Un romanzo breve ma che, attraverso numerosi flashback e ricordi da parte del protagonista, con intensità e con una scrittura raffinata, colta e coinvolgente, induce a riflettere sul senso dell'esistenza, dello scorrere del tempo e sugli inganni della memoria.
IL SENSO DI UNA FINE di Julian Barnes
Einaudi Ed. trad. S. Basso 161 pp |
"Con quale frequenza raccontiamo la storia della nostra vita? Aggiustandola, migliorandola, applicandovi tagli strategici?
E più avanti si va negli anni, meno corriamo il rischio che qualcuno intorno a noi ci possa contestare quella versione dei fatti, ricordandoci che la nostra vita non è la nostra vita,
ma solo la storia che ne abbiamo raccontato.
Agli altri, ma soprattutto a noi stessi."
Ricevere un'eredità a sorpresa, senza che il beneficiario se lo aspetti, è sicuramente un evento che fa piacere, a prescindere poi dall'entità materiale del lascito.
È ciò che succede a Tony Webster, un uomo in là con gli anni al quale giunge una lettera da parte di un avvocato che gli annuncia un’inattesa quanto enigmatica eredità.
Ad avergliela lasciata è una certa Mrs Sarah Ford, deceduta da qualche mese.
Chi è Sarah Ford?
No, non è una quasi sconosciuta zia zitella che lo ha nominato unico erede dei propri beni, bensì una persona che sbuca dal lontano passato di Tony e che egli ha visto una sola volta nella propria vita (e ben 40 anni fa!), vale a dire quando era uno studente universitario ed aveva una relazione con la figlia di Sarah, Veronica.
Con Veronica non è durata molto eppure quel fidanzamento ha avuto la sua importanza per Tony (per diverse ragioni, di cui una in particolare e che coinvolge un'altra persona vicina a lui), che trascorse anche una notte a casa dei genitori di lei, unica occasione in cui conobbe Sarah Ford.
L'eredità lasciatagli dalla mancata suocera è accompagnata da un'informazione che stupisce Tony e lo riporta con virulenza indietro nel tempo, facendo riaffiorare tanti ricordi di gioventù e non pochi turbamenti, sensi di colpa, indefiniti rimpianti: oltre a ricevere dei soldi, a Tony spetta anche la copia originale del diario di Adrian Finn.
Chi è Adrian Finn?
Adrian è stato un carissimo amico di Tony negli anni della scuola; assieme ad altri due compagni, formavano un quartetto di inseparabili, tra i quali Adrian spiccava e si distingueva per essere il più colto tra loro, il più intelligente, quello che si lasciava andare a disquisizioni filosofiche con la stessa facilità e dimestichezza con cui gli altri parlavano di ragazze, a ragionamenti su argomenti importanti ed esistenzialistici, insomma non era un giovanotto vanesio ma, anzi, un tipo intellettuale che prometteva una bella e onorata carriera in qualsiasi ambito avesse scelto di lavorare.
Adrian era suo amico anche nel breve periodo in cui Tony aveva frequentato Veronica ed ha smesso di esserlo quando, lasciato da Veronica, il giovane Webster era stato informato dallo stesso Finn del proprio fidanzamento... con Veronica.
Veronica e Adrian insieme?
Per Tony è stato un colpo, una sorta di doppio tradimento: Veronica ha mollato lui per mettersi con quel noioso di Adrian? Inconcepibile!! E lui che era praticamente il suo migliore amico che fa? Si mette con la sua ex?
Il legame d'amicizia tra i due ragazzi si spezza e dopo non molto Tony apprende, con grande turbamento e dispiacere, una spiacevole notizia riguardante Adrian..
La narrazione è un continuo andare dal passato al presente, un flusso di ricordi tramite i quali il protagonista ci porta con sé negli anni in cui era uno studente, raccontandoci il suo rapporto con i coetanei, le esperienze che hanno caratterizzato la propria educazione morale, sentimentale e sessuale, le delusioni, il senso di inadeguatezza e quella fastidiosa consapevolezza che sin da giovane l'ha accompagnato, per non abbandonarlo neppure nella senilità: l'essere un individuo dalla natura così... piatta, il suo essere "grigio", mai brillante, privo di qualsiasi guizzo o dinamicità che lo inducessero mai a primeggiare, a porsi obiettivi ambiziosi.
Tony Webster è sempre stato un uomo privo di grosse qualità, mediocre in tutto: nel lavoro, negli studi, nei rapporti interpersonali, in amore, come marito e padre.Lui si definisce tranquillo e pacifico ma Veronica era convinta - già da quando erano giovani - che egli fosse un codardo, uno che teneva lontano il rischio, che non si faceva domande "pericolose" che potessero scuoterlo e minare le sue scarse certezze; uno che "ristagnava", privo di nerbo, di verve.
Nel presente, Tony ci racconta del proprio matrimonio e di come esso sia finito in un divorzio; con l'ex - Margareth - ha mantenuto ottimi rapporti ed infatti a lei l'uomo confida insicurezze, pensieri, dubbi, perplessità in merito a tutto ciò che lo tormenta: la singolare decisione di questa emerita (quasi) sconosciuta, il ricordo di Veronica, della loro fugace storia d'amore, i problemi riscontrati in quella breve relazione, l'amicizia (interrotta) con Adrian.
A Margareth Tony non nasconde nulla perché lei è sempre stata un punto di riferimento solido, un porto sicuro: lei così serena, imperturbabile, comprensiva, ascoltatrice empatica, paziente e soprattutto limpida, trasparente, onesta, priva di zone d'ombra.
Margareth non è mai stata una donna misteriosa, al contrario di Veronica, furba, enigmatica, circondata da un alone di mistero che inevitabilmente le conferiva un certo fascino.
E Veronica ricompare anch'ella nel presente, portandosi dietro il suo essere complicata, difficile da capire e con cui Tony ha sempre avuto problemi a rapportarsi, essendo lui fin troppo banale e semplice nei confronti di tutti e di ogni cosa.
Ricordate il diario di Adrian che Mrs Ford ha lasciato scritto debba andare a Tony Webster? Ebbene, è nelle mani di Veronica, che non ha alcuna intenzione di darlo a quell'ex che, da 40 anni a questa parte, non è cambiato per niente.
Per lei, Tony Webster non capiva niente prima e non capisce niente neppure adesso; gli sfugge ogni dettaglio importante, lo si deve imboccare come fosse un ragazzino a cui spiegare tutto.
Perché Veronica si rifiuta di separarsi da quel diario? E perché Tony ci tiene tanto ad averlo, cosa crede (o spera) di trovarvi scritto e che sia, in qualche modo, "dedicato a lui"?
"Il senso di una fine" esplora con grande finezza psicologica e una notevole fluidità la vita con i suoi dolori inesplorati, i segreti, i rimorsi che fanno male ("significa morsicato due volte: ed è questa la sensazione che si prova"), la fallacia che emerge quando si raccontano episodi del passato illudendosi di farlo in maniera oggettiva quando invece la memoria è fragile, è costellata di "buchi" e inganni, intaccata da cose non dette, dalla mancanza della giusta ed esatta "documentazione storica" e quindi delle informazioni sufficienti.
Quanti errori di valutazione si commettono perché crediamo che l'evento x sia conseguenza dell'evento y, ma non sapevamo in realtà che c'erano di mezzo altri fattori a complicare il tutto?
Leggiamo di suicidi e delle possibili e razionali ragioni di chi sceglie di porre fine alla propria vita, di rapporti umani (amicizia, amore), dell'influenza della filosofia su alcune menti più brillanti di altre, di reminiscenze inaffidabili, di spiegazioni sbagliate che ci si è dati di fatti che invece si conoscevano poco o per niente, di parole atroci dette e che ormai è impossibile rimangiarsi, della tristezza provata nel rendersi conto di quanto inetti si è stati in certi momenti e in certe azioni, di come si sarebbe potuto affrontare determinate fasi della vita con più coraggio e non con quella mollezza che dà un senso di illusoria tranquillità.
Come spesso accade alle storie in cui il filo della memoria lega il racconto del presente con il passato, ho avvertito durante la lettura delle note malinconiche e nostalgiche, a volte struggenti, figlie della consapevolezza di come non ci resti unicamente che la possibilità di pensare a ciò che è stato senza potervi intervenire per modificarlo, per correggere il tiro, per chiedere scusa a chi si è ferito, per rimediare agli errori commessi.
Un libro che mi è piaciuto per lo stile e le tematiche presenti.
Cercherò altro di questo autore.
ALCUNE CITAZIONI
"Che ne sapevo io della vita, io che ero sempre vissuto con tanta cautela? Che non avevo mai vinto né perso, ma avevo lasciato che la vita mi succedesse? Io che avevo avuto le ambizioni di tanti, ma che mi ero ben presto rassegnato a non vederle realizzate? Che avevo evitato il dolore e l’avevo chiamato attitudine alla sopravvivenza?"
"...sono comunque gli occhi che continuiamo a guardare, no? È negli occhi che abbiamo incontrato l’altro ed è lì che ancora lo troviamo. Gli stessi occhi nella stessa faccia di quando ci siamo conosciuti, abbiamo fatto l’amore, ci siamo sposati..."
"All’improvviso mi sembra che una delle differenze tra la gioventù e la vecchiaia potrebbe essere questa: da giovani, ci inventiamo un futuro diverso per noi stessi; da vecchi, un passato diverso per gli altri."
"Il tempo però… ah, come può trascinarci alla deriva e confonderci le idee. Credevamo di aver raggiunto la maturità quando ci eravamo soltanto messi in salvo, al sicuro. Fantasticavamo sul nostro senso di responsabilità, non riconoscendolo per quello che era, e cioè vigliaccheria. Ciò che abbiamo chiamato realismo si è rivelato un modo per evitare le cose, ben più che affrontarle. Già, il tempo ci riserva… il tempo necessario a farci percepire le nostre più salde risoluzioni come traballanti, le nostre certezze come capricci momentanei."
"La vita non è solo fatta di somme e sottrazioni. C’è anche l’accumulo, la moltiplicazione delle perdite, dei fallimenti."
"Certe volte penso che lo scopo dell’esistenza sia quello di riconciliarci, per sfinimento, con la sua perdita finale, dimostrandoci che, indipendentemente dal tempo che ci vorrà, la vita non è affatto all’altezza della propria fama."