domenica 6 marzo 2022

[[ RECENSIONE ]] AMERICA NON TORNA PIÙ di Giulio Perrone


AMERICA NON TORNA PIÙ di Giulio Perrone è un romanzo autobiografico vero, genuino, che racconta con intensità e incredibile sincerità il rapporto tra un padre e un figlio, con tutto il bagaglio di incomprensioni e delusioni, di cose dette o taciute, di diversità e affinità, che l'ha caratterizzato, arrivando agli ultimi giorni della vita del genitore, colpito da una malattia crudele che ha contribuito, in modo definitivo e irreversibile, a lasciare in sospeso tutto ciò che li ha sempre divisi.


HarperCollins Italia
letto da Stefano Scialanga
180 pp
L'Autore ha scritto un libro molto bello che, se da una parte è sicuramente qualcosa di personale - in quanto racconta di sé, del legame con il padre -, dall'altra proprio la scelta di mettere al centro questo legame famigliare conferisce al suo memoir un taglio universale.
Non potrebbe essere diversamente visto che, se anche non siamo tutti genitori, siamo comunque tutti figli di un padre e una madre, il che rende questo tema vicino all'esperienza di ciascuno di noi.

Che figli siamo (stati) per i nostri genitori?

Giulio ci racconta della sua famiglia, di questo padre solido come una roccia, sicuro di sé, coerente, pratico, disposto al sacrificio, fedele agli impegni presi, con un grande spirito di abnegazione, un alto senso del valore dell'amicizia e un forte amore per la famiglia.

Un padre che avrebbe desiderato determinate cose per il figlio, aspettandosi che si prefiggesse e raggiungesse degli obiettivi di un certo tipo, che gli permettessero una certa stabilità e sicurezza nella vita.
Succede (e molto spesso, per non dire sempre) che i genitori maturino delle aspettative sui figli e che, in qualche modo, cerchino di guidarli nelle loro scelte affinché le realizzino, magari diventando ciò che essi non sono riusciti ad essere.

Che tipo di figlio è stato, in tal senso, Giulio per suo padre? 

Sicuramente un figlio che, a modo suo e seppur per poco, ha provato a dar retta al padre frequentando, ad es., l'Accademia Navale di Livorno, ma non era ciò che voleva fare e ha lasciato dopo un anno.

Quella tra Giulio e suo padre Giampiero è la storia di un rapporto tortuoso, fatto di aspettative paterne disattese e di rancori maturati nel silenzio testardo di un figlio che non riesce a comunicare serenamente con il genitore perché da lui si sente troppo spesso, e su ogni cosa, giudicato.
E giudicato male, come se fosse l'eterno irresponsabile, quello che non sa apprezzare la fidanzata perfetta che ha accanto, che vuol fare il giornalista e parlare in radio di libri, invece che cercare di puntare ad una professione più sicura, stabile, che gli permetta di mettere su famiglia e di farla campare degnamente. Come ha fatto lui, del resto.

Parlare con il padre è sempre stato difficile e così Giulio con lui ha sempre trattenuto le proprie emozioni, evitando di esprimerle, quasi fosse normale chiudersi in sé stessi e affidarsi al silenzio.
Non è piacevole sentirsi sempre inadeguati agli occhi di un padre esigente, che sembra disapprovare tutto di te, che sia la tua (legittima, vista l'età) voglia di divertirti o l'impegno non proprio totale e la scarsa inclinazione a "fare sacrifici a tutti i costi". 

Quando sopraggiunge d'improvviso la malattia (dolorosa e incurabile), le cose non vanno necessariamente meglio e, sebbene Giulio si avvicini al padre in termini di vicinanza fisica (prendendosene cura assieme alla madre), a livello emotivo non ci sono grossi passi in avanti.
Non per mancanza di amore, ovvio, ma perché... è difficile.

È difficile sbottonarsi davanti ad un genitore di cui abbiamo praticamente sempre temuto il giudizio, davanti al quale ci si è sentiti sempre non all'altezza.
Ed è difficilissimo ammettere le proprie paure: la paura della solitudine, quella che proviamo anche quando siamo in mezzo agli altri; il senso di frustrazione che si opprimente quando non ci si sente amati; il senso di disperazione provato quando non si riesce a trovare alcun vero motivo per sentirsi felici; ma, al di sopra di tutte, la paura che Giulio proverà inevitabilmente quando un giorno, voltandosi indietro, troverà il vuoto perché suo padre non ci sarà più a tendergli la mano e a sostenerlo; e infine la paura al pensiero di quando dovrà essere lui a sostenere qualcun altro, consapevole di... non saperlo fare.

Gli ultimi mesi della vita di Perrone padre sono vissuti dal figlio (quando ha perso il papà l'Autore aveva 24 anni) con un senso di grande frustrazione, nervosismo, stanchezza emotiva, senso di colpa, perché il ragazzo avrebbe desiderato scappare da quella casa in cui si respirava un'atmosfera greve di malattia, dolore e di "morte annunciata", per fare le cose che fanno i giovani alla sua età, ma sentiva anche che questi pensieri erano poco nobili e rispettosi verso il padre morente e verso la madre, sempre accanto al marito, pronta ad assisterlo in ogni necessità, notte e giorno.

Il racconto di Perrone non si limita a ruotare attorno all'analisi e al ricordo di questo legame famigliare difficile, per quanto di sicuro esso sia un modo, per lo scrittore, di rielaborare (mettendo su carta e grazie alla funzione catartica, terapeutica che la scrittura può avere) la propria ossessione per questo padre amato eppur distante in tanti aspetti; parallelamente ai toni nostalgici e molto intensi usati per questa principale tematica, infatti, ce ne sono di altri decisamente più simpatici, leggeri, divertenti.

Sì, perché Giulio riporta anche episodi goliardici di gioventù, scene di vita quotidiana (bello e commovente il momento in cui racconta il motivo per cui, per molto tempo, non ha amato la canzone "Il cielo in una stanza" di Gino Paoli) , le notti brave,  le avventure, le gite in barca, gli amici del padre, dai soprannomi indimenticabili - Godzilla, Karate, America...

Già, che fine ha fatto l'innominabile America? Anche lui si perde nella nebulosa scia dei ricordi di un passato che non torna più?

"Siamo destinati a disperderci, anche nella testa di chi ci ha amati", scrive Perrone. 

La malattia s'è portata via non solo il padre, ma anche tutte le discussioni che avrebbero potuto fare, tutto quello che  Giampiero avrebbe dovuto vedere di lui; avrebbe potuto, ad es. appurare come le passioni del figlio non fossero frutto di un capriccio passeggero ma come, anzi, esse, con gli anni, siano diventate sempre più solide, convergendo in una professione portata avanti con passione, e non solo per dovere.

Tutte queste cose belle Giulio non potrà mai raccontarle al padre, ma scriverle è un modo per omaggiarlo, per sentirlo più vicino e, in un certo senso, per far pace con il suo ricordo.

Ho ascoltato la lettura di questo libro dalla voce molto espressiva di Stefano Scialanga, che modula alla perfezione ogni cambiamento di tonalità, dando risalto alle parole importanti, alle pause, dando una spinta vivace con la parlata romanesca, rendendo l'ascolto molto molto piacevole, regalandoci momenti ora spensierati, ora seri e intensi, ora commoventi e malinconici.

In passato ho avuto modo di apprezzare la scrittura ironica e brillante di Giulio Perrone (CONSIGLI PRATICI PER UCCIDERE MIA SUOCERA); in questo suo ultimo libro al lettore viene data l'opportunità di conoscerlo in modo intimo, personale, attraverso una narrazione molto profonda, densa dal punto di vista emozionale, ricca di pathos e capace di arrivare dritta al cuore del lettore. 

Assolutamente consigliato.

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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