La guerra, iniziata nel giugno del 1982 su suolo libanese e condotta da Israele per combattere l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) guidata da Yasser Arafat, stanziata ormai in Libano dal 1948, raggiunse il suo apice all’inizio del mese di settembre.
Dopo l’attentato dinamitardo al neoeletto Presidente del Libano Bashir Gemayel, le forze israeliane, alleate del governo libanese, occuparono Beirut Ovest.
Il generale dell’esercito israeliano Ariel Sharon decise di chiudere ermeticamente i campi profughi e di mettere cecchini sui tetti di ogni palazzo. Niente e nessuno poteva entrare nei campi.
Tre lunghi giorni di massacri: migliaia di rifugiati palestinesi indifesi - donne e anziani, tanti, troppi bambini -, stuprati, torturati, uccisi, con l’esercito israeliano a impedire la fuga dei civili.
L’Assemblea generale dell’Onu definì l’operazione un genocidio con una risoluzione approvata il 16 dicembre dello stesso anno.
Condanne, nessuna.
NON DIMENTICARE è un dovere morale, civile, UMANO, come anche chiedere che ci siano verità, giustizia, ammissione di colpa. E arriverebbero comunque con quarant'anni di ritardo.
Riporto qui alcune testimonianze.
Oum Chawki
«Hanno bussato alla porta di casa. Qualcuno ha detto: “Siamo libanesi, veniamo a fare una perquisizione, cerchiamo armi...”. Mio marito ha aperto la porta, non era particolarmente preoccupato perché non apparteneva a nessuna organizzazione militante. Lavorava al club del golf, vicino all'aeroporto».
Oum Chawki racconta di tre soldati israeliani e di un militare delle forze libanesi, le milizie cristiane di destra, che sono entrati in casa, hanno preso i braccialetti di sua figlia, le hanno strappato gli orecchini e le hanno picchiate.
Come altre famiglie palestinesi, quella di Oum Chawki è stata trasportata all'interno dei campi.
«Ci hanno fatto salire su una camionetta che si è diretta verso l'ingresso del campo di Shatila. I militari hanno separato gli uomini dalle donne e dai bambini. Il libanese ha preso i documenti di tre nostri cugini, prima di abbatterli di fronte a noi. Mio marito, mio figlio e altri cugini sono stati portati via dagli israeliani. Le donne e i bambini si sono diretti a piedi verso la Città sportiva. Ai margini della strada c'erano donne in lacrime, che urlavano che tutti gli uomini erano stati uccisi... ».
«Erano irriconoscibili. Volti deformati, gonfi... Ho visto 28 cadaveri di una famiglia libanese, fra cui due donne sventrate... Cercavo di riconoscere gli indumenti che indossavano mio figlio e mio marito. Li ho cercati per tutto il giorno. Sono tornata il giorno dopo... Non ho riconosciuto nessun cadavere di gente di Bir Hassan». Oum Chawki ha visto alcuni soldati libanesi scavare le fosse per ammucchiarvi i
cadaveri... Non ha mai ritrovato il marito e il figlio. Ma le è più difficile parlare della figlia,
che è stata violentata... «Penso a tutto questo, giorno e notte. Ho dovuto tirar su da sola i miei figli .... Sono stata costretta a chiedere l'elemosina. Non dimenticherò mai. Voglio vendicare tutto questo. Il mio cuore è dello stesso colore dei miei abiti. Tramanderò tutto quello che ho visto ai miei figli, ai miei nipoti...».
Siham Balkis
«Il massacro è iniziato giovedì verso le 5,30 del pomeriggio. Non ci credevamo... Siamo rimasti chiusi in casa fino al sabato mattina, e non abbiamo saputo granché, se non che giovedì e venerdì un gruppetto di palestinesi e di libanesi aveva tentato di difendersi, ma non erano abbastanza numerosi e le munizioni scarseggiavano. Di notte, abbiamo visto dei razzi luminosi e abbiamo sentito degli spari. Credevamo che gli israeliani volessero soltanto prendersela con i combattenti e trovare le loro armi... Quando è tornata la calma, il sabato mattina, siamo saliti sul balcone e abbiamo scorto un gruppo delle forze libanesi (Fl), accompagnato da un ufficiale israeliano. I libanesi ci hanno gridato di uscire. E noi abbiamo obbedito, seguiti dai loro insulti. L'israeliano aveva un walkie-talkie. Uno dei libanesi glielo ha preso e ha detto: “Siamo arrivati alla fine della zona bersaglio”»
Siham e altre persone sono state portate verso l'ospedale Gaza. I loro accompagnatori hanno radunato i medici stranieri e tutta la gente che si era riparata all'interno dell'ospedale e nelle vicinanze.
«Hanno ucciso una decina di combattenti. Hanno catturato un giovane palestinese in camice bianco che si trovava in mezzo ai medici e agli infermieri, e lo hanno ucciso. Quando hanno radunato tutti - centinaia e centinaia di persone - ci siamo diretti verso l'ambasciata del Kuwait. Le strade erano disseminate di cadaveri. Ragazze con i polsi legati. Case distrutte. Blindati, probabilmente israeliani. I miseri resti di un neonato erano rimasti incastrati nei cingoli di uno dei blindati. Prima di arrivare alla Città sportiva, hanno diviso gli uomini dalle donne. I militari chiedevano ai giovani di strisciare per terra. Quelli che sapevano farlo bene venivano considerati combattenti e sono stati fucilati dai militari delle forze libanesi. Gli altri sono stati presi a calci ...
"Furono le mosche a farcelo capire. Erano milioni e il loro ronzio era eloquente quasi quanto l’odore. Grosse come mosconi, all’inizio ci coprirono completamente, ignare della differenza tra vivi e morti. Se stavamo fermi a scrivere, si insediavano come un esercito – a legioni – sulla superficie bianca dei nostri taccuini, sulle mani, le braccia, le facce, sempre concentrandosi intorno agli occhi e alla bocca, spostandosi da un corpo all’altro, dai molti morti ai pochi vivi, da cadavere a giornalista, con i corpicini verdi, palpitanti di eccitazione quando trovavano carne fresca sulla quale fermarsi a banchettare".
Medico olandese che nell'estate del 1982 lavorava a Beirut ovest, all'epoca era assediata dall'esercito israeliano.
«Hanno bussato alla porta di casa. Qualcuno ha detto: “Siamo libanesi, veniamo a fare una perquisizione, cerchiamo armi...”. Mio marito ha aperto la porta, non era particolarmente preoccupato perché non apparteneva a nessuna organizzazione militante. Lavorava al club del golf, vicino all'aeroporto».
Oum Chawki racconta di tre soldati israeliani e di un militare delle forze libanesi, le milizie cristiane di destra, che sono entrati in casa, hanno preso i braccialetti di sua figlia, le hanno strappato gli orecchini e le hanno picchiate.
Come altre famiglie palestinesi, quella di Oum Chawki è stata trasportata all'interno dei campi.
«Ci hanno fatto salire su una camionetta che si è diretta verso l'ingresso del campo di Shatila. I militari hanno separato gli uomini dalle donne e dai bambini. Il libanese ha preso i documenti di tre nostri cugini, prima di abbatterli di fronte a noi. Mio marito, mio figlio e altri cugini sono stati portati via dagli israeliani. Le donne e i bambini si sono diretti a piedi verso la Città sportiva. Ai margini della strada c'erano donne in lacrime, che urlavano che tutti gli uomini erano stati uccisi... ».
Chawki riesce a a fuggire con i figli ma il giorno dopo, ben presto, va a cercare informazioni sulla sorte del marito e del figlio. Si dirige verso il quartiere di Orsal, scavalcando centinaia di cadaveri di libanesi, siriani e palestinesi.
«Erano irriconoscibili. Volti deformati, gonfi... Ho visto 28 cadaveri di una famiglia libanese, fra cui due donne sventrate... Cercavo di riconoscere gli indumenti che indossavano mio figlio e mio marito. Li ho cercati per tutto il giorno. Sono tornata il giorno dopo... Non ho riconosciuto nessun cadavere di gente di Bir Hassan». Oum Chawki ha visto alcuni soldati libanesi scavare le fosse per ammucchiarvi i
cadaveri... Non ha mai ritrovato il marito e il figlio. Ma le è più difficile parlare della figlia,
che è stata violentata... «Penso a tutto questo, giorno e notte. Ho dovuto tirar su da sola i miei figli .... Sono stata costretta a chiedere l'elemosina. Non dimenticherò mai. Voglio vendicare tutto questo. Il mio cuore è dello stesso colore dei miei abiti. Tramanderò tutto quello che ho visto ai miei figli, ai miei nipoti...».
Siham Balkis
«Il massacro è iniziato giovedì verso le 5,30 del pomeriggio. Non ci credevamo... Siamo rimasti chiusi in casa fino al sabato mattina, e non abbiamo saputo granché, se non che giovedì e venerdì un gruppetto di palestinesi e di libanesi aveva tentato di difendersi, ma non erano abbastanza numerosi e le munizioni scarseggiavano. Di notte, abbiamo visto dei razzi luminosi e abbiamo sentito degli spari. Credevamo che gli israeliani volessero soltanto prendersela con i combattenti e trovare le loro armi... Quando è tornata la calma, il sabato mattina, siamo saliti sul balcone e abbiamo scorto un gruppo delle forze libanesi (Fl), accompagnato da un ufficiale israeliano. I libanesi ci hanno gridato di uscire. E noi abbiamo obbedito, seguiti dai loro insulti. L'israeliano aveva un walkie-talkie. Uno dei libanesi glielo ha preso e ha detto: “Siamo arrivati alla fine della zona bersaglio”»
Siham e altre persone sono state portate verso l'ospedale Gaza. I loro accompagnatori hanno radunato i medici stranieri e tutta la gente che si era riparata all'interno dell'ospedale e nelle vicinanze.
«Hanno ucciso una decina di combattenti. Hanno catturato un giovane palestinese in camice bianco che si trovava in mezzo ai medici e agli infermieri, e lo hanno ucciso. Quando hanno radunato tutti - centinaia e centinaia di persone - ci siamo diretti verso l'ambasciata del Kuwait. Le strade erano disseminate di cadaveri. Ragazze con i polsi legati. Case distrutte. Blindati, probabilmente israeliani. I miseri resti di un neonato erano rimasti incastrati nei cingoli di uno dei blindati. Prima di arrivare alla Città sportiva, hanno diviso gli uomini dalle donne. I militari chiedevano ai giovani di strisciare per terra. Quelli che sapevano farlo bene venivano considerati combattenti e sono stati fucilati dai militari delle forze libanesi. Gli altri sono stati presi a calci ...
Ho visto un gran numero di soldati israeliani. Un colonnello israeliano ha detto che le donne e i bambini potevano tornare nelle loro case. In seguito, ho scorto mio fratello salire su una jeep, mentre altre persone salivano sui camion. Sono corsa verso di lui. Invano. Ho sentito un ufficiale dire in arabo: “Questi li consegniamo alle FL. Sapranno farli parlare meglio di noi”».
Roberto Fisk
Ben Alofs
"Mentre veniva compiuto il massacro, io lavoravo al Gaza Hospital di Sabra. La situazione era caotica e confusa. Il nostro obitorio si riempì di cadaveri in pochissimo tempo, mentre i feriti venivano trasportati senza sosta. Il 17 settembre fu chiaro che i falangisti di Saad Haddad (assoldati ed armati da Israele) stavano massacrando la popolazione civile. Un bambino di 10 anni fu trasportato agonizzante all'ospedale. Era vivo, ed aveva trascorso tutta la notte sotto i cadaveri dei suoi genitori, fratelli e sorelle. Durante la notte, gli assassini venivano aiutati dagli elicotteri israeliani, che illuminavano i campi con le torce.
Sabato mattina 18 settembre fummo arrestati dai miliziani falangisti di Haddad.
Appena prima di uscire dal campo, vidi un'immagine che resterà per sempre nella mia mente: un grosso cumulo di terra rossa da cui fuoriuscivano braccia e gambe.
Swee, un ortopedico del nostro team, mi raccontò che una mamma palestinese aveva tentato di mettergli tra le braccia il suo figlioletto per tentare di salvarlo, ma il piccolo gli fu strappato di mano e ridato a sua madre. Domenica 19 settembre, tornai a Sabra e Shatila accompagnato da due giornalisti danesi ed un olandese. L'esercito libanese circondava i campi e cercava di tenerne lontani i giornalisti. Riuscimmo ad entrare. Tutti eravamo atterriti dalla ferocia degli assassinii. L'esercito civile libanese aveva cominciato il recupero dei cadaveri non ancora sepolti dai bulldozer.
Non sapremo mai quanti civili furono effettivamente trucidati durante quei terribili giorni di settembre 1982. Forse 1500? 2000? O più?
Quando le piogge autunnali iniziarono a cadere, alla fine di novembre, le fogne congestionate inondarono Sabra e Shatila. La congestione era causata in parte dai cadaveri gettati nelle fogne. Altri corpi erano stati sepolti in fosse comuni, coperte da massi che non avrebbero mai dovuto essere aperti, per ordine del governo libanese nella persona del presidente Amin Gemayel, fratello di Bashir.
Il primo ministro israeliano Begin commentò: "I goyim uccidono altri goyim e accusano gli ebrei".
"Animali a due piedi", definì Begin i palestinesi nel 1982. Eitan li paragonò a "scarafaggi impazziti in bottiglia": questa disumanizzazione dei palestinesi era ed è ancora la causa dell'insensibile noncuranza dell'esercito israeliano verso la vita dei palestinesi."
Siti consultati:
- Le monde diplomatique, settembre 2002
- immagini
Libri sui massacri di Sabra e Chatila:
- Amnon Kapeliouk, Sabra e Chatila. Inchiesta su un massacro, 1982;
- Genet a Chatila, testi riuniti da Jérôme Hankins, Babel, 1992;
- I fantasmi di Sharon. Il massacro dei palestinesi nei campi di Sabra e Shatila
- Sabra and Shatila di Abraham Weizfeld
- Sabra and Shatila di Abraham Weizfeld
Il massacro di Sabra e Chatila è stato sicuramente un atto agghiacciante e le vittime meritano giustizia. Ricordare il massacro delle popolazioni palestinesi è importante per non dimenticare e sperare in una giustizia tardiva ma necessaria. Grazie per aver dato voce alle vittime della strage.
RispondiEliminaParlarne sempre, dimenticare mai ✌
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