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mercoledì 31 luglio 2024

[ RECENSIONE ] EVA di Giovanni Verga



Un breve classico ambientato nella Firenze della seconda metà dell'Ottocento che ruota attorno alla storia d'amore tra un giovane pittore ed Eva, una ballerina bellissima  e sensuale.


EVA
di Giovanni Verga


Feltrinelli
125 pp
In questo romanzo verghiano un giovanotto, che ha trascorso la sua breve esistenza vivendo d'arte, confida a un amico che sta per affrontarsi in un duello d'onore e di essere, oltretutto, molto malato.
Tra i due ragazzi nasce immediatamente un legame d'amicizia fraterno che spinge l'artista - il cui nome è Enrico Lanti - a lasciarsi andare a confidenze intime; gli racconta così il grande amore della sua vita: Eva.

Eva è una giovane donna tanto bella quanto sensuale, e nelle movenze, nelle sue performance (lavora come ballerina a teatro) come nel suo interagire con gli uomini sa essere un'ammaliatrice, sa incantare le persone e farle sentire considerate e importanti con un solo sguardo o sorriso.

Lo stesso Enrico se ne invaghisce sin dalla prima volta che la vede ballare, consapevole, però, di essere solo uno dei tanti ammiratori e che sicuramente la meravigliosa Eva mai perderebbe il proprio tempo con un pittore spiantato come lui.

Eppure... non è così e, anzi, non solo Eva lo nota ma a sua volta prova un'infatuazione inspiegabile per quel ragazzotto di origine siciliana che vive dei propri quadri.
Un artista ha sicuramente un animo nobile e appassionato, pensa Eva, e questo aspetto - unito ai modi di fare di Enrico, riservati e non arroganti come solitamente sono gli uomini che l'avvicinano - la spingono verso di lui e le smuovono dentro dei sentimenti che ella asseconda, arrivando a frequentarlo regolarmente.

Ma Enrico non è solo infatuato: lui ama appassionatamente la sua "dea" Eva, è onorato e lusingato di essere stato scelto tra tanti uomini e spasimanti e per lei è disposto a spendere anche oltre ciò che può, indebitandosi e chiedendo prestiti ai famigliari. Inoltre, la gelosia per quel corpo, che per Enrico è solo suo, si fa sentire ed è sempre più ingestibile...

Proprio quando sembra che il legame amoroso e passionale tra loro sia all'apice, qualcosa interrompe l'idillio, gettando nell'animo dell'uomo i semi del rancore e della rabbia che daranno vita a una pianta velenosa.

"Eva" non ha un'ambientazione rurale come altre opere più note di Verga, bensì si avvicina ad una realtà più moderna e borghese. 

Eva è sicuramente una donna dai tratti moderni in quanto è indipendente, sicura di sé, padrona del proprio corpo, delle proprie capacità, dei propri sentimenti e della propria vita; non vuole padroni, non si fa comandare e se rinuncia a qualcosa è unicamente perché lo desidera e nulla le vieta di cambiare idea e ritornare sui propri passi.

Enrico è un brav'uomo ma volubile ed egoista, ossessionato dal successo e dalla fama, conscio però che la propria arte è condizionata dai capricci del pubblico e di chi gli commissiona opere.
La voce narrante è la sua e da essa traspaiono tutti i suoi stati d'animo, le emozioni che gli sconquassano l'anima, dalla rabbia alla passione, dal risentimento alla tristezza, dai sensi di colpa all'amara consapevolezza di aver fallito; il suo "tono" è a volte drammatico, altre sarcastico e cinico.

Il romanzo si inserisce ovviamente in una cornice verista ed è attraversato da un'aura  cupa, decadente e pessimista; l'affascinante città fiorentina alberga nelle sue vie tanto il materialismo e la corruzione quanto l'arte, e queste umane contraddizioni la rendono ancora più ammaliante.
Il linguaggio è semplice e diretto, coerente con l' epoca di riferimento e con la rappresentazione della realtà quotidiana. 

Verga è un autore che ho letto soprattutto nel periodo scolastico, mi piacerebbe riprenderlo. Eva è un buon punto di partenza.

venerdì 19 maggio 2023

⛪RECENSIONE ⛪ LA CHIESA DELLA SOLITUDINE di Grazia Deledda

 

Nella cornice autentica di una realtà contadina, abitata da gente semplice e legata alla propria terra, ricca di credenze, usanze e superstizioni, si staglia il ritratto verace e genuino di una donna dall'animo forte ma dal corpo ferito, nel cui interiore si svolge una sofferta battaglia tra il suo desiderio di dare e ricevere amore e la rassegnazione a una vita di solitudine.



LA CHIESA DELLA SOLITUDINE 
di Grazia Deledda


Scrivere Edizioni
142 pp
"...tu sei come la vita, che desta tante lotte e bramosie, e lascia tutti delusi."

La 28enne Maria Concezione è appena tornata dall'ospedale, dove è stata ricoverata per subire un'operazione al seno; il medico s'è raccomandato che ella occupi il tempo che Dio le donerà conducendo una vita tranquilla, priva di forti emozioni e di inutili strapazzi.

La consapevolezza di avere un cattivo male nel proprio corpo (la mammella che non c'è più è lì a ricordarglielo in ogni momento) e che molto probabilmente esso ben presto le chiederà il conto, spinge la donna a convincersi che per lei non ci sia spazio, su questa terra, per la felicità, per un futuro pieno di amore, di un marito e men che meno di figli.


"Anche la sua anima rabbrividiva di freddo, di tristezza, di paura: improvvisa paura della vita, dei giorni che l'aspettavano tutti eguali, sempre eguali, senza più amore né speranza."


Non ha che la sua amatissima madre, Giustina: con lei vuol trascorrere i suoi giorni - tanti o pochi che siano, come la Provvidenza vuole -  in solitudine, nella pace e nella tranquillità della loro modesta ma dignitosa casina, collegata ad una chiesetta spoglia in cui si respira un'aria pregna di sacralità e fede; la cappella è stata fatta costruire dagli antenati paterni della donna, i quali, avendo purtroppo condotto esistenze non sempre rette e onorevoli, hanno provato ad espiare i propri peccati attraverso quest'atto  di devozione alla madonna.

La vita di Concezione e Giustina è caratterizzata da azioni quotidiane semplici e rassicuranti: cucinare, rassettare e pulire casa, cucire per guadagnare qualcosina e accogliere con simpatia e generosità i tanti paesani che vanno a trovarle costantemente, compresi i più poverelli ai quali mamma e figlia donano cibo e altre necessità, con discrezione e senza farli sentire umiliati.

Concezione è una donna piacevole d'aspetto e di fisico e non sono in pochi a corteggiarla; in particolare c'è un uomo, più giovane di lei e forestiero (viene dal Piemonte), che soggiorna nel loro paese per ragioni di lavoro: si chiama Aroldo, è un bravo ragazzo e non fa che gironzolare attorno alla casa dell'amata, la quale ha in effetti ricambiato l'interesse del giovanotto prima dell'operazione; adesso, però, le cose sono mutate per Concezione, che sente di non avere più diritto ad una vita normale a causa della malattia e, in virtù di questo scoraggiante pensiero, cerca di disilludere lo spasimante, di tenerlo a distanza e di trattarlo con cortese freddezza per spingerlo a rassegnarsi.

"...l'ombra del suo avvenire non l'abbandonava: le pareva di essere come una monaca, che non può e non vuole sciogliersi dai suoi voti: e se respingeva Aroldo era per il bene di lui, per amore e non per altro".

Ma Aroldo è tenace e testardo e, anche se i sentimenti non vengono spazzati via dai rifiuti di Concezione, pure lo spingono a commettere degli errori per orgoglio, per dispetto, e ad avere una condotta che potrebbe ritorcersi contro sé stesso.

Ad irritare e addolorare ulteriormente Concezione ci pensano altri problemi: ci sono alcuni paesani, che da sempre frequentano la casa con la chiesetta, ricevendo un'ospitalità gentile e amichevole da parte di Giustina e figlia, ma ultimamente arrivano con spavalderia e prepotenza per proporre alla giovane dei matrimoni.
Il burbero Felice Giordano ha ben due nipoti tra cui Concezione potrebbe scegliere, e la chiacchierona Maria Giuseppa ne ha uno che, seppure un po' tardo di mente, sicuramente è un bel pezzo d'uomo.
Sebbene tutti promettano alla donna di farla vivere come una regina, Concezione intuisce che, in realtà, essi sono al corrente del fatto che il suo defunto padre abbia lasciato a moglie e figlia un rispettoso gruzzolo, da parte. Insomma, le donne non saranno ricchissime, ma hanno ciò di cui abbisognano per vivere e anche qualcosina di più, tanto da poter donare a chi è nel bisogno.

Concezione è oltremodo indignata dall'atteggiamento di queste persone e lo dimostra apertamente, manifestando tutto il suo malcontento e ripetendo con fermezza che lei non ha alcuna intenzione di sposarsi: vuol vivere e morire accanto alla cara madre, ai piedi della statua della sua madonnina, facendo la carità e godendo di un'esistenza semplice.
Punto.
Del resto, se sta cercando in tutti i modi di far allontanare l'unico uomo che le piace (Aroldo), figuriamoci se potrebbe mai accettare di andare in sposa a dei ragazzetti che non sono ancora neppure uomini!
Fortunatamente, c'è don Serafino a darle una mano, attraverso i suoi consigli e aiutandola a tener lontani i corteggiatori molesti.

Concezione è una donna vigorosa, con un carattere deciso, forte, con una fede "non cieca né fanatica, ma tranquilla e luminosa", sincera anche se non sempre solida (in quanto non priva di dubbi e domande), che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno, che sa tener lontane le seduzioni perché conscia anzitutto delle effettive condizioni del proprio corpo, e anche del proprio desiderio di voler espiare degli errori (o presunti tali) commessi in passato e che avevano a che fare anch'essi con l'amore.
Decisa a non voler più sbagliare ed essere causa di sofferenza per altri (oltre che per sé stessa) e che la malattia non le permetta di avere dei progetti relativi alla costruzione di una famiglia, Concezione desidera unicamente starsene per i fatti propri, vuol essere lasciata in pace: perché questo suo legittimo desiderio non dev'essere rispettato?

Altro che tranquillità, come consigliato dal dottore: in seguito alle proposte di matrimonio, sotto gli sguardi intriganti della gente impicciona, la povera Concezione dovrà fare i conti non soltanto con l'invadenza di persone che pensano di poterla condizionare, ma anche con la sparizione improvvisa dello stesso Aroldo e, soprattutto, con il tumulto di pensieri, emozioni, paure e desideri che le si agita nell'anima e che neppure le preghiere riescono a placare.


Questo romanzo della scrittrice sarda Grazia Deledda (vincitrice, nel 1926, del Premio Nobel per la Letteratura) è stato pubblicato nel 1936 (anno della sua morte) ed affronta varie tematiche: la malattia, l'amore, la famiglia, la sofferenza, il peso dei peccati propri e altrui e la necessità di espiarli, la fede che, per quanto forte, non è esente dall'assalto di dubbi, inquietudini, insicurezze, caratteri propri della condizione umana e della sua intrinseca fragilità. 

Maria Concezione è un bel personaggio femminile, prima di tutto perché la sua personalità è delineata con maestria e realismo, e poi ha dei tratti "moderni" rispetto al tempo in cui vive: ha uno spirito indipendente, è umile e modesta ma non debole e remissiva; è una brava e premurosa figlia, veglia sulla propria casa con dignità e coraggio, ma ella è comunque figlia del contesto in cui vive.
È una donna cresciuta all'ombra della religione ed è infatti disposta a sacrificare la propria felicità sull'altare dell'espiazione di peccati che il lettore, dall'esterno, neppure ritiene tali e questo fa apparire le decisioni e i comportamenti della protagonista come esagerati e irrazionali, ma è chiaro, come dicevo, che la storia e i personaggi vadano contestualizzati per essere compresi.

Non soltanto stiamo parlando di un'Italia degli anni Trenta, ma siamo in un piccolo paese della Sardegna, in una realtà rurale abitata da persone dai modi di fare schietti e rozzi (che si tratti dell'omone che parla sempre con un tono di voce alto alla donna pettegola che ficca il naso dove non deve, entrambi convinti di poter fare i prepotenti in casa d'altri): è un contesto umano rustico e selvatico, ben riflesso nell'ambiente naturale circostante che, lungi dall'essere descritto in maniera impersonale e oggettiva, è anch'esso un personaggio a tutti gli effetti, profondamente vivo, con le sue asperità e contraddizioni (come lo è l'essere umano, appunto).

Ho apprezzato questo libro della Deledda, ho avuto modo di cercare informazioni sulla sua vita, opere e tematiche, e poiché è stata una scrittrice prolifica, conto di leggere altro di questa scrittrice, che ad oggi è l'unica italiana ad aver vinto il Nobel per la Letteratura.

Classico consigliato!

martedì 18 aprile 2023

RECENSIONE ** PAULINE (o Il conte assassino) di Alexandre Dumas **



Questo breve romanzo di Alexandre Dumas padre, dalle tinte un po' gotiche, è del 1838; in esso tre differenti voci narrative si susseguono nella narrazione di vicende turbolenti e cupe che vedono protagonista una dolce e angelica fanciulla, finita tra le grinfie di un uomo senza pietà.


PAULINE
(o Il conte assassino)
di Alexandre Dumas 


Editore: Aracne
trad. R. Cavallo
204 pp
"Volgeva la fine dell’anno 1834. Noi stavamo novellando, un
sabato sera, in una camera attigua alla sala d’armi di Grisier,
allorchè la porta si aprì, e vedemmo entrare Alfredo Nerval."

Sono tre i narratori che prendono la parola in questo romanzo: lo stesso Alexandre, che incontrando l'amico di vecchia data Alfredo de Nerval (secondo narratore), lo ascolta raccontare il suo amore per la bella Pauline de Meulien (terza voce narrante): un amore struggente e triste, sul cui corso ha influito la nefasta presenza di un uomo senza pietà e senza cuore: il conte Orazio de Beuzeval.

Alfredo racconta all'amico di come egli abbia soccorso la povera Pauline dopo che questa aveva toccato con mano tutta la crudeltà e il cinismo di colui che l'aveva sposata e che avrebbe dovuto proteggerla e amarla.

Pauline è solo un'ingenua ragazza quando conosce il conte Orazio e sin dai primi sguardi sente che quell'uomo, la cui presenza basta ad incuterle soggezione, ha qualcosa di inquietante, quasi di spaventoso.
Eppure, ha modi cortesi, toni galanti e col suo fascino enigmatico fa breccia in chi lo incontra, uomini e donne.
E anche nella pura e semplice Pauline, che lo sposa, pur non essendone perdutamente innamorata ma provando, piuttosto, una sorta di attrazione mista a un inspiegabile timore.

Orazio non è proprio il marito affettuoso e premuroso che una novella sposa si aspetterebbe: ama andare a caccia con i suoi amici (due compari, in particolare, gli sono sempre dietro, Enrico e Massimiliano,e non suscitano una grande fiducia) e non esita a lasciare la moglie a casa con la di lei mamma.
Finché un giorno, la ragazza non si decide a raggiungere il coniuge nel castello di Burcy (in Normandia), dove lui si è ritirato per partecipare ad una delle sue irrinunciabili battute di caccia.
Orazio non è affatto contento di vedersela arrivare all'improvviso, ma fa buon viso a cattivo gioco, per cui la moglie viene invitata a starsene sola soletta nel castello, con la sola compagnia di un fedele servitore del conte (con cui, tra l'altro, ha difficoltà a comunicare).

In sua assenza, Pauline non sa che fare ma la sua curiosità le costerà cara: spinta un po' dalla noia e un po' da un sinistro sesto senso che la induce a perlustrare il castello dentro e fuori, scoprirà qualcosa che proprio non avrebbe dovuto conoscere e che riguarda il suo misterioso consorte e ciò in cui si diletta, e che non è propriamente edificante, visto che la sua passione per la caccia non riguarda solo gli animali...

La storia di ciò che accade tra Pauline e il conte di Beuzeval è narrata dalle labbra stesse della donna e raccolta da Alfredo (che, quindi, la racconterà a sua volta ad Alexandre), innamorato di lei e disposto a tutto pur di proteggerla, aiutarla, renderla felice.

Ma il destino - attraverso le cattive azioni di Beuzeval - ha già mescolato e giocato le sue carte e, per quanto l'amore - quello vero, genuino, rispettoso e fedele - del buon Alfredo, possa costituire per un po' di tempo un balsamo per il cuore ferito e per il corpo provato della dolce Pauline, il doloroso e triste epilogo non potrà essere aggirato né evitato per sempre.

Pauline (o Il conte assassino) è un romanzo che, pur nella sua brevità, risulta avvincente per la trama ben costruita, con diversi colpi di scena, con pochi ma efficaci e convincenti personaggi; io ho letto un'edizione che ha un linguaggio molto classicheggiante ("antiquato"), che sulle prime mi aveva un po' fatto temere che non sarei riuscita a godermi la lettura e che lo stile me l'avrebbe resa pesante, invece devo dire che, di pagina in pagina, non solo la storia mi ha presa e incuriosita, ma ho trovato che lo stile ben si confacesse al tenore del libro, al periodo di riferimento e ai personaggi stessi.

Pauline è la tipica donzella dall'animo candido, pura di corpo e di spirito, ingenua al punto da farsi raggirare dallo scaltro e ambiguo conte Orazio, il cui cinismo risalta ancor di più se accostato alle virtù tanto della protagonista femminile quanto del devoto amico (innamorato) Alfredo, anch'egli nobile d'animo ma non pavido, anzi, sarà capace di gesti pieni di coraggio e ardore, volti a preservare l'onore e la vita di chi ama.
C'è del romanticismo classico ma anche, come dicevo nell'introduzione, una tinta di gotico, e il tutto rende questo libro d'altri tempi una bella lettura, adatta per apprezzare il caro Dumas, tra i miei autori classici preferiti, grazie soprattutto a IL CONTE DI MONTECRISTO.

domenica 19 marzo 2023

** RECENSIONE ** LA SIGNORA DALLOWAY di Virginia Woolf



Con La signora Dalloway (pubblicato nel 1925) Virginia Woolf, con grande intensità e sapienza narrativa, attraverso il flusso di emozioni e pensieri dei suoi personaggi - di cui ci vengono svelati le fragilità, le luci e le ombre, le sofferenze e i turbamenti - racconta la precarietà della vita e l'affascinante complessità dell'animo umano.


LA SIGNORA DALLOWAY
di Virginia Woolf



Einaudi
trad. A.Nadotti
196 pp
In un tranquillo mercoledì di metà giugno del 1923 la signora Clarissa Dalloway, moglie di un deputato conservatore alla Camera dei Lords, esce di casa con l'intenzione di comprare dei fiori per la festa che terrà la sera nella sua casa e alla quale saranno presenti tante persone, tra cui le altolocate conoscenze del marito.

Mentre passeggia per le strade di Londra, si gode la piacevole mattinata e pensa alla festa, dentro di lei ha luogo un monologo interiore, un affastellarsi di pensieri e ricordi che la portano indietro di vent'anni, agli anni in cui era una ragazza non ancora sposata, con attorno un uomo innamorato come Peter e la bella e vivace Sally come amica (o forse per lei ha provato sentimenti più forti di una semplice amicizia?).

Quante cose possono accadere in un giorno! E quanto e quale valore esse possono più o meno avere a seconda di chi li vive - com'è la sua vita? cosa fa, di che umore è?... -, li osserva, li racconta!

In un giorno qualunque succedono fatti in grado di cambiare la vita ed altri (apparentemente) insignificanti.
La giornata di Clarissa è resa speciale ed eccitante dal fatto che terrà una festa ed infatti è tutta impegnata nell'organizzarla, a cominciare dall'acquisto dei fiori.

Ci sarà anche il suo vecchio amico (e amore di gioventù) Peter Walsh, da sempre innamorato di lei, che non trova pace a motivo di questo sentimento che a nulla lo condurrà, visto che lei è sposata con il buon Richard Dalloway.
E Richard - uomo gentile, discreto, impegnato in politica -, anche lui quel giorno ha qualcosa che lo agita: come tornare di corsa a casa per dire a Clarissa che l'ama! Riuscirà ad esprimere i suoi sentimenti?

Ma ci sono anche persone per le quali un giorno in più da vivere è un giorno in più di sofferenza, di depressione, di malessere.
È ciò che accade a Septimus Smith, un veterano di guerra che ha riportato dei disturbi di natura psicologica (oggi parleremmo con certezza di DPTS); è sposato con la dolce Lucrezia ma il loro matrimonio non sembra infondere gioia a nessuno dei due. Tutt'altro, sta per naufragare e questo non è che un altro dei "crolli" cui sta per andare incontro il povero e provato Septimus, la cui esperienza bellica non lo abbandona, anzi, lo ha seguito come un segugio e continua ad ossessionarlo.
Septmus e Clarissa non si conoscono e non si incontrano, ma a fine libro vedremo che tra essi si crea una connessione (l'amore e il terrore per la vita), che turba Clarissa.

La malattia mentale è un tema caro alla Woolf, la quale, in queste pagine, lo affronta attraverso Septimus (la stessa scrittrice ha sofferto di depressione, esaurimento nervoso; è morta suicida).

Clarissa ha superato i cinquanta, appartiene all'alta società londinese e la vediamo come, vista dall'esterno, si stia dando da fare per un avvenimento di per sé superficiale, frivolo, ma questo atteggiamento riflette ben altro: "c'era nelle profondità del suo cuore una paura terribile".

"Si sentiva molto giovane, e nello stesso tempo indicibilmente vecchio. Affondava come una lama nelle cose, e tuttavia non restava fuori, a osservare. Aveva la perpetua sensazione, anche mentre guardava i taxi, di essere altrove, altrove, in mare aperto e sola; la sensazione che fosse molto, molto pericoloso vivere anche un giorno soltanto."

 In un flusso incessante di parole, pensieri, ricordi, associazioni, emergono desideri, angosce e paure - della solitudine, della morte, della vita -; la paura di non essere vista né riconosciuta, considerata.

"Aveva la bizzarra sensazione di essere invisibile, non vista, non conosciuta; ormai non c'erano più né matrimonio né figli, ma solo questa stupefacente e piuttosto solenne processione insieme a tutti gli altri, su per Bond Street, questo essere la signora Dalloway, neppure più Clarissa, solo la moglie di Richard Dalloway."

Clarissa è una donna sensibile, con il senso dell'umorismo, che ama la vita e la gente e in cui non c'è acredine né "l'ombra di quel disgustoso moralismo così frequente nelle donne perbene." e chi - come Peter - la conosce bene, sa che ha un umore "fluttuante", capace di passare dalla felicità ai cattivi pensieri in un attimo.

Virginia Woolf ha scritto un romanzo che, fondamentalmente, non ha una vera e propria trama; accadono pochi fatti e la maggior parte delle azioni si svolgono principalmente nella coscienza dei personaggi; tutto è concentrato in una sola giornata di giugno a Londra e i piccoli avvenimenti quotidiani sono funzionali al risveglio in Clarissa di tutta una serie di impressioni e ricordi, che le rammentano come l'intera esistenza altro non sia che un continuo divenire.

È un romanzo introspettivo, psicologico, dove è evidente l'uso della tecnica del flusso di coscienza, che esprime mirabilmente tutta la vasta gamma di impressioni - visive, uditive, fisiche -, le associazioni, i ricordi, i pensieri che incidono sulla coscienza dei personaggi.
Ad essere importanti non sono solo i contenuti dei loro pensieri e monologhi interiori, ma ancor prima i meccanismi alla loro base.

Credo si possa dire con cognizione di causa che questo romanzo (ma anche gli altri) di Virginia Woolf rientri tra i libri da leggere almeno una volta nella vita; è un'opera di notevole valore letterario, scritta magistralmente, con un linguaggio altamente evocativo, lirico, di grande intensità.
Confesso di non essere entrata subito in sintonia con lo stile della Woolf ma, proseguendo nella lettura, la sua scrittura e quel filo di sofferta nostalgia che l'attraversa mi hanno sempre più affascinata. 

Citazioni

"...senza dubbio provava ciò che provano gli uomini. Solo per un istante, ma bastava. Era una rivelazione repentina, un tocco lieve come un rossore che si cerca di dominare e alla cui espansione, quando esplode, si cede, e si precipita sul margine ultimo e si trema sentendo che il mondo si avvicina, gonfio di un qualche significato sorprendente, una pressione simile all'estasi, che ne frantuma la crosta sottile e sgorga e si versa con sollievo straordinario sulle ferite e le piaghe!"

"Lei era come un uccello che trova riparo nella conca sottile di una foglia, che ammicca al sole quando la foglia si muove, e sussulta allo scricchiolio di un ramoscello secco. Era abbandonata, circondata dagli alberi enormi, dalle immense nubi di un mondo indifferente, abbandonata, torturata. E perché doveva soffrire? Perché?"

martedì 5 luglio 2022

CLASSICI IN ATTESA

 

Buon pomeriggio, cari lettori!




Come va col caldo? Io sto boccheggiando e, per dimenticare i fiumi di sudore che mi tocca versare, ho pensato di tornare sul blog con un post su alcuni dei classici più famosi... che io non ho mai letto in vita mia, pur essendomi ripromessa di farlo ormai da anni.

Fatemi sapere come siete messi voi e se, al contrario mio, questi li avete letti e quali sono - se ce ne sono - i vostri classici preferiti  ^_-

L'input mi è partito leggendo "Ritorno a Riverton Manor" di Kate Morton, dove è menzionato l'Ulisse di James Joyce.

È uno di quei romanzi che ai tempi delle superiori mi incuriosivano molto, in quanto romanzo psicologico e per l'uso della tecnica del flusso di coscienza.

Probabilmente l'ho già detto in precedenza, ma i classici sono stati il mio primo vero approccio alla lettura, la mia personalissima causa prima che mi ha portato ad amare i libri; però, devo ammettere che negli ultimi anni li ho accantonati, pur possedendone alcuni (tipo FAUST di Johann Wolfgang von Goethe, CAMERA CON VISTA di Edward Morgan Forster, SHIRLEY di Charlotte Brontë, LA COSCIENZA DI ZENO di Svevo...); stanno lì a guardarmi con i lucciconi ma io passo avanti fingendo indifferenza.

Comunque, ecco alcuni classici che da tempo incalcolabile dico di voler leggere per colmare qualche lacuna d'ignoranza; finora ho rimandato ma chissà che il loro tempo non sia giunto. o per lo meno sia un po' più vicino.

Sempre negli anni delle superiori, mi ero fissata con Proust, e sempre in virtù del mio interesse per il romanzo psicologico; lessi anche alcune opere dello scrittore francese, ma mi fermai ben presto; fatto sta che il rammarico di non essermi mai immersa in toto nella monumentale Alla ricerca del tempo perduto (Ed. Mondadori, trad. G.Raboni, 2088 pp.) ancora mi accompagna.

LINK IBS
Usciti a partire dal 1913, i sette libri che compongono, in un tutto unitario, la "Recherche" - colossale 
romanzo-mondo frutto di quindici anni di gestazione - esplorano una moltitudine di temi: il senso del tempo, la memoria, il sogno, l'abitudine, il desiderio. E poi ancora la gelosia, il rapporto tra arte e realtà, l'interagire di rituali ed emozioni. Memorabili i personaggi che il lettore incontra fra queste pagine, dal Narratore, figura dai fortissimi tratti autobiografici, alle donne da lui amate, Gilberte e Albertine, fino a Odette e Swann, Bloch, Françoise, il barone di Charlus e la duchessa di Guermantes. Attorno al tema della memoria involontaria, le cosiddette "intermittenze del cuore" della celeberrima scena della madeleine, vive tutta la società francese dei decenni a cavallo del Novecento, quelli della vita di Proust, dalla sconfitta di Sedan agli anni delle avanguardie, passando per l'affaire Dreyfus e la Grande Guerra. E anche in questo suo essere specchio dei tempi e del tempo sta il miracolo irripetibile, o quanto meno irripetuto, della "Recherche". (sinossi da IBS)


GUERRA E PACE di Lev Tolstoj (Ed. Mondadori, trad. I. Tribaldi, 1334 pp.)

LINK IBS
Si tratta dell'opera più nota di Tolstòj; in queste pagine spiccano personaggi come la contessina Natàsha Rostòva e il principe Andréj Bolkònskij, si narrano le vicende di due famiglie dell'aristocrazia russa, i Bolkònskij e i Rostòv appunto, sullo sfondo della Russia patriarcale e contadina devastata dalle guerre e dall'invasione di Napoleone, ma ancor più sconvolta dall'influsso, borghese e civilissimo, dell'Europa occidentale. Della Grande Russia di inizio Ottocento "Guerra e pace" è infatti insieme il magnifico epos e la struggente elegia. Un capolavoro che esce dagli angusti confini del romanzo, per ampliarsi e trasformarsi al di là di ogni definizione di genere, e diventare di volta in volta romanzo storico, cronaca familiare, trattato storiografico, pamphlet, testo filosofico.


ULISSE di James Joyce (Ed. Newton Compton, trad. C.Bigazzi, 864 pp.).

Il romanzo è la cronaca di un giorno reale, un inno alla cultura e alla saggezza popolare, e il canto di
.

un'umanità rinnovata. 
L'intera vicenda si svolge in meno di ventiquattro ore, tra i primi bagliori del mattino del giorno 16 giugno 1904 - data in cui Joyce incontra Nora Barnacle, la futura compagna di una vita, che nel tardo pomeriggio dello stesso giorno lo farà "diventare uomo" - fino alle prime ore della notte della giornata seguente. Il protagonista principale, l'ebreo irlandese Leopold Bloom, non è un eroe o un antieroe, ma semplicemente un uomo tollerante, di larghe vedute e grande umanità, sempre attento verso il più debole e il diverso, e capace di cortesia anche nei confronti di chi queste doti non userà con lui. Gli altri protagonisti sono il giovane intellettuale, brillante ma frustrato dalla vita e dalle forze politiche e religiose che lo costringono, Stephen Dedalus - già personaggio principale del libro precedente di Joyce, "Dedalus. 
Un ritratto dell'artista da giovane" - e Molly Bloom, la moglie dell'ebreo, vera e propria regina del romanzo. "Ulisse" è un romanzo della mente: i suoi monologhi interiori e il flusso di coscienza sono una vera e propria versione moderna dei soliloqui amletici. Si insinuano gradualmente nelle trame dell'opera, fino a dissolvere ogni limite tra narrazione realistico-naturalista e impressione grafica del pensiero vagante. (sinossi da IBS)


I MISERABILI di Victor Hugo ((Ed. Newton Compton, trad. R. Reim, 942 pp.).


LINK IBS
In questo romanzo Victor Hugo riversa gran parte della sua esperienza umana e sociale, per costruire una storia di fatica, esilio, amore e povertà. 
Un'epopea della miseria e un imponente affresco d'epoca che, nella Parigi dell'800, vede protagonisti alcuni indimenticabili personaggi, come Jean Valjean, la solare Cosette, Fantine, il cupo ispettore Javert: anti-eroi ricchi di luci e ombre, capaci di gesti scellerati ma anche di azioni generose e commoventi.








ADDIO ALLE ARMI di Ernest Hemingway (Ed. Mondadori. trad. F. Pivano, 325 pp.)

Guerra, amore e morte, temi fondamentali della narrativa di Hemingway, si intrecciano in questoromanzo tra i più celebri e amati della letteratura di ogni tempo. 
Ispirato all'esperienza dello scrittore sul fronte italiano nella Prima guerra mondiale, Addio alle armi narra la diserzione di un giovane ufficiale americano durante la ritirata di Caporetto e la sua indimenticabile storia d'amore con una crocerossina. 
La viva percezione sia dell'incanto sia dell'estrema precarietà dell'esistenza, insieme al sentimento di rivolta contro il sangue versato ingiustamente, dà voce a una vibrata condanna della disumanità della guerra.



IL DOTTOR ZIVAGO di Boris Pasternak (Ed. Feltrinelli, trad. S. Prina, 632 pp.).

LINK IBS
Quando, nel 1957, l'intuizione e il coraggio della casa editrice Feltrinelli portarono alla pubblicazione de Il dottor Živago, Borìs Pasternàk era consapevole delle conseguenze che ciò avrebbe avuto sulla sua vita e su quella dei suoi cari: da un lato la realizzazione di un progetto artistico che l'avrebbe condotto al Nobel e alla fama mondiale, dall'altra l'espulsione dall'Unione degli Scrittori, una violenta campagna denigratoria e la morte civile nel suo paese.
Narra la vita avventurosa di un medico e poeta, Jurij Andreevič Živago, diviso dall'amore per due donne – sposato con la cugina Tonia e travolto dalla passione per la crocerossina Lara Antipov, sullo sfondo della guerra civile combattuta tra bianchi e rossi a seguito della rivoluzione d'ottobre. 
Si susseguono incontri, aspre separazioni e rincongiungimenti.

giovedì 3 febbraio 2022

Recensione: "Amore e amicizia" di Jane Austen



Amore e amicizia (Love and Freindship) è una breve novella in forma epistolare di Jane Austen scritta nel 1790 e facente parte degli scritti giovanili, i cosiddetti Juvenilia, risalenti al periodo 1787 - 1793, quando cioè l'autrice era davvero molto giovane (dodici-diciotto anni).
 
166 pp
Si tratta di un racconto composto da una serie di lettere che una giovane, Laura, invia alla figlia della sua migliore amica, Marianne, raccontandole le proprie (dis)avventure dopo essersi sposata con un giovanotto, Edward, il quale l'ha portata via da casa dei suoi genitori e da quel momento si sono susseguite vicende bizzarre, disgrazie, incontri con vari personaggi altrettanto strani e molti svenimenti.

Laura ha un modo tutto suo di parlare di sé e delle persone che le stanno simpatiche o di quelle che disprezza; se delle prime sottolinea la grazia e la sensibilità, delle seconde la grettezza e la pochezza nei sentimenti.
Lei e Edward si sposano senza la benedizione del padre di lui, che lo avrebbe voluto unito ad una donna di ben altro "partito", e non con una ragazzetta senza dote.
Ma Laura e il marito paiono vivere alla giornata e disprezzano il vil danaro; diventano amici di un'altra coppia, Augustus e Sophia, ma pure questi due amici non hanno molto sale in zucca: nessuno che pensi a come portare la pagnotta a casa, l'unica cosa che conta è spendere e spandere i pochi quattrini che hanno, e quando finiscono... si cerca il modo di recuperare qualche sterlina, in un modo o nell'altro.
Quando poi accade una doppia tragedia nella vita delle due amiche, già avvezze per indole a svenire, lamentarsi e sospirare l'una nelle braccia dell'altra per ogni minimo problema, le due passano un po' di tempo languidamente svenute per poi reagire e cercare di tirare avanti trovando qualcuno a cui spillare soldini.

Il racconto è spassoso, simpatico, romantico sì ma in senso ironico, in quanto la 14enne Jane ci descrive le sue donne attraverso le emozioni amorose da loro vissute, che loro stesse raccontano con toni forti e ferventi, dimenticando ogni traccia di buon senso ma generando situazioni così scioccamente assurde da far sorridere il lettore: donne che perdono i sensi come se niente fosse, che si abbracciano e si raccontano segreti dopo due secondi di conoscenza, che giudicano gli altri con criteri superficiali e poco intelligenti, che si comportano in modo frivolo e senza alcuna lungimiranza.

È un romanticismo portato all'estremo, volutamente stucchevole e zuccheroso, che fa il verso a questi protagonisti dalla personalità mediocre, prendendoli un po' in giro; mediocrità che emerge soprattutto quando passano per difficoltà e disgrazie, che li vedono sempre staccati dalla realtà, sciocchi e vanesi, e mai maturi e saggi.

Tra queste pagine ritroviamo la vivace fantasia di una scrittrice-ragazzina che si diletta a giocare con i propri personaggi con un'ironia e un gusto per la parodia che matureranno e confluiranno nei cosiddetti "romanzi canonici".

Breve ma delizioso; una Jane in erba -  non ancora la nostra "zia", quella di Liz Bennet - ma che già manifestava la propria intelligenza e finezza nel catturare con amabile humor certi tratti, modi di fare, contraddizioni ecc... della società del suo tempo.

martedì 6 luglio 2021

Classici a fumetti: JANE EYRE || ORGOGLIO E PREGIUDIZIO

 

Buon pomeriggio, cari lettori!

Oggi vi presento due graphic novel brevi ma molto piacevoli, che possono interessare sia a chi - come me - ama il classici, sia a chi magari desidera approcciarsi ad essi tramite una "via" più leggera, consumando, diciamo così, un antipastino letterario senza impegni ^_-

Entrambi i fumetti sono stati rielaborati dall'illustratrice romana Sicks, diplomata alla Scuola Internazionale di Comics e il primo, "Orgoglio e pregiudizio" di Jane Austen, rappresenta la prima uscita della nuova collana di bignami letterari illustrati, i Bignè. 

Nonostante sia stato pubblicato per la prima volta nel 1813, "Orgoglio e pregiudizio" resta un romanzo amatissimo, che ha passato a pieni voti "l'usura del tempo" e non uscendo mai fuori moda; questa versione manga-style color seppia, che dà un tocco davvero moderno al celebre classico, è davvero deliziosa, ironica e godibilissima.

La mamma della protagonista, Elizabeth Bennet, è sempre la donnina superficiale ed irritante, ossessionata dal pensiero che le sue figlie facciano un bel matrimonio, e quando in scena entra il galante Mr Bingley, che pare sinceramente interessato alla maggiore, Jane, il fidanzamento sembra già pronto, ma... come spesso accade, gli ostacoli non mancheranno e, tra molti pregiudizi e parecchio orgoglio, si creeranno non pochi fraintendimenti che rischieranno di far saltare due storie d'amore vere e sincere.

A sentire il cuore battere d'amore, infatti, non è solo la bella e raffinata Jane per il buon Mr Bingley, ma anche sua sorella minore, l'intelligente ed orgogliosa Liz, che si sente attratta dallo scontroso Mr Darcy, un giovanotto ricco, sempre sulle sue, con quell'aria da snob stampata in viso e il suo fare sprezzante verso la famiglia Bennet, reputata poco degna delle attenzioni di gente altolocata come lui.

Una commedia sentimentale illustrata che, lungi dall'essere stucchevole, ruota attorno ad una galleria di personaggi divertenti e indimenticabili, con le loro espressioni buffe e qualche incursione contemporanea (la playstation, ad es.) a rendere ancora più spensierata e simpatica una storia d'amore classica e, per questo, senza tempo. L'illustratrice si è sintonizzata alla perfezione sulla stessa lunghezza d'onda della "zia Jane", che - all'avanguardia rispetto ai suoi tempi - aveva ampiamente manifestato di possedere una spiccata vena ironica, acuta e intelligente, calando le proprie storie e i propri amati personaggi nel contesto d'appartenenza, fatto di regole, etichette e convenzioni sociali, davanti alla cui osservanza scrupolosa probabilmente la scrittrice avrà riso sotto i baffi.

Molto molto carino! Consigliato.


*****


L'altro fumetto  è la rivisitazione di"Jane Eyre" , il classico del 1847 della scrittrice inglese Charlotte Brontë, anch'esso appartenente alla collana di bignami letterari illustrati, i Bignè.

20 pp
La piccola Jane Eyre, rimasta orfana, viene affidata a una coppia di zii; morto lo zio, la moglie ha modo di sfogare sulla nipotina tutta propria incomprensibile cattiveria, trattandola male e, infine, spedendola  in uno dei collegi più duri d'Inghilterra, dove la bambina affronterà una vita dura, mitigata dal solo affetto dell'amica Helen.

Maggiorenne, uscita dal collegio, Jane trova lavoro come istitutrice presso i Rochester, dove si innamorerà del burbero padrone di casa, Edward. 
Tra una schermaglia verbale l'altra, tra i due fiorisce il sentimento e lui arriva a chiederle di sposarla.
Ma l'uomo sta nascondendo un segreto alla futura moglie, che lo scoprirà nel modo più umiliante e questo metterà a rischio il loro amore.

Credo di non sbagliare troppo dicendo che la storia d'amore tra Jane e Rochester, sullo sfondo dell'aspra e malinconica brughiera inglese, abbia appassionato milioni di lettori e che in tanti abbiamo amato questo personaggio femminile sfortunato, sì, praticamente solo al mondo eppure avente una rara forza d'animo e un'ammirevole determinazione: un classico senza tempo che Sicks rilegge in chiave delicatamente divertente, con una pennellata di ironia e leggerezza che male non sta alla seriosa signorina Eyre (anzi!) e permette a chi non conosce l'eroina della Bronte di avvicinarvisi e, chissà, magari di esserne incuriosito tanto da aver voglia di leggere il romanzo ^_-

Per quanto mi riguarda, io l'ho letto almeno due volte, eppure... non l'ho mai recensito, perché antecedente all'apertura del blog. Non vi nascondo che a volte mi viene la tentazione di rileggerlo solo per poter scrivere la mia sul blog e condividerla con voi..., poi però guardo tutti i libri da leggere che mi fanno l'occhiolino e rinuncio ad ogni velleità di rilettura! 
Però mai dire mai, eh! ^_-

giovedì 18 febbraio 2021

Recensione: THÈRÉSE RAQUIN di Èmile Zola



In questo romanzo, pubblicato nel 1867, Zola direziona una lente di ingrandimento sui temperamenti di due esseri umani disgraziati, che si sono lasciati travolgere senza via di scampo dalle passioni, fino ad essere da essa avvinti e sfiniti: la giovane Thérèse, dopo aver sposato l'inetto cugino Camille, s'innamora del rude Laurent e insieme decidono di sbarazzarsi del marito di lei. Ma, da questo momento, la vita dei due amanti si trasforma in un tragico incubo, tra rimorsi, visioni e odi reciproci.


THÈRÉSE RAQUIN
di Èmile Zola


Ed. Einaudi
250 pp
 Siamo a Parigi, nella seconda metà dell'800.
In una stradina stretta, sporca, umida, di passaggio e non di passeggio, c'è la merceria di madame Raquin, un'anziana signora che vive con l'unico figlio, Camille, e la giovane moglie, Thèrése.

È una famigliola tranquilla, quella di madame Raquin: la donna ha cresciuto Camille e Thèrése da sola, dedicandosi alle due creature interamente, risparmiando danaro per permettere loro una certa serenità futura.

I due ragazzi sono cugini; Thérèse, infatti, è la figlia del fratello di madame, a cui è stata affidata da piccolina; la donna ha quindi allevato la nipote in casa come fosse figlia propria, dandole il suo amore, ogni attenzione... ma anche gli stessi travagli e le stesse angosce vissute da Camille.
Il ragazzo è ed è sempre stato malaticcio, estremamente cagionevole di salute; sin dall'infanzia, la mamma ha rischiato decine di volte di perderlo, ma grazie alle cure e alle premure materne, il figliolo è sopravvissuto e s'è fatto un giovanotto.
A far compagnia all'insofferente, pallido, sempre stanco e lagnoso Camille, eternamente a letto, in una sfiancante alternanza di malattia e convalescenza, c'è stata lei, a ogni ora del giorno e della notte: Thérèse.

L'infanzia della bambina è passata così: in casa, all'ombra del cugino malato, a bere con lui tisane disgustose, condividendone (controvoglia) medicine, stanze chiuse, aria viziata e un'esistenza apatica, monotona, sfornita di stimoli, di libertà, di giochi all'aria aperta.
Thérèse cresce in un ambiente, quindi, sì pieno di gentilezze e affetto da parte della zia, ma soffocata da un'atmosfera di malattia, tristezza, che la formano e la segnano, fino a renderla una ragazza indolente, priva di vivacità e voglia di vivere, silenziosa, accondiscendente.

Sposa Camille perché non potrebbe fare altrimenti: sua zia l'ha cresciuta, non le ha fatto mancar nulla, come potrebbe mai deluderla rifiutando di sposare il figlio, per il quale sente comunque un affetto fraterno?

È chiaro che un matrimonio così non è proprio basato sull'amore, sul trasporto... e l'infelicità è il pane quotidiano di questa ragazza che si sente ingabbiata in un'esistenza fin troppo tranquilla e incolore, in cui mancano del tutto passioni, slanci, desideri.

Ma una sera qualcosa cambia: Camille porta a cena un vecchio amico di scuola, Laurent.
Laurent è un ragazzone dalle spalle larghe, la voce grossa, lo sguardo aperto e vivace, i modi di fare chiassosi e un po' rozzi da contadino.
È tutto il contrario di Camille, il suo insopportabile ed insignificante marito.

Ci vuol poco perché tra i due scoppi la scintilla della passione più sfrenata: ognuno vede nell'altro la possibilità di dare una scossa alla propria vuota e piatta esistenza, ed in particolare Thérèse si butta a capofitto in questa relazione adulterina, come se non avesse atteso altro da una vita.
Il brivido degli incontri segreti, gli ammiccamenti maliziosi tra i due amanti in presenza di madame Raquin e Camille - ignari del tradimento consumato alle loro spalle -, le ore di fuoco e di passione trascorse nella camera da letto della giovane, mentre Camille è al lavoro e la suocera è dabbasso in merceria: tutto concorre a far sentire Thérèse viva più che mai, finalmente!

Non basta a questa coppia di amanti sciagurati e completamente travolti dalla carnalità e dall'inganno, il consumare la tresca, sogghignando all'idea di prendere in giro la vecchia e il figlio..., no, ben presto la loro insana voglia di viversi interamente e liberamente si fa strada nella mente di ciascuno, come un sussurro timido, un'idea agghiacciante eppure seducente, che ben presto prende una direzione completamente sbagliata, terribile, infame: far fuori l'ostacolo al loro amore, vale a dire Camille!

E se Thèrése non sembra avere il coraggio per chiedere esplicitamente all'amante di commettere una tale aberrazione, questi trova in sè l'impulso e l'occasione giusta per realizzare il malvagio piano.

Ma i due scellerati non hanno messo in conto gli effetti delle proprie azioni: liberarsi del marito di lei in questo modo è davvero la strada per la felicità?

Che lo vogliano o meno, l'inevitabile tormento, conseguenza dell'assassinio, sarà davvero difficile da scacciare; non solo: la consapevolezza di aver commesso un'azione turpe rischia di condannarli a giorni di estrema infelicità, di malesseri fisici, emotivi e psicologici, avvolgendoli in una spirale di degrado e di distruzione fisica e morale senza possibilità di redenzione.

È stato il mio primo approccio ad Emile Zola e vi confesso che temevo che questa lettura potesse essere pesante ed invece l'ho trovata bella nel suo essere inquietante e cupa; la scrittura è pulita, asciutta, dettagliata, come sa esserlo uno scrittore naturalista quale Zola, che è molto preciso nel descrivere tutto nei particolari, che siano gli ambienti o, soprattutto, l'umanità di cui ci narra le peripezie drammatiche.

C'è una triste continuità e corrispondenza tra la vita di Thérèse con Camille e Madame Raquin, tetra ed opprimente, e gli appartamenti e il quartiere in cui essi vivono, e dove raramente si sentono risate, allegria, complicità - che solitamente caratterizzano le coppie di sposini, ad es.; solo il giovedì sera i muri della modesta e piccola casa dei Raquin risuonano di battute e chiacchiere, in quanto fa il suo ingresso un gruppo di amici loquaci, maliziosi ed egoisti, che amano intrattenersi con i tre per giocare a domino.

Il personaggio di Thèrése è complesso e personalmente mi ha suscitato diverse sensazioni: inizialmente ho provato simpatia e pietà per lei, condannata da bambina ad un'esistenza vuota di emozioni, di amore vero: nessuno si interessa davvero a lei o le chiede come sta, cosa pensa, cosa vuole; la ragazza è cresciuta compiacendo gli altri e seppellendo i propri desideri, la propria gioia di vivere.

Una persona così è facile che, alla prima tentazione, davanti al primo uomo che la fa sentire desiderata, possa cedere, aggrappandosi a quella passione nascosta come a un'àncora di salvezza, come un'imperdibile occasione per sentirsi viva. quella che però potrebbe sembrare una forza caratteriale (che la spinge al tradimento e la rende disponibile a una nuova vita con l'amante) in realtà nasconde un'insanabile debolezza e grettezza d'animo, che la spinge ad assumere condotte sbagliate, egoiste, ipocrite.

Zola è molto efficace nell'analizzare e nel descrivere le evoluzioni psicologiche ed emotive che si fanno strada nell'animo di Thèrése e Laurent, e lo fa con estrema precisione e lucidità, con calma chirurgica, così che le passioni, i tormenti, gli incubi prendono forma e corpo in deliri, allucinazioni, sogni ad occhi aperti, deperimento fisico, oltre che mentale.

I sensi di colpa, i rimorsi o semplicemente le conseguenze delle loro cattive azioni, non lasciano tregua ai due amanti, che si sono abbandonati senza freno al desiderio, lo stesso che, dopo averli infiammati, rischia di consumarli, divenendo per loro una condanna all'infelicità.

L'ho davvero apprezzato, mi ha fatto venir voglia di leggere altro di quest'autore francese.


sabato 18 maggio 2019

DAVID COPPERFIELD di Charles Dickens - brevi considerazioni e citazioni



Uno dei miei classici preferiti, che non posso non consigliare a chi ama questo genere letterario, è sicuramente DAVID COPPERFIELD (titolo originale: The Personal History, Adventure, Experiences, and Observation of David Copperfield) di Charles Dickens (1812-1870), pubblicato nel 1850.

Avendolo letto diversi anni fa, non mi sento in grado di farne una recensione approfondita e
Ed. Mondadori
1152 pp
dettagliata, anche perchè è un bel librone (attorno alle 1000 pp, se non erro) ed ha una trama molto articolata e ricca di avvenimenti, quindi mi limiterò ad accennarne la trama e a condividere alcune considerazioni e citazioni che trascrissi quando l'ebbi in lettura.

Il protagonista è ovviamente David Copperfield, che conosciamo sin da piccolino: nasce un venerdì di marzo, a mezzanotte, nell’ora dei fantasmi, da una madre troppo giovane e innocente e con vicino due donne, la domestica Peggotty e la burbera zia Betsey Trotwood, la futura salvatrice dell’orfano. 

David, benchè orfano di padre, vive un'infanzia felice con la madre, fino a quando ella si risposa con il signor Murdstone, un uomo crudele che la porta alla tomba. 
Solo e senza l'adorata madre, è costretto dal patrigno a lavorare presso un negozio di Londra e David sperimenta la dura scuola del maestro Creakle.
Disperato fugge a piedi a Dover, dove la zia Betsey, accetta di occuparsi di lui, così lo manda a Canterbury, per educarlo, in casa del suo avvocato, e lì conosce Agnes, una dolce fanciulla, con cui allaccia un affettuoso legame (in realtà la fanciulla s'innamora di Copperfield, ma lui pare non accorgersene). 

Divenuto cronista parlamentare e conquistata anche fama letteraria, David sposa Dora, ma il destino non ha smesso di mescolare le sue carte e di riservare sorprese, anche amare, al giovanotto... 

Sin da quando è soltanto un bimbo, si capisce come il protagonista sia buono e nutra una sua cieca e pura fiducia nella benevolenza della Provvidenza, fede che viene messa di continuo alla prova dalla malvagità di svariate persone che incrocia lungo il proprio cammino, dall'amico Steerforth al detestato Uria Heep, individui che fin da giovani decidono di vivere in modo ingiusto, o ancora dal cameriere Littimer allo spendaccione Micawber. 

Interessanti i personaggi femminili di David Copperfield: nel suo egoismo infantile, David non si accorge che la madre è una donna come tutte le altre e che può avere delle esigenze coniugali e sentimentali come è normale che una donna abbia; anni dopo, trasferisce la figura materna nella moglie-bambina Dora, resa poco più che un "giocattolo", innocente e privo di sensualità.
Stesso discorso vale per Agnes, considerata alla stregua di una sorella.

L’eros esplode nelle figure di Emily e nella prostituta Martha, che David salva mentre sta per buttarsi nel Tamigi, in Rosa Dartle, sedotta in gioventù da Steerforth.

David Copperfield è intriso di valori cristiani - l’equilibrio morale, la compassione... - ma allo stesso tempo ne percepiamo il brivido del cambiamento, l’ansia e la paura del futuro che l’orfano David ha imparato a temere fin da piccolo; accanto ad essi, continuano a visitarlo i fantasmi e le ombre di coloro che sono morti. 

Ne ho un ottimo ricordo, se non fosse così grosso, lo riprenderei per rileggerlo ^_^

«Oh, la mia moglie-bambina, tra le tante figure che si muovono nella mia memoria ce n’è una ferma che mi dice, con il suo innocente amore e con la sua bellezza infantile, fermati a pensare a me… girati per guardare il piccolo fiore, mentre cado volteggiando per terra. Lo faccio. Tutto il resto si offusca e sbiadisce. […] Ma sono cosciente adesso che la mia mogliettina mi lascerà? Mi hanno detto che è così; dentro di me lo sapevo già; ma non sono ancora sicuro di aver preso sul serio quella verità. Non riesco a dominarla. Mi sono ritirato per conto mio, molte volte oggi, a piangere. Ho ricordato colui che pianse per un addio fra i vivi e i morti […] Tengo la sua mano nella mia, il suo cuore è nel mio, vedo il suo amore per me, vivo in tutta la sua forza. Non posso scacciare l’ombra pallida e tenue della convinzione che verrà risparmiata. […] Poso il viso accanto al suo sul cuscino, e lei mi guarda negli occhi, e parla molto piano. Gradualmente, mentre procede, sento, e mi tocca il cuore, che parla di sé al passato.

« - Ho paura, mio caro, di essere stata troppo giovane. Non solo per gli anni, ma per l’esperienza e per i pensieri, e tutto il resto. Ero solo una sciocca creatura! […] Ho iniziato a pensare che forse non ero adatta a fare la moglie. 
Cerco di fermare le mie lacrime, e di replicare: - Oh, Dora, amore, non più di quanto ero adatto io a fare il marito! […] 
Non lo so come passa il tempo; poi vengo richiamato dal vecchio compagno della mia moglie-bambina. Più inquieto di prima, striscia fuori dalla pagoda, mi guarda, va verso la porta, e piange, perché vuole andare di sopra. […] Si stende ai miei piedi, si stira come per dormire, e con un lamentoso ululato, è morto.

« - Oh, Agnes! Guarda, guarda qui! – […] Quel viso, così pieno di dolore e di pietà, lo scorrere delle lacrime, quel terribile appello muto a me, quella mano solenne alzata verso il cielo! – Agnes? – È finita. Il buio mi viene davanti agli occhi; e per del tempo, tutte le cose sono cancellate dai miei ricordi».

 «E adesso finisce la mia storia scritta. Mi guardo indietro, ancora una volta – l’ultima – prima di chiudere questi fogli. Mi vedo con Agnes […], vedo i nostri figli e i nostri amici intorno a noi; e sento il frastuono di molte voci, che non mi sono indifferenti, mentre proseguo il viaggio. Tra la folla che passa quali sono i volti che riesco a distinguere meglio? Guardali; si rivolgono tutti verso di me mentre pongo questa domanda ai miei pensieri! […] E adesso, mentre finisco il mio compito, vincendo il desiderio di indugiare ancora, questi volti svaniscono. Ma un solo volto, che brilla su di me come una luce celestiale che mi permette di vedere tutto il resto, è sopra quelli e oltre tutti quelli. E resta. Giro la testa e la vedo, nella sua meravigliosa serenità, accanto a me. […] Oh Agnes, anima mia, che il tuo viso possa essermi accanto quando finirà la mia vita; possa io, quando la realtà scivolerà via come le ombre che ora saluto, trovarti ancora accanto a me, a indicare l’alto!»


lunedì 11 febbraio 2019

Recensione: LA PIETRA DI LUNA di Wilkie Collins (RC2019)



Un diamante meraviglioso su cui aleggia l'eco di una maledizione per chi ne diventa indegno possessore. Un poliziesco tinto di noir scritto con una penna magistrale, una narrazione fluente pur essendo minuziosa; il ritratto di un'Inghilterra in Età Vittoriana che si muove tra l'ironico e il melanconico.


LA PIETRA DI LUNA
di Wilkie Collins



Ed. Mondadori
trad. E. Capriolo
525 pp
Il titolo non dà spazio ad equivoci: al centro di questo lungo e piacevolissimo romanzo c'è una gemma gialla, preziosa, originaria dell’India: la pietra di luna, appunto.

Nell'antefatto l'Autore ci racconta in che modo questo diamante sia passato, dopo una serie di avventurose vicissitudini avvenute nel corso dei secoli, dalla fronte della statua di una divinità indiana alle mani di un certo John Herncastle, uomo dai discutibili costumi e poco amato anche dai propri familiari; cinquant'anni dopo (nel 1848), questo ex-colonnello fa dono del gioiello (ancora in suo possesso) a una nipote, Rachel Verinder, figlia di sua sorella (con cui non ha alcun rapporto da molti anni).
Di questo mirabile ornamento si dice che sia stato trafugato da ladri sacrileghi (per questo porta con sè maledizioni) e che ne seguano le sorti sotto mentite spoglie tre sacerdoti, pronti a uccidere per riportarlo in India.
Si tratta di mere leggende, di sciocche superstizioni... o di qualcosa da non prendere alla leggera?

Fatto sta che la signorina sta per compiere 18 anni e il giorno del compleanno riceve in eredità dall'ormai defunto zio il diamante; a recapitarglielo è un giovanotto, suo parente (e spasimante), Franklin Blake, un tipo sveglio, colto, simpatico, dal carattere esuberante.

Alla cena di compleanno sono presenti diverse persone, tutte affascinate dal monile, il cui valore è inestimabile e che facilmente irretisce chiunque vi posi lo sguardo:

"Che diamante, buon Dio! Grande, o quasi, come un uovo di piviere! La luce che ne sgorgava era come quella della luna di settembre. Quando abbassavi gli occhi sulla pietra, ti trovavi davanti un giallo abisso che li attirava a sè sino a impedirgli di vedere qualsiasi altra cosa. Sembrava insondabile; quel gioiello, che potevi tenere tra il pollice e l'indice, sembrava insondabile come i cieli".

C'è che un che di magico, una potenza ammaliatrice che scaturisce dalla pietra di luna e che pare avere il potere di soggiogare chi la possiede, che sviluppa nei suoi confronti un sentimento "possessivo" (un po' come accade a  quanti si ritrovano tra le mani l'anello al centro della trilogia tolkeniana) e per certi versi irrazionale.

Quale enorme e tragica sorpresa quando, al mattino successivo, la festeggiata dà l'allarme dicendo che il suo meraviglioso regalo, da lei riposto in un cassetto in camera propria prima di coricarsi, è... scomparso!!

Cosa è successo durante la notte? Un ladro si è introdotto furtivamente in casa e, col favore delle tenebre, ha rubato la pietra di luna?
E soprattutto... chi è stato?

Per fare chiarezza sul mistero, un famoso investigatore, il sergente Cuff, viene incaricato di fare indagini e ritrovare il gioiello. 
L’indagine, per quanto accurata, non porta ad alcun risultato e causa, anzi, sgomento e confusione sia tra i membri della famiglia Verinder che nella servitù. 

Il sergente, infatti, deve inevitabilmente sottoporre a interrogatori e perquisizioni tutti i presenti; l'unica persona che si rifiuterà caparbiamente di rispondere alle insistenti domande di Cuff e di lasciarsi perquisire bauli e cassetti è proprio la derubata, Rachel, che mostrerà sin da subito un quanto mai enigmatico (e sospetto?) atteggiamento di aperta ostilità verso chiunque si ostini a volerle parlare del monile scomparso e di cosa potrebbe essere successo quella notte.
Perchè la ragazza rifiuta di dare il proprio contributo alle ricerche? E come mai a un certo punto rivelerà la propria avversione nei confronti di Franklin, che fino a poche ore prima del fattaccio era il primo nella lista dei suoi possibili fidanzati?

Tutti i personaggi sono apparentemente innocenti ma allo stesso tempo possibili colpevoli, e in particolare ci si sofferma su alcuni di essi; oltre allo strano comportamento isterico e chiuso di Rachel, a destare qualche sospetto è una cameriera, Rosanna Spearman, tanto bruttina quanto povera e disgraziata, eppure il suo passato, unito a certi suoi modi di fare sibillini e incomprensibili, fanno sì che Cuff diriga la propria attenzione sulla ragazza. Rosanna, infatti, ha un passato difficile: quando la buona signora Verinder l'ha conosciuta, la giovane era in riformatorio per aver commesso dei furti; per misericordia cristiana, la signora l'ha tirata fuori di lì dandole un lavoro, un tetto, del cibo, insomma se n'è fatta carico e non ha dubbi che la sua cameriera sia estranea ai fatti.

Ma è davvero così?
Eppure, se sul destino del diamante si è incerti e ci si può lasciar andare soltanto a speculazioni, ad essere incontrovertibile è questo dato di fatto: la pietra di luna era in casa, in camera di Rachel... e da lì qualcuno l'ha presa e, presumibilmente, l'ha portata via.

Quindi - come in un classico giallo alla Christie (successiva al nostro Wilkie) -  il colpevole è necessariamente qualcuno che quella notte era dentro la casa.
Scoprire di chi si tratti, cosa davvero sia accaduto e come si siano sviluppate le sorti della pietra di Luna, è il cuore dell'intreccio, che si dipana in un groviglio di eventi drammatici raccontati, di volta in volta, dai diversi protagonisti.

Il romanzo di Collins, infatti, è corale, e a narrarci il succedersi degli eventi sono diverse persone, tutte chiamate a trascrivere il proprio punto di vista su invito di Franklin Blake con lo scopo di mettere i fatti, concernenti la sparizione della pietra, nero su bianco e in modo ordinato; la decisione di usare questa tecnica si rivelerà necessaria per il povero Blake, che nel corso dei mesi non si darà pace circa il destino della gemma, soprattutto quando si sentirà coinvolto, suo malgrado, in prima persona e alcuni eventi rischieranno di far naufragare la propria storia d'amore con la bella Rachel.

Il primo punto di vista - e anche il più "corposo" - è quello del maestro di casa, il capo dei domestici, lo stimato e buon Gabriel Betteredge. Il suo racconto di cosa accadde in quella fatidica notte e nei tempi successivi è dettagliato (caratteristica che appartiene a tutta la narrazione in generale) e attendibile, perchè l'uomo è sicuramente una persona onesta, molto attaccata e devota alla famiglia Verinder, affezionata a Franklin, che ha visto crescere. La sua prospettiva è narrata in modo spigliato, ironico, e anche se ci dà l'impressione del classico "pettegolo", sempre informatissimo su tutto quello che accade in casa (tanto ai padroni quanto ai domestici), risulta inevitabilmente simpatico, anche quando divaga e racconta di fatti e persone che poco hanno a che fare con lo scopo della sua trascrizione; ci fanno sorridere le sue riflessioni sulle persone a lui vicine, in particolare sul genere femminile (che non gode di molta stima da parte del domestico), e la sua fissa per Robinson Crusoe, classico da lui letto, riletto e studiato, che nei momenti difficili e cruciali si è rivelato sempre profetico ed illuminante per il suo fan n.1.

Altra narratrice interpellata è la signorina Drusilla Clack, una cugina di Rachel presente alla cena di compleanno; ammetto che, personalmente, il suo racconto l'ho trovato spassoso: la donna è nubile (zitella, se volete ^_-), squattrinata, sola al mondo se non fosse per le varie associazioni di carità di cui è fervente membro; dal suo resoconto emerge vivido il ritratto di una donna che ha fatto dell'adesione religiosa il cardine della propria vita; giudica tutti col metro della religione, finendo per mostrarcene però il lato più farisaico ed ipocrita, che cela - dietro parole in apparenza misericordiose e pie - un atteggiamento di condanna e giudizio; divertenti i suoi tentativi di far proseliti e convertire tutti attraverso opuscoli e libretti di edificazione che le vengono debitamente restituiti.

Altre voci narranti sono: il dottor Candy (che avrà una sua parte non irrilevante nella catena degli eventi, ma si scopre molto in là), l'avvocato Bruff (realista e razionale), il sergente Cuff (acuto e intuitivo), lo stesso Franklin e un certo dottor Ezra Jennings, che avrà anch'egli un ruolo determinante per la soluzione e comprensione del caso.

Sì perchè il caso si risolverà; Collins non ci lascia a bocca asciutta, ma anzi ci conduce passo passo verso la fine, intrecciando persone, fatti, ipotesi, fino a rivelarci la verità, che costituisce un colpo di scena.

"Sentiamo spesso dire (ma quasi sempre da osservatori superficiali) che la colpa ha lo stesso aspetto dell'innocenza. Io credo che sia infinitamente più veritiero affermare che l'innocenza può avere lo stesso aspetto della colpa".

Una  cosa è fuor di dubbio: il diamante sarà pure splendido e desiderabile..., ma quanti problemi e divisioni porterà in casa Verinder!! Non sarà davvero maledetto?

"Quando sono arrivato qui da Londra con quell'orribile diamante (...) non credo che esistesse in Inghilterra una casa più felice di questa. E guarda com'è adesso! Dispersa, disunita..., persino l'aria è avvelenata dal mistero e dal sospetto! (...) La pietra lunare ha attuato la vendetta del colonnello e in un modo che nemmeno lui avrebbe mai immaginato!".

Wilkie Collins ha saputo dar vita ad un poliziesco magistralmente costruito, che ha tutti gli elementi per tener vive la suspense e la curiosità del lettore, che resta inchiodato al libro dalla prima all’ultima pagina..., nonostante le pagine non siano poche! Il ritmo narrativo non è incalzante perchè si avanza con gradualità verso i nodi da sciogliere e per aver chiaro tutto ciò che ha dato vita al mistero bisogna avere la pazienza di giungere alla fine, ma lo stile è così piacevole e scorrevole che si procede senza pesantezza alcuna.
Collins ci offre uno spaccato della società del suo tempo, tanto dei "ricchi" - con i loro vezzi, le loro ipocrisie, il loro perbenismo - quanto dei "poveri" - con i loro cicalecci, le antipatie verso chi è "diverso", nei confronti del quale è sempre fin troppo facile puntare il dito.
Le azioni dei personaggi diventano, in un certo senso, più importanti delle vicissitudini che li vedono attori, e anzi sono le loro scelte a determinare le circostanze e le relative evoluzioni.

La pietra di luna (The Moonstone) rappresenta il modello che ha anticipato tutta la futura letteratura poliziesca; non ho potuto non apprezzare la complessità della trama, la raffinata descrizione degli ambienti, l'attenzione posta ai personaggi, la presenza di un interessante punto di vista su uno specifico argomento medico (l'oppio e i suoi effetti) che in quel determinato momento storico era attuale e che rimanda all'esperienza personale dell'Autore stesso.

Sono quei classici che a me piacciono da morire, quei libri da leggere avidamente con una buona tazza di the in mano; mi delizio di fronte alla bravura di certi grandi romanzieri; a buon diritto, il nome di Wilkie Collins può essere accostato a Dickens o Thackeray.

Assolutamente consigliato, tanto più a chi ama i classici, i polizieschi e si vuol godere un libro corposo ma accattivante e scritto magnificamente.

Leggerò altro di Collins, ormai è amore *_*


martedì 22 maggio 2018

Prossime uscite Fazi Editore: DANIEL DERONDA // IL GIORNO DEI LORD



Due prossime uscite Fazi Editore che hano solleticato il mio "palato letterario" ^_^


Pubblicato nel 1876, Daniel Deronda è l’ultimo, brillante romanzo di George Eliot, e forse il più controverso, in cui al lettore viene dato uno dei più lucidi e feroci ritratti della politica e dell’imperialismo di età vittoriana, della discriminazione sessuale e razziale, della tolleranza religiosa e del pregiudizio.


DANIEL DERONDA
di George Eliot


353 pp
20 euro
USCITA
31 MAGGIO 2018
Era bella o no? E quale segreta forma o espressione conferiva al suo sguardo quella qualità dinamica? Nel brillare dei suoi occhi dominava il genio del bene o quello del male? Forse il secondo, altrimenti l’effetto non sarebbe stato di irrequietudine, bensì di tranquillo sortilegio. E perché la brama di tornare a guardarla sapeva di costrizione e non di spontaneo assenso al desiderio da parte di tutto l’essere? La donna che evocava tali domande nella mente di Daniel Deronda era tutta presa dal gioco.


Daniel Deronda è un giovane benestante di bell’aspetto, la cui natura sensibile e altruista lo spinge ad aiutare chiunque intorno a lui si trovi in difficoltà: da una sala da gioco alla riva del Tamigi, fino a un piccolo negozio di antiquariato, Daniel incontra così l’altezzosa Gwendolen, la giovane Mirah e l’erudito Mordecai.
Tra coincidenze ed eventi mondani, le loro vite si intrecciano a quella di Deronda, che cercherà di risollevare le loro sorti e che ne verrà a sua volta inaspettatamente trasformato. 
Affidato fin da piccolo a Sir Hugo Mallinger, Daniel non ha mai saputo chi fossero i suoi genitori, ma un incontro accidentale getterà nuova luce sulle sue origini. 
Le contraddizioni della bella e viziata Gwendolen, i difficili trascorsi della delicata Mirah e i sogni religiosi di Mordecai accompagnano Daniel Deronda verso la consapevolezza di sé e verso un’insperata felicità, sullo sfondo dei costumi dell’aristocrazia inglese. 

Attraverso una variegata galleria di personaggi umani, Eliot affronta in maniera esplicita il tema del sionismo e dell’antisemitismo, con tinte vivide a metà tra l’indagine morale e il tono satirico.
Con una storia avvincente, dalle situazioni dirompenti e dai personaggi indimenticabili, viene qui riproposta una delle più importanti scrittrici britanniche che, al pari di Jane Austen e Virginia Woolf, rientra a pieno titolo tra i classici della letteratura.



L’autore della serie di culto House of Cards torna in grande stile con una nuova serie di thriller politici. «Racconto la sola cosa che conosco bene, la politica per com’è e per come deve essere: spietata e crudele. Lì sta la sua grandezza»


IL GIORNO DEI LORD
di Michael Dobbs


16 euro
USCITA
7 GIUGNO 2018
Una volta all’anno, le persone più importanti d’Inghilterra si riuniscono tutte insieme in una stanza. L
a regina Elisabetta e il principe ereditario Carlo, il primo ministro, giudici, vescovi, leader spirituali e temporali. Non mancano le nuove generazioni: sono presenti il figlio del primo ministro britannico e il figlio della presidente USA. 
L’occasione è quella della cerimonia d’apertura del Parlamento, la cerimonia di Stato più importante dell’anno, un evento «strappato alle fornaci della storia britannica». 

Quattrocento anni prima, nella stessa occasione, Guy Fawkes aveva cercato di far saltare in aria tutti quanti. Ora tocca a un nuovo gruppo di congiurati, stavolta stranieri, prendere d’assalto la Camera dei Lord. 
Per un giorno, ventiquattr’ore di pura tensione in cui le crisi politico-diplomatiche si mischiano a quelle personali, verranno tutti presi in ostaggio: i terroristi terranno sotto scacco una nazione e il mondo intero, il tutto in diretta tv. 
Ma dovranno vedersela con Harry Jones, parlamentare ed ex militare pluridecorato in piena crisi matrimoniale, noto sia per il suo coraggio che per la sua capacità di indisporre i superiori per eccesso di intraprendenza. 
La parabola angosciante di uno scenario spaventosamente verosimile, che si conclude con uno sbalorditivo colpo di scena.

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