Virginia Piras scompare dall'oggi al domani, senza che di lei si sappia più nulla, lasciando nel dolore marito e figlia. Cosa l'è successo? È andata via di sua spontanea volontà o qualcuno le ha fatto del male?
Ad indagare sulla scomparsa di una donna dall'esistenza quieta e anonima ci pensa Giulia Riva, vice-commissaria a Cagliari, alle prese con la verità che ognuno di noi indossa delle maschere per preservare le proprie emozioni, quelle più travolgenti, che vorremmo sopprimere per continuare a vivere serenamente, ma che a volte hanno il sopravvento e ci facciamo da esse travolgere pur di sentirci vivi, anche a costo di pagarne amare conseguenze.
Nulla accade per caso e questo vale per la vita in generale, lavoro compreso.
E quando Giulia Riva - vicecommissaria a Cagliari - si imbatte in un caso di omicidio commesso da una donna e moglie stanca dei continui tradimenti del marito e delle perfide umiliazioni da parte dell'amante di lui, capisce che, se vuole salvarsi dal commettere un'azione scellerata e irrazionale di cui potrebbe pentirsi, deve dare un taglio netto ad una relazione tossica.
Giulia, infatti, ha una relazione clandestina con il suo diretto superiore Roberto; da quattro anni, ormai, vanno avanti con incontri fugaci pieni di passione e complicità ma che alla fine non lasciano nulla di più a Giulia, la quale è stanca di tutto questo, consapevole che lui non lascerà mai la famiglia per lei, che resta l'unica a rimetterci in questa storia che la vede legata ad un uomo con cui non ci sono prospettive di una relazione completa e appagante.
Dopotutto, quando torna a casa è sempre e soltanto lei quella che si ritrova sola in una casa le cui stanze risuonano di solitudine, a cercare di prender sonno in un letto troppo grande e con un posto vuoto accanto che Roberto non potrà mai riempire.
Se fosse per lui, continuerebbero così chissà per quanto, ma Giulia non ne può più: lo deve a se stessa e a quella dignità che nessuno deve permettersi di calpestare.
E allora, con un atto di coraggio, decide di prendere un'altra strada, di andarsene chiedendo un trasferimento; certo, le dispiace l'idea di lasciare Cagliari e l'amico e collega Flavio Caruso, ma è più forte la consapevolezza di stare sprecando tempo e sentimenti e, con essa, l'urgenza e la voglia di ricominciare da zero da un'altra parte.
C'è solo un problema, un ostacolo che si frappone improvvisamente tra la decisione presa e la possibilità ci metterla in atto concretamente e immediatamente: una mattina in commissario si presenta una bambina di 9 anni, che vuol parlare col commissario.
Sembra piccola e fragile, ma al di là del comprensibile nervosismo, Giulia nota negli occhi della bimba un fuoco, una tenacia e una forza che la impressionano.
Elisa non è andata a scuola e si è presentata in commissariato per pretendere l'attenzione della polizia; non è la prima volta che lo fa e non sarà neppure l'ultima se continuerà a non vedere risultati: sua mamma è sparita da un anno e sembra che ormai tutti l'abbiano dimenticata.
Cosa sta facendo di reale la polizia per ritrovarla?
La bimba è stanca di aspettarla invano; è convinta che sua mamma - Virginia Piras - sia viva e vuole che la polizia la trovi e la riporti a casa.
Giulia è turbata e dispiaciuta per questa ragazzina che chissà quanto sta soffrendo perché sua madre se n'è andata e non ha fatto più ritorno, ma sa pure che non sta a lei (che tra l'altro non si è occupata personalmente del caso, il quale era di competenza di Flavio) fare promesse che potrebbe non essere in grado di mantenere.
Eppure, davanti a quello sguardo risoluto e supplichevole insieme, non riesce a non dire ad Elisa: "Vedrai, ritroveremo tua madre. È una promessa".
Tenere fede a queste parole, pronunciate con troppa fretta e sull'onda delle emozioni e dell'empatia, sarà molto complicato per la vicecommissaria, che però non si tira indietro e comincia subito a rivedere il fascicolo su Virginia per capire quali strade investigative sono state prese e a che punto sono arrivate le indagini.
Giulia non si fa illusioni: è passato un anno da quando la Piras è sparita - come si dice - senza lasciare tracce, come "svanita nel nulla", e ciò vuol dire che potrebbe essere morta.
Ma se così fosse, ci sarà pure un cadavere da qualche parte...: possibile che non si riesca a trovarlo?
E in che modo eventualmente è morta: si è tolta la vita (perché avrebbe dovuto?) o c'era qualcuno che poteva avere interesse a far fuori una donna che tutti descrivono come mite, una moglie devota e una madre serena?
Il marito - che in questi casi è sempre in cima nella lista dei sospettati - pare avere un buon alibi e soprattutto ha sempre collaborato con la giustizia senza reticenze; anche adesso, risponde alle domande di Giulia e offre tutta la propria disponibilità, per cui, a meno che non sia un attore da Oscar o un killer professionista, sembra sinceramente estraneo alla scomparsa della moglie, che dice di amare.
Concentrandosi totalmente sulle indagini, Giulia si accorge che quello che sembrava un buon lavoro investigativo da parte dei colleghi, nasconde invece delle falle..., delle mancanze tutt'altro che irrilevanti e che potrebbero aver allontanato la polizia dalla ricerca della verità.
Questo rattrista molto Giulia perché sa che a occuparsene è stato il suo amico, l'ispettore Caruso, suo partner e mentore, che s'è fatto sfuggire troppe cose importanti, troppe domande che sarebbero potute diventare possibili piste.
Come mai? Eppure, Caruso è da sempre un ottimo poliziotto, capace, acuto, professionale.
O meglio, lo è stato, fino a prima di un evento che lo ha messo profondamente in crisi, un "incidente" sul lavoro che lo ha reso l'ombra di se stesso.
Il poliziotto non è più quello scrupoloso e attento di un tempo: ora è un mezzo ubriacone, che sparisce per ore, riducendosi a uno straccio per aver trangugiato troppe birre, lasciando nella preoccupazione chi gli vuol bene, tra cui la moglie e Giulia stessa.
Nel caso di Virginia sono stati commessi errori fatali e, per cercare di recuperare, la donna si fa assegnare il caso nella speranza di risolverlo ed evitare gravi conseguenze al suo amico.
Più si addentra tra le pieghe della vita di Virginia, più avverte che ci sono particolari stonati che, lungi dall'essere dettagli insignificanti, si mettono in un angolino della sua mente e basta un'intuizione - apparentemente casuale - a far emergere in tutto il loro significato e in tutta la loro portata.
Virginia è dipinta da tutti come una persona tranquilla, senza grilli per la testa, così buona e mansueta da rasentare la passività: affidabile sul lavoro, madre attenta e premurosa (Elisa è figlia unica), moglie fedele e devota, donna fragile, insicura e depressa per il suo psicologo, figlia debole e remissiva a detta della madre, una donna glaciale e anaffettiva che non esita a descrivere la figlia con scarsa sensibilità e molta poca stima.
Ma se c'è una cosa che non va dimenticata o ignorata è che ciascuno di noi è capace di vivere anni (se non tutta la vita) indossando maschere, mostrando di sé una facciata che non ci rappresenta al 100%, nascondendo pensieri, desideri, pulsioni che nessuno conosce ma che non aspettano altro che il momento giusto per venir fuori.
Il dubbio si insinua nella mente di Giulia: e se Virginia avesse (avuto) una "vita parallela" a quella a tutti nota? Magari c'era un amante o comunque una persona importante per lei, e forse è questa che va cercata per capire che ne sia stato della mamma della piccola Elisa, i cui occhi chiedono a Giulia: "Ritrova la mia mamma e portala da me"?
Il racconto del presente (delle vicende personali e giudiziarie che vedono protagonista Giulia Riva) si alterna a quello del passato in cui leggiamo cosa e come stava vivendo Virginia Piras un anno prima della scomparsa, quando nella sua esistenza, fino a quel momento "consegnata a un solo binario", si è introdotta una presenza che ha portato una ventata di aria fresca, un fiume di sensazioni nuove, sconosciute, che le hanno provocato dei brividi: brividi di passione, di desiderio di piacere e di sentirsi viva, bella e desiderabile agli occhi di un uomo affascinante e che la fissa in un modo tale da smuoverle qualcosa dentro, fin nel profondo.
Un uomo incontrato per caso e dal cui sguardo magnetico non basta disancorarsi per dimenticarlo, perché s'è già impresso nella mente e nell'anima senza che lei abbia avuto il tempo di fuggire.
I brevi capitoli relativi a Virginia ci danno il ritratto di una donna sì fragile emotivamente, molto insicura e con poca autostima, ma anche quello di una donna passionale, che ha un fuoco dentro che finora è stato spento ma, che una volta riacceso, non può che esplodere in un incendio.
Come sempre, la penna di Piergiorgio Pulixi è così consapevole, sicura e fluida da far sì che il lettore "beva" i capitoli (mai lunghi, cosa che apprezzo sempre perché contribuiscono a dare un ritmo più serrato e una maggiore snellezza alla narrazione) con voracità, curiosità e coinvolgimento, con la voglia di sapere dove l'autore ci condurrà nella ricerca della verità, districando un nodo alla volta e senza mai perdere di vista l'aspetto empatico, lo sguardo sensibile e profondamente umano che avvolge il caso in oggetto.
Se c'è una cosa, su tutte, che ho amato di Giulia Riva, è stata la sua personalità e, in particolare, il suo approccio professionale: Giulia non è la poliziotta "dall'animo nero", dal passato oscuro, dal carattere difficile, un po' ombroso e asociale che spesso incontriamo nei noir/polizieschi con protagoniste femminili.
No, lei è adorabilmente e fieramente empatica, è emotivamente generosa, anche "fisica" nel suo rapporto con le persone coinvolte nei casi ai quali lavora.
A costo di eccedere e di arrivare ad atteggiamenti che non ci si aspetterebbe da un vicecommissario (il famoso e necessario "distacco professionale"), se ha voglia di abbracciare, dare una pacca sulla spalla, offrire la sigaretta o il proprio cappotto a un interrogato/sospettato, Giulia lo fa, e non solo, o non tanto, per conquistare la fiducia dell'altro e indurlo a sciogliergli la lingua perché confessi qualcosa, ma proprio perché non può fare a meno di entrare in contatto con l'altro.
"Ogni investigatore ha un proprio metodo d'indagine. Il mio va contro tutto quello che insegnano alla Scuola Ispettori, dove ti mettono in guardia dal coinvolgimento emotivo durante le inchieste. Molti riescono a rimanere impassibili e distaccati. Io no. Quando affronto un caso, che si tratti di omicidio, rapimento o stupro, divento la persona su cui sto indagando. Entro nella sua pelle, nei suoi pensieri, nella sua anima. Solo creando una connessione viscerale posso capire chi ha potuto farle del male. Spesso, soltanto guardando attraverso gli occhi della vittima riesci a farti un'idea del suo aggressore e delle motivazioni che l'hanno mosso."
Ecco, tra tutte le belle qualità di scrittore che Pulixi possiede, non smetto di dire ogni volta che quella da me maggiormente amata è la profonda delicatezza e sensibilità con cui sa far parlare le donne: le "sue" donne sono realistiche, lontane da qualsiasi eroismo avulso dalla realtà, ma anzi molto vicine a noi, nelle loro incoerenze, nei lati oscuri e in quelli luminosi, nei desideri espressi e in quelli che non riescono a confessare neppure a loro stesse; le persone che abitano le storie dello scrittore cagliaritano sono sempre così umanamente imperfette e fragile che in ogni caso, anche quando si arriva a fine libro e si scopre il colpevole, qualcosa dentro di noi ci suggerisce di andare oltre la semplice condanna, ma di cercare (senza giustificare) di capire e realizzare che non c'è essere umano che non abbia dentro di sè una parte oscura, più debole, e che a volte certe circostanze fanno sì che esca venga pericolosamente fuori.
Non mi resta che consigliare "Per mia colpa", un giallo poliziesco che vi catturerà ad ogni pagina, e per il misterioso caso in sé da risolvere e per la galleria di personaggi coinvolti e nelle cui esistenze l'Autore ci lascia entrare.