sabato 17 aprile 2021

Recensione: DOVE STA IL LIMITE di Raja Shehadeh



A chi gli chiedeva di cosa parlasse il suo libro, Shehadeh rispondeva "che era incentrato sulla perseveranza (sumoud) usata come strategia di resistenza civile. (...) Noi palestinesi avevamo deciso di rimanere dov’eravamo nonostante tutti gli sforzi da parte degli occupanti di renderci la vita difficile per spingerci ad andarcene."
In che modo l'occupazione israeliana lo ha colpito, incidendo sulla sua vita, la sua quotidianità, i suoi rapporti interpersonali e, in particolare, sulla sua amicizia con l'israeliano Henry?
Il giornalista palestinese ne parla tra queste pagine, raccontando le peripezie che ha dovuto attraversare all'interno di Israele per un periodo di quarant'anni, per visitare amici e familiari, per provare semplicemente a godersi il mare, per discutere davanti ai tribunali dell'occupante e negoziare accordi di pace fallimentari.



DOVE STA IL LIMITE
di Raja Shehadeh


Einaudi Ed.
trad. G. Garbellini
192 pp
Raja Shehadeh vive a Ramallah in Cisgiordania, è un avvocato che sin da giovane si è dato da fare per impedire il sequestro delle terre palestinesi e favorire la pace e la giustizia nella regione. 
Conosce Henry, un ricercatore ebreo canadese, e con lui stringe una sincera amicizia, che però negli anni incontra non pochi ostacoli,  riassunti in un'unica domanda, che tormenta e fa indignare Raja: come può Henry, che si dichiara suo amico, accettare con (complice?) rassegnazione la situazione insopportabile che i palestinesi vivono giorno per giorno nei Territori occupati da Israele? 
È vero, Henry condanna la politica colonialista del proprio Stato, egli considera i palestinesi suoi fratelli ed auspica la pace tra i due popoli... ma questa sua posizione a Raja risulta alquanto blanda, di chi ammette sì l'ingiustizia, a parole magari la condanna pure... ma la "lotta" inizia e finisce là, senza che ne segua alcuna concreta azione di protesta.

I due uomini ci provano ad essere amici lasciando fuori la "questione israelo-palestinese", ma come si fa? Quando la vita  diventa sempre più insopportabile nella Palestina occupata, è impossibile sfuggire alla politica e al passato. 

Ed è su questo limite che separa i due popoli, che si gioca e che vive quest'amicizia, inevitabilmente messa a dura prova e oscurata da una realtà che non poteva essere ignorata:

"L’occupazione si stava trasformando in un regime coloniale che ci privava della nostra terra e affidava le nostre risorse naturali, i nostri terreni e la nostra acqua ai propri cittadini. Influenzava le nostre vite in ogni modo, grande e piccolo, e restringeva le nostre prospettive. Per combattere questo stato di cose, noi palestinesi fummo costretti a cavarcela da soli. "

Raja lo sa che il suo amico non è, di certo, direttamente responsabile delle sofferenze del popolo palestinese, eppure con il continuo furto delle loro terre, le restrizioni sulla vita quotidiana e l’incessante creazione di insediamenti ebraici, gli risultava difficile tenere dissociato Henry da tutto questo.

Le persone che hanno deciso di restare sotto il dominio israeliano, sia nello Stato di Israele sia nei Territori occupati - seppur risparmiandosi la drammatica esperienza dell'esilio -, hanno esercitato uno sforzo non indifferente per costruirsi una vita sotto regimi che cercavano di cacciarli via e, ancor di più, per restare aggrappati alla propria identità di palestinesi; con Henry, Raja discute di 

"identità: di come Israele fosse riuscito a forgiarsi un’identità nazionale e la Palestina no. Di fatto, la Nakba aveva smantellato società palestinese".

Per la sua gente, non era stata solo una questione di perdite materiali (nel corso degli anni successivi alla Catastrofe del 1948 - la Nakba -, che vide circa 750 000 palestinesi costretti ad abbandonare le loro case, i villaggi arabi sono stati rasi al suolo) ma piuttosto della negazione della loro stessa esistenza come nazione.

La strategia delle autorità militari israeliane era volta a soffocare lo sviluppo palestinese, ad esempio rifiutando le autorizzazioni indispensabili alla costruzione delle infrastrutture necessarie agli investimenti e al progresso economico.

"La presenza ebraica in questa terra si è rivelata essere non soltanto culturale, come speravi tu. È una presenza coloniale."

Raja riconosce al proprio popolo una forza che poggia sulla capacità di sognare nonostante tutto, di rifiutare una realtà povera e difficile e di vivere come se tutto potesse cambiare da un giorno all’altro. Del resto, se non avessero coltivato questo pensiero, avrebbero abbandonato la lotta da tempo.

Leggendo, proviamo insieme all'Autore la sua (in)sofferenza nel camminare su quelle terre con la sgradevole sensazione di varcare il confine di territori a lui proibiti, e immaginiamo quanto sia difficile vivere nella terra in cui si è nati e vederla, da un certo momento in poi, costantemente occupata da migliaia di soldati che  attraversano città, villaggi e campi profughi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, "infrangendo le norme accettate sui diritti umani, fermando i passanti per umiliarli (come non di rado è capitato allo stesso Raja), percuoterli o arrestarli, sparando sui dimostranti disarmati e imponendo lunghi coprifuoco a intere comunità".

Uno dei punti cruciali, su cui insiste Shehadeh, è la necessità di ricordare: la memoria è un fatto politico in Israele e in Palestina e il  non voler ammettere le atrocità del passato è poi la chiave fondamentale (e forse anche la sola) per riconoscere i crimini commessi dai coloni ebrei.

"Nessuno può costruire la propria felicità a spese delle sofferenze altrui... (...) Non c’è pace che si possa costruire sull’occupazione delle terre altrui, altrimenti non sarebbe pace autentica... In tutta sincerità, vi dico che non ci può essere pace senza i palestinesi."


La narrazione si muove in un tempo piuttosto lungo, che va dal 1959 al 2013, e in uno spazio che va da Tel Aviv a Jaffa, dandoci un quadro nitido dell'evoluzione della situazione dei palestinesi nei Territori occupati e lo fa partendo da un'amicizia, che ora viene percepita come essenziale ed importante (troppo perché l'appartenenza a due popoli tra loro vicini ma nemici la spezzi), ora è reputata amaramente e con dolore un "lusso" che lui, Raja, non può permettersi.

Eppure, nonostante i dubbi, le lacrime,  le domande, il risentimento e l'irritazione  provata spesso verso l'amico e pur restando sempre lucidamente consapevole di come non possa ignorare la triste realtà quotidiana vissuta in Palestina, tra queste pagine emerge un ulteriore dato di fatto: anche nelle circostanze più cupe è possibile che i legami veri vadano oltre le divisioni politiche.

"Dove sta il limite"  ci racconta, con una scrittura personale, di cui avvertiamo tutta la tensione emotiva e la passione e la rabbia legate all'argomento occupazione, come un'amicizia in una terra divisa venga necessariamente influenzata; se così non fosse - se Raja non avesse, negli anni, visto, individuato e nominato le "crepe" nel suo rapporto con Henry, decidendo magari di viverlo senza troppi strascichi, con una leggerezza infantile, cieca, sciocca, di chi non chiama i problemi per nome e finge di non vederli per non dover discutere, litigare - ciò sarebbe indice di un legame debole, fiacco.
Ma così non è, evidentemente, e le fragilità di quest'amicizia nei tempi bui ne mettono in risalto la complessità, l'umanità, la forza, la sincerità, l'indissolubilità.

Shehadeh ci restituisce una cronaca appassionante e dettagliata degli effetti devastanti dell’occupazione anche negli aspetti più personali della vita quotidiana e lo fa con una penna lucida e vivida, alcune volte ironica e altre malinconica, ma sempre chiara, onesta e coraggiosa, che induce il lettore a chiedersi se tra coloro che oggi si considerano reciprocamente nemici l'un dell'altro, ci possa essere concretamente la prospettiva di un futuro comune insieme.

Una lettura molto interessante, che stimola a riflettere (e, chissà, magari a cercare notizie e ad informarsi personalmente) su una questione umana, sociale e politica che purtroppo non smette di essere attuale e oltremodo delicata e controversa.
Consigliato!!

4 commenti:

  1. Ciao Angela, non conoscevo il libro, non è molto il mio genere, ma l'argomento trattato è davvero interessante e trovo originale averlo sviluppato partendo dall'amicizia tra due persone!

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    1. ciao Ariel!! personalmente trovo sempre interessanti leggere storie vere, e in questo caso un fatto intimo - come un'amicizia - è assolutamente legato al contesto storico.

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  2. La questione palestinese sembra destinata a non aver mai fine. La guerra,la perdita degli affetti, le violenze, raccontano le storie di tante vittime e l'amicizia potrebbe rivelarsi un sentimento capace d'infondere la forza per andare avanti :)

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    1. Già, un dono prezioso nonostante le diversità :)

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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