martedì 15 marzo 2022

[[ RECENSIONE ]] 1944: THE REBELLION di Elisa Delpari



Poter tornare indietro nel tempo, vivere nei panni della propria bisnonna e fare le sue stesse esperienze: se fosse possibile, sarebbe una delle esperienze più incredibili che una persona potrebbe ritrovarsi a fare! È quello che succede alla giovane protagonista di questo romanzo; ma c'è di più: Elektra si ritrova catapultata nientemeno che nei difficilissimi e drammatici anni della seconda guerra mondiale.
Ciò che vivrà e vedrà la cambierà per sempre.


1944: THE REBELLION 
di Elisa Delpari



Elektra è una ragazza newyorchese dal carattere riservato e timido, il che la porta a non essere molto integrata a scuola; anzi, sono diversi i compagni che non si fanno alcun problema a prenderla in giro e a bullizzarla.
Edizioni Del Faro
300 pp


Fortunatamente Elektra ha un'amica del cuore, Alice, con cui trascorre molto tempo insieme, condividendo pensieri, risate e segreti.

Una sera, durante una festa, Elektra vive qualcosa di inspiegabile: sviene all'improvviso, senza un'apparente ragione, e si trova a vivere come in un sogno, in un tempo e in un luogo a lei sconosciuti, in mezzo a persone che non ha mai visto e che parlano di cose di cui lei non sa assolutamente nulla.

Cosa sono: visioni? Sogni? Allucinazioni?

La ragazza è confusa e non capisce cosa le stia succedendo.

Fatto sta che le visioni avute non solo non finiscono, ma - soprattutto quando si va a coricare - tornano a farle visita sempre più di frequente, così che ella riesce a fare un po' di chiarezza e a capire a grandi linee di che si tratta.

Intuisce, infatti, di trovarsi in un anno e in un posto diversi dal presente (il 2020) e che coloro con cui interagisce la conoscono bene e... la chiamano Lisa!

Chi è Lisa? 

A ben guardarla, Elektra riconosce in lei dei tratti somatici affini a quelli materni; decide, così, di cominciare a percorrere una doppia strada per cercare informazioni e dare il giusto significato alle visioni, le quali - lungi dall'essere semplicemente dei sogni - sono molto vivide, coinvolgono molto la ragazza dal punto di vista emotivo...; insomma, non può trascurarle come se nulla fosse!

Per prima cosa, dopo averne parlato con Alice (che, sconcerto iniziale a parte, è euforica quanto Elektra per queste esperienze "paranormali" dell'amica), decide di andare con lei in biblioteca per fare delle ricerche e comincia quindi a collocare fatti e personaggi: le sue visioni l'hanno trasportata negli anni Quaranta del Novecento, quindi nel pieno del secondo conflitto mondiale, a Bologna. La giovane, nella cui esistenza Elektra si è "infiltrata" senza volerlo, è iscritta all'università, sogna di diventare medico ma, nel frattempo, partecipa ad azioni partigiane, con lo scopo di sabotare le operazioni militari dei tedeschi ("crucchi") nazisti, impegnati a fare rastrellamenti nei ghetti ebraici e a condurre i prigionieri nel campi di lavoro.

La seconda fonte di informazioni è la madre che, messa alle strette, le racconta qualcosa sulla sua famiglia - che ha origini italiane - e che ha avuto una nonna di nome Lisa.
Coincidenze?

Per fugare ogni dubbio, non resta che recarsi in Italia, a Roma, dove vive lo zio Carlo, fratello della mamma: lui sì che potrà fornirle ulteriori spiegazioni.
Ed infatti, l'uomo regala alla nipote americana il diario personale della bisnonna Lisa, che contiene il racconto di ciò che è accaduto alla giovane partigiana dal 1940 al 1950.

Elektra si tuffa nella lettura del diario, le visioni continuano e, guidate dalla lettura dei racconti di bisnonna Lisa, assumono tutto un altro senso.
Ma non è abbastanza, per la ragazza, la quale non riesce a dare risposta ad una domanda importante che le frulla in testa dal primo momento: perché la sua bisnonna le sta "mandando" queste visioni? Qual è il suo scopo? C'è un messaggio che sta cercando di inviare alla bisnipote che vive nel 2020?

Per provare a dare risposte a questi interrogativi, ad Elektra viene in mente una sola via, così si rivolge ad un professionista che potrebbe aiutarla a "tornare" indietro nel tempo (non col corpo, ma con la coscienza, la psiche) e a interfacciarsi con Lisa.

Non svelo altro, mi soffermo solo a dirvi che per Elektra l'avventura di ritrovarsi in mezzo a dei partigiani, che cercano di combattere il nazismo, andrà via via intensificandosi, come del resto succederà agli eventi stessi che riguardano la guerra, con il suo progredire di episodi oltremodo drammatici.

Lisa ed Elektra avranno modo di comunicare, conoscersi, imparare ad apprezzarsi, a volersi bene e ad essere fonte di grande incoraggiamento l'una per l'altra.
Non sarà facile, perché la follia nazista è all'opera per distruggere ogni forma di libertà, ma Lisa e i suoi amici - tra cui Paolo, un giovane uomo coraggioso, forte, leader del gruppetto di partigiani di Bologna -
sanno cosa fare, quando agire, come organizzare attentati, dove nascondersi e come infiltrare spie tra i soldati tedeschi; Elektra, dunque, conoscerà un mondo completamente differente da quello al quale appartiene, un periodo storico che non ha mai conosciuto neppure sui libri di storia, e si troverà fianco a fianco (seppure in una modalità "particolare" e fuori dall'ordinario) a questi combattenti valorosi, fieri, disposti a mettere a repentaglio la propria vita pur di non lasciare spazio di azione agli spietati "crucchi".

La giovanissima protagonista vive un'esperienza surreale ed intensa, che l'aiuta a maturare, a conoscere meglio sé stessa, le proprie capacità, il proprio coraggio, a riscoprire un nuovo lato di sé: non vuole più essere la ragazza timidina, impaurita ed oggetto di bullismo da parte di certi coetanei stupidi! Quest'avventura la renderà caparbia, volitiva, determinata, tanto più verso chi è prepotente, aiutandola a non abbassare più supinamente il capo davanti ai soprusi e alle ingiustizie, ma a reagire.

Grazie a Lisa - e a tutte le varie situazioni, anche pericolose, vissute con lei, Paolo e gli altri -, la Elektra del 1944 impara ad affrontare le difficoltà con più carattere e maturità, consapevole che la libertà e la decisione di aiutare il prossimo possono anche richiedere sacrifici estremi, in particolare in un periodo come quello della guerra.

Il libro di Elisa Delpari è collocabile nel genere paranormal fantasy, in virtù dell'esperienza sovrannaturale e parapsicologica vissuta dalla protagonista, che vive il proprio viaggio nel tempo dal punto di vista mentale, della coscienza, e non fisico (non è il suo corpo a spostarsi, come succede, ad es., in "Ritorno al futuro" *, dove il protagonista fa su e giù nella linea temporale con la mitica DeLorean e vive tutto in prima persona).
E fin qui tutto ok; è ok anche il mix tra fantasia e storia; personalmente apprezzo molto l'intreccio tra elementi fittizi e fatti storici, anche quando fittizio non coincide necessariamente con "realistico" e, al contrario, l'autore sceglie di dare un tocco "ultraterreno" alla trama. Ecco, questo tipo di "gioco narrativo" mi sta bene e non è oggetto di critica, da parte mia, se narrato in modo coerente.
Ed infatti, di questo romanzo ho gradito l'idea di fondo - il viaggio (mentale) nel tempo - e anche il contesto storico scelto (guerra, nazismo, partigiani).

Però..., forse il mix andava raccontato un po' meglio, a mio avviso.
Meglio nel senso che ho trovato molte "ingenuità" nel racconto di un periodo del passato decisamente complesso, che credo avrebbe meritato un maggiore e più accurato studio, così da renderlo più preciso e realistico; invece, purtroppo, mi è parso che ogni descrizione di personaggi, luoghi, azioni, fosse un po' troppo semplicistica, poco approfondita.

Va bene che è un romanzo e non un saggio però, ad es., c'è un eccesso di "leggerezza" nell'attribuire determinati comportamenti (incauti, "faciloni" e quindi poco verosimili) ai soldati nazisti o agli stessi partigiani; questa caratteristica si riflette anche nei dialoghi che, se da una parte danno slancio e ritmo alla narrazione, dall'altra non ci danno modo di approfondire né le personalità dei personaggi né i fatti e gli avvenimenti che li vedono coinvolti.

L'ultima considerazione riguarda la presenza di errori (di battitura?), refusi ed un uso della punteggiatura non sempre corretto.

Concludendo: l'idea di base non è affatto male, tanto meno il voler toccare una tematica fondamentale quale è la guerra, con tutte le disgrazie ad essa annesse; ma - parere mio - avrei sicuramente apprezzato maggiormente la lettura se ci fossero state più accuratezza ed attenzione ad aspetti non irrilevanti quali scrittura, sfondo storico, caratterizzazione dei personaggi.




* mi perdonerete se cito una trilogia vecchiotta come questa, ma per me è d'obbligo; 1. perché è "pane per i miei denti", la conosco a memoria, la rivedo ogni volta che posso e in famiglia facciamo a gara, quasi, per anticipare le battute; 2. perché è "dei miei tempi" (verso la fine degli anni '80 ero una bambina, quindi Marty McFly è la mia infanzia); 3. semplicemente la amo e mi diverte. 


domenica 13 marzo 2022

[[ RECENSIONE ]] DONNAFUGATA di Costanza DiQuattro



Donnafugata è "un piccolo mondo antico", un luogo in cui il tempo sembra essersi fermato e su cui si staglia la figura del barone Corrado Arezzo, nobile di casato e, soprattutto, d'animo: un uomo, un marito, un padre, un amico, la cui esistenza non priva di dolori è stata vissuta con coraggio, rettitudine e con un cuore colmo d'amore per le "fimmini" di casa, che gli hanno recato gioie e preoccupazioni.


DONNAFUGATA 
di Costanza DiQuattro 



Ed. Baldini Castoldi
206 pp
"In settant’anni ho visto tramontare epoche e sorgere speranze. Mi sono illuso e sono rimasto deluso. Ho sperato nelle stelle, ho dato credito ai numeri, mi sono affidato a Dio. Ho vissuto, ho gioito, ho pianto, ho ingoiato lacrime e rassegnazione."
 
Corrado Arezzo De Spucches vive - ha sempre vissuto - a Donnafugata, nel castello di famiglia a due passi da Ragusa, tra carrubi secolari, muri a secco e campagna scoscesa.

Nel 1895 ha da poco superato i settant'anni... e il suo cuore è stanco.
Pur mantenendo quella tempra e quella dignità che l'hanno sempre contraddistinto, l'uomo sente che i fardelli che la vita ha lasciato sulle sue spalle sono tanti e il loro peso si fa sentire ogni giorno di più.
Accanto a lui ci sono la nipote Maria, il fidatissimo "servo" tuttofare Micheluzzo, e tutti gli altri che lavorano per lui: lo amano, lo rispettano, e non potrebbe essere diversamente perché il barone è sempre stato un padrone comprensivo e paziente, un marito devoto, un padre amorevole e un nonno tenero.

L'autrice narra la vita di quest'uomo attraverso continui flashback che ci riportano a specifici anni della sua esistenza (in cui sono accaduti fatti rilevanti per comprendere chi sia Corrado), a partire dal 1833,  quand'era un ragazzetto cresciuto dalla cara e amata balia Annetta e che sbuffava all'idea di sentire il rosario di don Gaudenzio.
Lo vediamo poco più che ventenne, quando il fuoco della rivoluzione (siamo nel 1848) infiamma il suo spirito giovane e forte, desideroso di spezzare il giogo dei Borboni che nulla di buono porta alla gente del Sud, a questa amata terra di Sicilia che soffriva da anni "il sopruso e la reprimenda" del sistema borbonico che ne aveva frenato ogni sviluppo e crescita.

"...la violenza dei Borboni ha superato il limite della sopportazione e della decenza. Siamo e dobbiamo essere un popolo libero e indipendente. Io credo che il tempo di insorgere sia giunto. (...) Riprendiamoci la nostra terra. Riprendiamoci la Sicilia. Nel nome santo dell’Italia insorgiamo, combattiamo e vinceremo!".

Lo vediamo crescere e maturare negli anni; seguiamo le sue brillanti ed ironiche conversazioni con gli amici di sempre, ci intenerisce e ci fa sorridere il suo amichevole ed affettuoso rapporto con il tuttofare di Donnafugata, Micheluzzo, che lui conosce da bambino e che ha esortato ad imparare a leggere, a migliorare, trattandolo sempre con molto rispetto, pur avendo i due ruoli diversi, in virtù del differente ceto sociale.
Lo vediamo marito di Concetta, una donna delicata, sensibile, una moglie pia e ubbidiente, che tante lacrime ha versato per Vincenzina, quella figlia amatissima ma un po' volubile e che ha fatto non poche scelte sbagliate nella propria vita.
Corrado ama le sue "donne" ma il suo affetto non lo conduce ad essere condiscendente e privo di vigore e rigore, tutt'altro: quando deve richiamare all'uso della ragione, alla necessità di comportamenti saggi e scelte oculate,  lo fa con convinzione e sempre con lo scopo di vedere le proprie care felici e serene.

È sempre stato un uomo sensibile, Corrado, e ha avuto due genitori che gli hanno trasmetto valori fondamentali, primo fra tutti il rispetto per gli altri e il saper impiegare le proprie ricchezze materiali anche per recare del bene a chi è meno fortunato; belle le parole che gli rivolse suo padre quand'egli era poco più che un ragazzo:

«Vedi Corrado, vivere i privilegi della nostra condizione non vuol dire limitarsi a godere dei soli agi. Noi siamo chiamati a diventare un mezzo. Attraverso le nostre possibilità offriremo possibilità a chi non può averne. (...) «Non voglio comprarmi il consenso della gente, credo di aver fatto abbastanza nella mia vita per farmi odiare da chi vorrà odiarmi, e per farmi amare da chi vorrà amarmi. Cerco il consenso del tempo, un segno su questa terra che abbia il mio nome, il ricordo di me. Custodisci tutti i templi che ti lascio. Ti diranno che sono polvere ma tu non crederci. Sono l’involucro della nostra anima.»

Forse non si può definire una persona romantica in senso stretto ma di certo ha saputo, quand'era il momento, fare spazio alla tenerezza, ad esempio quando ha aperto gli occhi sulla delicata sensibilità che ha guidato la passione della moglie per le rose, metafora della vita umana:

"Avevi ragione tu. Non siamo altro che rose. Duriamo il tempo di un sorriso, di un ricordo da custodire, di una notte da ricordare. E quando ci voltiamo indietro di noi resta solo la scia debole di un profumo che è stato intenso."

Corrado è un bellissimo personaggio letterario; solido come una roccia, severo senza mai essere burbero o troppo duro, una presenza costante ed affidabile, capace di incoraggiare, confortare, ascoltare in silenzio, di spingere  i suoi interlocutori a riflettere, ed essi sanno di trovare in lui un punto di riferimento, che sia l'amico filosofo, la nipote "ribelle" o il custode del castello.

Questo breve romanzo storico si concentra su un uomo, appartenente ad un nobile casato, sul modo di rapportarsi con chi lo circonda, sui principi e valori che hanno guidato la sua esistenza; l'Autrice ci presenta un mondo e un modo di vivere dei tempi passati, ce ne descrive le processioni, le case, i pranzi, le chiacchiere, la bellezza austera di questo castello con il suo bellissimo roseto; la narrazione è percorsa da vibrazioni nostalgiche, decadenti, ma non c'è, a mio avviso, un senso di negatività né nulla di opprimente, quanto piuttosto un vago e diffuso senso di malinconica dolcezza che, lungi dall'essere tristi, danno intensità alla storia narrata.

Le sensazioni che ho ricevuto nell'ascoltare questo libro (la lettura che ne dà Anita Zagaria è piacevolissima, limpida e adeguata al contenuto e ai toni del romanzo) sono state positive: delicatezza e semplicità contraddistinguono lo stile della scrittrice, tanto nelle descrizioni del contesto e dell'ambiente, quanto nella caratterizzazione dei personaggi, e  non vi nascondo che le ultime pagine le ho trovate dolci e commoventi.
Consigliato, trovo sia un bel libro.


CITAZIONI

« [le rose ]sembrano eterne quando sono appena fiorite, come la giovinezza. Poi basta una notte, la distrazione di un attimo e la loro bellezza si piega alla vita, per poi morire dopo poche ore. Eppure hanno una solida base, crescono sulle spine, si difendono come possono. Ma per quanto? Per cosa ci affastelliamo l’animo e i pensieri se in fondo non siamo altro che rose, istanti bellissimi da ricordare come questo profumo.»


"Non crogiolarti su ciò che non puoi avere. Godi di ciò che hai."


"La vendetta (...) non sana le ferite. Non c’è onore a vendicarsi. Ce ne sarebbe a perdonare...". 

«Solo chi sa perdersi trovare la strada giusta».

sabato 12 marzo 2022

** LIBRI GIALLI ** UNA NOVITA' E UN'ANTEPRIMA


Anche oggi ho un paio di libri da segnalarvi, lettori carissimi, e spero possano incuriosirvi, soprattutto se siete appassionati di gialli e storie misteriose; di uno di questi (il secondo) leggerete la recensione qui sul blog.


Delitto sull’Isola Bianca.
Le indagini del Foresto
di Chiara Forlani



NUA Edizioni
276 pp

I classificato per la miglior ambientazione al concorso Giallo Festival 2020

II classificato assoluto al premio De Filippis Gold Crime 202

Ottobre 1950. La storia è ambientata sull’Isola Bianca, luogo isolato situato in un’ansa del Po. 
Gli abitanti dell’isola vivono in un microcosmo secolare legato alla campagna e alle stagioni; conoscono solo la realtà della loro piccola comunità, che segue i ritmi e le cadenze dell’Ottocento. 
La loro quotidianità viene però scombussolata quando viene ritrovato il cadavere di Umberto Maris, detto ‘Il Sacocia’, un vecchio taccagno odiato da tutti. 
Il caso viene affidato al commissario Romolo Zeri, il quale, abituato ad occuparsi al massimo di furti di bestiame, non risulta la persona più adatta a investigare in un caso di omicidio. 
La caserma è un ricettacolo di reduci di guerra che hanno seri impedimenti; perciò, è necessario che i carabinieri trovino appoggio in una persona dotata di acume intellettuale e abilità d’indagine. 
Ed è proprio qui che entra in scena Attilio Malvezzi, amico d’infanzia di Zeri, il quale ha una spiccata capacità nel percepire le emozioni altrui. Di carattere chiuso e difficile, ha a lungo cercato sé stesso, dopo la guerra, vagando per il mondo; fatto che gli è valso il soprannome di ‘Foresto’. 

Le indagini non sono semplici: tutti, sull’isola, avevano un movente per assassinare il Sacocia. 
Ma a un certo punto inizieranno a venire a galla eventi disturbanti che riguardano il passato dell’assassino e risalenti alla Seconda Guerra Mondiale. 

In un contesto oppresso dalla presenza della morte e di traumi irrisolti, c'è comunque posto per una storia d’amore che, per un attimo, fa tirare un sospiro di sollievo.


L'autrice.
Chiara Forlani, è nata e vive a Ferrara. Dopo un’infanzia passata a divorare libri, frequenta il liceo scientifico, ma rompe gli schemi laureandosi in storia dell’arte. La sua carriera ha visto alternarsi la passione per l’arte e la letteratura: dopo un biennio di lavoro presso i musei universitari bolognesi, apre un laboratorio di restauro di opere d’arte. Successivamente passa a insegnare lettere, attività che tuttora svolge presso la scuola ospedaliera, dove ogni giorno porta un sorriso ai giovani ammalati. Vive in campagna con il marito e due cagnolini salvati dal canile
.




Il secondo giallo ruota attorno ad un complicato caso di sparizione ed è in uscita giovedì 17 marzo.


La misteriosa scomparsa di Don Vito Trabìa
di Sebastiano Ambra


Ed. Newton Compton
Nuova Narrativa Newton
Pagine: 288
Prezzo: € 9,90
E-book: € 4,99
USCITA
17 MARZO 2022

L’operazione per catturare il pericoloso latitante Vito Trabìa finisce con un buco nell’acqua: i poliziotti, giunti sul posto in cui avrebbero dovuto sorprendere il boss, trovano solo un vecchio lattaio. 

Di don Vito nessuna traccia. 

A Palermo l’ispettrice Malena Di Giacomo, reduce dalla difficile rottura con la sua ragazza, riceve quella che a prima vista sembra la lettera di un mitomane, ma che si rivela in realtà un guanto di sfida: qualcuno ha rapito Vito Trabìa e ora intima a Lena di ritrovarlo, entro ventiquattro ore e senza l’aiuto dei colleghi, altrimenti il boss verrà ucciso. 

L’ispettrice non ha scelta, ma il compito è tutt’altro che semplice: per arrivare a capire dov’è don Vito, dovrà infatti risolvere la sequenza di indovinelli escogitata dal rapitore, enigmi che fondono arte e letteratura con la storia e le leggende del capoluogo siciliano. 

Aiutata dallo psicologo Leonardo Colli, Lena intraprenderà così una pericolosa caccia al tesoro, che la condurrà tra i vicoli e i monumenti di una Palermo misteriosa ed esoterica, per giungere a perdifiato all’epilogo di una storia nella quale niente è come sembra.


L'autore.
Sebastiano Ambra (1979) è nato a Catania e vive ad Acireale. Laureato in lettere, è giornalista e si occupa di comunicazione. Ha scritto per la carta stampata, il web e la TV. Ha pubblicato il romanzo L’enigma del secondo cerchio (2018), il saggio Tabaccai. Il fumo li uccide (2012) e Fango. Storie di gente che ha perso tutto (2010).


 

venerdì 11 marzo 2022

[[ RECENSIONE ]] I LEONI D'EUROPA di Tiziana Silvestrin


Tiziana Silvestrin conduce il lettore nella Mantova dei Gonzaga e nella affascinante e torbida Serenissima, e lo fa con una ammirevole capacità narrativa, in cui l'accuratezza storica si mescola a elementi di fantasia assolutamente ben inseriti nel contesto di riferimento; il tutto dà vita ad un giallo storico, avente una trama molto ben strutturata e avvincente, che immerge il lettore in un viaggio nel passato avventuroso e intrigante.


Il presente volume è il primo di una saga sui Gonzaga, cui seguono altri quattro libri:


  1. I LEONI D'EUROPA (2009)
  2. LE RIGHE NERE DELLA VENDETTA (2011)
  3. UN SICARIO ALLA CORTE DEI GONZAGA (2014)
  4. IL SIGILLO DI ENRICO IV (2017)
  5. LA PROFEZIA DEI GONZAGA (2018)

I LEONI D'EUROPA
di Tiziana Silvestrin


Ed. Scrittura&Scritture
404 pp
14.50 euro
2009
In una sera di luglio del 1582 due uomini entrano furtivamente nella basilica di Santa Barbara con uno scopo ben preciso: trafugare qualcosa di importante; ma le cose non vanno come devono andare e i due, per sfuggire alle guardie, scappano per le vie della città di Mantova senza portare con loro ciò che stavano cercando.

A fuggire sono lo scozzese James Crichton e il suo amico Thomas, che, nella concitazione della fuga, sfortunatamente si imbattono nel principe Vincenzo Gonzaga e Ippolito Lanzoni. 
I quattro giovanotti si ritrovano a duellare con spade e pugnali, fino a che... ci scappa il morto.
Più precisamente, due.
Crichton, per difendere Thomas, attacca alle spalle il Lanzoni, un omone amico nientemeno che del principe Vincenzo Gonzaga, figlio del duca di Mantova, Guglielmo.

Sconvolto dalla morte del proprio amico,Vincenzo ferisce, a sua volta, lo stesso Crichton, il quale riesce comunque a scappare, trovando rifugio nella spezieria di Hyppolito Geniforti.
Nonostante le sollecite cure di quest'ultimo, James muore.

Quando il giorno dopo si viene a sapere del duello notturno, il consigliere ducale Zibramonti affida le indagini al capitano di giustizia Biagio dell’Orso, il quale da subito intuisce che troppe cose non tornano, già ad una prima analisi dei fatti.
A cominciare, infatti, dall'entità della ferita inferta allo scozzese: il principe, pur addolorato per essere diventato un assassino e tormentato dai sensi di colpa, è sicuro di aver ferito lievemente Crichton e di non aver neppure danneggiato parti vitali del suo corpo.
Come può essere morto a seguito della ferita di Vincenzo?

Biagio deve far luce su questa morte poco chiara e trovare le prove che scagionino il giovane Gonzaga dall’accusa di omicidio, anche perché inevitabilmente il drammatico accaduto potrebbe creare non poche complicazioni a livello di rapporti diplomatici.

Chi era davvero James Crichton - conosciuto come Giacomo Critonio - e perché era venuto a Mantova?

Per fare ordine nelle tante domande e supposizioni, Biagio si reca a Venezia, in quanto è lì che lo scozzese viveva ultimamente.
Si mette, quindi, sulle tracce del misterioso passato del giovane e scopre che egli era in contatto con il Consiglio dei Dieci* della Serenissima; ad aiutarlo nelle ricerche c'è l'inquisitore Zaccaria Vendramin, che lo affiancherà passo passo senza però essergli davvero utile, anzi..., in diversi momenti Biagio avrà l'impressione che l'uomo non voglia realmente aiutarlo a raccogliere informazioni su Crichton, ma che prema piuttosto affinché egli se ne torni a Mantova.

Il capitano di giustizia è un tipo intelligente, determinato, testardo che, se si prefigge un obiettivo, fa di tutto per raggiungerlo.
Non ha alcuna intenzione di tornarsene nella sua città a mani vuote e a bocca asciutta, e anche quando comincia a ricevere biglietti anonimi che lo minacciano di non essere al sicuro nella bella Venezia, Biagio non demorde, anche se comunque prosegue le proprie ricerche con cautela e saggezza, facendo attenzione a dettagli apparentemente trascurabili.

Ad esempio, nota che c'è sempre il nome di un losco e misterioso personaggio che compare spesso nelle sue indagini: un certo Samier, che all'occorrenza si camuffa, e fisicamente e con altri nomi inventati.

Biagio comprende di essere entrato nelle maglie di un complotto dalla portata internazionale e in una ragnatela di dinamiche e relazioni politiche tra personaggi più o meno importanti e pericolosi, ma tutti comunque invischiati in torbide vicende.

A Venezia, però, Biagio ha modo di fare anche incontri piacevoli; soggiorna, infatti, presso una locanda, di proprietà di una donna bella e gentile, di nome Rosa.
Rosa è una giovane vedova (suo marito è deceduto qualche anno prima durante la diffusa epidemia di peste), sola, lavoratrice, una persona perbene che vede in Biagio un uomo tanto affascinante quanto garbato e sincero.
Tra i due scatta l'attrazione, che va oltre l'aspetto fisico; purtroppo, però, il capitano di giustizia è di passaggio a Venezia e non sa se e quando potrà ritornare dalla "sua" Rosa.

Ed infatti, dopo un po' egli torna a Mantova per fare rapporto a Zibramonti sul poco che ha scoperto su James: anzitutto, s'era messo nei guai a motivo di una fanciulla (venduta dal patrigno per fare la cortigiana) ed era stato costretto a scappare da Venezia; a Mantova era giunto per portare a termine una missione importantissima: ma che tipo d missione? E chi lo aveva assoldato?

Ma la domanda che più fa lambiccare il cervello a Biagio è: cosa è accaduto in quella notte di luglio, dopo il duello? Lo speziale Geniforti ha pagato addirittura la sepoltura dello scozzese: come mai? Che interesse poteva avere nella morte del giovane?
E poi, a dirla tutta, Dell'Orso non è neppure convinto che l'ammirabile Critonio c'abbia davvero lasciato la pelle, quella sera, e che quindi il povero Vincenzo non sia un assassino.
Riuscirà Biagio a far luce su questi dubbi e a sciogliere i tanti nodi che emergono man mano che va avanti con le proprie indagini?

Una cosa è certa: gli interessi in gioco non sono individuali, ma di ben altro e largo respiro, e arrivano sino in Inghilterra, dove è in corso una congiura segreta da parte dei cattolici (gesuiti in prima linea) per rovesciare l'attuale regina inglese (Elisabetta I).

Questo bellissimo giallo storico mi ha affascinata a ogni capitolo: è scritto benissimo, ha un ritmo avventuroso, dinamico, vivace, grazie alla presenza di dialoghi - che restituiscono tutta l'immediatezza della storia e delle sue continue evoluzioni -, ai personaggi (che conosciamo attraverso le loro azioni e parole) e alle brevi ma efficaci e piacevoli descrizioni dei vari contesti e ambienti in cui si svolgono i fatti e che aiutano il lettore ad immaginare e ad "inquadrare" ogni avvenimento narrato.
Ad es., il mercato di Rialto (Venezia) è descritto in modo vivido, tanto che mi sembrava di essere lì, di vedere la vivacità dei colori dei tessuti pregiati, di sentire il forte odore delle spezie.

Personalmente sono sempre stata attratta dalle grandi famiglie italiane del Rinascimento, nelle cui corti abbondavano intrighi, tradimenti, spie, amanti, vendette, congiure di palazzo e, ahimè, anche processi sommari a poveri disgraziati che erano prima passati attraverso torture e poi bruciati vivi o impiccati.
Dei Gonzaga Biagio non amava il fatto che avessero preso parte alle condanne dei cosiddetti eretici, esecuzioni dietro cui si celava la deplorevole brama di accaparrarsi i loro beni.

Biagio è un protagonista che ha destato immediatamente le mie simpatie perchè è retto, onesto, ottimo ed attento osservatore, fa bene il proprio lavoro, va in cerca di indizi e informazioni interrogando chiunque pensi possa tornargli utile.

Sullo sfondo c'è lei, la Serenissima con la sua opulenza ma altresì con le sue contraddizioni, quel mix di luci ed ombre che, in fondo, tanto ci affascina: è una città tanto meravigliosa ed unica quanto pericolosa, florida di commerci (compreso quello del corpo delle donne - le cortigiane non mancano e verso di loro c'è molta tolleranza, visto che in qualche modo contribuiscono a "far girare l'economia" -) ma anche abbondante di poveri e straccioni, luminosa di bellezze artistiche  ma non priva di angoli bui e sordidi.
Incontriamo vari tipi di personaggi: belle locandiere dagli occhi gentili e malinconici e seducenti cortigiane; spie straniere e servizi segreti del Consiglio dei Dieci; c'è anche un famosissimo pittore con la sua vivacissima e talentuosa figlia; vicoli tenebrosi e maleodoranti e dimore  magnifiche; mendicanti e ricchi signori.

Concludo consigliandovi vivamente la lettura di questo romanzo, che vi rapirà con la sua scrittura immersiva e molto accurata, che sa calamitare l'attenzione del lettore di capitolo in capitolo, tenendola avvinta in modo costante, anche nei (piccoli) salti temporali, e sciogliendo sia gli interrogativi iniziali che quelli che sorgono in itinere.
Ho apprezzato tanto la presenza della ricca bibliografia finale.


Ringrazio la C.E. Scrittura&Scritture per avermi proposto la lettura del primo volume della saga di Tiziana Silvestrin.



Organo che esercitava un potere illimitato sulla vita pubblica e privata dei cittadini, nonché una stretta vigilanza sull’andamento della politica veneziana (https://dizionari.simone.it/).

giovedì 10 marzo 2022

[[ Novità in libreria ]] L'ORCO DI MUSSOLINI di Marco Di Tillo (Mursia Editore) |I DELITTI DI GENOVA di Massimo Ansaldo (Frilli Ed.)


Buongiorno, lettori!

Questa mattina vi presento un paio di recenti pubblicazioni; il primo libro è tratto da una storia vera: l’ultimo romanzo di Marco Di Tillo narra di una vicenda che ha sconvolto l’Italia negli anni '20 del secolo scorso; il secondo è un giallo ambientato a Genova.



L'ORCO DI MUSSOLINI
di Marco Di Tillo



Ugo Mursia Editore
€ 17,00 

Anni Venti, Italia. Nel giro di pochi anni il terrore invade la città di Roma: sette sparizioni, tutte bambine molto piccole e, tutte e sette, hanno subito violenza prima di essere uccise. 
La caccia al colpevole è lunga e faticosa, le ricerche sembrano non portare da nessuna parte. 
Ci rimette un poveraccio di nome Girolimoni che viene accusato del crimine, ma non è lui l’orco. 
Verso la metà degli anni Venti viene chiamato a investigare il commissario Giuseppe Dosi, un poliziotto alto e robusto che, a soli trentadue anni, vanta già una lunga storia di straordinari successi in Italia e all’estero tant’è che è stimato perfino dal Duce in persona. Inizialmente riluttante, poiché impegnato in un caso rilevante in Francia, si decide infine a far luce sulla questione, riuscendo a smontare man mano tutte le prove contro il malcapitato e a provare l’innocenza di Girolimoni, fino a catturare il vero colpevole. 

Ma non sempre le cose seguono il corso della giustizia. 
Sarà il Duce in persona, infatti, a cambiare le carte in tavola e a stravolgere un finale che acquisterà un sapore tutto nuovo, che sa di beffa. 
Una storia complessa che si intreccia con le vicende storiche, tra cui la sparizione di Matteotti.

L'autore.
Marco Di Tillo, laureato in Psicologia, è stato per anni autore di programmi radiofonici e televisivi Rai, regista e sceneggiatore cinematografico, autore di fumetti, di romanzi per ragazzi e di favole illustrate per bambini. Scrive gialli pubblicati da molte case editrici, anche negli Stati Uniti
.


*******


I DELITTI DI GENOVA.
Un’indagine del commissario Nicola Teiro
di Massimo Ansaldo


Fratelli Frilli Editori
14.90 euro
Il commissario di polizia Nicola Teiro abita sulle alture di Genova. Tra il poliziotto e il nibbio reale che ha posto nel cortile di casa il suo nido, nasce uno strano rapporto fatto di complicità e di mistero, che non tutti possono capire. 
Infatti, da quando Teiro ha ritrovato per terra ai piedi del noce, la carcassa dell’uovo che ospitava quel che rimaneva di un pulcino ancora in stato embrionale, il rapporto tra i due diventa sempre più inteso e pieno di mistero.
Nel frattempo, la città è sconvolta da una strage avvenuta in pieno centro in cui le vittime sembrano essere colpite da un malvivente solitario durante una rapina in una gioielleria finita male. 
Un fatto, per come avvenuto, anomalo e inspiegabile sia per la modalità sia perché, di fatto, il malvivente non ha portato via nessun prezioso dal negozio, mentre i morti rimasti a terra sono ben cinque.

L’arresto di un ex terrorista e la presenza di un supertestimone non convincono il Commissario Teiro e nemmeno l’ispettore Ester Miniati, una giovane e bella mora calabrese che lavora in coppia con Nicola e, come lui, dotata in una mente acuta e brillante e di poche parole, al limite dello scontroso. 
Forse per questo che i due si capiscono al volo e con un solo sguardo.

Intanto Ramini, un dirigente del Ministero degli Interni giunto apposta da Roma, spinge per una rapida conclusione delle indagini, causa anche le imminenti elezioni politiche nazionali.

Teiro e la Miniati condurranno così un indagine parallela cercando di scoprire i segreti che le stesse vittime hanno portato con sé con la loro morte. 
I due poliziotti saranno aiutati da Vaclav, un clochard conosciuto da poco, ma anche dai misteriosi messaggi che il nibbio continua a trasmettere.

La verità non sarà solo scoperta, ma diventerà quasi una necessità per lo stesso assassino. La quiete dopo la tempesta. Una rivelazione, una vittoria ma anche una sconfitta, una resa dei conti.
Un finale che va oltre la sorpresa e l’inaspettato.


L'autore.
Massimo Ansaldo, nato a Varazze (Sv) nel 1959, vive nella città di La Spezia. Esercita la professione di avvocato con studi a Genova e La Spezia. Presidente del Centro Culturale Don Alberto Zanini della Spezia è cofondatore dell’Associazione culturale Chesterton’s cigars and spirits club della Spezia. Membro del Comitato Regionale delle Comunicazioni (Corecom) della Regione Liguria. Ha pubblicato con Leucotea i romanzi “Macerie” e “Il segno del sale”. Per Fratelli Frilli Editori ha contribuito alle antologie “Tutti i sapori del noir”, “Tutti i luoghi del noir” e “Odio e amore in noir” con i racconti “Il Coltello del cuoco”, “I cattivi sono buoni” e “Compito in classe”. Sempre con Fratelli Frilli Editori ha pubblicato “Qualcosa da tacere”.

martedì 8 marzo 2022

[[ RECENSIONE ]] LA FELICITÀ DEGLI ALTRI di Carmen Pellegrino


Cloe è una donna abituata a parlare con le ombre, con i morti; un'anima in pena, con lo sguardo rivolto costantemente al passato, a un evento in particolare, fonte della sua tristezza, della sua incapacità di stare al mondo. Desiderosa fin da bambina di essere amata, accettata, accolta, compresa, ascoltata, da adulta vive come se di tutto questo non avesse bisogno, anzi rifugge ogni legame duraturo, sentendosi incapace di dar vita a qualcosa di stabile, di vero, di concreto.
Del resto, lei vive di parole scambiate con chi non c'è più o, al massimo, con chi è invisibile quanto lei.
Ma anche una persona complicata come Cloe conserva dentro di sé il desiderio, il sogno, la necessità urgente di avere un posto in cui sentirsi a casa e di coltivare la speranza anche quando dentro e fuori  non c’è che rovina.



LA FELICITÀ DEGLI ALTRI 
di Carmen Pellegrino




Ed. La Nave di Teseo
160 pp
"O forse la felicità
è solo degli altri, d’un altro tempo,
d’un’altra vita e a noi non è possibile
che recitarla come viene viene..."


Cloe vive un'esistenza che, raccontata, sembra frammentata, confusa, come quei sogni che ti accompagnano al risveglio, al mattino, e che tu sai di aver fatto ma, chissà come mai, non riesci a descrivere e raccontare con parole chiare.

È una di quelle persone cui non basta questa dimensione terrena per esistere e la realtà del presente è molto vicina e comunica con la realtà immaginata.

Cloe è viva ma al contempo non vive; non sa farlo perché qualcosa s'è inceppato nel suo cammino, rendendola un'ombra di sé stessa, un'anima continuamente in ascolto delle voci di chi non c'è più e si ostina a non volerla lasciare, primo su tutti il fratello Emanuel, la cui voce amata si perde nei ricordi di un'infanzia fatta di urla, litigi, minacce, abbandoni da parte di due genitori pieni di fragilità, inadeguatezze, errori.

Cloe non sa sostare a lungo nei propri panni e questo le impedisce di fermarsi definitivamente in una città, di stabilirsi in una casa oltre un certo tempo.

"Per lo più sono andata avanti così, senza destino, come veniva. In un continuo saliscendi di stati emotivi, non ho fatto che cercare qualcuno che curasse la mia ferita".

Cloe non sa stare al mondo perché nella sua giovane esistenza ha perduto affetti, case, ha cambiato città, nome... così tante volte che raccapezzarvisi e trovare tutti i frammenti di sé e metterli insieme è diventato difficile. Vive come chiusa in una gabbia di cui però non ha le chiavi per aprirla e liberarsi.

Eppure cosa chiedeva per sé e per suo fratello, se non che fossero amati da chi li aveva messi al mondo?

“I miei sogni sono una persecuzione, ogni notte è lo stesso. Anime tormentate che mi vorticano intorno, mio fratello soprattutto. Ma io non ho potuto fare nulla. Cosa potevo fare?”

Cloe è come un uccellino dall'ala ferita, che vorrebbe ma proprio non riesce ad alzarsi in volo, non fino a quando quell'ala non sarà sistemata e il nodo che le grava sul cuore - sulla responsabilità (la colpa?) di ciò che è accaduto ad Emanuel - non verrà sciolto.

Quante e quali sono le sue colpe?
E quelle di mamma Beatrice, una donna mezza matta che li amava, probabilmente, ma era troppo strana e inaffidabile per aver cura dei figli come una madre dovrebbe fare?
E che dire del padre, Manfredi? Uno psicologo che a un certo punto ha tradito la moglie e s'è rifatto un'altra vita, un'altra famiglia, e tanti saluti a moglie e figli.

Nel suo cammino costellato di fragorosi insuccessi e improvvisi passi avanti, Cloe è sempre accompagnata da voci, ricordi, personaggi sfuggenti ed evanescenti come lei; come il professor T., docente di Estetica dell’ombra, un uomo placido e colto, che saprà essere per la donna un prezioso aiuto per guardarsi dentro, per individuare quel buco nero che è dentro di lei, che la spaventa ma che non può essere negato come se non esistesse. Non dovremmo aver paura delle ombre né dell'oscurità; sono essenziali, tanto quanto i corpi, le presenze, la luce.

“L’oscurità (...) è ciò da cui la luce prende origine. Nessun giorno spunterebbe mai, se la notte non preparasse la via.”

Tutti abbiamo un lato oscuro: quello degli altri ci spaventa, come se potesse inghiottirci in quel buio e privarci della nostra luce.
Il caro professor T...: l'unico che ha visto le sue tante ombre e né è scappato né ha cercato di dissolverle; ma le ha detto, tra le tante cose: "Torna alla Collina, dove sei stata felice."
Felice. Ma cos'è la felicità?

"...di quale felicità parliamo? Quella di là da venire, la felicità degli altri, dato che, a ben guardare, la nostra vita è percorsa da un profondo sentimento di tristezza."

Nella vita di Cloe ci sono Madame e il Generale, i buoni e cari guardiani della Casa dei timidi, una sorta di rifugio per bambini scacciati, abbandonati, indifesi; là Cloe è stata accolta a dieci anni.
In questo posto quasi magico, lontano dal caos e dalla violenza del mondo, vivevano i bambini che nessuno voleva, se non questa coppia strana ma amorevole, che ha fatto sua la missione di accogliere questi "figli dell’aria, i figli di nessuno". Figli di Dio, di quel Dio che ha lasciato venire Suo Figlio sulla terra, in mezzo agli uomini, per salvarli, e che da essi invece è stato scacciato.
Purtroppo, anche la Casa dei Timidi sulla Collina è stato solo uno dei tanti luoghi attraversati, e quando un evento drammatico ne ha decretato la chiusura, la diciottenne Cloe si è ritrovata nuovamente sola, sradicata, smarrita.

C'è stato un uomo, un compagno: avrà saputo darle amore, conferme, una presenza tanto forte da scacciare i fantasmi?

C'è stata anche una vita, anzi no..., un inizio di vita, interrotta prima che invadesse un campo non suo, uno spazio già pieno di ombre, di fantasmi che facevano sentire con insistenza le proprie voci; non c'era posto per un'altra presenza ingombrante. E poi proprio lei, affetta irrimediabilmente da una sorta di "disappartenenza" continua, fissa, che è sempre stata brava a praticare..., poteva mai appartenere a qualcuno o avere qualcuno che le appartenesse per sempre?

C'è stato Jerus (può esserci ancora, nel presente?), anch'egli ospite della Casa sulla Collina, con cui ha condiviso abbracci, silenzi, l'esperienza di due corpi che per un po' si sono avvicinati tanto da fondersi. Quasi.
Jerus, che da bambino era ribelle, oscuro, litigioso, che bramava di starsene separato da tutti, indisturbato. 
Ma anche con lui, Cloe non riesce a dar vita a un legame.
Proprio lei, che ha una fame d'affetto tale da esser pronta a mendicarlo, pur di riceverne almeno un po' in cambio.

"Nell’inverno del mio cuore ho desiderato a lungo di essere amata. Talmente impaziente, questo desiderio, da ritenerlo a un certo punto un’aberrazione affettiva."

L'esistenza di Cloe ha un che di paradossale: pur essendo piena di fantasmi, la cui presenza infesta e tormenta le sue notti, è solitaria. Cloe è sostanzialmente sola e fa di tutto per restarci, nonostante ne soffra, nonostante sia a disagio con se stessa. Le persone che l'avvicinano e che vorrebbero abbattere la sua tristezza, la sua solitudine, vengono allontanate.

Si sente triste e vive questa tristezza come un modo di essere che le appartiene e che non può mutare, su cui non c'è proprio niente da fare.

"...io ero una comparsa senza corpo nella mia stessa vita, separata, distaccata da quello che mi accadeva. Sembro venuta da una favola triste, ma porto in dote il taglio che un’accetta possente ha lasciato dentro di me."

Docile e ruvida, diffidente e sensibile, con un lato oscuro che attende di essere inondato di luce, liberando lo spazio dentro sé di infauste, angoscianti ed evanescenti ombre, per colmare i vuoti di corpi veri, da toccare, sentire, accarezzare.

Cloe vorrebbe smettere di sentirsi fuori posto ovunque, di cercare qualcuno che curi le sue ferite, di sopportare le assenze, di essere costretta a nascondersi.
Solo tornando là dove tutto è iniziato, nella casa infestata da fantasmi in cui è cresciuta, potrà guardare in faccia le proprie paure, le proprie fragilità ed insicurezze, far pace col passato e pensare ai morti senza più sentire il peso e il dolore di ciò che non può essere più cambiato.

"La felicità degli altri" è un libro particolare, per certi versi complesso e difficile da chiudere in etichette che ne facilitino la spiegazione, la collocazione; posso dire che leggerlo è stato come intraprendere un viaggio non semplice né lineare nelle latebre più oscure dell'animo della protagonista, guardando nei suoi vuoti, nelle sue ombre e nelle sue paure, su cui ha costruito una corazza, dietro la quale si cela una donna che grida il suo bisogno di ricevere amore, sin da quando era bambina. Una donna che chiede di essere liberata da ricordi insopportabili.
È un romanzo dai toni molto intimistici, un percorso introspettivo fatto di saliscendi emotivi, in cui il passato (con le sue esperienze dolorose, i suoi traumi, le perdite, le tante persone incrociate nel proprio spostarsi da un luogo all'altro) fa le sue incursioni nel presente e lo condiziona, gli dà forma.
A me è piaciuto e lo consiglio, ma aggiungo che, a mio avviso, non è un libro da leggere di fretta (e forse bisogna essere nel "momento giusto" per apprezzarlo), anzi, va "assaporato" con calma; il linguaggio è molto evocativo, magnetico, carico di suggestioni, e durante la lettura mi sono ritrovata spessissimo a evidenziare e riscrivere tanti passaggi significativi e profondi; come un'archeologa, l'Autrice scava con le parole e porta alla luce pensieri ed emozioni sepolti nei recessi della mente dell'evanescente protagonista.


"Ma se riuscissimo a risollevare quel telo di compassione entro cui tutti potremmo trovare asilo all’occorrenza. Potessimo riavere quello sguardo capace di cogliere, sapessimo riaffidarci l’uno all’altro: in fondo lo sappiamo che tutti perdiamo, tutti falliamo."



Di Carmen Pellegrino ho letto anche CADE LA TERRA >> RECENSIONE <<

lunedì 7 marzo 2022

Consultiamo il vocabolario ^_^

 

Leggendo leggendo, mi capita di incepparmi... ops!, scusate, di incappare in vocaboli che, onestamente, non fanno parte del mio vocabolario d'uso quotidiano e di cui non conosco (o forse non ricordo, proprio perché non me ne servo) il significato.

Ergo, questo post ha il nobile fine di colmare qualche lacuna ^_-


LATEBRAlatèbra (o làtebra) s. f. [dal lat. latĕbra, der. di latere «star nascosto»]. 

1. letter. Nascondiglio, luogo oscuro e nascosto; per lo più usato al plur.: Ne le l. poi del Nilo accolto, Attender par in grembo a lei la morte (T. Tasso); Ansanti li vede ... Le note l. del covo cercar (Manzoni); le vostre Paurose latebre Eco solinga ... abitò (Leopardi).
Fig., recesso, profondità segreta: le l. del cuore umano; nelle l. del pensiero, della mente; o in genere ciò che nasconde qualche cosa: Assai t’è mo aperta la latebra Che t’ascondeva la giustizia viva (Dante). 

2. In embriologia, nell’uovo degli uccelli, massa di tuorlo bianco, finemente granulare, a forma di fiasco, che si estende dal centro dell’uovo alla superficie, al di sotto del disco germinativo.


MATRACCIO: [dal fr. matras, che è forse dall’arabo maṭara «otre, vaso»]. 

Recipiente di vetro, sferico oppure conico (in quest’ultimo caso è detto anche beuta), a fondo piano e collo lungo, di capacità varia, talvolta tarato, usato per esperimenti chimici, in prove di laboratorio, ecc.


BIACCA: [dal longob. *blaih «sbiadito», cfr. ted. bleich «pallido»]. 

Sostanza colorante bianca (carbonato basico di piombo), molto usata in passato come pigmento-base per vernici a olio; velenosa e soggetta all’annerimento per azione dell’idrogeno solforato dell’aria, è stata sostituita dalla biacca di zinco (ossido di zinco) e dal bianco di titanio (ossido di titanio). 
Fu a lungo usata anche per fabbricazione di polveri e creme cosmetiche. B. bruciata o usta, antica denominazione del prodotto di calcinazione della biacca; è una polvere giallo-rossastra usata in pittura.


GHIERA: [lat. tardo vĭria, di solito al pl. viriae «braccialetto»; v. vera]. 

1. Puntale di ottone o di ferro nel quale si fa entrare, per rinforzo, l’estremità inferiore di un bastone, di un ombrello, di un utensile; nel fucile, cerchietto che tiene stretta alla cassa la canna. 

2. a. Cerchietto di metallo che fascia una superficie cilindrica (per es., nell’attrezzatura navale, un albero o un’asta) per rinforzo o per impedire che si fenda. b. Anello metallico provvisto internamente di filettatura ed esternamente di intagli che permettono il serraggio mediante chiavi a dente; si usa per fissare mozzi su alberi, mandrini di macchine utensili, ecc. 

3. In architettura, arco estradossato di spessore uniforme. 

4. Termine talora usato, come italianizzazione del venez. vera (v. la voce, nel sign. 2), per indicare la vera del pozzo, che con espressione tecnica è detta puteale.

domenica 6 marzo 2022

[[ RECENSIONE ]] AMERICA NON TORNA PIÙ di Giulio Perrone


AMERICA NON TORNA PIÙ di Giulio Perrone è un romanzo autobiografico vero, genuino, che racconta con intensità e incredibile sincerità il rapporto tra un padre e un figlio, con tutto il bagaglio di incomprensioni e delusioni, di cose dette o taciute, di diversità e affinità, che l'ha caratterizzato, arrivando agli ultimi giorni della vita del genitore, colpito da una malattia crudele che ha contribuito, in modo definitivo e irreversibile, a lasciare in sospeso tutto ciò che li ha sempre divisi.


HarperCollins Italia
letto da Stefano Scialanga
180 pp
L'Autore ha scritto un libro molto bello che, se da una parte è sicuramente qualcosa di personale - in quanto racconta di sé, del legame con il padre -, dall'altra proprio la scelta di mettere al centro questo legame famigliare conferisce al suo memoir un taglio universale.
Non potrebbe essere diversamente visto che, se anche non siamo tutti genitori, siamo comunque tutti figli di un padre e una madre, il che rende questo tema vicino all'esperienza di ciascuno di noi.

Che figli siamo (stati) per i nostri genitori?

Giulio ci racconta della sua famiglia, di questo padre solido come una roccia, sicuro di sé, coerente, pratico, disposto al sacrificio, fedele agli impegni presi, con un grande spirito di abnegazione, un alto senso del valore dell'amicizia e un forte amore per la famiglia.

Un padre che avrebbe desiderato determinate cose per il figlio, aspettandosi che si prefiggesse e raggiungesse degli obiettivi di un certo tipo, che gli permettessero una certa stabilità e sicurezza nella vita.
Succede (e molto spesso, per non dire sempre) che i genitori maturino delle aspettative sui figli e che, in qualche modo, cerchino di guidarli nelle loro scelte affinché le realizzino, magari diventando ciò che essi non sono riusciti ad essere.

Che tipo di figlio è stato, in tal senso, Giulio per suo padre? 

Sicuramente un figlio che, a modo suo e seppur per poco, ha provato a dar retta al padre frequentando, ad es., l'Accademia Navale di Livorno, ma non era ciò che voleva fare e ha lasciato dopo un anno.

Quella tra Giulio e suo padre Giampiero è la storia di un rapporto tortuoso, fatto di aspettative paterne disattese e di rancori maturati nel silenzio testardo di un figlio che non riesce a comunicare serenamente con il genitore perché da lui si sente troppo spesso, e su ogni cosa, giudicato.
E giudicato male, come se fosse l'eterno irresponsabile, quello che non sa apprezzare la fidanzata perfetta che ha accanto, che vuol fare il giornalista e parlare in radio di libri, invece che cercare di puntare ad una professione più sicura, stabile, che gli permetta di mettere su famiglia e di farla campare degnamente. Come ha fatto lui, del resto.

Parlare con il padre è sempre stato difficile e così Giulio con lui ha sempre trattenuto le proprie emozioni, evitando di esprimerle, quasi fosse normale chiudersi in sé stessi e affidarsi al silenzio.
Non è piacevole sentirsi sempre inadeguati agli occhi di un padre esigente, che sembra disapprovare tutto di te, che sia la tua (legittima, vista l'età) voglia di divertirti o l'impegno non proprio totale e la scarsa inclinazione a "fare sacrifici a tutti i costi". 

Quando sopraggiunge d'improvviso la malattia (dolorosa e incurabile), le cose non vanno necessariamente meglio e, sebbene Giulio si avvicini al padre in termini di vicinanza fisica (prendendosene cura assieme alla madre), a livello emotivo non ci sono grossi passi in avanti.
Non per mancanza di amore, ovvio, ma perché... è difficile.

È difficile sbottonarsi davanti ad un genitore di cui abbiamo praticamente sempre temuto il giudizio, davanti al quale ci si è sentiti sempre non all'altezza.
Ed è difficilissimo ammettere le proprie paure: la paura della solitudine, quella che proviamo anche quando siamo in mezzo agli altri; il senso di frustrazione che si opprimente quando non ci si sente amati; il senso di disperazione provato quando non si riesce a trovare alcun vero motivo per sentirsi felici; ma, al di sopra di tutte, la paura che Giulio proverà inevitabilmente quando un giorno, voltandosi indietro, troverà il vuoto perché suo padre non ci sarà più a tendergli la mano e a sostenerlo; e infine la paura al pensiero di quando dovrà essere lui a sostenere qualcun altro, consapevole di... non saperlo fare.

Gli ultimi mesi della vita di Perrone padre sono vissuti dal figlio (quando ha perso il papà l'Autore aveva 24 anni) con un senso di grande frustrazione, nervosismo, stanchezza emotiva, senso di colpa, perché il ragazzo avrebbe desiderato scappare da quella casa in cui si respirava un'atmosfera greve di malattia, dolore e di "morte annunciata", per fare le cose che fanno i giovani alla sua età, ma sentiva anche che questi pensieri erano poco nobili e rispettosi verso il padre morente e verso la madre, sempre accanto al marito, pronta ad assisterlo in ogni necessità, notte e giorno.

Il racconto di Perrone non si limita a ruotare attorno all'analisi e al ricordo di questo legame famigliare difficile, per quanto di sicuro esso sia un modo, per lo scrittore, di rielaborare (mettendo su carta e grazie alla funzione catartica, terapeutica che la scrittura può avere) la propria ossessione per questo padre amato eppur distante in tanti aspetti; parallelamente ai toni nostalgici e molto intensi usati per questa principale tematica, infatti, ce ne sono di altri decisamente più simpatici, leggeri, divertenti.

Sì, perché Giulio riporta anche episodi goliardici di gioventù, scene di vita quotidiana (bello e commovente il momento in cui racconta il motivo per cui, per molto tempo, non ha amato la canzone "Il cielo in una stanza" di Gino Paoli) , le notti brave,  le avventure, le gite in barca, gli amici del padre, dai soprannomi indimenticabili - Godzilla, Karate, America...

Già, che fine ha fatto l'innominabile America? Anche lui si perde nella nebulosa scia dei ricordi di un passato che non torna più?

"Siamo destinati a disperderci, anche nella testa di chi ci ha amati", scrive Perrone. 

La malattia s'è portata via non solo il padre, ma anche tutte le discussioni che avrebbero potuto fare, tutto quello che  Giampiero avrebbe dovuto vedere di lui; avrebbe potuto, ad es. appurare come le passioni del figlio non fossero frutto di un capriccio passeggero ma come, anzi, esse, con gli anni, siano diventate sempre più solide, convergendo in una professione portata avanti con passione, e non solo per dovere.

Tutte queste cose belle Giulio non potrà mai raccontarle al padre, ma scriverle è un modo per omaggiarlo, per sentirlo più vicino e, in un certo senso, per far pace con il suo ricordo.

Ho ascoltato la lettura di questo libro dalla voce molto espressiva di Stefano Scialanga, che modula alla perfezione ogni cambiamento di tonalità, dando risalto alle parole importanti, alle pause, dando una spinta vivace con la parlata romanesca, rendendo l'ascolto molto molto piacevole, regalandoci momenti ora spensierati, ora seri e intensi, ora commoventi e malinconici.

In passato ho avuto modo di apprezzare la scrittura ironica e brillante di Giulio Perrone (CONSIGLI PRATICI PER UCCIDERE MIA SUOCERA); in questo suo ultimo libro al lettore viene data l'opportunità di conoscerlo in modo intimo, personale, attraverso una narrazione molto profonda, densa dal punto di vista emozionale, ricca di pathos e capace di arrivare dritta al cuore del lettore. 

Assolutamente consigliato.

sabato 5 marzo 2022

[[ Anteprima Western ]] SICILIAN DEFENSE di Alessandra Pierandrei

 

Buongiorno, lettori!

Oggi vi presento un'anteprima western ma dai temi attuali (in primis ecologia, femminismo e giustizia sociale), che è il seguito di un romanzo da me letto e recensito qui sul blog, "Zugzwang - Il dilemma del pistolero" (RECENSIONE) di Alessandra Pierandrei "Sicilian Defense"  vede ancora al centro Kate, felicemente sposata con Jasper; purtroppo però i fantasmi del suo passato sono ancora vivi dentro di lei. E quando una persona a lei cara si troverà in grave pericolo, Kate si troverà di fronte alla prova più difficile: quella contro se stessa.

Il libro sarà pubblicato il 23 marzo in formato ebook e cartaceo; può essere letto anche senza aver letto prima "Zugzwang" in quanto la maggior parte dei personaggi sono sì ricorrenti ma il contesto è differente.

Nativi Digitali Edizioni 
Ebook 4.99€ 
(offerta di lancio 3.99€)
Data di uscita: 23 marzo 2022 
Genere: Western, Romanzo storico
cart. 14€ 
210 pp


Trama

“È come con la difesa siciliana: se tu rispondi con e5, giocheresti come tutti si aspettano da una donna: passiva e senza l’obbligo di farsi carico di un cambiamento. Ma se invece metti il pedone in c5, allora giocheresti ai tuoi termini. Sarà un gioco sbilanciato, è vero, ma il mondo non cambierà mai se manteniamo sempre tutto in equilibrio”.


Kate, finalmente, sentiva di avere in mano la propria vita; se avesse potuto, avrebbe chiesto a suo marito Jasper di farne un dipinto per assicurarsi che tutto rimanesse così.

Ma la vita sfugge a qualsiasi tentativo di controllo, e quella della giovane vice sceriffo verrà travolta da una serie di avvenimenti che costringeranno lei e gli abitanti di Hood River a prendere decisioni dalle conseguenze inaspettate, mentre è in gioco la salvezza di una persona a lei cara. 
Kate da sempre ha fatto di tutto per sfuggire ai fantasmi del passato, ma questa volta forse è giunto il momento di passare all’offensiva…

Se “Zugzwang” si concentrava sulla difficile redenzione di Jasper, in “Sicilian Defense” a rubare la scena è invece la protagonista femminile. 
Oltre al ritorno dei temi ecologici, nella reinvenzione del “buon vecchio western” di Alessandra Pierandrei emergono messaggi sociali ancora più espliciti. 
E chi l’ha detto che pistole e distintivi sono roba da uomini?


L'autrice.
Alessandra Pierandrei (
pagina blog), classe 1989, è un agglomerato di ansie, insicurezze e insoddisfazione: una specie di Charlie Brown ma con più capelli. Con grande sprezzo del pericolo (e soprattutto del buon senso) si è laureata in giurisprudenza ed è diventata avvocato, ma i suoi giorni nei panni di Lionel Hutz sono durati meno dei fritti misti a un buffet di matrimonio. 
Gestisce un blog in cui blatera delle cose più disparate e per anni ha fatto parte dello staff di Parole Pelate, un sito che recensisce serie tv, libri e film. 
Nel 2017 ha frequentato il corso di scrittura e sceneggiatura della Scuola Internazionale di Comics di Jesi (ora Acca Academy) tenuto da Marco Greganti e Giulio Antonio Gualtieri.
Nel 2020 ha pubblicato, con Nativi Digitali Edizioni, il romanzo western “Zugzwang – Il dilemma del pistolero”. 
Ad oggi, il suo più grande traguardo nella vita è stato mettersi in pari con gli episodi dei Simpson.
 

giovedì 3 marzo 2022

[[ RECENSIONE ]] LA CUSTODE DEI PECCATI di Megan Campisi



C'è stato un tempo in cui, quando qualcuno stava per morire, riceveva la visita di una persona che, dopo aver ascoltato i peccati del moribondo, prometteva di farsi carico del giudizio divino su di essi mangiando determinati cibi sulla sua tomba. In questo modo, l'anima di colui che moriva andava dritta dritta in Paradiso, senza l'ombra di peccato alcuno.
Li chiamavano mangiapeccati: erano necessari alla comunità (chi vorrebbe andarsene al Creatore con l'anima gravata di peccati? Meglio liberarsene, no?) ma allo stesso tempo trattate come appestati, dei maledetti da tener lontani, il cui sguardo era meglio non incrociare per non incorrere in qualche oscuro sortilegio; disprezzati al pari delle streghe, vivevano in miseria ai margini della società.
La giovane protagonista è una mangiapeccati che però non accetta passivamente il ruolo impostole da una società che la umilia in quanto donna e, grazie alla propria forza di volontà e determinazione, riuscirà ad essere padrona del proprio destino.


LA CUSTODE DEI PECCATI 
di Megan Campisi 


Ed. Nord
trad. A. Storti
400 pp
"La mangiapeccati si aggira tra noi, invisibile, inudibile. I peccati della nostra carne diventano i peccati della sua, così che possa portarli nella tomba. Invisibile, inudibile, la mangiapeccati si aggira tra noi."


May Owens è solo una ragazzina quando, ormai orfana di entrambi i genitori, viene condannata a diventare una Mangiapeccati per aver rubato un pezzo di pane. Per fame, non perché sia abitualmente una ladruncola.
Ma il pretore, che ha emesso la condanna, non ha tenuto conto della motivazione: si è limitato ad ordinare alle guardie che le tatuassero la lettera S sulla lingua e le chiudessero attorno al collo un collare, con su incisa la lettera S (sin = peccato).

Due terribili gesti che decretano il destino di questa ragazza: essere una mangiapeccati vuol dire essere una reietta, che da quel momento non potrà mai più rivolgere la parola a nessuno, che verrà guardata di sbieco con paura, diffidenza, disprezzo. 
Zero rapporti sociali, zero amici; nessuna vita "normale" le è più concessa.

Ad aspettarla la solitudine, il senso opprimente dei peccati altrui che si poggiano sul suo cuore, la puzza della morte, il sapore di quei cibi che le ricordano che la sua anima si farà sempre più nera; e poi c'è la speranza... La speranza che, se farà bene il suo "lavoro", forse Dio la accoglierà in Paradiso, ed eviterà di andare all'inferno insieme alla progenitrice Eva, madre di tutti i peccati in quanto la prima ad aver ceduto alla tentazione.

Si prova inevitabilmente una gran pena per la povera May, così sola, giovane e infelice, costretta da una società ingiusta e schiava di superstizioni e pregiudizi (in cui la fede cristiana è mescolata con credenze pagane), a diventare un abominio agli occhi del mondo.

La ragazzina comincia il suo apprendistato presso la Mangiapeccati anziana che, nel silenzio più assoluto e a suon di strattoni e scapaccioni, le insegna il mestiere: raccogliere le ultime confessioni dei morenti, preparare i cibi corrispondenti ai peccati commessi e infine mangiare tutto, assumendo su di sé le colpe del defunto, la cui anima sarà così libera di volare in Paradiso.

«L'invisibile è ora invisibile. L’inudibile è ora udibile. I peccati della tua carne diventano i peccati della mia, così che io li possa portare nella tomba in silenzio. Parla.»


Vivere con questa donna non è semplice: non solo perché non c'è comunicazione, ma soprattutto per gli atteggiamenti ruvidi di lei, che all'inizio sembra non mostrare la minima empatia verso l'inesperta "tirocinante"; eppure lo è stata anche lei e di certo ricorderà il proprio legittimo smarrimento nel ritrovarsi, da un momento all'altro, in una situazione nuova e non piacevole, anzi...
Il senso di solitudine e l'infinita tristezza per questa "nuova vita" appesantiscono l'animo di May, che pensa con dolorosa nostalgia al caro e paziente papà, alla dinamica e scaltra mamma, alla gentilezza (negatale, ormai) della vicina di casa, Bessie, e poi si guarda intorno e... cosa vede? Povertà, emarginazione, mormorii cattivi e sprezzanti da parte di persone che si credono migliori, e nessun gesto d'affetto da parte dell'unico essere umano che, ad oggi, è la sua sola famiglia.

Ma anche la vecchia mangiapeccati ha un cuore, per quanto stanco, indurito, rancoroso e solo, e tra le due disgraziate si instaura, pian piano, un rapporto se non di affetto, quanto meno di vicinanza umana.
Due anime sole, umiliate e maltrattate, che trovano una piccola ma necessaria fonte di consolazione l'una nell'altra.

Il loro lugubre servigio è indispensabile tanto presso i poveracci quanto a corte, ed infatti, un giorno, May e la sua Maestra vengono convocate addirittura presso il capezzale di una dama di compagnia della regina Behany*; la morente confessa ma i cibi (corrispondenti ai peccati confessati) che verranno posti sulla bara al funerale, hanno tra loro un "intruso", cioè il cibo di un gravissimo peccato assente durante la recitazione: un cuore di cervo, che rappresenta il peccato di omicidio.
 
Sconcertata, la Maestra di May si rifiuta di completare il pasto (mangiare un cibo non recitato equivarrebbe ad essere complice di una menzogna e ad addossarsi un peccato che o non è stato commesso o non è stato confessato, per cui non perdonabile da Dio) e per questa ragione viene imprigionata, con l'accusa di tradimento. 

Rimasta sola, la ragazza china la testa e porta a termine il compito, ma in cuor suo giura che renderà giustizia all'unica persona che le abbia mostrato un briciolo di compassione e che l'è stata tolta, lasciandola nuovamente più sola che mai.
 
Le Recitazioni e i Pasti proseguono tra i poveri e a corte, dove le dame di compagnia continuano a morire e sulle loro tombe seguita ad essere posto un cuore di animale, nonostante il peccato di omicidio venga puntualmente non confessato in punto di morte.

Cosa sta succedendo? Cosa si  nasconde dietro questa strana situazione? Qualcuno sta forse cercando mandare un messaggio? Chi e perché ha commesso degli omicidi a corte? 

May si ritrova coinvolta in una rete di menzogne e tradimenti che vede alcune persone presenti a corte tessere diabolicamente delle trame pericolose in grado di creare scompiglio sul diritto della Regina a regnare.
Determinata a vendicare la povera Maestra e a risolvere il mistero dietro quei cuori di animali, May è altresì pronta a correre dei rischi pur di venirne a capo, acquisendo nel frattempo una maggiore consapevolezza di sè, del proprio ruolo che, per quanto macabro e solitario, ha dei lato "positivi": la gente ha paura di lei e si scansa al solo vederla passare? Bene, vorrà dire che la ragazza approfitterà di questo timore superstizioso per fare ciò che ritiene giusto e per farsi, in un certo senso, rispettare.
Quello che non si aspetta, però, è di apprendere sorprendenti verità sull'identità della vecchia mangiapeccati e addirittura su sé stessa.

Intanto, nella sua vita fanno irruzione dei poveracci che entreranno prepotentemente sotto il suo tetto ma che costituiranno per May una sorta di stramba e disgraziata "famiglia".


Trovo questo romanzo storico della Campisi (al suo esordio letterario) molto coinvolgente; mi è piaciuto lo sfondo storico, così ben raccontato non solo per quanto concerne il modo di vivere (dei poveri, della gente a corte, degli attori ambulanti...), lo squallore dei quartieri poveri, l'aspetto religioso, le beghe dei regnanti, ma in particolare per il modo di pensare del tempo, che mescolava sacro e profano, che vedeva streghe e incantesimi diabolici in ogni dove, che non mostrava alcuna compassione per i derelitti, per i miseri e i lebbrosi; intrigante anche il tocco giallo, volto a risolvere le strane morti delle dame a corte.

L'Autrice mette il lettore in condizione di conoscere i sentimenti della protagonista, il suo dolore, la solitudine, la paura nell'essere diventata un oggetto di odio e insulti ingiustamente, la sensazione di avere un peso ingombrante - quello della morte - sul proprio cuore.

"Tante volte, nel corso degli anni, mi sono sentita svuotata. Nel senso di sola. Però adesso in me c’è qualcosa di ancora più brutto. Un senso di morte che mi striscia fino al cuore."

Ma May non resta passiva davanti ad un infelice destino deciso da altri; ragiona, valuta, osserva, e quindi evolve e matura, arrivando a capire che non sarà mai completamente sola e che anche nella sua vita ci sono spazi di libertà:

"Contro il dolore, contro la solitudine, contro i peccati che si ammucchiano sulla nostra anima, abbiamo noi stesse."

E sì, nella società in cui vive, il suo posto "posto non è una casa o una famiglia, ma una funzione: mangiare peccati", ma ciò non significa che lei sia solo quello. Lei è May Owens, una ragazza come tante, bisognosa di amicizia, affetto, comprensione, calore, come tutti.

"Forse la libertà sta nel poter essere più di una cosa. (...) Forse la libertà sta nel poter decidere da sé, anche se le decisioni sono pessime."

Consigliato, è un romanzo scritto bene e con una storia interessante e coinvolgente.


il romanzo è ambientato nel XVI sec., quando a regnare in Inghilterra era Elisabetta I (1533-1603), che corrisponderebbe alla regina Bethany del romanzo; a loro volta, la contrapposizione tra eucaristiani e creatoriti riprende quella tra cattolici e anglicani; in quegli anni si susseguirono, infatti, sovrani che di volta in volta obbligavano il popolo a convertirsi alla "propria" fede, perseguitando chi si ostinava a restar fermo nella "vecchia". 

****  In QUESTO POST ho scritto brevemente della figura dei mangiatori di peccati, realmente esistiti; nel romanzo l'Autrice scrive che le "mangiapeccati sono sempre donne, dato che Eva è stata la prima a mangiare un peccato, nella fattispecie il Frutto Proibito.", ma in realtà storicamente i mangiapeccati non erano necessariamente solo donne: anche gli uomini potevano assolvere a questa triste funzione.  ****
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...