mercoledì 17 luglio 2019

Recensione: L'INVERNO DI GIONA di Filippo Tapparelli



Solo accettando di ricordare non più le menzogne ma la verità, il giovane protagonista, Giona, potrà uscire dal suo inverno, da quel "paese" di cui è allo stesso tempo padrone e schiavo e nel quale si era nascosto per non vedere la realtà.




L'INVERNO DI GIONA
di Filippo Tapparelli


Ed. Mondadori

192 pp
€ 17,00

2019


"La realtà è migliore della malattia (...)? Non ci sono cose più fragili della verità. Per questo motivo va detta a bassa voce. Le parole la sporcano e la confondono, non sanno riportarla in modo fedele. La verità è fatta di silenzio. Un silenzio che riesce a rendere sordo il mondo, quando ciò che cela è troppo grande per essere compreso".

Un anziano con la barba bianca, il volto segnato da rughe, gli occhi di ghiaccio; una vita solitaria in montagna, pranzi e cene frugali a base di pane e formaggio.
È un nonno. È il nonno di un quindicenne di nome Giona, al quale ha fatto da padre, da nonno, da unica figura di riferimento.
Una descrizione così non vi farebbe pensare a una celebre storia della nostra infanzia, in cui una nipotina vispa e allegra vive sola ma felice col suo nonnino in una baita di montagna?
Beh, sappiate che le somiglianze iniziano e finiscono lì. 
Il vecchio Alvise, il nonno di Giona, è lontanissimo dal nonno di Heidi, burbero ma buono.

Alvise è tutto controllo, rigore estremo, disciplina, ordine quasi militare; e guai a "sgarrare"! Sono botte e punizioni per quel nipote che lui ha accolto in casa e che si impegna a educare secondo i propri principi intransigenti, parole e atteggiamenti bruschi che non lasciano spazio a gesti affettuosi, al calore dell'amore familiare.

Si respira il gelo, tanto in casa che fuori. È una montagna ostile, fa molto freddo; nonno e nipote vivono in un villaggio aspro e desolato, tenuto sotto scacco dallo spietato Alvise, che domina e comanda, tanto in paese quanto in casa propria, dove impone al ragazzo compiti apparentemente assurdi e punizioni mortificanti, ammantati da una ipocrita saggezza insita nelle sue "lezioni di vita".

"Hai sbagliato e queste sono le conseguenze. Lo sai benissimo. Io ti spiego come fare ma tu continui a sbagliare. Non impari. Ecco perché ti punisco. La sapienza, Giona, si acquisisce attraverso la sofferenza» dice. «Deve essere così. Diffida di chi impara con gioia, perché ciò che si apprende senza dolore, altrettanto facilmente si dimentica.» Alvise mi ripete sempre che bisogna avere consapevolezza di tutto per riuscire a cambiare le cose, ed è per questo che è costretto a picchiarmi. Per inchiodare la consapevolezza nelle mie ossa. E che deve continuare a farlo perché, dopo che la conoscenza mi ha raschiato la carne e il dolore ha cominciato a placarsi, è giusto che la pelle continui a ricordare."

Giona è un adolescente cresciuto in un ambiente privo di carezze e tenerezza; non ha ricordi dei suoi genitori e l'unica cosa sua è un logoro maglione rosso, rammendato ripetutamente perchè il nonno gli ha lasciato solo quell'indumento per scaldarsi in inverno, quando il freddo punge ossa e pelle.
Giona è abituato a parlare e muoversi a comando, se e quando il nonno gliene dà il permesso; sa che deve eseguire con meticolosità tutti gli ordini del vecchio, mettere in atto sempre gli stessi gesti, tenere tutto lindo e pinto e servirlo come se fosse il suo schiavo.

Fino a quando, un giorno, non riesce a scappare.

"Decidi cosa fare, Giona. Non cercare il tempo del sole e della luna, o per te non ci saranno altre albe. Il tuo tempo ora è quello della scelta. Puoi decidere se essere per sempre il servo di Alvise, oppure provare a diventare un uomo libero."

È un atto di ribellione che nasce in seguito ad una piccola ma preziosa scoperta: una foto di lui con una donna - la sua mamma - e da quel frammento del passato scaturisce un flusso di ricordi prima confusi e poi più nitidi.
Giona ha avuto un padre e una madre, che a un certo punto non ci sono stati più, l'hanno lasciato solo con l'arido e cattivo nonno Alvise. Perché? Sono morti? E in che modo? C'entra qualcosa Alvise?

Quella foto scuote Giona nel profondo, così il ragazzo decide di non restare più in casa del nonno, di sfuggire alla sua tirannia, a questa non vita alla quale si è finora tristemente adattato.
Anche la voce che vive nella sua testa gli suggerisce di scappare, di non dare al vecchio il modo e il tempo di fargli nuovamente del male e di trattenerlo lì.

Varcare la soglia della casa in cui è cresciuto per immergersi nel freddo glaciale e nevoso che attanaglia il silenzioso villaggio non è una decisione semplice per lui, ma è l'unica scelta possibile se non vuole morire lì, in balìa di un vecchio matto e crudele, che prima o poi finirà per ammazzarlo a suon di pugni e calci.
Nonostante la paura delle conseguenze, Giona deve provarci e lasciare la casa-prigione del nonno.

"Di paura ne ho eccome, ma lui mi ha già preso tutto: non mi ruberà anche quella. Oggi è mia e mi serve per sopravvivere"

Giona non sa dove andare e nel suo peregrinare, e nel dirigersi poi verso la chiesa del paese, dovrà affrontare il proprio personale inverno, un'inesorabile caduta negli inferi, intercalata da pezzi di ricordi della sua famiglia, scene ben precise in cui lui sembra un bimbo felice con la sua mamma - che lui ricorda sempre malata e stanca - e che sembrano appartenere a una vita precedente.

Attraversando il paese, Giona incontra altre persone: c'è la gentile signora Anna, che custodisce e pulisce la sagrestia dopo la morte del prete del villaggio; ci sono Attilio e Linda, un'anziana coppia sempre in contrasto a motivo della loro figlia Lucia, che ha preso sogni e scarpine da ballerina e se n'è andata da quel paese claustrofobico e opprimente.
E poi c'è lei, la piccola Norina - figura sfuggente, evanescente -, una bimba col suo gatto Carbone, che appare e scompare al momento giusto, parlando a Giona con decisione e con tono da adulta.

E se gli abitanti sembrano burattini senza vita, volontà, coraggio, il paese appare come un animale ferito, in procinto di crollare su se stesso, e la terra sembra sprofondare pian piano sotto i piedi del ragazzo. 

Ma che succede al mondo intorno a te, Giona?
Qual è la verità su Alvise, sui tuoi genitori..., su di te?
Ciò che appare corrisponde a ciò che è davvero?
Chi sei tu?

Se il vecchio nonno, nella sua mania di controllare tutto, vive ingabbiato in un eterno presente, Giona ha il dovere verso se stesso di cercare nel proprio passato, ma di farlo sul serio, smettendo di raccontarsi bugie.

"Sei un bugiardo, Giona» (...) Ti inventi le cose perché hai paura e sei senza coraggio."
Ci vuole coraggio a guardare in faccia la realtà, a immergersi nella nebbia che copre tutto, offusca i ricordi, impedisce di vedere bene e rende l'atmosfera pesante, soffocante, come se ci fosse una cappa di immobilità che avvolge tutto - il paese, la montagna e la stessa mente di Giona.

"Io non temo il buio, anzi. Nel buio più profondo anche la paura procede a tentoni e io, invece, ho imparato a vederci."

Solo attraversando la solitudine, la nebbia e il gelo, solo incamminandosi per quelle aspre strade che conosce bene e che finora l'hanno tenuto prigioniero come in un labirinto senza uscita - quelli in cui prendi una strada piuttosto che un'altra e ti sembra di aver fatto progressi verso la luce e la libertà, ma in realtà stai solo girando in tondo -, solo accettando di ricordare non più le cose sbagliate ma quelle vere, Giona potrà uscire dal suo inverno, da quel "paese" di cui è allo stesso tempo padrone e schiavo e nel quale si era nascosto per non vedere la realtà.
È un cammino necessario che il protagonista e il lettore affrontano insieme, e anche quest'ultimo si ritrova imprigionato in una dimensione priva di riferimenti temporali, sospesa, in cui il sogno, le allucinazioni, i ricordi spezzettati di Giona si confondono con la realtà, fino a creare uno spazio onirico irreale che può essere compreso solo facendo il passo decisivo che permettere di comprendere davvero che cos’è l’inverno di Giona.

Il romanzo è come diviso in due parti: nella prima viviamo la decisione di Giona di sfidare Alvise e i propri dolorosi ricordi, scontrandosi con il villaggio, chiuso nella sua bolla senz'anima; nella seconda, è come se facessimo un salto da questa dimensione ad un'altra, che ci aiuta a comprendere la precedente; anche nella nuova dimensione ritroviamo Giona, che sta ancora combattendo la sua battaglia personale per uscire definitivamente dalla "pancia del pesce" e ritrovare se stesso.
E poco importa se in questo percorso non tutti sapranno qual è la "verità vera"; ciò che conta è che Giona sia finalmente libero.

Ho letto questo libro di Filippo Tapparelli incuriosita dalla bella recensione di Mr. Ink: Diario di una dipendenza e sono contenta di averlo fatto perchè mi sono lasciata sedurre dalla scrittura evocativa e piena di suggestione dell'Autore, che ha saputo coniugare l'elemento del mistero con un profondo livello introspettivo, lasciandoci entrare nella mente del protagonista, nelle sue paure e nei pensieri più intimi, nelle sue emozioni inespresse, nelle verità difficili da raccontare a se stesso (e agli altri!) ma con le quali, prima o poi, deve fare i conti.

Bello, lo consiglio a quanti hanno voglia di una storia capace di scandagliare nel profondo dell'animo umano e in cui i confini tra verità e allucinazioni si perdono per poi distinguersi nettamente mentre si va verso la svolta delle battute finali.


4 commenti:

  1. Come sai, piaciuto molto anche a me. ❤️

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    1. E certo che lo so, l'ho letto dopo la tua recensione ;-)

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  2. Mi piace quando le letture sono impegnative e psicologicamente coinvolgenti. Visto i vostri pareri più che positivi metto in lista questo romanzo e grazie perchè ci proponi sempre libri vari e interessanti :)

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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