

Intanto, la piccola Frances - che ama la propria grande casa, in cui sta crescendo all'ombra di mamma e papà, che si prendono amorevolmente cura di lei - continua ad essere spaventata dalla "stanza sul davanti", una camera con un ripostiglio da cui - ne è certa! - lei sente che prima o poi verrà fuori qualcosa.
O qualcuno.

La dimora di Elinor ed Oskar - la casa più bella di Perdido - diventa sempre più chiaramente un luogo carico di presenze sinistre, di forze oscure e minacciose e la signora dai capelli rossi sbucata dal nulla durante la piena del 1919 è il fulcro di queste forze.

La domanda è sempre la stessa dal primo libro: chi è realmente Elinor? In che modo la sua esistenza dai contorni così sfumati è legata alle limacciose e pericolose acque del fiume che scorre a Perdido? Qual è la sua vera natura?
Che ci sia in lei una parte ultraterrena, mostruosa, che manifesta solo in determinate occasioni e con specifiche persone, è ormai un dato certo.
Ma cosa vuole ottenere stando a Perdido, cercando di assumere il controllo del clan e continuando ad acquistare terreni da tutti giudicati infertili?
E soprattutto, cosa è disposta a fare per portare avanti i suoi loschi piani?

La casa è un romanzo che ho trovato molto piacevole, l'ho letto in poco tempo proprio perché si legge con agilità ed ero curiosa di seguire le dinamiche e l'evoluzione dei rapporti tra tutti, in particolare tra  Elinor e Mary-Love.
Permane l'atmosfera gotica, cupa, molto suggestiva ma non assolutamente horror; ci sono elementi paranormal che catturano l'attenzione del lettore, creano situazioni interessanti e alzano il livello di suspense.

Leggo qua è là pareri di chi trova i libri della serie noiosi, ma io ammetto di averli finora divorati e di essere attratta in special modo dalla finezza psicologica con cui vengono investigati i legami famigliari e le personalità dei personaggi all'interno di una cornice che non sarà spaventosa ma che personalmente trovo accattivante.



LIBRI DELLA SAGA

1. LA PIENA
2. LA DIGA
3. LA CASA

4. LA GUERRA
5. LA FORTUNA
6. PIOGGIA
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