martedì 6 dicembre 2022

RECENSIONE ❤ L'ISOLA DELLE ANIME di Johanna Holmström ❤



Abbandonate, tristi, sole, disperate, confuse, smarrite ed impotenti: giunte sull'isola, le donne di diverse età che varcano la soglia dell'ospedale psichiatrico femminile, sono destinate a scoprire che da quelle mura, da quella vita cadenzata sempre dalle solite attività per riempire giornate, settimane, mesi, anni interminabili e sempre uguali, è difficile uscire; ma la speranza ha ali capaci di oltrepassare i muri più alti e apparentemente più impenetrabili.


L'ISOLA DELLE ANIME
di Johanna Holmström


Beat Ed.
trad. V. Gorla
363 pp
11 euro
C'è una piccola isola al limite estremo dell'arcipelago di Nagu, al largo della costa sud-occidentale della Finlandia: è Själö, nota per la presenza di un lebbrosario prima e dell'ospedale dei matti poi.

Lì, tra le mura di quell'istituto, tante donne sono passate, hanno vissuto, sono morte; alcune se ne sono andate, ma la maggior parte quel posto non lo ha più lasciato, una volta varcata la soglia.

Kristina, Elli, Martha, Karin...: nomi fittizi per storie realistiche, possibili; giovani donne che rappresentano delle tipologie di pazienti ricoverate nel manicomio in quanto ammalate di una qualche forma, più o meno grave, di patologia psichiatrica.

In realtà, si poteva essere portate a Själö per molto meno: vagabondaggio, promiscuità sessuale, carattere ribelle e quindi ritenuto socialmente pericoloso; se poi la presunta pazza era pure povera e la famiglia rifiutava (o non si sentiva in grado) di prendersene cura, il ricovero era una destinazione obbligata.

Si guariva a Själö? La permanenza poteva aver termine grazie a delle dimissioni decise dal medico psichiatra?
Purtroppo, i documenti ci dicono che difficilmente qualcuna delle pazienti veniva ritenuta "guarita", tanto da poter essere mandata via, libera di tornare dai propri cari e alla propria vita.

Già, la propria vita: ma quale vita?

Non tutte le pazienti potevano dire di avere un'esistenza bella, piena, soddisfacente... prima di finire in manicomio; non solo, ma tante di esse si abituavano così tanto alla vita istituzionalizzata da non volerla più lasciare, così l'ospedale di Själö - e, con esso, le "compagne pazze", le infermiere, e poi le attività "ricreative", le cure, l'orto, la lavanderia, il Faro, ecc... - diventava "casa", l'unico posto in cui queste donne ormai si sentivano accettate, autorizzate ad essere ciò che erano senza il timore di venire giudicate o disprezzate, perché tanto lì la malattia e la sofferenza regnavano e accomunavano quelle anime derelitte.
E chi erano esse se non donne spezzate - dalla malattia, dalla povertà, dalla disperazione, dalla solitudine, dall'infelicità... -, che all'interno di quelle mura - guardate con biasimo, compassione o indifferenza da "quelli di fuori" - trovavano il loro equilibrio, la loro tranquilla quotidianità, quella sicurezza che altrove, in un mondo che cambiava a vista d'occhio, lasciando indietro chi era diverso, più "lento" o più "strano", non conforme alle norme e al vivere sociale, non avrebbero mai avuto.

E allora meglio restare là e riempire i giorni, le settimane, gli anni con le cure (che oggi definiremmo non solo sorpassate, ma anche non idonee e, alcune, inumane), i colloqui con lo psichiatra, le medicine da ingerire quotidianamente, le crisi psicotiche con conseguente isolamento e cinghie di contenimento, le attività di cucito, colazioni, pranzi e cene, i litigi con le compagne.

Eppure, non tutte si rassegnavano a restare prigioniere in quell'ospedale per matte: la voglia di fuggire e tornare alla vita di fuori, riappropriarsene e tentare di essere felici come donne libere, era forte e per loro non moriva in quella celletta disadorna che accoglieva le povere pazienti.

L'autrice ci fa conoscere diverse giovani donne, ospiti della struttura. Come già spiegato nel post dedicato alle fonti alle quali la Holmström ha attinto per scrivere il romanzo, questi personaggi non sono realmente esistiti, non con questi nomi e con queste specifiche storie, ma di certo essi sono dei "tipi" di pazienti, e ad essere reali sono il contesto, le metodologie e gli strumenti per curare le malattie, il modo di gestire l'istituto, il rapporto che si instaurava tra le ospiti e tra loro e il personale medico e infermieristico.

Kristina vive a Turku nel 1891 con il suo amore, Einari, con cui ha avuto un figlioletto; lei ha già avuto una bambina (in circostanze tutt'altro che liete), è già "marchiata" agli occhi della comunità come una ragazza non facile, una ribelle, una che "va con gli uomini". 
Kristina non ha contatti con i genitori da un po' di tempo, avendo lasciato la famiglia per andarsene con Einari e tentare di costruire un futuro con lui, ma ogni progetto e sogno continuano a scontrarsi con una vita piena di difficoltà, limitazioni, scarse risorse economiche, necessità di accontentarsi di qualsiasi lavoretto pur di tirare avanti.
E quando la povera Kristina si ritrova a dover crescere i figli da sola (perchè Einari accetta un lavoro lontano da casa), la solitudine, l'infelicità, le speranze infrante e la consapevolezza di star fallendo su tutti i fronti (non era meglio restare a casa con i genitori, assicurarsi un tetto, del cibo caldo, delle cose da fare nella fattoria?) diventano un fardello troppo pesante per le spalle di questa ragazza e madre, che non ha nessuno ad aiutarla, a darle conforto, a rassicurarla.
Dal sogno di un'esistenza ricca di prospettive ed opportunità alla triste realtà di giornate noiose, sempre uguali nella loro inutilità, nella loro povertà e nell'accudimento dei bambini, che deve sfamare con le sue sole forze.
Trovare un lavoretto presso una famiglia è già qualcosa, la distrae... ma non può bastare, anzi, ben presto la stanchezza, l'insofferenza davanti ai continui pianti e capricci dei figli (che assumono sempre più le sembianze di un peso di cui vorrebbe sgravarsi), si fanno sentire e finiscono per annebbiarle il cervello.
E così, in una notte di ottobre, una notte terribile e da dimenticare, questa madre commette la peggiore delle azioni.
Dopo, la mente di Kristina si rifiuta di accettare una tale atrocità da essa stessa compiuta e va in uno stato prima di incoscienza e poi di crisi, sottoforma di pianti, strilla, aggressività..., fino a ridursi in uno stato catatonico, in cui la donna rifiuta di parlare, di interagire, di accettare la propria situazione.
Il suo ricovero a  Själö va avanti per otto anni, fino a quando qualcosa dentro di lei si ridesta e Kristina pare ritornare alla vita.
Non sarà facile perché pian piano il ricordo del proprio orribile gesto pesa come un macigno sul cuore, i sensi di colpa occupano sempre più spazio, eppure il contatto con la natura e la voglia di non lasciarsi andare hanno la meglio.
Guarirà e sarà pronta a lasciare Själö, a tornare ad un'esistenza serena, come sognava da ragazza?

Sigrid è un'infermiera, giovane e carina, professionale e amante del proprio lavoro, che svolge con diligenza, passione, serietà e molta empatia; è un angelo a Själö, le colleghe la adorano e le pazienti la cercano; è fidanzata, sogna di sposarsi con il suo Frans, anche se purtroppo il secondo conflitto mondiale interviene a mettere sottosopra i piani di tutti.
La sua amabile e necessaria presenza in quel luogo di dolore e malattia è un punto di riferimento: a dispetto di dove si trova, Sigrid ritiene l'isola un luogo di pace, di calma e non ha alcuna intenzione di lasciare il manicomio per lavorare altrove.

Lei conosce tutte le sue pazienti, non dimentica nomi, motivo del ricovero, caratteristiche, disagi...: quando può, offre loro il giusto conforto, fosse anche soltanto una mano sulla spalla, un gesto o uno sguardo; per lei quelle donne non sono delle semplici ospiti dell'ospedale psichiatrico, ma delle persone che sanno cos'è la sofferenza e meritano rispetto e cure.

Quando nel 1934 giunge la giovanissima Elli Curtén (la cui cartella riporta: grave psicopatia, demenza precoce, mitomania, ninfomania), capisce subito che sarà difficile gestirla perché la ragazza non viene da un contesto famigliare disagiato o povero, è lì per la sua condotta deviata (furti, vagabondaggio, minacce...) e non sembra esserci in lei la consapevolezza di essere malata e di aver bisogno di cure psichiatriche.
Elli non accetta che i suoi genitori abbiano permesso il suo ricovero a tempo indeterminato nientemeno che in un clinica per malati mentali e nei primi periodi ha un atteggiamento oppositivo, ma ben presto si rende conto che questo modo di fare non è affatto vantaggioso.

Elli ha davvero una patologia psichiatrica o è semplicemente un'adolescente molto ribelle e poco gestibile?
All'interno della struttura la ragazza porta la sua giovinezza, la sua voglia di vivere, di instaurare rapporti speciali con altre ospiti sue coetanee; e intanto spera che sua madre - la sua mamma che le vuol bene nonostante non sappia dimostrarglielo con eclatanti gesti d'affetto - smuova le acque per toglierla da quel postaccio a cui lei non ha alcuna intenzione di abituarsi.
Elli continua a ripetersi di non essere matta, di non meritare di stare lì in mezzo a quelle donne svitate; la sua vita è fuori da Själö e riuscirà ad andarsene, presto o tardi.

Menomale che c'è almeno Karin a riempire le sue giornate; Karin è anch'ella una paziente giovane ma, a differenza di Elli, lei non reputa l'ospedale un luogo così terribile in cui vivere: sono protette là dentro,  accettate, possono trovare il modo di impegnare il tempo o, se vogliono, oziare dalla mattina alla sera; cosa manca loro tra quelle pareti?

- Cosa ti manca Elli?
- La libertà!

"Io amo questo posto (...) È la mia casa. (...) Hai paura della verità, Elli?"
"Forse... sei tu che hai paura? della vita là fuori?"
"Certo che ho paura. Ma una parte di me non vuole nemmeno pensare di cercare di vivere là (...) O meglio, non solo una parte di me. Tutta me stessa. Non c'è niente in me che voglia vivere là fuori in quello che tu chiami mondo".

Ci si affeziona a queste ragazze come a Sigrid, alle loro vicende personali, ai loro umori e malumori, ai sogni, ai pianti, alle promesse, e si prosegue nella lettura sperando per esse un destino meno impietoso e crudele; un destino non già stabilito, ineluttabile, quello stesso che spetta alla maggioranza delle "pazze" dell'isola, ma uno più roseo.
Un destino che preveda parole come speranza, futuro, vita da costruire, rinascita, ricominciare, redenzione, perdono, e non più bagni caldi/freddi, psicofarmaci, ricamo e cucito, cinghie di contenimento, clisteri, camicie di forza, isolamento.

Che ne sarà di loro, in una società in cui i pregiudizi verso le donne ritenute "instabili", isteriche, strane sono troppi e ancora difficili da smantellare, e in un periodo storico che non fa sconti a nessuno, in cui la guerra che infuria in Europa sta per arrivare anche su quel pezzettino di mondo circondato da una natura rigogliosa?

"L'isola delle anime" è un romanzo sulla follia sì, ma ancor prima sulla sofferenza delle donne ricoverate in un ospedale psichiatrico; in queste pagine leggiamo di ragazze che hanno commesso degli errori e che si cerca di "raddrizzare" rinchiudendole in cliniche dove purtroppo le cure sono ancora poco adeguate e poco efficaci...
Leggiamo di ragazze deluse dall'uomo che amavano e sul quale basavano la loro felicità, e che hanno purtroppo pagato un alto prezzo per questa ingenuità romantica.
Sono figlie giudicate "scapestrate", da curare e internare perché in società non ci possono stare, non sanno starci; ma queste figlie hanno anche delle madri e queste ultime ci appaiono in tutta la loro inadeguatezza, con i loro sensi di colpa, col timore di non essere state delle buone genitrici, di non averle amate abbastanza queste figlie un po' "sulle righe", e forse avrebbero potuto fare di più e meglio per evitare che finissero su quell'isola.
Ma è anche la storia di donne come Sigrid, che hanno dedicato la loro vita a quelle povere anime, prendendosene cura e facendo sì che quel posto triste e cupo acquistasse umanità, divenendo una specie di casa per quante, arrivate lì ciascuna con la propria dolorosa storia, fossero stanche, logore, esauste, povere: un luogo in cui provare a smettere di lottare e, magari, riposare, riflettere, pensare a se stesse.

Si potrebbe essere spinti a immaginare Siälö come un postaccio squallido, disadorno, cupo, ma in realtà se c'è un aspetto che la scrittrice lascia emergere è la bellezza della natura che, con i suoi suoni, i colori, i fiori, i frutti, gli uccelli..., offre alle anime dell'isola qualcosa cui aggrapparsi, una fonte di pace in mezzo a tutto quel turbamento, a quella follia, a quella disperazione.
Il finale mi ha commossa perché manda un messaggio di amore, perdono, rinascita, di una nuova linfa da alimentare e della speranza di una nuova vita.

Un romanzo molto bello, che coinvolge dal punto di vista emotivo e che immerge il lettore in un periodo storico e in una realtà difficili, pieni di dolore ma anche di voglia di non arrendersi.

domenica 4 dicembre 2022

NOVEMBRE 2022 - TRA LIBRI, CONCERTO E MANI IN PASTA

 

Buongiorno, lettori carissimi!!!

Dicembre è entrato da pochi giorni e si avvicina il momento di tirare le somme di questo 2022, sul fronte letture... e non solo! 



Intanto, faccio il bilancio del mese di novembre, con l'aggiunta di alcune fotine su argomenti che non hanno a che fare con le letture ma che ugualmente mi interessano: Claudio Baglioni 🎹🎼 e dolciumi 🍩🍪

Ma partiamo dalle pagine che mi hanno accompagnata il mese scorso.


  1. MARY CELESTE di S. Lecce e C. Cazzato: all'interno di una cornice reale c'è una storia fittizia e tinta di giallo che ci farà salire sulla prima nave fantasma della storia (5/5);
  2. RIFQA di M. El-Kurd: imparare dalla tua granitica nonna cosa voglia dire resistere a chi ti occupa casa e ti caccia da essa come se la tua vita e le tue radici non contassero nulla, e raccontarlo attraverso poesie (5/5);
  3. IL TEMPO DELL'ATTESA di E. J. Howard: il secondo libro della saga famigliare sui Cazalet, dal punto di vista di tre ragazze diverse tra loro (4/5);
  4. PUTIN, L'ANGELO DI DIO di G. Boschetti: angelo o diavolo, dittatore o difensore della fede. Un punto di vista su Putin diverso dal solito e provocatorio (3/5);
  5. LA SETTIMA LUNA di P. Pulixi: noir che vede il trio Croce-Rais-Strega alle prese con uno scaltro assassino; colpi di scena assicurati (5/5);
  6. UNA PORTA NEL CIELO di R. Baggio: l'autobiografia, sincera e appassionata, di un campione del calcio italiano (4.5/5);
  7. CRONACHE DELLE MULTISFERE - L’ombra di Durgash, di T.Sguanci: fantasy classico, in cui il Bene combatte il Male attraverso un ragazzo impacciato ma coraggioso (4/5);
  8. L'ISOLA DELLE ANIME di J. Holmström (prossimamente la recensione): storie di ragazze e donne chiuse in un ospedale psichiatrico da cui è difficile uscire; ma la speranza ha ali capaci di oltrepassare i muri più alti e apparentemente impenetrabili (5/5).

Le letture novembrine sono state tutte, a modo loro, interessanti e coinvolgenti; difficile citarne solo tre, quindi vi menziono, tra le più belle: RIFQA per la tematica palestinese; LA SETTIMA LUNA per la bravura dell'autore di costruire trame articolate e ricche di colpi di scena; L'ISOLA DELLE ANIME per l'ambientazione reale (manicomio di Själö) e le storie di donne raccontate; MARY CELESTE, anch'esso per il contesto storico reale, oltre che per la storia in sé.


MUSICA

Girando per le bancarelle di un mercatino, ho trovato 5 vinili di Claudio Baglioni: "La vita è adesso", "Solo", "E tu come stai?", "Sabato pomeriggio" e "Oltre". Me felice 😍

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E poi e poi e poi.... il 24 novembre Claudio Baglioni è tornato, per la seconda volta in un anno, a San Severo, al "Teatro Giuseppe Verdi", in occasione del tour "Dodici Note Solo Bis".

Che dire...? Una bellissima ed emozionante serata, tre ore in cui il cantautore romano non ha solo cantato canzoni vecchie e nuove (lui, solo soletto al pianoforte; anzi, i pianoforti erano tre e rappresentavano passato-presente-futuro) ma è stato un grande intrattenitore e, del resto, non avevo dubbi: da un "cantastorie" come lui non potevo che aspettarmi un'eccellente performance. 

E pensare che, fino a qualche anno fa, l'idea che Baglioni venisse a fare un concerto nella mia città era pura utopia...!


Baglioni nel teatro della mia città; foto presa dal profilo officiale su FB


CUCINA

Quest'anno ho deciso di cimentarmi con pandori e panettoni.

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Fino a ieri, ho sempre usato solo le mie manine per impastare lievitati, dolci o salati che fossero ma, se 

per alcune preparazioni, "l'olio di gomito", la buona volontà e quel briciolo di manualità da non professionista acquisita con la pratica (casalinga) possono bastare, per altri prodotti... hum..., il risultato lascia a desiderare e non soddisfa prima di tutto chi li fa (me).

Ragion per cui, il pandoro preparato un paio di settimane fa, come primo esperimento, malaccio non era, ma se vi devo dire che mi ha soddisfatta al 100%, mentirei.

E siccome mio marito mi ha regalato l'impastatrice (Kasanova, 7 litri), ora finalmente posso buttarmi a capofitto nella preparazione di questi lievitati che richiedono decisamente una lavorazione più complessa. 

Nelle prossime settimane ci riprovo! Queste che vi lascio sono le foto del "pandoro sperimentale".


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venerdì 2 dicembre 2022

RECENSIONE ⚓ MARY CELESTE di Salvatore Lecce e Cataldo Cazzato ⚓



Il 4 dicembre del 1872 il brigantino Mary Celeste viene ritrovato alla deriva tra le isole Azzorre e le coste del Portogallo: a bordo non c'è nessuno.
Che ne è stato dell'equipaggio (capitano e famiglia, personale di bordo)? Di loro, infatti, non v'è traccia e mai si saprà nulla della loro sorte.
Mary Celeste, la nave fantasma: un mistero mai risolto che sta per compiere 150 anni.
Gli autori di questo romanzo - Salvatore Lecce e Cataldo Cazzato -, basandosi su dati e personaggi storicamente documentati, hanno provato ad immaginare una storia che riempia il vuoto di notizie circa quel viaggio che avrebbe dovuto portare l'imbarcazione da New York a Genova.
Cosa potrebbe essere accaduto ai dieci passeggeri a bordo di quella che era considerata una nave maledetta e sfortunata?


MARY CELESTE 
di Salvatore Lecce e Cataldo Cazzato


goWare Edizioni
325 pp
4.99 euro (ebook)
17.50 euro (cart.)
USCITA:
2 DICEMBRE 2022


Antonio Gagliardo ha trentacinque anni nel 1872.

In teoria, non gli manca nulla per essere felice: un lavoro come dottore (nel quale è anche molto apprezzato) e una bella moglie, Clara.

La coppia non ha (ancora) figli e questo crea malumori e tensioni tra i coniugi; ad aggiungerne altri, ci pensa lo stesso Antonio che, purtroppo, cerca di placare ansie e nervosismo buttandosi a capofitto nella trappola del gioco d'azzardo.

E se all'inizio la dea bendata sembra sorridergli, dopo un po' gli gira le spalle, lasciandolo con debiti di gioco che non riesce a pagare prontamente. E, come non di rado accade quando si frequentano luoghi poco decorosi, ad esigere il pagamento del debito non è proprio della brava gente, tutt'altro.

Le cose, per il dottore di origini italiane - sbarcato in America ben 25 anni prima con il padre e un cugino - si mettono malissimo perché si ritrova braccato da una spietata banda criminale per via di un debito, appunto;  ma proprio quando sente di trovarsi in un vicolo cieco, senza via d'uscita, ecco che uno sconosciuto gli tende una mano.

L'uomo è Mr Benjamin Briggs ed è il capitano della Mary Celeste, un brigantino pronto a salpare per Genova; con lui c'è il primo ufficiale, nonché suo amico, Albert Richardson.

Mettendo da parte esitazioni e perplessità, pur di salvare la pelle Antonio accetta l'offerta di Briggs di imbarcarsi sul suo brigantino e di provare a rifarsi una vita nella bella Genova, lasciata in gioventù.

Ciò che però Gagliardo non immagina è che la traversata oceanica che lo attende sarà funestata da una serie di tragici e (almeno inizialmente) inspiegabili eventi.


A bordo, Antonio conosce il personale - il secondo ufficiale (Andrew Gilling), il cuoco (Edward Head) e i quattro marinai -, la signora Briggs (Sarah Elizabeth) e la piccola Sophia Matilda Briggs, di soli due anni.


Il viaggio sul veliero ha inizio e ogni cosa sembra filare liscia: tutti sono gentili ed ospitali con il dottor Gagliardo, il viaggiatore dell'ultimo momento, il cui nome non viene annotato nella lista ufficiale dei passeggeri (dopotutto Antonio stava fuggendo da gente di malaffare pronta a fargli del male); se il cuoco si premura di portargli tazze di tè, i marinai gli danno volentieri qualche lezione sui segreti della navigazione e sulle mansioni di ciascuno nell'arco della giornata; là dove Richardson si preoccupa di prestargli un romanzo di Melville per ingannare la noia, Briggs presenta al dottore la sua famigliola, tra cui c'è la piccola Sophia Matilda che intenerisce tanto Gagliardo, accarezzando quella parte di lui che desidera essere padre.


Ma in realtà, nonostante l'apparente serenità, Antonio non è totalmente tranquillo nell'essere lì, sulla Mary Celeste: su questa nave, infatti, girano strane voci, tanto misteriose quanto irrazionali, ma non per questo meno inquietanti.

Si dice che il brigantino sia nientemeno che... maledetto!

A partire dal viaggio inaugurale - quando ancora si chiamava Amazon - e passando per altre sventure, l'imbarcazione è stata sempre accompagnata da eventi negativi, tanto da attirarsi addosso la cattiva nomea di nave maledetta.


Come se ciò non bastasse a provocare più di un pensiero cupo anche in un uomo di scienza e tutt'altro che scaramantico qual è Antonio Gagliardo, a gettare non solo ulteriori ombre ma addirittura morte sulla nave è un primo avvenimento drammatico e terribile, che semina morte e quindi paura, diffidenza, sospetti, andando a creare spaccature nell'equipaggio, che fino a quel momento pareva aver goduto di un clima gioviale e sereno.


In seguito al verificarsi di questa prima sciagura, Antonio si prefigge da subito di indagare, anche perché pian piano emergerà una triste verità (più d'una, a dire il vero): su quella nave tutti sono in pericolo.


Partono gli "interrogatori" da parte dell'attento e riflessivo dottore, che comincia a far domande a tutti, al capitano come al vice, ai marinai come a Sarah Elizabeth, tenendo bene in mente di non dare nulla per scontato.


Ha inizio una sorta di caccia al colpevole e la tensione non può che salire col passare delle ore, dei giorni: tutti i passeggeri sono come in trappola, obbligati a restare in quel mezzo di imbarcazione sperduto nel mare, senza possibilità alcuna di fuga e con la terrificante consapevolezza che tra loro si nasconde un traditore che  agisce con freddezza.


Antonio è disperato: non riesce a capire come unire tutti gli indizi che man mano sta raccogliendo; se su alcuni aspetti riesce subito a far luce, su altri ancora brancola nel buio ma, grazie alla sua intelligenza e alla sua caparbietà, le sue indagini proseguono e si arricchiscono di nuovi elementi che è la stessa Mary Celeste a fornirgli.

Spesso la verità è vicina ma celata, ben nascosta sotto assi, strumenti musicali, in un libro... e va cercata con calma, lucidità e pazienza.


"Sentiva di dover partire proprio dal mare, lo specchio dei pensieri più intimi. Il giorno in cui era salito a bordo della Mary Celeste, si era reso conto che quella superficie liquida e mutevole acquistava una visione diversa se osservata dall’alto. Fin dai primi istanti, in essa aveva visto riflettersi tutto ciò che soggiaceva nelle profondità dell’animo, dalle paure più recondite ai sogni impossibili. Forse, adesso, se avesse sfruttato quella contemplazione fatta di silenzio e totale abbandono, avrebbe potuto esaltare il suo acume investigativo."

 

Antonio è un uomo riflessivo, acuto osservatore di gesti, espressioni, comportamenti,  sensibile scrutatore dell'animo umano e lì, su quella trappola galleggiante, su cui è letteralmente impossibile chiedere aiuto o fuggire via, tra gente sconosciuta che sembrava amichevole ma in mezzo alla quale si nasconde una serpe velenosa e priva di scrupoli, egli dovrà fare appello a tutto il proprio acume, il sangue freddo, la capacità di deduzione e ragionamento, per unire insieme tasselli che sembravano non incastrarsi e invece sono compatibili l'uno con l'altro; dovrà affrontare e superare paure, senso di impotenza, disperazione, solitudine, timore di non farcela, e non perdere la giusta dose di calma per saper parlare con franchezza a chi, come lui e con lui, aspetta che sia smascherato il colpevole, col rischio, ovviamente, di finire anch'egli nella diabolica trama ordita dalla mente che ha magistralmente iniziato a seminare la morte su quella nave che, forse, un po' maledetta lo è davvero.


Il romanzo è un giallo storico che prende spunto da fatti e persone reali: corrispondono, infatti, alla realtà i personaggi (escluso uno) della Mary Celeste, dieci persone svanite nel nulla, di cui non si ebbe più alcuna notizia.


Il brigantino partì il 7 novembre 1872 e il 4 dicembre fu avvistato da un'altra nave, la Dei Gratia, che appurò come sopra la Mary Celeste non ci fosse nessuno! 

Sono passati 150 anni e il mistero, attorno a quella che è considerata la prima nave fantasma della storia, resta più fitto che mai; gli autori hanno pensato di riempire quel buco di informazioni assenti con una storia fittizia, di fantasia, ma coerente con lo sfondo storico di base.


La narrazione parte subito con un ritmo già incalzante in quanto vediamo Antonio Gagliardo tentare di fuggire agli scagnozzi inviati da un creditore; spostandoci quindi dalle strade di New York al veliero, la tensione narrativa non farà che crescere in base ai tragici eventi  che si susseguiranno e che faranno sentire, tanto al protagonista quanto al lettore, tutta l'ansia e la suspense a causa di un pericolo che incombe sulle persone presenti sulla nave; un pericolo tanto più minaccioso quanto meno è individuabile con sicurezza, e quando il quadro diventerà chiaro, la minaccia sarà finalmente esplicita, ma non certo meno insidiosa.


La storia immaginata dagli scrittori Lecce-Cazzato è assolutamente avvincente e io mi sono ritrovata a divorare una pagina dopo l'altra, a finire un capitolo e ad iniziarne subito il successivo; il racconto prende il via dal 6 novembre e, nel proseguire, si andrà scalando di giorno in giorno fino a giungere al momento del ritrovamento (il 4 dicembre).


La penna degli scrittori è molto accurata, precisa, la lettura prosegue con agilità e una grande scorrevolezza; il linguaggio è consono al periodo storico, ai personaggi coinvolti e all'ambito marinaresco; a tal proposito, in aiuto per chi, come me, è a digiuno in questo campo, c'è il glossario a fine libro; non solo, ma in appendice troverete anche foto e altri particolari, molto interessanti, relativi a persone e vicende reali, oltre a una bibliografia.


Leggere "Mary Celeste" è stato come imbarcarmi insieme al protagonista e vivere con lui un'avventura imprevedibile, irta di pericoli e minacce dietro l'angolo, dove tutti sembrano innocenti ma in realtà, fino allo svelamento della verità, chiunque potrebbe essere il colpevole, per cui fino alla fine non sappiamo cosa accadrà e chi la spunterà;  sta ai lettori scoprire quale storia hanno immaginato per loro gli autori.


Il mio parere è assolutamente positivo: storia appassionante, scritta davvero bene, con personaggi dalle personalità interessanti e molto ben delineate; coinvolgente la ricerca dell'assassino e del movente e, ovviamente, il fatto che la cornice sia vera non fa che rendere il tutto molto accattivante.

Fatevi un regalo: acquistate il romanzo, in uscita proprio da oggi, e leggetelo: imbarcarsi su questa nave fantasma (nel corso dei decenni, le ipotesi su cosa possa essere accaduto ai passeggeri, si sono sprecate, dalle più logiche a quelle più fantasiose) sarà un viaggio entusiasmante, avventuroso, ricco di suspense e con un finale che vi lascerà comunque soddisfatti, nonostante gli eventi narrati siano drammatici.


Ringrazio di cuore Salvatore Lecce e Cataldo Cazzato per avermi dato l'opportunità di leggere e recensire in anteprima il loro romanzo e vi lascio, cari lettori, consigliandovelo caldamente!!


Vi lascio il link su Amazon e il booktrailer. Buona visione ^_-







Gli autori

Salvatore Lecce e Cataldo Cazzato sono due amici che condividono la passione per la scrittura. I loro racconti Natale con il morto (2016) e Amaranto e Porpora (2018) sono stati pubblicati in appendice ai volumi del Giallo Mondadori. Dal racconto L’albero di Elisa (2018) è stata tratta l’omonima opera teatrale a cura della compagnia Trinaura Teatro. Per goWare hanno pubblicato il thriller La via del silenzio (2018) e il noir Il Puparo (2020), entrambi più volte bestseller Amazon.



martedì 29 novembre 2022

|| RECENSIONE || RIFQA di Mohammed El-Kurd



Nel leggere le poesie di Mohammed El-Kurd riusciamo a sentire il grido di rabbia, di dolore ma soprattutto il coraggio di un popolo che non si arrende, che resiste e lotta per affermare con forza il proprio diritto di esistere, la volontà di non cedere e di non soccombere al cospetto di un occupante che con violenza, da ormai più di settant'anni, espropria terre, case, e prova a spazzar via la storia, le radici, la cultura, la memoria, l'identità del fiero popolo palestinese, "provocatoriamente, orgogliosamente, completamente vivo".


RIFQA 
di Mohammed El-Kurd



Fandango Libri
trad. E. Bero
155 pp
Il titolo dell'esordio letterario di El-Kurd è un nome di donna: non una donna qualsiasi, ma la nonna di Mohammed, colei che accoglieva con un mazzetto di gelsomini il nipote che tornava da scuola, che gli ha insegnato "a sparare le mie frasi come razzi, a essere resiliente."

"Sono cresciuto nella sua saggezza e la mia poesia ne è il riflesso. Lei è l’asse delle mie azioni, l’orchestratrice della mia cadenza."

Nonna Rifqa, morta a 103 anni, che aveva più anni della colonizzazione sionista e che ha dovuto lasciare la propria casa, per la prima ma non per l'ultima volta, in un giorno di maggio 1948

La mattina d’un maggio dal cielo rosso 1948.
Poteva essere oggi.
Hanno buttato giù le porte,
rivendicando la vita come fosse la loro.

L'inizio della Nakba, della catastrofe, e quindi l'esilio da Haifa e, come se non fosse stato sufficiente l'andare di rifugio in rifugio, ha dovuto vivere e subire, ormai anziana, anche l'espropriazione della sua casa a Sheikh Jarrah, quartiere di Gerusalemme Est, in un ennesimo ripetersi di un orrore destinato a non finire mai.

Rifqa aveva il passo sicuro.
“Torneremo appena le cose si calmano”
e lei ha creduto,
indossato la chiave
finché la chiave il collo la memoria
non sono diventati dello stesso colore.


15 maggio 1998: Mohammed nasce nel cinquantesimo anniversario della Nakba. Non poteva che farsi portavoce di un canto di libertà che non è solo suo o della sua famiglia, ma di un intero popolo.


"sono nato di fronte a una casa chiusa
che definivo mia, ma non ci sono mai entrato.

I colonizzatori  giovani  vestiti diversamente
coi fucili che sbattevano sui fianchi    nazione di terroristi
festeggiavano la proprietà rubata spietati.
Piangevo – non per la casa,
ma per i ricordi che avrei potuto averci dentro."


Tra donne coraggiose che stanno in piedi davanti ali coloni e ai giovani soldati armati, tra bambini vilmente uccisi su una spiaggia, tra gruppi di uomini, donne, anziani e bambini che si uniscono per "guastare la permanenza dei coloni nelle loro terre", i versi di questa raccolta ci raccontano l’amore per la patria, la consapevolezza di come in terra di Palestina la morte sia improvvisa, immediata, costante.
Ci parlano di resistenza, di lotta per la libertà, di difesa della propria terra e dell'attaccamento ad essa; dopo le poesie, nell'edizione italiana c'è una sezione in prosa dedicata alla lotta degli abitanti di Sheikh Jarrah per non lasciarsi strappare le proprie case; sono testi che l’autore ha scritto per The Nation e per The Guardian.

Nel 2009 la famiglia El-Kurd (e non soltanto essa) si è vista confiscare, per decisione di tribunali israeliani, la propria casa e questo, ricorda il giovane autore, rientrava nella strategia di "ripulire etnicamente" il quartiere di Sheikh Jarrah nella sua interezza *

Nonna Rifqa è stata una combattente fino all'ultimo, non accettando di vedersi rubata la casa un'altra volta, di essere trasformata ancora in un'esiliata che vaga tra campi profughi.

Vedersi togliere la casa non è solo una questione di perdere la proprietà, ma, dice Mohammed, "significa perdere anche l’identità palestinese della città e rappresenta un presagio del tremendo destino che attende quel che resta della sempre più esigua popolazione autoctona di Gerusalemme. Sheikh Jarrah: è un perfetto esempio di colonialismo di popolamento, un microcosmo della realtà palestinese nel corso dei settantatré anni di dominazione sionista."

Con questa sua raccolta, El-Kurd si affianca ad altri poeti della resistenza palestinese (Fadwa Tuqan, Rashid Hussein, Mahmoud Darwish e Ghassan Kanafani) che, prima di lui e come lui, hanno svolto, e svolgono ancora, un ruolo significativo nel formare e tenere vivo un fronte internazionale contro il colonialismo e l’imperialismo nel mondo.

Mohammed El-Kurd - poeta, scrittore e giornalista per The Nation, - attraverso i suoi articoli prima e questo libro poi, offre una chiave di lettura che stimoli a guardare a quello che è chiamato da sempre "conflitto israelo-palestinese" in modo da interrogarsi con onestà su come sia la vita sotto occupazione a Gerusalemme Est, su tutto ciò che questo comporta per la popolazione e su chi siano davvero i carnefici e chi le vittime.

Leggete "Rifqa" e lasciatevi guidare dalla penna arguta, chiara, sarcastica, sincera e fiera di un giovane scrittore che, allontanandosi da ogni retorica e senza paura di chiamare le cose col loro nome, ci ricorda quanto brutale sia la realtà quotidiana nei Territori occupati - e questo non da una settimana o da un paio di mesi, né da qualche anno... ma da 73 anni - e come a questo non possano che seguire azioni di lotta e resistenza.


"Le persone più libere sul pianeta non sono controllate da odio e paura, ma sono mosse da amore e verità. Siamo più di cosa abbiamo subito; siamo chi siamo diventati, nonostante tutto."


Come per lo scorso anno, ho voluto pubblicare in questo giorno la recensione di un libro che tratta l'argomento "Palestina" - di come vivono i palestinesi sotto il regime d'occupazione e apartheid israeliano - in occasione della Giornata internazionale della solidarietà con il popolo palestinese, istituita nel 1977 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Nel 2020 ho segnalato alcune scrittrici palestinesi in QUESTO POST.



* a tal proposito puoi leggere QUESTO ARTICOLO

domenica 27 novembre 2022

** SEGNALAZIONI SUL BLOG **



Cari lettori, avete trascorso un buon weekend?
Io, complice il cattivo tempo, oltre a mettermi ai fornelli, mi sono dedicata alla lettura. 

Questa sera faccio un salto qui sul blog per proporvi un paio di pubblicazioni.

La prima è il romanzo d’esordio di Claudia Cocuzza, vincitrice del premio Garfagnana in giallo 2022, sezione Inediti.



LA PARTITA DI MONOPOLI
di Claudia Myriam Cocuzza

Bacchilega Editore
18 euro
Rosa Squillace, facoltosa ereditiera e titolare dell’azienda agricola "La zagara", viene trovata morta.
Il suo omicidio sconvolge il tranquillo borgo marinaro di Castellace, a pochi chilometri da Taormina.

A investigare c'è il maresciallo dei carabinieri Stefania Barbagallo, la quale dovrà dividersi tra l’indagine, complessa e piena di risvolti imprevisti, e la sua travagliata vita personale, in cui figurano il marito assente, un matrimonio in crisi e la gestione delle due figlie della coppia. 

Le indagini sono così intricate che il maresciallo avrà bisogno di tutto l’aiuto possibile per venirne a capo; l'amica Clara, la farmacista del borgo, è in prima linea per darle una mano. 
La faccenda è resa ancora più complessa dal coinvolgimento nelle indagini di una ex amica di Stefania, nonché figlia della vittima: la bellissima Sara. 
Le due donne frequentavano la stessa classe ai tempi del liceo e, tra di loro, qualcosa ancora sembra irrisolto. 

La partita di Monopoli narra di amori, passioni, tradimenti e vessazioni subite che, fino all’ultimo, sono in grado di cambiare la vita dei personaggi. Un rompicapo apparentemente senza regole che ricorda una partita di Monopoli, in cui vince chi sa imbrogliare di più.

L'autrice.
Claudia Myriam Cocuzza. Classe 1982, è una farmacista laureata in Chimica e tecnologie farmaceutiche.
Vive a Calatabiano (CT), tra il mare e l’Etna, con le due figlie, il marito e un pastore maremmano.
È caporedattrice per Writers Magazine Italia e redattrice per ThrillerNord e Il giornale delle buone notizie. Il suo racconto La stanza rossa è pubblicato sul numero 62 del WMI.
Il suo racconto Vincenzo è morto ha ricevuto la menzione speciale al Premio Termini Book Festival ed è finalista al concorso GialloLuna NeroNotte, in collaborazione con Il Giallo Mondadori.



                                                                    *******************


Il secondo libro appartiene a tutt'altro genere: Romantic suspense/Military romance.

EZRA
Phoenix Series 2
di Simona Diodovich



Editore: Self Publishing
179 pp
3 euro
Novembre 2022


Ezra Underwood fa parte di una squadra Metro SWAT ed è in missione a New York.
In un normale giorno di luglio, la sua vita viene capovolta da spietati assassini che fanno saltare in aria parecchie persone, in una partita al massacro.
Insieme alla detective Charlotte Wall si ritrova a indagare su quei pazzi, che sono a tutti gli effetti dei sicari. 
Sebbene i due non si sopportino a pelle, cercano di lavorare insieme per sbrogliare la matassa di un caso così complicato, ma per riuscirci sono costretti ad assecondare il gioco degli assassini. 
Perché di questo si tratta, di un diverso tipo di svago e di una possibile carneficina, che nasconde le vere intenzioni dei killer.

Come possono, due persone così differenti, lavorare insieme a stretto contatto senza provare nulla?
Impossibile.

“Mi chiamo Charlotte Wall e sono una detective. Il caso è mio perché sono la prima ad essere sul campo.”

Non lo sopporta, ma non può fare a meno di vedere quanto lui sia magnifico.
“Sono Ezra Underwood, questa vita mi sta stretta, sono stanco, non mangio da giorni.”

Non può non notare questa splendida donna così coraggiosa, che resta sempre in prima linea
insieme a lui.
Il tempo sta per scadere, la partita va giocata fino in fondo.
Bentornati tra i Phoenix.

Link ebook: https://rb.gy/rv6y7h

L'autrice.
Simona Diodovich, nata a Milano, studia come grafica pubblicitaria diventando poi illustratrice a Canale 5 disegnando cover di cd e dvd per A. Valeri Manera; è grafica pubblicitaria, illustratrice, fumettista, autrice di libri di differenti target, copywriter, editor, sceneggiatrice di fumetti e colorista.
Ha lavorato con Arnoldo Mondadori per il Tv sorrisi e Canzoni, con le cover dei cd dello
zecchino d’oro, per la Medusa Video le cover delle videocassette di Lupin III, persino con la
LysoForm per un giornalino per i bambini sull’igiene, oltre le varie case editrici italiane.
Prosegue la carriera come fumettista disegnando il dottor sorriso per conto della Fondazione Garavaglia, che si ispira alla fondazione americana di Patch Adams. Come grafica pubblicitaria si divide tra case editrici ed enti pubblici, dove realizza da sola volumetti sull’educazione stradale, manifesti, giochi, usando ogni mia conoscenza acquisita negli anni. Per amore dei disegni e, per il fatto che adorava inventarsi personaggi e storie, il passo dal disegnare storie e scrivere un libro è stato molto breve.  Cartoni animati per LPR/Leroy Merlin, realizzazione di fumetti.

sabato 26 novembre 2022

** Fuga di cervelli al femminile: scelta libera o imposta? **



In Italia, se vuoi provare a realizzare i tuoi sogni, studiare è sicuramente molto importante e, se il diploma sembra ormai non bastare più, ecco che si sceglie il percorso universitario, sperando così di ottenere la posizione lavorativa desiderata.

Tuttavia, nel nostro Paese, negli ultimi decenni, si sente sempre di più parlare di “fuga di cervelli”: milioni di studenti e studentesse che prendono la decisione (non di rado a malincuore) di lasciare il paese dove sono nati e cresciuti per inseguire i propri sogni. 

Come riportato nel Referto sul sistema universitario 2021 della Corte dei Conti, negli ultimi dieci anni il numero di giovani laureati (25-34 anni), che decide di trasferirsi all'estero per avere maggiori e migliori opportunità di impiego, nonché una remunerazione più adeguata, è aumentato; nel 2018 erano 117mila gli italiani emigrati all’estero, di cui 30 mila laureati.
In generale, negli ultimi cinque anni circa 244 mila giovani si sono trasferiti in un'altra nazione. 

Nonostante la pandemia, queste migrazioni non si sono fermate, anzi: le fughe all'estero dei giovani laureati italiani sono andate intensificandosi rispetto al 2019.

"Il bilancio delle migrazioni dei cittadini italiani 25-39 anni con un titolo di studio di livello universitario si chiude con un saldo dei trasferimenti di residenza da e per l'estero di 14.528 unità", spiega il presidente dell'Istat.

Le mete privilegiate? Francia, Germania e Spagna in primis, ma anche i Paesi dell’Est Europa o quelli più a nord, come la Norvegia. Chi sceglie di uscire dall’Europa, solitamente opta per Emirati Arabi, Cina, Giappone e Singapore.

Tra questi studenti che emigrano, la percentuale di donne sta diventando sempre più considerevole. 
Cosa le spinge ad andarsene dall'Italia?

Le ragioni sono tante ma uno dei principali motivi è da ricercare nelle disuguaglianze di genere

Per una donna, lavorare in un Paese in cui non sempre si viene premiate perché lo si merita non è semplice e, sebbene nell’ultimo secolo si siano fatti tanti passi avanti, c’è ancora tanto per cui lottare. 
In altre nazioni però sembra che la situazione non sia come in Italia ed è proprio per questo che tante donne decidono di emigrare. 

Il motivo principale è sicuramente legato alle
source
maggiori possibilità di crescita professionale
.  
In molti Paesi esteri infatti si investe molto di più nei giovani: c’è più offerta di lavoro e gli stipendi sono più alti e questo ovviamente attira tantissime donne, che si sentono limitate in Italia. 

Inoltre, mentre in Italia non sempre si danno possibilità alle persone più meritevoli, in altri Paesi la meritocrazia è una delle basi fondanti della vita lavorativa. Infatti, seppur istruita tanto quanto i suoi colleghi uomini e seppur ricoprendo la stessa posizione, se sei donna quasi sicuramente verrai pagata meno, e il divario non è indifferente. 
Questo fenomeno purtroppo è molto diffuso e tante donne si sono trovate in questa situazione. 


Cecilia Cravari e Annagiulia Bifania sono tra queste, cioè tra coloro che hanno deciso di riporre le proprie speranze in altri Paesi.

Cecilia Cravari, 32 anni, pluripremiata atleta della Nazionale italiana di pattinaggio artistico sincronizzato, oggi è un medico specializzato in cardiologia. 
Laureata con il massimo dei voti all’Università di Parma, dopo una serie di Erasmus all’estero negli Stati Uniti e in Svizzera, ha deciso di iniziare la sua carriera proprio in quest’ultimo Paese. 
Dopo la sua esperienza da stagista le è  stata offerta una posizione, che lei ha accettato spinta dal fatto di essersi sentita da subito supportata e valorizzata, nonostante lavorasse con medici di un certo livello e con più anni di esperienza. 
Certo, l’Italia le manca, ma non pensa di tornarvi nell’immediato: lì dove vive e lavora attualmente viene apprezzata e pagata per la dedizione e per la sua preparazione e questo è qualcosa a cui non vuole rinunciare. 

Annagiulia Bifania, laureata in Lingue, Culture e Civiltà dell’Asia Orientale a Venezia, ora vive in Giappone, a Tokyo, dove lavora come agente immobiliare. 
Dopo essersi laureata, ha cercato delle posizioni come stagista e, dopo averla trovata in un noto brand di abbigliamento, si è ben presto accorta che purtroppo non sarebbe cresciuta professionalmente in quanto il modus operandi delle aziende era sempre lo stesso: offrono contratti a tempo determinato e con una retribuzione minima. 
Quando le è stato proposto di andare a lavorare in Giappone con un salario più alto e decisamente più dignitoso, Annagiulia non ha esitato a partire!

Sempre maggiore è, dunque, il numero di donne che, spinte dalla volontà di riscatto, di essere rispettate e premiate per i loro traguardi, decidono di partire.
Ovviamente, il percorso in questo senso è ancora molto lungo anche all’estero, ma sembra che passi in avanti siano già stati fatti. Le associazioni che cercano di combattere per i diritti delle donne sono tante e speriamo che, anche in Italia, la situazione cambi in meglio. 


Questo post (che contiene alcune mie piccole modifiche rispetto all'originale) si basa sul seguente articolo   >> Donne in fuga per realizzare i propri sogni << 



Altre fonti consultate: 
  • https://ifmagazine.bnpparibascardif.it/2022/03/04/fuga-di-cervelli-un-fenomeno-in-rallentamento/
  • https://www.avvenire.it/economia/pagine/cervelli-in-fuga-corte-dei-conti
  • https://www.dealogando.com/lavoro/fuga-dei-cervelli-italia/
  • https://primocomunicazione.it/articoli/attualita/rapporto-istat-tornano-ad-aumentare-i-giovani-laureati-italiani-che-emigrano-allestero

mercoledì 23 novembre 2022

Esprimi un desiderio

 

Se potessi esprimere qualche piccolo e innocuo desiderio, chiederei per Natale (ma non solo, anche "spalmati" durante il corso dell'anno vanno bene, eh) dei regali librosi.

Oltre a specifici libri e buoni da spendere in libreria, ci sono delle cosine che costituirebbero un regalo gradito. Ma si sa che faccio prima a comprarmeli da sola :-D

Questa copertina, ad es., non è bellina?

 QUI


Segnalibro particolare e gattaro


QUI


Per quando rischio di fare le notti pur di finire un libro:







Una raffinata lampada letteraria:

QUI

Una felpa a tema OUTLANDER, ma anche una più generica, a tema libri.

QUI
QUI


Un fermalibro per evitare che caschino impuniti su un fianco!


QUI


La borsetta del mio classico preferito:

QUI







lunedì 21 novembre 2022

Serie tv - tra fede e fanatismo ** IN NOME DEL CIELO **

 

Ho appena finito di guardare una miniserie (una sola stagione, sette episodi) ispirata a drammatici fatti di sangue realmente accaduti: IN NOME DEL CIELO (Under the Banner of Heaven).

È tratta dall'omonimo libro-inchiesta "In nome del cielo. Una storia di fede violenta", in cui l'autore, Jon Krakauer, racconta il duplice omicidio di Brenda Wright Lafferty e della figlia Erica, di soli 15 mesi, compiuto nel 1984 nello Utah, maturato in ambiente mormone; a tal proposito, Krakauer esamina anche l'origine e l'evoluzione della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (LDS), ramo integralista dei mormoni.

Ideata da Dustin Lance Black, la serie vede nel cast Andrew Garfield,  Daisy Edgar-Jones, Gil Birmingham e Sam Worthington

Si tratta di un crime drama che ripercorre, appunto, gli eventi di quel 1984, quando a Salt Lake Valley, nello Utah, furono trovate morte in casa la giovane mormone Brenda e la sua bambina.

Ad occuparsi del caso è il detective Jeb Pyre, che si ritrova a indagare su questo terribile duplice omicidio; per lui non è un caso come tutti gli altri in quanto egli stesso è di fede mormone e dover scavare nei torbidi segreti della Chiesa alla quale appartiene, lo fa star male, lo fa sentire quasi un traditore.

Purtroppo ciò che scopre non è nulla di edificante; nell'indagare sulla numerosa famiglia Lafferty, grazie anzitutto alle informazioni e all'aiuto di Allen (il più piccolo dei fratelli Lafferty, nonché marito della povera Brenda), emerge una realtà di fanatismo religioso da far accapponare la pelle.

Il racconto del presente - dei comportamenti violenti e assurdi dei Lafferty e di tutto l'odio e il folle fondamentalismo da essi portato avanti con la scusa di servire il Padre Celeste e di fare la Sua volontà sulla terra - si alterna a quello del passato, ai giorni in cui è stato fondato il movimento mormone, ad opera di John Smith.

Ad accomunare presente e passato è purtroppo la violenza: uomini che dicono di credere in Dio, di seguire le Scritture, e che invece sono capaci di architettare e commettere le peggio cose.

In particolare, a dare inizio alla frangia ribelle in famiglia è Dan, che si ribella all'autorità paterna e decide di essere lui il portavoce del Signore, un nuovo profeta, insomma.

Ovviamente non resterà solo nei suoi vaneggiamenti, ma verrà affiancato dagli altri fratelli, non solo carnali - tra cui Ron, che assume, via via che si procede con gli episodi, sempre più importanza nell'evolversi dell'indagine, perché anche lui si farà prendere da un fervore religioso pericoloso - ma anche "in fede".

Questi uomini predicano un ritorno alle origini, ai primi insegnamenti del loro profeta Smith: sì alla poligamia, sì al prendere in moglie addirittura le figlie, sì ad azioni efferate e sanguinose contro chi vuole contrastarli, no all'obbedienza alle leggi dello stato.

La dolce ma decisa Brenda si accorge dal primo momento che la famiglia Lafferty, pur essendo 

la vera Brenda con Erica
"credente", ha modi di fare estremi, troppo conservatori, ma i suoi timori peggioreranno quando capirà che i cognati hanno perso la testa e si credono "dio in terra", tanto da poter decidere chi merita di vivere e chi no.


Cercherà di fermarli? In fondo, anche lei è una devota e sincera mormone, ma vede che i parenti acquisiti si sono incamminati in una strada piena di insidie, che invece di avvicinarli a Dio li sta allontanando, rendendoli cattivi, violenti, vendicativi, prepotenti.

Pyre viene messo seriamente in crisi perché si scontra con una comunità - neanche tanto piccola e isolata - di fedeli ("santi"), fratelli e sorelle, che non ha molta voglia di collaborare, ma anzi queste persone hanno alzato una barriera protettiva per non far trapelare le verità scomode e le usanze discutibili all'interno della loro congregazione.

Perdere lucidità nel corso del lavoro, negli interrogatori, nella ricerca di informazioni, nello scavare nel marcio presente in quella che Jeb considera la propria Chiesa, è quindi un rischio più che concreto; a salvarlo da questo pericolo di viziare le indagini ci pensano anzitutto il collega (un nativo) Bill Tapa, e poi anche il forte senso di giustizia e di onestà che Jeb si sforza di mettere davanti a tutto.

Non lo aiuta il fatto che sia la moglie sia i fratelli della propria comunità non condividano il suo lavoro (per i motivi già detti), ma un poliziotto deve fare il suo lavoro e farlo bene, senza lasciarsi influenzare da convinzioni personali e sentimentalismi sterili, ed è ciò che - non senza sofferenza - farà il detective.

Personalmente sono sempre affascinata dalle storie (se sono vere, ancora di più) in cui la fede è una forte componente e in cui essa diventa un vile strumento, purtroppo, in mano a individui egoisti e invasati che rispolverano dogmi vecchi e ne inventano di nuovi,  e che quasi sempre celano solo una cieca voglia di primeggiare e tiranneggiare, di manipolare gli altri, di imporre la propria voglia insana di far ciò che vogliono dentro e fuori casa, millantando una "chiamata del Signore" che, manco a dirlo, hanno sentito e ricevuto solo loro.

Non per nulla, all'aspetto religioso (che comunque ha delle ripercussioni a livello civile, legale..., come nel caso della poligamia, che non è consentita dalla legge) si aggiunge anche uno di tipo sociale e politico, visto che i fratelli Lafferty si convincono che Dio li voglia esonerare dal pagare le tasse...

Una serie tv che a me è piaciuta, l'ho seguita con interesse perché lascia entrare nei meccanismi - non tutti e non sempre limpidi - e nelle credenze di questa organizzazione religiosa della quale so decisamente poco; gli eventi narrati sono inquietanti e mi ha stupito vedere come in questo stato americano la presenza di mormoni fosse (se lo sia ancora non lo so) tanto forte da pensare di influenzare pure le indagini di polizia (!!!).

Se l'argomento non vi dispiace, provate a darle un'occhiata, anche perché è pure breve ^_-


domenica 20 novembre 2022

★☆ RECENSIONE ☆★ IL TEMPO DELL'ATTESA di Elizabeth Jane Howard ("I Cazalet" #2)

 

Nel secondo libro della saga famigliare "I Cazalet", Elizabeth J. Howard prosegue nel raccontarci la quotidianità dei membri di questa numerosa famiglia inglese che, a motivo dello scoppio del secondo conflitto mondiale, ha dovuto salutare gli anni spensierati fatti di gite, pic-nic e sontuosi pranzetti, per adeguarsi ad una nuova fase della vita, meno serena e accompagnata da difficoltà e preoccupazioni.



IL TEMPO DELL'ATTESA
di Elizabeth Jane Howard



Fazi Ed.
trad. M. Francescon
640 pp
Li abbiamo conosciuti, uno per uno, nel primo volume (Gli anni della leggerezza > RECENSIONE <): il Generale e sua moglie (la Duchessa), i loro quattro figli - Hugh, Edward, Rupert e Rachel, ciascuno con le proprie personalità, i propri stili di vita, i piccoli segreti - e le rispettive famiglie, con mogli, amanti, amiche speciali e prole al seguito.

La guerra è scoppiata, la preoccupazione per le conseguenze di ciò che ha cominciato a compiere Hitler in Europa si fa sentire ed è palpabile, concretizzandosi nell'urgenza di provvedere maschere antigas per tutti in casa, di pensare a dove collocare i bambini nel caso di bombardamenti (la campagna è la soluzione migliore? Di certo lo è rispetto a Londra, no? I più grandicelli...: non sarà il caso di ritirarli dai collegi? E poi i bimbi della casa per orfani di cui si occupa Rachel: anch'essi hanno bisogno di essere salvaguardati e sfamati!), di organizzare il lavoro nella fabbrica di legnami, tenendo conto che Edward e Rupert probabilmente saranno impegnati in prima linea nella guerra (cosa che, effettivamente, accade) e che il Generale - ormai ultra ottantenne - non è più in grado di mandare avanti l'attività, il che significa che dovrà occuparsene il buon Hugh.

Il lettore fa ritorno a Home Place, nel Sussex, per accomodarsi nuovamente accanto agli uomini, alle donne e ai ragazzini che vivono al sicuro tra quelle mura famigliari - amate dagli adulti e a volte mal sopportate dai più giovani - e segue le vicende di tutti, di tre di loro più da vicino.
La narrazione, infatti, si sofferma in particolare su tre giovanissime Cazalet: Louise, Clary e Polly e attraverso i loro occhi osserviamo non solo ciò che succede ad esse personalmente, ma anche le vicissitudini cui va incontro il resto della famiglia, non escluso il personale e l'insegnante privata.

La guerra ha portato timori, domande, un forte senso di smarrimento e precarietà, ha privato tutti di ogni leggerezza per catapultarli in una dimensione esistenziale contrassegnata dalla paura di qualcosa di più grande, di imprevedibile, che potrebbe sconvolgere le loro vite in modo irreversibile o anche solo portare cambiamenti scomodi, sgradevoli.

Il più affascinante dei fratelli Cazalet, Edwardcontinua ad avere il vizietto di volare di fiore in fiore, pur conservando l'amante fissa (Diana); non solo, ma la sua condotta a dir poco disdicevole (per usare un eufemismo) adottata con la figlia maggiore Louise, la ritroviamo anche qui...

Il caro e dolce Hugh si fa in quattro per i suoi, cercando di ottemperare ai propri obblighi imprenditoriali (praticamente da solo) e accettando, suo malgrado, di star molto tempo lontano da casa (a Londra) per lavoro, ma purtroppo, anche quando rimette piede in campagna, la serenità sembra sfuggirgli: sua moglie Sybil, tanto cara e amata, sta vivendo un gravissimo problema di salute; tutti sono preoccupati ma, al contempo, tutti fanno finta di niente (tipico dei Cazalet), continuano a comportarsi come sempre, fingendo allegria e ottimismo quando invece, da soli, versano lacrime di tormento e sofferenza.

"In questa famiglia non c'è verso di parlare delle cose brutte. Io invece credo che bisognerebbe parlarne proprio perché sono brutte."

"Il peggio stava accadendo, e loro si comportavano come niente fosse. Era così che faceva la sua famiglia quando le cose andavano male." 


La stessa Sybil è combattuta: sa che il male che le sta camminando nel corpo è molto grave... ma non sa come comportarsi con i famigliari. Deve dire esplicitamente che ha capito che la situazione è drammatica o deve, per amore degli stessi, mostrarsi serena, positiva, fingendosi ignara delle proprie reali condizioni?

Rupert, l'insegnante pittore - di cui abbiamo appresto i tentennamenti circa il prendere o meno in mano le redini della fabbrica, insieme al padre e ai fratelli -, adesso è di fronte a una prospettiva di gran lunga più pericolosa: la guerra e l'arruolamento in Marina, decisione obbligata che implica lasciare i ragazzi e la moglie, Zoë, che tra l'altro è incinta.
Chiaramente, l'uomo non potrà tirarsi indietro dai propri doveri e questo getterà incertezza e paura circa la sua sorte. Del resto, si sa: la guerra toglie tanto, e non solo in termini di serenità, pace, cibo, comodità... ma, nei casi peggiori, può togliere anche la vita.

Rivediamo anche Rachel, sempre molto impegnata dentro e fuori casa, con i famigliari e con gli orfanelli; anche a lei e al suo rapporto speciale con l'innamoratissima Sid viene dato spazio tra queste pagine.

Se la comprensiva e rassicurante Sybil deve vedersela con una salute che la sta tradendo e col cumulo di emozioni e stati d'animo negativi legati alla malattia, le cognate hanno altro di cui occuparsi.

Villy vive male la vita coniugale: sotterrata ogni velleità artistica legata al ballo, giunta all'età che ha, con un marito sempre via (prima per lavoro, poi per la guerra), tre figli ormai grandicelli e l'ultimo ancora molto piccolo, chiusa in quella grande casa assieme a suoceri, cognate e nipoti, ha l'impressione che le sue giornate siano di un noioso incalcolabile.
A offrirle brividi e fantasticherie su possibili relazioni extraconiugali che la facciano sentire ancora una donna desiderabile, interviene un direttore d'orchestra, oggetto di una alquanto patetica infatuazione. 

Zoë non riesce a darsi pace dopo gli errori commessi e riprendersi dalla morte del bambino che portava in grembo non è facile; i sensi di colpa verso un marito così premuroso e pieno di attenzioni come Rupert l'hanno sfinita e logorata dentro. E proprio quando sembra che le cose si siano sistemate al posto giusto, arriva questa maledetta guerra, che porta Rupe lontano da lei e da Neville e Clary.
E se la felicità dura quanto un battito d'ali, le brutte notizie non di rado viaggiano lungo una linea telefonica: una brutta notizia, riguardante proprio Rupert Cazalet e la sorte cui è andato incontro in guerra, sconvolge tutti, Clary per prima, in quanto è colei che risponde al telefono.

Clary è una dei tre personaggi principali di questo romanzo; è un'adolescente molto intelligente, sveglia, una grande osservatrice, critica e pungente, sincera e senza peli sulla lingua, insomma ha un bel caratterino! Ama scrivere e tiene un diario su cui riporta osservazioni, pensieri e fatti, e che le serve per esercitarsi nella scrittura. Polly (sua coetanea) è la sua migliore amica e le due si confidano apertamente, ci sono sempre l'una per l'altra; questo rapporto molto stretto è un punto di riferimento per ambedue, che sono in fase di crescita e hanno in testa tante domande, perplessità, insicurezze, desideri, paure, aspettative, speranze che però nessun adulto riesce a comprendere davvero, né tanto meno si premura di aiutarle a risolvere eventuali interrogativi.

In questo senso, l'unica figura adulta che viene in soccorso alle ragazze è Miss Milliment, l'insegnante, che col suo fare fermo, saggio ed empatico si assicura la fiducia delle due ragazze.

Clary è apparentemente un tipetto sicuro di sé, quasi un maschiaccio dai modi spicci e dal grande senso pratico, ma nasconde anch'ella fragilità e timori.
L'abbiamo lasciata imbronciata e scorbutica verso la "matrigna" Zoë, ma qualcosa interverrà a cambiare il loro legame e a renderlo più sereno; a dire il vero, tra le due a maturare maggiormente sarà proprio Clary.

Neville continua ad essere un ragazzetto tutto pepe, vivace, che ne pensa sempre una delle sue, pronto a rispondere male tanto alle "femminucce" quanto a quei rompiscatole degli adulti. 

Polly è come la ricordiamo: riflessiva, mite, comprensiva, sempre pronta a dire parole di incoraggiamento a tutti (in particolare alla sua affezionata Clary, nonostante questa a volte sia scontrosa, ma Polly capisce che soffre per il padre); una cosa non le sta bene, però, e su quella riesce ad essere meno accomodante: che le si dicano bugie e la si tratti come una bambina. Non lo è, non più, e certe situazioni delicate le comprende forse anche meglio degli adulti e da loro vuole rispetto e considerazione.

E poi c'è Louise, la diciassettenne alla ricerca del proprio posto nel mondo, che desidera diventare un'attrice e decide di dedicarsi a questo nonostante la famiglia non la sostenga con entusiasmo; di lei, seguiremo l'amicizia con Stella (una compagna di collegio acculturata, dalla lingua sciolta e veloce a commentare ed esprimere giudizi su tutto), il lavoro in una compagnia teatrale e il sorgere dei primi sentimenti amorosi.

"Il tempo dell'attesa" è un romanzo caratterizzato proprio da un tempo, da un periodo in cui ciascun personaggio vive un po' come sospeso, (basti pensare al titolo originale: "Marking time", "segnare il tempo"), aspettandosi che qualcosa di importante accada, nel bene o nel male, e dia un corso decisivo a tutte quelle esistenze che gravitano l'una accanto all'altra - in questa villa di famiglia, come fuori (per chi la lascia temporaneamente).

"Si limitavano a infilare un giorno dietro l'altro senza che accadesse mai niente".


La Howard continua a guidare lo sguardo del lettore in questo piccolo cosmo famigliare, invitandolo ad osservare bene le relazioni marito-moglie (c'è la coppia ormai lontana, non innamorata, che sta insieme per inerzia e per una questione di rispettabilità; c'è quella matura, legata da un amore e da una complicità solidi; c'è quella poco equilibrata, in cui uno dei due è più immaturo; e poi le bugie, i tradimenti, i segreti...), le relazioni genitori-figli (i primi che vedono i secondi sempre bambini da accudire, da rimproverare, a cui ordinare questo o quell'altro; i secondi, al contrario, si sentono ad ogni stagione più grandi, più indipendenti e vogliono essere rispettati come soggetti pensanti e con dei sentimenti, e non come degli sciocchini incapaci di affrontare discorsi seri), quelle tra fratelli e tra amici; è presente la malattia e le reazioni dell'ammalato e dei suoi cari alla stessa (i silenzi, le difficoltà comunicative e il tentare di nascondere delle verità per proteggere l'amato dal dolore); la perdita di una persona cara e l'ineluttabile prova di affrontare questa situazione; non manca l'argomento spinoso degli abusi in famiglia (su di esso l'autrice non si sofferma in maniera estesa, tanto meno 
morbosa); l'affermazione della propria identità, il bisogno/desiderio di individuare e mettere a frutto i propri talenti, di disegnare il proprio cammino in questo mondo già di per sé spaventosamente grande e imprevedibile, reso ancor più complicato dalla guerra in corso, che contribuisce - essa per prima - a mettere tutti in attesa, inducendoli a starsene buoni in una sorta di limbo, aspettando - chi in modo più statico, chi dandosi da fare in ciò che ama - che i tempi migliorino, che i rumori di guerra cessino e che si possa tornare a vivere, ad organizzarsi l'esistenza, a programmare il futuro, a innamorarsi e fidanzarsi, a crescere figli, a trovare un lavoro, a imbandire la tavola come prima.

Il cibo - merende, colazioni, pranzi e cene - occupa, anche in questo libro, il suo bel posto, ma in maniera differente in quanto esso è visibilmente razionato e la povera cuoca deve fare i salti mortali per accontentare i padroni, maneggiando la materia prima a disposizione con parsimonia e perizia.
Una cosa è certa: guerra o non guerra, se ci sono ospiti improvvisi, "si aggiunge un posto a tavola" senza troppi problemi, anche un letto per dormire non manca, e in effetti gli ospiti sono una concreta possibilità davanti alla quale la Duchessa non può tirarsi indietro.

C'è sempre qualche personaggio esterno ai Cazalet che passa per casa a creare qualche dinamica in più: dai vecchi amici di famiglia a Jessica (la sorella di Villy) con i figli, tra cui Angela - che ha lasciato il "nido" per vivere da sola, esperienza sì necessaria per crescere ma ovviamente non priva di problemi e difficoltà legate, in particolare, all'amore - e il giovane Christopher, già conosciuto in precedenza per le sue posizioni di pacifista e che vivrà un periodo delicato dal punto di vista emotivo, ma il soggiorno a Home Place costituirà per lui una buona terapia ricostituente. 

E anche questo secondo libro della serie è filato liscio; come col primo, non posso dire di averlo letto trattenendo il fiato e di corsa, perché è una lettura che si gusta pian piano ed è proprio il ritmo languido e lento a richiederlo; la scrittura è sempre accurata, minuziosa,  attenta ai dettagli, capace di tenere il lettore concentrato su ciascun personaggio di volta in volta, senza dimenticare gli altri e senza creargli confusione.
Ci si affeziona ai componenti di questa famiglia inglese: ci fanno sorridere, emozionare, intenerire, scuotere il capo e, pur dalla nostra prospettiva privilegiata di spettatori esterni, ci sentiamo un po' Cazalet anche noi.

Riconfermo il mio parere sulla saga: da leggere, in special modo se vi piace il genere.
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