martedì 19 marzo 2019

Le tue mani



Mani...

Grandi, 
per afferrare la mia mano.

Tenere, 
per accarezzarmi.

Forti, 
per rassicurarmi.

Calde, 
per farmi sentire il tuo amore.

Le tue mani, papà.


Recensione: IL POSTO di Annie Ernaux



La scrittrice francese Annie Ernaux tratteggia, in questo libro breve e autobiografico, la figura del padre, di quest'uomo prima contadino, poi operaio, infine gestore di un bar-drogheria in una città della provincia normanna, e lo fa con scrupolosità e senza cedere a inutili compatimenti e patetiche nostalgie.



IL POSTO
di Annie Ernaux



L'Orma  editore
trad. L. Flabbi
2014
 pp. 120
10 euro
"In seguito ho cominciato un romanzo di cui era il personaggio principale. Sensazione di disgusto a metà della narrazione. Da poco so che il romanzo è impossibile. Per riferire di una vita sottomessa alla necessità non ho il diritto di prendere il partito dell’arte, né di provare a far qualcosa di “appassionante” o “commovente”. Metterò assieme le parole, i gesti, i gusti di mio padre, i fatti di rilievo della sua vita, tutti i segni possibili di un’esistenza che ho condiviso anch’io."


Il romanzo si apre con la prova d'esame che la narratrice sta affrontando per poter diventare insegnante di ruolo, obiettivo che conquista.
Poco tempo dopo suo padre muore ed è proprio di lui che racconta in queste pagine, narrando al contempo anche di se stessa, delle proprie umilissime origini e del riscatto da quella esistenza "inferiore" ad una più "elevata", di classe.
E' forse proprio la consapevolezza (e il sentimento di frustrazione che ne deriva) di essersi "separata" dalla famiglia (non tanto fisicamente, quanto nei modi di essere, pensare, parlare...) a spingerla a scrivere di lui, di questo padre che per tutta la vita ha sentito, quasi come un prolungamento di sè, "un perenne senso di mancanza, senza fondo", "il timore di essere fuori posto", di sentirsi sempre inferiore, mai all'altezza.

La Ernaux parte dall'infanzia del papà, cresciuto con un genitore violento, nella povertà e con poche possibilità di poter avere un'istruzione perchè c'era bisogno di braccia per lavorare.
Da contadino ad operaio in fabbrica. e poi il matrimonio; Annie ricorda che tra i genitori non c'erano dimostrazioni d'affetto e tenerezza, tutt'al più frasi allusive (maliziose) che lei, bambina, non comprendeva.
A un certo punto i suoi genitori rilevano un'attività, un bar-drogheria sito in un ghetto operaio; un lavoro in proprio che essi portano avanti tra una preoccupazione e l'altra, consapevoli di come, man mano, il diffondersi di negozi più grandi e forniti togliessero lavoro a piccoli esercizi come il loro.

Eppure, nonostante le magre finanze, la famiglia riesce ad andare avanti e a non farsi mancare quanto meno il necessario, e a consentire all'unica figlia di proseguire negli studi.

Tra queste pagine conosciamo da vicino l'ambiente semplice da cui proviene l'Autrice, la madre intraprendente e soprattutto lui, il protagonista del libro, l'uomo e il padre di cui lei sta provando a parlare, ma fatica a farlo con naturalezza: 

"Scrivo lentamente. Sforzandomi di far emergere la trama significativa di una vita da un insieme di fatti e di scelte, ho l’impressione di perdere, strada facendo, lo specifico profilo della figura di mio padre."

La voce narrante ci porta quindi con sè nella casa dell'infanzia, nel negozio dei suoi, nel quartiere operaio in cui è cresciuta, e a quel continuo ripetere, tra le mura domestiche, che dopotutto a loro tre non mancava niente e c'erano persone ben più sfortunate al mondo.

Colpisce la lucidità dello stile narrativo della Ernaux, che evidenzia come i suoi genitori, nella loro semplicità di gente non ricca, non colta, non raffinata, abbiano sempre provato un grande senso di inferiorità che cercavano in tutto i modi di nascondere, perchè ostentarla (tanto più in presenza di gente "altolocata" e istruita) sarebbe stato ancora più umiliante, quindi bisognava mostrare sempre gentilezza, discrezione e far finta di non provare la vergogna che invece sentivano.

Nonostante il padre lamentasse l'eccessiva, a parer suo, dedizione della figlia per la scuola - reputandola una cosa non positiva, che quasi rendeva sua figlia un'alienata, un'adolescente strana -, l'ha assecondata nel proseguimento degli studi e anzi, col tempo, prese a raccomandarle di comportarsi bene a scuola per non farsi cacciare.

La narrazione non è volutamente "appassionante" e "commovente", anzi può sembrare fredda, troppo controllata, come se si parlasse di estranei e non dei propri genitori, ma del resto Annie è cresciuta con una madre e un padre molto avari di abbracci, parole affettuose, non è abituata a parlare di loro lasciandosi andare ed esternando sentimenti ed emozioni:

"Non sapevamo parlarci tra di noi senza brontolare. La gentilezza dei toni era riservata agli estranei."

Questo non significa che non ci sia emozione nel racconto, quanto piuttosto le "correnti emozionali" sono sotterranee, le si scorgono tra le righe.
Un padre privo di ironia ma comunque allegro, scherzoso, pratico, poco raffinato nel parlare, rozzo se vogliamo, che guardava quell'unica figlia crescere con il naso sempre infilato tra i libri, e intanto ella si allontanava sempre più dalla vita modesta e fin troppo sempliciotta dei genitori, dal loro essere sempre così "alla buona", e avvertendo una certa frustrazione di fronte a questo dato di fatto.
Quando ha incominciato a buttar giù questo scritto, si è sentita in bilico, a metà strada tra il voler riabilitare un modo di vivere considerato come inferiore, eppure felice, e il voler sottolineare l’alienazione che lo accompagna. 

Un libro che si legge davvero in poco tempo e per il numero esiguo di pagine e per la fluidità di stile; una narrazione minuziosa, chiara, raffinata e semplice insieme, che riesce ad avvicinare il lettore all'esperienza individuale e famigliare dell'Autrice, e che diventa un po' specchio dell'esperienza di ciascuno di noi.
Perchè ciascuno di noi ha un punto di partenza, un posto, dal quale proviene, delle figure di riferimento (solitamente i genitori) che hanno influenzato la nostra vita, nel bene e bel male, e nelle quali un po' ci ritroviamo e dalle quali talvolta sentiamo di voler prendere le distanze per provare ad andare oltre quei limiti che ci sono stati tramandati più o meno involontariamente.

Felice di aver letto qualcosa di quest'autrice, spero di leggere altro di suo.

lunedì 18 marzo 2019

IL FIORE DI MANDORLO



La primavera è praticamente arrivata, anche se non in via ufficiale ^_-
E la primavera è sinonimo di risveglio della natura, così oggi desidero soffermarmi sul FIORE DI MANDORLO, il primo a sbocciare in primavera e per questo simbolo della speranza e del ritorno alla vita da parte della natura; siccome sfiorisce in poco tempo, è anche simbolo di delicatezza e fragilità.
Nella Bibbia viene menzionato, il mandorlo; ad es., il profeta Geremia lo attribuisce alla rinascita; nell'Ecclesiaste, la vita è paragonata ai fiori di mandorlo, che subito appassiscono, nello stesso modo in cui la vita scorre velocemente!

Nella mitologia greca, il mandorlo è collegato all'attesa del compimento di una speranza e della costanza.

Diverse sono le versioni tramandate attorno alla vicenda della principessa Fillide (o Filli), figlia di Sitone, re della Tracia, trasformata in un mandorlo spoglio dalla dea Atena, per compassione, dopo essersi uccisa per il dolore temendo d'essere stata abbandonata da Demofonte, figlio di Teseo e di Fedra, il quale non era ritornato da lei nel tempo stabilito per le nozze.
L'albero rimase spoglio e sterile fino a quando l'eroe non ritornò in Tracia e venne a conoscenza del tragico destino di Fillide.
Allora egli andò ad abbracciare il mandorlo piangendo e le sue lacrime di pentimento si trasformarono in una nube di candidi petali che adornarono i rami della pianta, che così finalmente fiorirono, ma rimasero privi di foglie, come poi continuò a succedere all’annuncio di ogni primavera.

I fiori di mandorlo ispirarono anche più di una decina di quadri al pittore olandese Vincent van Gogh (1853-1890). Uno dei più famosi fu l’olio ‘Ramo di mandorlo in fiore’, dipinto a Saint Remy de Provence prima di morire, in occasione dell’annuncio della nascita del nipote Vincent Willem, figlio di suo fratello Theo.


(info prese da qui )


E adesso passiamo ad alcuni libri che, stando ai titoli, hanno a che fare con il mandorlo... o le mandorle ^_^


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Mandorle amare di Laurence Cossé.

Edith ha a servizio una domestica marocchina, Fadila, completamente analfabeta. La prima decide di insegnare all'altra a leggere e scrivere cominciando dall'alfabeto e pian piano tra loro si instaura un rapporto di amicizia e stima. La colta Edith entra in contatto con la vita di un'immigrata che ha passato una sofferta gioventù in Marocco e conduce una sofferta esistenza nel ricco Occidente. Eppure, nonostante gli stenti e le privazioni, la vita di Fadila emana dignità e consapevolezza, in una strana miscela di fatalismo arabo e buonsenso di madre di famiglia.



Miele amaro e mandorle dolci di Maha Akhtar.



Un giorno, davanti al salone di bellezza Cleopatra, la proprietaria Mouna incontra tre donne: tre donne di successo che, conquistate dall'atmosfera intima e accogliente di quel luogo, inebriate dal profumo di essenze di miele e olio di mandorle e coccolate dalle mani esperte di Mouna, poco a poco Lailah, Imaan e Nina si liberano di ogni ipocrisia e iniziano a confessarsi le loro paure più segrete.



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Martin Molin, collega di Patrik Hedström alla stazione di polizia di Tanumshede, ha raggiunto la fidanzata Lisette sulla vicina isola di Valö per una festa di famiglia; durante la cena il vecchio patriarca dall'immensa fortuna muore improvvisamente. Nell'aria si avverte un vago aroma di mandorle amare, e a Martin Molin non resta che cercare di far luce su quella morte misteriosa. Intanto, la violenta tempesta che agita le acque gelide dell'arcipelago non accenna a placarsi, e ogni contatto con la terraferma è interrotto. Sulle orme di Agatha Christie, in occasione dei suoi primi dieci anni di carriera, Camilla Läckberg ha dato vita a una serie di racconti che, tema a lei caro, indagano le complesse dinamiche familiari, combinando adorabili scene d'intimità domestica all'inquietudine di oscuri segreti del passato.

Come il vento tra i mandorli di Michelle Cohen Corasanti
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Palestina, metà degli anni cinquanta. Mentre il conflitto arabo-israeliano infiamma, Ichmad, dodici anni. e la sua famiglia sono costretti dall'esercito israeliano a trasferirsi in un misero fazzoletto di terra rallegrato soltanto da una pianta di mandorlo, unica fonte di sostentamento e ristoro. Quando il padre di Ichmad viene imprigionato con l'accusa di aver nascosto delle armi, Ichmad deve trovare un lavoro. Anno dopo anno, i suoi fratelli soccombono all'odio verso Israele, invece Ichmad lotta per dare un senso a ciò che lo circonda.


MUSICA

Quando vedo un mandorlo in fiore comincio a canticchiare una canzone di Nino Buonocore molto dolce, intitolata proprio IL MANDORLO.

Il mandorlo fioriva
Nel giardino della scuola
Io li vedevo entrare
E restavo fuori
Col pianto in gola
Un giorno se ne andava
Tra i richiami del mercato
E la tua fresca voce
Che non ho più scordato
La paura dei miei pensieri
Il desiderio di te
Di dividere con te i miei abbandoni
Noi distesi sulla sabbia
Quanta pioggia sui libri di scuola
E come è forte l'odore del mare
A febbraio


POESIA

DIMENTICA I MANDORLI IN FIORE

Dimentica i mandorli in fiore.
Non vale la pena In questa storia
Di ricordare ciò che non può ritornare.
Asciuga al sole i tuoi capelli bagnati:
languidi come frutti maturi brillino
umidi, grevi, i vermigli riflessi.
Amore mio, amore mio, 
siamo 
in autunno.


(Prigione di Bursa, 5 novembre 1945, Nazim Hikmet)




Il mandorlo è fiorito 


Questa notte - un miracolo pare
è passato qualcuno nell’orto: 
stavan mute le stelle a guardare. 
Non sembrava il bel mandorlo morto?
Non sembrava il bel mandorlo secco? 
Ma qualcuno con mano leggera 
ha posato farfalle a ogni stecco 
per poi ratto fuggire. 
Chi era? E stamane, nel chiaro mattino, 
un bambino riguarda stupito, 
e gli pare un sorriso divino 
quel bel mandorlo nuovo e fiorito. 

(T.Stagni)


Una poesia d'amore

Due giorni dopo la mia morte
verrò a prendere il caffè da voi.
Mi stenderò sul divano
a guardare il sonno dei gatti.
Poi andrò via
verso un mandorlo che sta per fiorire
verso il nido
di una formica.
Potrei perfino uscire
dall'universo come se fosse una casa
e poi tornare
scuotendo la neve caduta sull'ombrello.
Se veramente amiamo
un uomo, una donna, una rosa,
noi da vivi e da morti
possiamo fare ogni cosa.

(Franco Arminio)


Fonti:
Web
http://www.latecadidattica.it

domenica 17 marzo 2019

Segnalazione: L’ULTIMA CHANCE… di Ilaria Vecchietti



Cari amici, oggi vi propongo un breve racconto pubblicato dalla bookblogger Ilaria (blog: Buona lettura): si tratta di una sorta di monologo iniziale della protagonista, con un po’ di romanticismo e un finale apocalittico.



L’ULTIMA CHANCE…
di Ilaria Vecchietti


Self publishing con Amazon
USCITA: 13 marzo 2019
5,00€ (cart.)
0,99€ (ebook)
88 pp
Avete mai vissuto un amore impossibile? E nonostante questa consapevolezza gli siete stati sempre vicino, soffrendo in silenzio?

A Irene è successo, eppure sono stati gli anni più belli della sua vita.
Ora è riuscita a tornare a casa, tutto solamente per rivedere il suo unico grande amore.


BIOGRAFIA: Ilaria Vecchietti è nata il 19 Agosto 1988 in provincia di Vercelli, nella bella Valsesia, una lunga vallata percorsa dal fiume Sesia fino ai piedi del Monte Rosa.
Diploma di Ragioniere e Perito Commerciale, Laurea in Scienze dell’Amministrazione e Consulenza del Lavoro con una tesi in Diritto Penale del Lavoro.
Grazie a sua mamma è cresciuta in mezzo ai libri. Fin da piccola, quando le raccontava le fiabe, ha fatto in modo che si appassionasse alla lettura. Legge diversi generi, ma il suo preferito è il fantasy, in tutte le sue sfumature. Ha scoperto per caso che le piace anche scrivere, e da quando l’ha scoperto non si è più fermata nell’inventare storie e avventure.
Il suo romanzo d’esordio è L’Imperatrice della Tredicesima Terra (2016), edito Aletti Editori.
Si tratta di un fantasy autoconclusivo dove la protagonista, oltre salvare il suo mondo, deve ritrovare se stessa.
Da giugno 2016 ha aperto un blog letterario dal nome Buona lettura, dove pubblica principalmente recensioni dei libri che legge, ma non solo, segnala le nuove uscite (sia da parte di case editrici e sia di autori esordienti autopubblicati) e anche eventi librosi o interviste.
Il 24 luglio 2017 in collaborazione con Claudia Piano (autrice di molti romanzi, fra cui spicca Armonia Saga) e altri autori, ha pubblicato una raccolta di racconti fantasy facente parte del mondo di Armonia Saga, dal titolo Un giorno ad Armonia, (il suo racconto si intitola: La Sinfonia Incatenante).
Il racconto prende in prestito i personaggi inventati da Claudia e li porta in un mondo nuovo.
A novembre 2017 pubblica tramite Amazon il secondo romanzo fantasy: L’Isola dei Demoni.
Un'altra storia autoconclusiva dove le vite di vari personaggi si intrecciano e, superando il loro passato, dovranno salvare la loro terra.
Il 21 luglio 2018, sempre in collaborazione con Claudia Piano, esce la seconda raccolta di racconti fantasy Un giorno ad Armonia – Vol. 2 (il suo racconto si intitola: La Valle del Tempo Perduto).
Prendendo ancora in prestito i personaggi della saga di Armonia, Ilaria li coinvolge in una ricerca miracolosa per salvare il mondo della Musicomagia.
L’ultima chance… è il primo racconto di Ilaria che si discosta totalmente dal genere fantasy da lei prediletto e si avvicina al romance, sotto forma prevalente di un lungo monologo della protagonista, anche se il finale appartiene alla fantascienza apocalittica. Il tema principale rimane in ogni caso l’amore che vince su ogni cosa.

CONTATTI:


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Segnalazione Ferrari Editore: "DIO E IL CINEMA. Una vita maledetta tra cielo e terra" di Donato Placido, Antonio G. D’Errico



E' uscito a fine febbraio per Ferrari Editore il memoir Dio e il cinema. Una vita maledetta tra cielo e terra, un libro nato dal sodalizio umano e creativo tra Antonio G. D’Errico e Donato Placido.
La loro amicizia, che li ha visti firmare insieme molti progetti editoriali, ha dato vita a un profondo e sorprendente autoritratto di Donato Placido che, per la prima volta, racconta la sua parabola esistenziale.


DIO E IL CINEMA. Una vita maledetta tra cielo e terra
di Donato Placido, Antonio G. D’Errico 



Ferrari Editore
158 pp
16.50 euro
ISBN 9788899971748
L’attore e poeta Donato Placido (fratello del noto Michele) racconta la sua parabola esistenziale, fatta di celluloide, inchiostro e spiritualità, in un libro nato dal sodalizio creativo con l’amico scrittore Antonio G. D’Errico. 

Il racconto si dipana sulla scia di toccanti ricordi e riflessioni: dagli anni trascorsi in famiglia, in Puglia, a quelli della formazione attoriale a Milano, per arrivare all’incontro con il mondo del piccolo e grande schermo. 
E poi, il legame umano e artistico con il fratello Michele, con attori e registi come Tinto Brass, Marco Bellocchio, Riccardo Scamarcio, i retroscena inattesi sui set. 
E ancora, la passione per la poesia, le scelte anticonvenzionali, le contraddizioni apparentemente discordanti, i momenti bui, impressi nella memoria, trasformati in luci della coscienza. 
Gli eventi privati si compenetrano così con quelli pubblici, in un lucido amarcord, tra passato e presente, che a tratti ricorda un romanzo intimista, a tratti un pamphlet di denuncia contro le ingiustizie, a tratti, infine, Dio e il cinema si fanno rifugio taumaturgico di una vita maledetta tra cielo e terra. 

Il volume è accompagnato dai testi introduttivi di Michela Zanarella e Antonio Pascotto. In copertina Donato Placido (dx) sul set di Io, Caligola, di Tinto Brass, con Malcolm McDowell.

Gli Autori.
Donato Placido, attore, scrittore e drammaturgo. Fratello del noto Michele, ha lavorato in fiction televisive di successo come Il “fauno di marmo”, “L’ultimo padrino”, “Romanzo criminale”. Nel mondo del cinema ha recitato in diversi film, tra cui “Io, Caligola” di Tinto Brass, “L’ora di religione” di Marco Bellocchio, “Il mattino ha l'oro in bocca” di Francesco Patierno, “Tre giorni dopo” di Daniele Grassetti, “Ovunque sei” diretto dal fratello Michele. Ha scritto e interpretato raccolte di poesie, romanzi e testi per il teatro.

Antonio G. D’Errico, scrittore, poeta e sceneggiatore, nasce a Monteverde e vive a Milano. Autore di romanzi, come “Montalto. Fino all’ultimo respiro” (G. Laterza) e “Morte a Milano” (Macchione Editore), ha vinto, tra gli altri, il Premio Pavese per ben due volte. Nel 2011 lavora, con Eugenio Finardi, al libro “Spostare l’orizzonte. Come sopravvivere a quarant’anni di vita rock” (Rizzoli), seguito nel 2012 da “Segnali di distensione, incontri con Marco Pannella” (A nordest). Nel 2015 scrive “Je sto vicino a te”, biografia di Pino Daniele, scritta con Nello Daniele, fratello del cantautore partenopeo (Mondadori)
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sabato 16 marzo 2019

Pillole di curiosità su... "La casa di vetro"



Di recente ho recensito il romanzo LA CASA DI VETRO di Simon Mawer che, come suggerisce il titolo, ruota attorno ad un edificio particolare, originale e innovativo rispetto all'epoca in cui è stato costruito; l'Autore ha preso spunto per la "sua" glass room da una villa vera, la Tugendhat House, che si trova davvero a Brno  (nel libro è chiamata Mesto) nella Repubblica Ceca e che fu progettata da Mies van der Rohe.

Mawer si è lasciato catturare dal fascino ipnotico della villa da lui visitata per la prima volta nel 1994. Mentre era in piedi all'interno di stanze che sembravano non aver subito alcun cambiamento dagli anni '30, in un edificio che fino ai nostri giorni rimane una pietra di paragone per il design modernista, è stato per lui naturale pensare: "C'è una storia qui".  Da scrittore di fiction qual è, la storia che avrebbe raccontato sarebbe dovuta essere una sua personale ed originale creazione piuttosto che la vera storia della famiglia che ha costruito la Casa.
Ad ispirarlo, inoltre, la convinzione che il programma modernista, cresciuto negli anni Venti, fosse molto nobile, che portasse avanti un'idea di progresso, di uguaglianza, universalità,  di internazionalismo. Del resto, è già sorprendente in sè la creazione di uno stile artistico-architettonico che non derivi da una particolare società o cultura.

La Tugendhat House non è mai stata usata come centro di biometria (come accade invece alla Landauer House nel romanzo) - sebbene la biometria di cui narra Mawer fosse esattamente il genere di cose che gli scienziati tedeschi (e non) stavano facendo negli anni '30 e '40. Per quanto riguarda l'essere stata resa un museo, è tutto reale ed è esattamente quello che è successo alla casa.

Ho letto in web che in questi giorni esce il film in lingua originale, diretto da Julius Ševcík e prodotto da Rudolf Biermann di InFilm Praha; sarà protagonista, tra gli altri, Carice van Houten, Karel Roden, Hanna Allstrom, Claes Bang, Alexandra Borbèly.




Fonti consultate per il post:


  • Elena Pirazzoli, La storia nei muri. Villa Tugendhat a Brno, in “Clionet. Per un senso del tempo e dei luoghi”, 1 (2017) [16-10-2017]. http://rivista.clionet.it/vol1/societa-e-cultura/architettura/pirazzoli-villa-tugendhat.
  • http://www.archidiap.com/opera/villa-tugendhat/
  • https://www.radio.cz
  • https://www.eurozine.com
  • http://it.feedbooks.com/






tugendhat house
(Wikimedia Commons)

giovedì 14 marzo 2019

Recensione: LE PAROLE DI SARA di Maurizio De Giovanni



La donna invisibile, dai capelli grigi e dall'aspetto insignificante, è tornata, impegnata in un nuovo caso che vede coinvolta una sua vecchia conoscenza e che la mette di fronte alla scelta se seguire il cuore o la ragione.


LE PAROLE DI SARA
di Maurizio De Giovanni



Ed. Rizzoli
LINK LIBRO
368 pp
19 euro
Dal 12 marzo
“Sara era un animale pericoloso. Di quelli che sembrano innocui e per questo sono molto più feroci e letali delle belve che ruggiscono. Era una donna di molti silenzi, ma adesso aveva scoperto di custodire parole nascoste che dicevano tanto di lei, anche senza essere pronunciate, proprio come quelle che era abituata a leggere negli altri.” 

Sara Morozzi e Teresa Pandolfi sono due ex-colleghe; hanno fatto parte entrambe, per anni, di un'unità segreta impegnata in intercettazioni non autorizzate.

Sara ha un “dono” particolare, che l’ha sempre resa unica e necessaria nel suo lavoro e per la sua squadra: lei è la donna che sa sa rubare i segreti delle persone, leggendo le loro labbra, anche quando si tratta di semplici mormorii, di frasi appena sussurrate, anche quando il limite per la decodifica delle parole è un filmato di pessima qualità con immagini sgranate e poco nitide; non solo, ma Sara è esperta anche nell’interpretazione del linguaggio non verbale. A lei non sfugge nulla, non c’è sopracciglio inarcato o un gesto apparentemente insignificante o uno sguardo attraversato anche soltanto per un secondo da un’emozione forte, che passi inosservato. È nata per leggere i dettagli, Sara; ti legge dentro: la tua faccia, il tuo corpo e i segnali che mandi attraverso essi, fanno di te un libro aperto per lei. Una donna così non può che far carriera in polizia, no?

Eppure Sara è attualmente in pensione ed è convinta di essere fuori dai giochi; da quegli sporchi giochi che l’hanno sommersa per trent’anni di fango e melma, di tutto il marcio che può nascondere l’esistenza di un essere umano, con i suoi segreti, le sue viltà, i suoi amori, i tradimenti, le preoccupazioni di tutti i giorni o i guai grossi in cui è capace di infilarsi. Cose private di cui lei (insieme ai suoi colleghi) veniva a conoscenza tramite le intercettazioni e che la trascinavano inevitabilmente nelle brutture, nelle menzogne e nelle malefatte di cui tanta gente si macchia ogni giorno e che lei aveva il compito di smascherare.

Sara non fa più parte di tutto questo. Dopo aver perso l’amore della sua vita, Massimiliano, morto recentemente a causa di un male incurabile e dopo atroci sofferenze, la donna si sente demotivata, svuotata, inaridita e priva di voglia di vivere.

E il suo aspetto lo dimostra, del resto. Capelli grigi, abbigliamento poco curato e dimesso, a volte ai limiti della sciatteria, volto sempre struccato: Sara continua a nascondersi dietro il proprio intenzionale anonimato, dietro quell’invisibilità che l’ha sempre seguita come un’ombra (o una maledizione?) e che racchiude la sua volontà di non voler indossare alcuna maschera, alcuna finzione.
E poi, per chi deve farsi bella?
Il suo grande amore è morto e le manca così tanto che vivere è diventato un peso ormai; il fantasma di quest’amore distrutto dalla malattia la perseguita giorno e notte.
E accanto ad esso ce n’è un altro: quello di Giorgio, suo figlio, morto qualche mese prima in seguito a quello che sembrava un normale incidente…

Giorgio: il figlio abbandonato e che non l’ha mai perdonata per non esserci stata. Sì, perché Sara si è innamorata di Massi pur essendo sposata e mamma del piccolo Giorgio; e lei, che tutto è fuorché un’ipocrita, ha lasciato marito e figlio per vivere il proprio legame con Massi, e non se n’è mai pentita, nonostante le sue scelte le abbiano fatto guadagnare l’etichetta di “madre snaturata”.

Eppure, nonostante il dolore per la perdita degli unici uomini che lei abbia mai amato, la vita le sta offrendo una seconda possibilità attraverso Viola, l’ultima compagna del figlio, che ha partorito da pochi mesi il bimbo di Giorgio. Il nipote di Sara Morozzi.

Sara è abituata a rubare le parole altrui e non a manifestare le proprie…,; è riservata, silenziosa, sfuggente, mostra il lato più duro e metallico di sé, eppure quel nipotino (la “nuora” l’ha chiamato Massimiliano, come il compagno di Sara) le infonde tenerezza, speranza… e motivazione.
La motivazione a contribuire affinchè il mondo sia un po’ più “pulito”, libero da certa gentaccia che lo imbratta con la propria disonestà.
È per questo che, nonostante le perplessità, accetta una “missione” affidatale dalla vecchia collega ed amica Teresa?
Perché proprio lei, Sara, che sta cercando di uscire dalla propria solitudine e da un doloroso letargo emotivo?

Le due donne sono sempre state l’una l’opposto dell’altra ma si sono sempre capite al volo perché le proprie capacità erano (e sono) complementari.
“Che strana magia, che potere occulto il tempo e il lavoro avevano conferito alle due donne: quello di sentire, di interpretare i segni, di distinguere le parole in un ronzio sommesso che il resto della gente non avrebbe nemmeno riconosciuto come una conversazione.”

Ma per il resto, più diverse non potrebbero essere, a cominciare dall’aspetto fisco per finire con la personalità.

Là dove Sara Morozzi è bruna (o meglio, era, da giovane, ora è ingrigita) e veniva soprannominata Mora, l’altra è bionda (ed è infatti chiamata Bionda); se la prima è poco curata nel vestire, si imbruttisce di proposito, è un tipo di cui non ci accorge in mezzo alla gente, l’altra è invece sempre vestita di tutto punto, curatissima nell’aspetto esteriore, piacente; Sara fa vita da reclusa, Teresa cambia uomini (e tutti molto giovani) quasi ogni notte: inquieta, terribilmente sola, inacidita e indurita da un lavoro (è lei adesso il capo dell’unità segreta, al posto di Massimiliano) che toglie spazio alla vita intima, alla voglia di farsi una famiglia, di costruire legami duraturi, crede di trovare nel sesso occasionale una valvola di sfogo per sentirsi viva.

Ma, superati i 50, evidentemente il suo sesto senso s’è un po’ appannato perché anche lei, come già la Mora anni prima, sta facendo i conti con quel sentimento travolgente e spiazzante che si chiama Amore.
E Cupido le ha fatto commettere un errore: si è fatta ammaliare dagli occhi e della bellezza di Sergio, un giovane e fascinoso ricercatore, che lei ha introdotto come stagista nell’unità di cui è a capo.
Ma dopo una notte di fuoco, l’indomani il ragazzo sparisce senza lasciare traccia, e a lei non resta che chiedere aiuto all'amica di un tempo.

Così Sara, la donna invisibile, torna sul campo, ma non è sola: insieme a lei ci sono il goffo ma buono e disponibile ispettore Davide Pardo (col suo fedele, grosso e incontenibile cane Boris) e Viola, la “nuora” alla quale non sfugge nulla quando ha in mano la sua macchina fotografica.

Sara indaga, fa domande, osserva ogni particolare, legge silenzi, sguardi, gesti…, e pian piano capisce che dietro la scomparsa di Sergio si nascondono intrallazzi e interessi di uomini potenti, che se venissero fuori rischierebbero di destabilizzare i più alti livelli degli apparati di pubblica sicurezza.
Ma più i “panni sono sporchi” e più Sara sa cosa deve fare.

“Sara era brava, la più brava. Sembrava una donnetta sciatta e insignificante, invece era la donna invisibile; ed era affilata come una lama, perché non aveva scrupoli. E neanche legami, o troppa voglia di vivere. Soprattutto, non aveva bisogno di alibi, perché non le serviva alcun movente. Una giustiziera perfetta, insomma.”

Insieme alla protagonista e ai suoi fidi collaboratori, scopriamo cosa è successo a Sergio, chi è coinvolto e qual è la posta in gioco per difendere la quale gente senza scrupoli è pronta a commettere atti criminali.

È la prima volta che leggo questo Autore e devo dire che mi è piaciuto molto: lo stile è davvero molto fluido e scorrevole, c’è un’analisi dei personaggi principali profonda, puntale, intima; simpatici i bisticci tra Pardo e Viola (qui gatta ci cova…), che danno attimi di leggerezza a una storia nera, in cui, insieme a Sara, il lettore deve fare i conti con la parte oscura e sporca che c’è nell’Uomo.

Mi è piaciuta la protagonista perché tra queste pagine cambia, evolve in alcuni aspetti della personalità, pur restando sempre la donna “che da lontano riusciva a leggere sussurri, a distinguere passioni celate da un semplice gesto e sentimenti racchiusi in un’espressione sfuggente”.

Ma la vicinanza di affetti nuovi e veri aprono uno spiraglio di luce, vita e speranza nella sua esistenza spenta e tormentata dal passato.
Sara allora non è soltanto colei che deve carpire le parole altrui, che deve continuare a nascondersi dietro terribili silenzi: anch'ella ha delle parole da pronunciare e se c’è qualcuno che sa intuirle e “leggerle”, ciò significa che queste parole esistono e lei è ancora in tempo per dirle.
Un noir con una protagonista femminile che non è una super donna, anzi: ha le sue sconfitte personali da accettare, hai i suoi gravi errori con cui fare i conti, la sua solitudine,  rimorsi e rimpianti pronto a tormentarla, ma che nonostante questo non ha ancora ammainato la bandiera.

Bello, lo consiglio e al più presto colmerò la lacuna di “Sara al tramonto” (precedente romanzo).
Ringrazio l'Ufficio Stampa della Rizzoli per la copia in pdf.

mercoledì 13 marzo 2019

Recensione. DEVORA di Franco Buso



Fantasia e realtà sono il mix alla base di questo romanzo storico che, partendo dalla "maledizione dei Templari" pronunciata (secondo quanto narra la leggenda) dal Gran Maestro dell'Ordine Jacques de Molay, narra le esistenze avventurose di due donne eccezionali (madre e figlia), protette dai Cavalieri Templari e con il dono della chiaroveggenza; due donne libere, generose e determinate che saranno spettatrici (in prima linea) di eventi storici particolari.


DEVORA
di Franco Buso



SATT
364 pp
10.90 euro
E' la sera del 18 marzo 1314 e sull’isola dei Giudei (poco distante dall’Ile de la Cité), poco distante dalla cattedrale di Notre-Dame, sta per essere eseguita la condanna a morte di due uomini innocenti.

E' il re di Francia Filippo IV il Bello a volere la morte al rogo di  Jacques de Molay, Gran Maestro dei Templari, e di Geoffroy de Charnay, precettore di Normandia, i quali, arrestati qualche anno prima (insieme agli altri Cavalieri) con l'accusa di eresia, apostasia, idolatria, blasfemia e sodomia, avevano prima confessato di essere colpevoli per poi ritrattare e sostenere di aver confessato solo in quanto sottoposti a torture indicibili e disumane.
La folla è accorsa nei pressi della pira allestita per l'occasione, bramosa di assistere al truce spettacolo...
E ciò cui assistono è un uomo - Jacques de Molay - pieno di dignità e calma, che chiede di avere le mani slegate per poter congiungerle in un'ultima preghiera a Dio.
Mentre il boia appicca il fuoco e le fiamme si levano, prima che avvolgano il Maestro, questi lancia una ferma e accorata invettiva contro coloro i quali hanno inflitto sofferenze inaudite ai Templari, sopprimendone l'Ordine con infamanti accuse (che in realtà celano solo l'avidità e la brama di potere del re), vale a dire lo stesso sovrano Filippo IV, il papa Clemente V (un burattino nelle mani di Filippo, incapace di schierarsi dalla parte della verità): ad essi dice che compariranno entro un anno davanti al tribunale di Dio per ricevere il castigo che meritano.
In particolare, il papa sarebbe morto entro 40 giorni, il re entro la fine dell'anno; inoltre, la casa reale francese sarebbe caduta definitivamente entro la 13^ generazione e "quel papato" sarebbe cessato entro 700 anni dalla morte del Maestro.

La folla è sbigottita nell'udire una tale nefasta e precisa profezia; ma in mezzo a loro c'è una ragazza di soli 15 anni, dai magnifici occhi color oro, che fino a pochi minuti prima ha guardato negli occhi quell'uomo morente per infondergli coraggio; ella crede fermamente alle parole del Templare. 
La giovinetta si chiama Devora ed è una donna speciale, la cui vita sarà un'avventura senza sosta e incredibile.

Dal 1314 facciamo un salto indietro, al 1288, quando Miriam, la madre di Devora, aveva solo 7 anni. 
La piccola Miriam, nata in Palestina, è appena rimasta orfana a seguito dello sterminio della sua famiglia da parte dei Mamelucchi; la famiglia di un conoscente - il falegname Ephraim -  decide di prendersene cura e la portano con loro da Gerusalemme ad Acri.
Miriam è una bimba generosa e forte, si fa voler bene e instaura un bellissimo legame con la figlia di Ephraim, la dolce e assennata Jochebed, tanto che le due col passare del tempo si sentiranno unite come sorelle.
Miriam, nell'attraversare il deserto di Giuda, viene punta da uno scorpione il cui veleno possiede poteri straordinari; non solo la bimba non muore, ma i suoi occhi cambiano colore (le iridi assumono sfumature giallo oro) e da quel momento ella comincerà a sentire voci interiori e ad avere visioni legate a cose future, che lei riesce a "prevedere".
Ovviamente Miriam è confusa all'inizio e non sa come interpretare questi "segni", cerca di non pensarci ma col tempo dovrà fare i conti con la realtà: ha il dono della chiaroveggenza, e purtroppo non sempre questo si rivelerà una cosa positiva, tutt'altro...
Solo Jochebed, attenta e intelligente, si accorge subito che la sua "sorellina" è cambiata, che ha ricevuto un dono speciale in seguito alla puntura.

Quando ha solo nove anni la giovanissima Miriam va a servizio del templare Jacques de Molay, che la prende sotto la sua ala protettrice, così che la bimba si trasferisce a Cipro (lasciando a malincuore la sua amata "sorella" Jochebed e tutti i suoi cari) per lavorare per lui, entrando a far parte della numerosa "famiglia dei Templari", che avranno sempre verso di lei un atteggiamento di stima, affetto e protezione.

Sembra che la vita della bambina finalmente sia felice ma ci sono delle voci dentro di lei che la turbano, e ben presto Miriam si ritrova a vivere una nuova tragedia; a sette anni ha perso i genitori naturali, a dieci perde la famiglia acquisita: Jochebed (che ha appena partorito la piccola Devora) e tutta la sua famiglia vengono brutalmente uccisi dai mori.

Miriam è nuovamente orfana e sola al mondo, se non fosse per la protezione di Jacques, che viene nominato Gran Maestro dell'Ordine.
Anche su di lui la piccola ha avuto, una notte, una brutta visione, che non sa spiegarsi e che ha che fare con la lontanissima Parigi che, è sicura, un giorno visiterà.

Dopo il dramma di aver perso i propri cari, Miriam cresce in seno all'ordine dei Crociati, imparando a impugnare la spada, a cavalcare, matura una personalità tenace, forte, combattiva, pur restando una ragazzina buona, dolce e sempre affabile, tanto da catturare le simpatie di chiunque la conosca.

La sua esistenza è sempre costellata da sensazioni cui non sa dare un nome, ma che comunque sono molto decise e parlano al suo cuore e alla sua mente, condizionandone le azioni, le decisioni, gettandola ora nello sconforto ora nel dubbio.

A un certo punto decide di andare a Parigi, non prima però di aver "dato una mano al destino", così da restare incinta di una bambina speciale come lei, e che chiamerà Devora.

Seguiamo la giovane Miriam nel suo peregrinare, approdando nella suggestiva Venezia (dopo essere sopravvissuta ad un naufragio) e finalmente a Parigi; affronterà pericoli, incontrerà molte persone, uomini e donne, che subiranno il suo fascino semplice e misterioso insieme, offrirà, con l'altruismo che le è proprio, il suo prezioso e saggio aiuto, soffrirà perchè la vita continuerà a strapparle affetti cari e preziosi, prenderà a cuore le sorti di Jacques (cui è unita da un filo importante), e intanto tirerà su una figlia speciale quanto lei, la bella Devora, che ha ereditato dalla mamma gli occhi gialli e la capacità di "prevedere" eventi futuri.

L'Autore, attraverso queste due donne - Miriam e Devora - ci immerge in un periodo storico  particolare (il Medioevo), denso di avvenimenti, combattimenti, sangue, morte, tradimenti (del resto, tutta la Storia è fatta di questo, no?), ingiustizie, in cui il Papato esercitava un'influenza molto forte, allargando le proprie sfere d'interesse dal campo religioso a quello politico; un periodo in cui ci voleva poco per essere accusati di stregoneria ed eresia, in cui l'Inquisizione mieteva le sue vittime (per lo più innocenti) e tra queste c'erano appunto i Templari.

Da un certo momento in poi, la prima protagonista, Miriam, diventa secondaria rispetto alla seconda, sua figlia Devora; comprendiamo che le loro vite sono strettamente legate alla inquietante profezia dell'ultimo dei Templari e come alle due donne - in particolare alla seconda - interessi assicurarsi che esse si realizzino, affinchè, in un certo qual modo, l'innocente de Molay riceva giustizia.
E Devora soprattutto farà in modo che ciò avvenga.

Durante la lettura mi sono ritrovata davanti a luoghi, fatti, personaggi storicamente documentati che però si collegavano man mano, attraverso tutta una serie di circostanze e coincidenze ben incastrate dall'Autore (le date contano molto) a fatti e personaggi fittizi, di cui Devora è la principale protagonista; così alla ragazza si accosteranno figure storiche notevoli, da Giordano Bruno a Giovanna D'arco, da Luigi XVI agli ultimi papi a noi contemporanei.

Non c'è solo la mescolanza di elementi inventati con un contesto storico reale (e ben ricostruito), ma dai primi capitoli viene inserito l'elemento sovrannaturale della chiaroveggenza, cui si affiancherà un altro elemento "miracoloso", sovrumano (anch'esso conseguenza della puntura dello scorpione) e che permette alla protagonista di attraversare epoche tra loro lontane...!

La presenza dell'aspetto "paranormale" un po' mi ha spiazzato (in special modo nella seconda parte della storia, riservata maggiormente a Devora) perchè chiaramente è surreale, però proseguendo nella lettura ho trovato fosse un artificio narrativo interessante e godibile, che nonostante desse un'atmosfera quasi "fantasy" al romanzo, rendesse le vicende più vivaci, soprattutto in vista degli ultimi punti relativi alla maledizione dei templari, parecchio distanti dal 1314, dal punto di vista temporale.

Le due protagoniste sono donne con un carattere volitivo, deciso, uno spirito "guerriero", impavide, coraggiose ma comunque molto femminili, sensibili, piene di amore e tenerezza e mi sono piaciute molto; le vicende relative ai templari mi hanno sempre incuriosita, altrettanto il periodo medievale, quindi l'ambientazione storica l'ho trovata bella e ben descritta.
Leggere questo libro è stata una sorta di viaggio nel tempo; l'Autore ha una scrittura chiara, precisa, il ritmo si mantiene costantemente scorrevole; ho apprezzato la conoscenza del contesto storico e l'immaginazione dello scrittore nel trovare collegamenti tra il reale e ciò che non lo è.

Se vi piacciono i romanzi storici in cui la realtà si confonde con la fantasia, credo proprio che questo romanzo possa piacervi!

martedì 12 marzo 2019

Spazio Autori Emergenti: COSI' VENNE LA NOTTE di Francesco Morga (segnalazione)



Carissimi lettori, la fine del mondo è vicina... ma tranquilli, solo sulle pagine di questo romanzo che sto per presentarvi :-)



COSI' VENNE LA NOTTE
di Francesco Morga



Casta Editore
Genere: horror

308 pp.
13.50 €
Quando l’ultima grande notte scese sulla Terra, la battaglia finale tra Lui e L’Altro ebbe inizio. 
Al centro l’umanità, in fuga dai demoni sotto un cielo sull’orlo del collasso.

L’Apocalisse si presenta come un Vaso di Pandora impossibile da richiudere. 
Se ne renderanno conto Alessandro, Laura, Giovanni, Davide, Angela e Andrea, vittime e carnefici di loro stessi, imprigionati in un labirinto di macerie e orrori alla ricerca di una salvezza che non esiste. 
O forse sì?

L'autore.Francesco Morga, classe 1983, è laureato in Lettere e specializzato in Filologia Moderna presso l’Università degli Studi di Bari. Autore di narrativa e poesia, blogger casuale, è appassionato di horror, libri, musica, cinema e serie TV. Parla delle sue passioni sul web da sempre. Si definisce un “collezionista di cose inutili”. Così venne la notte è il suo primo romanzo.



Link utili: 


IBS      AMAZON


lunedì 11 marzo 2019

Recensione: EDUCAZIONE EUROPEA di Romain Gary



Un libro in cui regnano la morte, il tradimento, la miseria, lo sfruttamento... e accanto ad essi la speranza, la libertà, il desiderio di combattere per un mondo meno ingiusto in cui "ci sarà musica, ci saranno libri, ci sarà pane per tutti e calore fraterno. Non più guerre, nè odio".


EDUCAZIONE EUROPEA
di Romain Gary


Ed. Neri Pozza
trad. M. Nardi
271 pp
13.50 euro
“nessuna cosa importante muore”

"Se non esistesse il cuore dell’uomo, 
non ci sarebbe disperazione sulla terra."


Siamo in pieno conflitto mondiale e tra queste pagine Romain Gary (scritte quando era aviatore delle forze alleate durante la seconda guerra mondiale) ci racconta la storia di un gruppo di resistenti polacchi, la loro "piccola guerra" contro il nemico, contro i tedeschi che questa sporca guerra l'hanno voluta, i loro sogni, le loro speranze, i litigi e i momenti di amicizia e, seppur rari, di tenerezza, e ancora i loro ideali, le loro piccole e grandi miserie e i compromessi che la guerra esige. 
Uomini e donne che ogni giorno devono cercare di sopravvivere e resistere, per affermare anche nel dolore e negli stenti che neppure la guerra, con i suoi cumuli di macerie (materiali e morali) è in grado di spezzare la speranza e l'attaccamento alla vita.

Il personaggio centrale del romanzo è Janek, un ragazzo di 15 anni che ha trovato rifugio nella buca scavata col padre, il quale un giorno se ne va (dicendogli di andare dalla moglie) per non tornare mai più, lasciandolo solo e senza alcun punto di riferimento; però prima di andar via, gli suggerisce di cercare i partigiani, nel momento in cui le riserve di cibo della buca fossero terminate.

E così avverrà: a un certo punto il ragazzo si vede costretto a lasciare il suo rifugio e ad inoltrarsi nella foresta, in cerca del gruppo di partigiani.
Conosce così tante persone - uomini e donne -, in particolare Dobranski, lo studente (che intrattiene i suoi compagni leggendo loro pagine tratte dal libro che sta scrivendo, sempre incentrato sulla guerra  e il cui titolo è proprio "Educazione Europea") e Zosia, una ragazza che dà il proprio contributo alla causa partigiana seducendo i soldati tedeschi, concedendosi a loro e cercare di carpire più informazioni segrete possibili, così da trasmetterle poi ai compagni.
Tra i due nasce un sentimento puro, innocente, tenero, che aiuta entrambi ad affrontare l'orrore della guerra, della fame, delle umiliazione cui le va incontro in quanto spia.

Attraverso Zosia, Janek conosce l'amore, attraverso Dobranski il culto della libertà e dai compagni di lotta, la semplicità di chi combatte per un ideale. 

Janek resta tre anni con i partigiani e in questo tempo cresce, da ragazzo approda - e con quanta durezza! - all'età adulta.

La cosa che colpisce del giovane protagonista è che, pur nella spietata durezza del combattimento clandestino, nonostante il freddo e gli stenti, il tradimento, l'orrore e la morte, egli non si lascia andare all'odio; questo non significa che anche lui non si adeguerà alla lotta e non si troverà a dover sparare, uccidere, a far scattare un detonatore..., ma non perderà mai la sua umanità, restando in grado di apprezzare l'arte, la letteratura, la musica, di immaginare un mondo in cui gli uomini non si faranno più la guerra

Ed infatti da ogni riga di questo romanzo di formazione e sulla guerra emerge prepotente "il grande sogno": che dalla resistenza comune ai popoli oppressi dal nazismo, non solo sorga il sentimento di una solidarietà europea ma che «l'ultimo stato sovrano crolli ai colpi dei patrioti europei» e «si spenga nel mondo l'eco dell'ultimo canto nazionale».

Un mondo in cui non ci saranno più questi conflitti tra popoli, ma dove tutti si impegneranno a costruire un mondo nuovo, felice, dal quale il timore e la paura saranno banditi per sempre. 

"Tutta l’Europa sarebbe stata libera e unita; ci sarebbe stata una rinascita spirituale più feconda e costruttiva di quanto l’uomo, nei suoi momenti più ispirati, avesse mai potuto sognare..."

E' un libro sulla guerra che contiene una galleria di eroi comuni, di cui probabilmente ricorderemo più che i nomi, il loro combattere coraggiosamente per la libertà.

Gary ci fa riflettere sulla guerra, sulla sua bruttezza e crudeltà, e su quanto siano stupidi gli uomini nel farsi illudere sulla sua "utilità" o giustezza:

"gli uomini non combattono mai per un’idea, ma semplicemente contro altri uomini, (...) la forza del soldato non è lo sdegno ma l’indifferenza, e (...) le vestigia delle civiltà sono e saranno sempre le rovine..."

"A chi dà profitto, questa guerra? Mica a quelli che partono: questi si fanno ammazzare o, se ritornano, trovano i loro focolari distrutti. No, la guerra dà profitto a quelli che restano."

Oltre al protagonista, una figura interessante è sicuramente Dobranski, anima colta e sensibile, che ben riassume il pensiero di Gary quando definisce il senso dell'Educazione Europea:

"In Europa abbiamo le cattedrali più antiche, le più vecchie e celebri università, le più grandi biblioteche, ed è qui che si riceve l’educazione migliore, sembra che vengano in Europa da tutti gli angoli del mondo per istruirsi. Ma alla fine, quel che ti insegna tutta questa famosa educazione europea è come trovare il coraggio e delle buone ragioni, valide e convenienti, per ammazzare un uomo che non ti ha fatto nulla e che se ne sta seduto (...) aspettando la fine."


Una scrittura asciutta, che descrive con vivacità e realismo il periodo e le vicende in oggetto ma non lo fa in maniera cupa e triste, bensì con quella misurata leggerezza e un'accennata ironia malinconica che gli appartengono, ritraendo i suoi personaggi femminili in modo da lasciarne trasparire la fragilità, la sofferenza e, allo stesso tempo, la forza interiore, e i maschili con pennellate vivide, dando vita a una variegata umanità, a volte grottesca, altre più nobile, quasi "romantica"; mi sono commossa leggendo le ultime battute del libro, che non posso non consigliare.

Sono contenta di aver accolto il suggerimento di Mariella (Doremifa-sol, libri e caffè) circa la lettura di questo libro, che mi sta facendo apprezzare Romain Gary sempre di più (avevo già avuto modo di conoscerlo con LA VITA DAVANTI A SE').


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