martedì 13 ottobre 2020

Dal libro al film: LA SCUOLA CATTOLICA (regia: Stefano Mordini)



Ho appreso recentemente che sono iniziate le riprese del film LA SCUOLA CATTOLICA, tratto dall'omonimo libro di Edoardo Albinati, vincitore dello Strega 2016.


Ho letto La scuola cattolica (recensione) quattro anni fa e se c'è una cosa che rammento, tra le tante, è la prolissità ^_^ 

Si tratta di un saggio (romanzato) lungo più di 1000 pagine in cui l’Autore, pur avendo fatto del tristemente celebre Delitto del Circeo il fulcro del discorso, affronta tantissime tematiche sociali, e lo fa con estrema lucidità.

Siamo a Roma, in un quartiere residenziale in cui è collocata una nota scuola cattolica maschile dove vengono educati i ragazzi della migliore borghesia. 
In questo contesto non certo di periferia e degradato, accade qualcosa di tragico e sconvolgente.
Nella notte tra il 29 e il 30 settembre del 1975 si consuma uno dei più efferati crimini dell’epoca: il delitto del Circeo
I responsabili sono  ex studenti di quella scuola frequentata anche da Edoardo, che prova a raccontare cosa ha scatenato tanta cieca violenza in quelle menti esaltate da idee politiche distorte e un’irrefrenabile smania di supremazia.

Come dicevo, sono in corso le riprese e a dirigerle c'è Stefano Mordini; nel casto ci sono: Valeria Golino, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Benedetta Porcaroli, Ludovico Tersigni, Valentina Cervi.

La sceneggiatura è di Massimo Gaudioso, Luca Infascelli e Stefano Mordini. 
Le riprese hanno una durata di otto settimane e si svolgeranno a Roma e a San Felice Circeo.




Fonte:   https://www.cinefilos.it/

LIBRI NEI LIBRI (#15)



Chi mi segue sa che, nel leggere un libro, mi piace far caso ad alcuni dettagli, come i luoghi, le canzoni o i libri citati.
Nel corso della lettura dell'ultimo romanzo recensito, La vita invisibile di Ivan Isaenko, mi sono imbattuta in diversi titoli di libri, grazie al fatto che il protagonista/narratore fosse un avido lettore.

Ecco alcuni dei libri menzionati; di questi ho letto solo Le anime morte parecchi anni fa e lo ricordo come un libro pesante, finito a fatica; chissà, magari rileggendolo oggi, ne avrei un altro parere, ma non ne sono sicura, ho sviluppato negli anni un rapporto controverso con gli scrittori russi, per cui alcuni mi son piaciuti davvero, altri per nulla. Non ci sono vie di mezzo ^_^
Lolita è in wishlist da un po'; arriverà mai il suo turno?
Il Maestro e Margherita: ne ho sentito parlare tantissimo, ma non mi sono mai preoccupata di cercare informazioni su di esso; in effetti, potrebbe finire in wishlist pure lui :o)

E voi, che mi dite? Conoscete e/o avete letto questi libri?






Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov (Ed. Feltrinelli, 552 pp)

"Il Diavolo è il più appariscente personaggio del grande romanzo postumo di Bulgakov. Appare un mattino dinanzi a due cittadini, uno dei quali sta enumerando le prove dell'inesistenza di Dio. Era anche presente al secondo interrogatorio di Gesù da parte di Ponzio Pilato e ne dà ampia relazione. 
Poco dopo, il demonio si esibisce al Teatro di varietà di fronte a un pubblico enorme. I fatti che accadono sono cosi fenomenali che alcuni spettatori devono essere ricoverati in una clinica psichiatrica... 
Un romanzo-poema o, se volete, uno show in cui intervengono numerosissimi personaggi, un libro in cui un realismo quasi crudele si fonde o si mescola col più alto dei possibili temi: quello della Passione..." (Eugenio Montale)


Lolita di Vladimir Nabokov (Adelphi, 395 pp).

Chi è Lolita? Questa «ninfetta» (geniale invenzione linguistica di Nabokov, poi degradata nell’uso triviale) è la più abbagliante apparizione moderna della Ninfa, uno di quegli esseri quasi immortali, capaci di travolgere dèi e uomini con una sottile forma di delirio, lo stesso che coglie l’indimenticabile professor Humbert Humbert per la piccola, intensamente americana Lolita. 
America, Lolita: questi due nomi sono di fatto i protagonisti del romanzo; realtà geografica e personaggio sono arrivati a sovrapporsi con prodigiosa precisione, al punto che si può dire: l’America è Lolita, Lolita è l’America. 




Memorie dal sottosuolo di Fëdor Dostoevskij (Bur, 114 pp)

In forma di monologo-confessione, è la storia della fallita redenzione di una prostituta e, nello stesso tempo, la tormentata indagine sull'inconscio, il "sottosuolo", e sull'impossibilità di capire a fondo se stessi e gli altri. 
L'io narrante è uno dei cosiddetti "uomini superflui", uno che si limita a prendere atto dell'immensa ricchezza nascosta nel proprio intimo e non trae alcuna conseguenza pratica, soffrendo acutamente, al tempo stesso, del proprio fallimento. È la prima incarnazione di quel tipico personaggio di individuo smarrito tra l'angosciosa ricerca della verità e un'incolmabile distanza dalla realtà che sarà protagonista dei grandi romanzi di Dostoevskij.




Le anime morte
di Nikolaj Gogol' (Mondadori, 448 pp)

"Le anime morte" intreccia passaggi lirici, particolari surreali e romantici, dimensioni metafisiche e macabre, dialoghi comici, iperbolici e funambolici artifici stilistici. Vi sfila una galleria di personaggi appartenenti a tutte le classi sociali, le cui anime sono moralmente morte, ancor più dei servi deceduti e comperati da Cicikov per ottenere le assegnazioni di terre concesse a chi dimostrava di possedere un certo numero di servi della gleba. Solo una commedia grottesco-satirica poteva descrivere questa ottusa società di proprietari terrieri, contadini e funzionari, immersa in una palude di stupidità e pigrizia provinciale, di mediocrità e pochezza morale. Un capolavoro in cui Gogol', con la sua anarchica energia vitale, infonde l'essenza del carattere russo e, al tempo stesso, sfiora gli orrori nascosti nel profondo di tutti noi.


Una giornata di Ivan Denisovic di Aleksandr Solzenicyn (Einaudi, 278 pp).  

Prima opera a raccontare la vita nel Gulag, e a farlo dal punto di vista della grande letteratura russa, nel solco di Tolstoj e Dostoevskij ma usando una prosa ellittica e spigolosa, piena di espressioni di registro basso. 
L'autore tra queste pagine si occupa della nostalgia per una terra espropriata nella collettivizzazione e dell'amore per il lavoro dei campi al quale il protagonista sostituisce il rispetto per una terra circoscritta da filo spinato, dove, nonostante tutto, mani callose e screpolate dal freddo cercano di costruire qualcosa di degno, che li riscatti dall'abbrutimento.




lunedì 12 ottobre 2020

Recensione: "IL DELITTO DI VIA POMA. Trent'anni dopo" di Igor Patruno



Con estrema accuratezza e un'esposizione chiara e attenta, il giornalista Igor Patruno torna con un nuovo libro sul delitto di via Poma, e partendo dall'agosto del 1990 fino a tempi più recenti, riesamina le tappe di uno dei cold case italiani più misteriosi degli ultimi anni.
Un delitto atroce ed irrisolto, la cui vittima ancora deve ottenere giustizia.


IL DELITTO DI VIA POMA. Trent'anni dopo
di Igor Patruno


Armando Editore
292 pp
"Eccomi. Simonetta.
Stata al mondo vent’anni. Morta dove sono caduta, per mano d’uomo. Un’aureola di sangue intorno al capo."

È una calda giornata d'agosto del 1990 e sul sagrato della chiesa di San Giovanni Bosco, a Roma, si sta tenendo un funerale: quello di Simonetta Cesaroni.

Simonetta è stata barbaramente uccisa nel pomeriggio del 7 agosto del 1990, e dopo trent'anni siamo ancora qui a chiederci perché e, soprattutto, a chi appartiene la mano che ha fatto scempio di quel giovane corpo.
Se non è morto nel frattempo, l’assassino si aggira quindi libero e la famiglia Cesaroni ancora aspetta che venga fatta chiarezza e giustizia sulla morte atroce di Simonetta.

Patruno segue questo caso dagli inizi e leggendo il presente volume ho potuto apprezzare come, accanto al lodevole proposito di essere obiettivo - del resto è questo che ci si aspetta da un giornalista: che sia oggettivo e mantenga una certa distanza emotiva nel narrare di delitti e assassinii per poterne parlare in modo imparziale -, egli si sia fatto guidare da un atteggiamento di umana empatia, tanto verso la povera vittima quanto verso i suoi famigliari.

Se c'è una peculiarità del delitto di via Poma, essa è sicuramente la menzogna.
È normale e logico chiedersi: perché mentire? Perché i soggetti coinvolti, per motivi che ci sono ignoti, hanno rilasciato spesso dichiarazioni contraddittorie o del tutto mendaci? Perché hanno nascosto determinati dettagli e particolari?

Solitamente si mente per nascondere, e certo non ci stupisce pensare che l’autore dell’omicidio possa mentire e depistare per non farsi prendere; ma quando a dire bugie sono personaggi che in fondo non avevano a che fare  con la morte della ragazza in modo diretto, i dubbi e gli interrogativi non possono che crescere.
Forse questo "fenomeno" è attribuibile al timore di essere travolti da una vicenda di immenso rilievo mediatico e delle inevitabili conseguenze del sospetto?

L'Autore parte dal contesto e dalle situazioni che hanno portato Simonetta Cesaroni all'interno dello stabile di via Poma n.2; non solo, ma ci parla di lei, di questa giovane di soli ventuno anni come di una brava ragazza, attaccata alla famiglia, senza grilli per la testa, che conduceva una vita normale, priva di segreti torbidi e con le problematiche tipiche dell'età (sentimentali, lavorative...).
Era innamorata di Raniero Busco, col quale però non viveva una storia d'amore tutta cuoricini e tenerezza, bensì una relazione un po' tormentata, fatta di "lascia e prendi", in cui lui soprattutto si sentiva poco coinvolto sentimentalmente.

Simonetta era una giovane sensibile, con un mondo interiore ricco che lei riversava su foglietti di carta, sui quali annotava pensieri, sentimenti, paure.

Con una suspense in grado di tenere col fiato sospeso, vengono ricostruite le ultime ore di vita della ragazza, le persone incontrate, le telefonate con gli amici o con il datore di lavoro; si incrociano le testimonianze di chi l'ha sentita o vista nelle ore precedenti l'omicidio.

Personalmente ho letto il capitolo narrante i fatti di quel tragico 7 agosto con un senso di oppressione, un magone difficile da mandar giù in quanto accompagnato dalla tristissima consapevolezza di come quelle pagine che mi scorrevano sotto gli occhi non appartenessero ad un avvincente romanzo noir, ma fossero la narrazione delle tragiche e feroci condizioni in cui l'esistenza innocente di una ragazza di periferia sia stata stroncata all'interno di un palazzo, simbolo della Roma borghese.
Mi ha profondamente colpito leggere la ricostruzione dell'assassinio e immaginare come siano andate le cose in quel maledetto ufficio, in cui Simonetta si è ritrovata da sola, faccia a faccia col suo assassino, spietato, crudele, che si è accanito sul suo corpo con ventinove coltellate.

Com'è possibile che nessuno abbia visto o sentito nulla in quel tardo pomeriggio (il decesso della vittima è collocato tra le 17:30 e le 18:30 del giorno 7) di inizio agosto? 

Ma più di tutto, chi ha mandato Simonetta (che lavorava come contabile presso la Reli Sas, uno studio commerciale, che aveva tra i suoi clienti la A.I.A.G. -Associazione Italiana Alberghi della Gioventù -, con sede in via Carlo Poma) in quegli uffici, da sola, il 7 agosto, pur non essendocene l'urgenza?

L'autore è estremamente dettagliato nel tener conto di orari, persone coinvolte, spostamenti, stranezze, telefonate, e ci lascia interdetti il numero delle menzogne e dei cambi di versione che si sono susseguiti da parte di coloro che avrebbero dovuto rendere conto dei rapporti di lavoro intercorsi con Simonetta, e quindi del suo ruolo e delle sua presenza in ufficio in quel dannato pomeriggio.

Ad esempio, troppe sono le incongruenze di Salvatore Volponi (datore di lavoro di Simonetta) in merito all'ultima volta in cui vide la ragazza e sul fatto che dovesse incontrarla proprio in quei giorni per concordare lavoro e ferie.

Ma a complicare le cose non ci sono soltanto le versioni incoerenti, ma anche il mancato congelamento della scena del crimine: com'è possibile che si sia permesso agli impiegati del comitato Lazio di riprendere l’attività pochi giorni dopo l’omicidio, contaminando così irrimediabilmente gli ambienti?

Per non parlare dei tanti errori e mancanze al momento del sopralluogo sulla scena del delitto, tra agenti che si sono messi a scrivere frasi sibilline su foglietti volanti, persone che hanno fatto su e giù nei locali interessati, reperti messi insieme e conservati male...

Quello di via Poma potrebbe sembrare il delitto perfetto in virtù del fatto che chi l'ha commesso l'ha fatta franca (almeno finora...), riuscendo ad allontanarsi dal luogo del delitto; ma in realtà, gli eventi accaduti nell’appartamento al terzo piano, della palazzina B, di via Poma sono un groviglio di eventi casuali, di circostanze imprevedibili che poco hanno a che fare con la bravura e l'intelligenza dell'assassino.

Questi, se da una parte ha ucciso con una furia cieca, dall'altra ha altresì agito con comportamenti estremamente lucidi e protratti nel corso del tempo, e a tal proposito, l'Autore espone delle ipotesi in merito alla condotta dell'omicida prima, durante e dopo il delitto, sottolineando come ogni particolare sia importante per comprendere le sue azioni. 
Se è vero che le azioni dovrebbero aiutarci a definire l’ombra di chi le ha compiute, è altrettanto vero che nel delitto di via Poma le ombre stentano a divenire percepibili, individuabili, e tutto resta nel buio e nel mistero.

Patruno ci ricorda in che modo hanno lavorato gli inquirenti dal 1990 in poi, soffermandosi sugli svariati errori e le valutazioni sommarie e sbagliate, che li hanno spinti ad indagare su colpevoli improbabili, dando magari attribuzioni azzardate a dettagli semplici (ad es., i segni sul capezzolo di Simonetta scambiati per morsi) o non dando rilevanza a ciò (le tracce di sangue) che invece poteva "raccontare" molto della tragedia che sì è consumata in quell'appartamento, in un arco di tempo in fondo neanche troppo ampio. 
Eppure è stato un tempo sufficiente a ripulire la scena del crimine, sottraendo indumenti e altri oggetti appartenenti alla povera ragazza uccisa...

Tanti sono i personaggi che intervengono in questa storia, qualcuno ha avuto il suo "posto in prima fila", qualcun altro è rimasto dietro le quinte; una cosa è certa: coloro che negli anni sono stati indagati come possibili colpevoli, poi sono stati prosciolti per assenza di prove.

Sia Federico Valle che Pietrino Vanacore (il portiere dello stabile, suicidatosi il 9 marzo 2010) furono dichiarati innocenti più che per non aver commesso i fatti loro addebitati, per mancanza assoluta di prova.

Discorso diverso per Raniero Busco, che - a causa della presenza del suo DNA sugli indumenti intimi della vittima (con cui aveva però avuto rapporti tre giorni prima del fattaccio) - è stato indagato, condannato per poi essere definitivamente assolto in Cassazione nel 2014.

Insomma, anni e anni di interrogatori, testimoni ascoltati, dichiarazioni comparate e incrociate... che non hanno portato alla soluzione del caso.

Claudio Cesaroni, padre di Simonetta, era convinto che “il nome dell’assassino è nelle carte dei magistrati e va cercato tra i frequentatori di quel maledetto palazzo".
Ed effettivamente, la convinzione che a togliere la vita a Simonetta sia stato qualcuno che ben conosceva lo stabile e gli uffici di via Poma, è concreto e ragionevole.
Ma allora perché non è stato rilevato il DNA a tutti coloro che - uomini e donne - potevano avere accesso ai locali di via Poma? 
Senza considerare l'arma del delitto, che si presume sia un tagliacarte presente in ufficio, il quale viene ritrovato tranquillamente lì dove doveva stare, il che ci fa supporre legittimamente che chi ha usato l'oggetto per ammazzare Simonetta, evidentemente sapeva ciò come muoversi e dove riporlo.

Igor Patruno ha ricostruito con un lavoro certosino, avvalendosi della lettura delle carte giudiziarie, tutto ciò che ruota attorno a questo terribile e inquietante caso, non fermandosi alla fredda (ma comunque necessaria) enumerazione dei fatti, bensì andando oltre e lasciando emergere i dettagli introspettivi dei personaggi, mettendo in evidenza fatti e circostanze nel contraddittorio accavallarsi delle dichiarazioni rese dai testimoni, nelle risultanze delle lunghe inchieste, altrettanto contraddittorie. 

Ne viene fuori un resoconto che, lungi dall'essere (soltanto) una disamina lucida e distaccata, è al contrario un racconto, coinvolgente ed emotivamente toccante, che parte dalla vittima, dalle sue ultime settimane di vita proseguendo con le indagini partite immediatamente, ricostruendo la dinamica del delitto e giungendo ai fallimentari esiti giudiziari, che non hanno purtroppo condotto alla verità.

Questo libro vuol essere una sollecitazione alla procura a riaprire il caso perché non sarebbe giusto dimenticarci di Simonetta, almeno finché non sarà fatta giustizia.

Ringrazio Armando Editore per la copia digitale di questo interessantissimo libro d'inchiesta e lo consiglio a quanti desiderano approfondire o conoscere con attenzione il caso in oggetto, narrato con uno stile molto chiaro e comprensibile, dettagliato ma assolutamente non pesante.

sabato 10 ottobre 2020

Recensione: LA VITA INVISIBILE DI IVAN ISAENKO di Scott Stambach



È possibile narrare di sofferenze e solitudine, di giorni sempre uguali - fatti di cavoli a colazione, compagni con gravi malformazioni e con cui è impossibile interagire -, con un'ironia caustica e intelligente capace quasi di far dimenticare tutto il dolore che si respira nelle corsie di un ospedale che ospita bambini gravemente ammalati (a causa delle radiazioni liberate dall’esplosione di uno dei
reattori nucleari della centrale di Černobil’)?
Sì, è possibile se il narratore è un tipo come Ivan Isaenko, un ragazzo di diciassette anni che vive in questo triste istituto a Mazyr da sempre; Ivan ha deciso di scrivere un diario e di raccontarci com'è la vita in ospedale, chi sono i pazienti, come si comportano le infermiere, che razza di uomo (mediocre) sia il direttore, e soprattutto leggiamo di come a salvare il ragazzo da una quotidianità drammaticamente desolante, c'hanno pensato i libri (Ivan ama la letteratura russa) e l'amore per la bellissima Polina, anch'ella ricoverata lì a causa della leucemia. 



LA VITA INVISIBILE DI IVAN ISAENKO
di Scott Stambach



Ed. Marsilio
302 pp
Com'è vivere nell’Ospedale per i bambini gravemente ammalati di Mazyr (in Bielorussia)?

Ivan Isaenko ha avuto la bella idea di scrivere per ore e ore e ore, tutto di fila, proprio per raccontarcelo: perché anche le storie tristi è giusto che vengano raccontate.
Perché anche un ragazzino affetto da patologie che ne hanno stravolto l'aspetto fisico - limitandone moltissimo l'autonomia e rendendolo poco più che uno... "sgorbio" - ha il diritto di essere ricordato, di scoprirsi protagonista indiscusso della propria esistenza - seppur da "mutante" poco attraente.

Perché se nessuno prende a cuore il racconto di chi sono e come passano le giornate quelli come lui - costretti a vegetare tra le grigie pareti dell'Ospedale per i bambini gravemente ammalati di Mazyr -, se non lo fa lui che, per monco che sia  (dispone di una sola mano con tre dita; al posto delle gambe, due moncherini), ha però un cervello funzionante e una cultura invidiabile per uno che a scuola non è mai andato, chi lo farà?

"Perché se non documento il nostro mondo proprio ora, su questo foglio coperto di macchie equivoche, con la penna ormai scarica e la mia delirante calligrafia da mancino, rischieremmo di svanire tutti nella schiuma della storia senza essere mai stati nominati."

Ed è così che il lettore si immerge nella lettura di questo diario, facendo la conoscenza dell'intelligentissimo e arguto Ivan (colpito molto probabilmente dalla sindrome di Beals, una malattia del tessuto connettivo) e, grazie a lui, degli altri ospiti dell'istituto, povere creature affette da gravi malformazioni, catastrofica conseguenza dello scoppio del reattore nucleare n.4 della centrale di Černobil’, il 26 aprile 1986.

Ivan, con la lucida tranquillità propria di chi vede bimbi malati da quando è nato, ci descrive i suoi "compagni" d'istituto, e non esita a dirci come essi non abbiano le sue stesse capacità intellettive; le malattie da cui sono affetti hanno intaccato non solo l'aspetto fisico ma anche la psiche, per cui non c'è verso di avere con loro alcun tipo di rapporto e dialogo...

C'è da sentirsi soli, povero Ivan, ed è per questo che un modo per passare le giornate deve inventarselo per forza, se non vuole impazzire; e così si diverte ad origliare le conversazioni di infermiere e dottori, fingendosi catatonico, o a far loro dispetti anche parecchio perfidi.

"Nonostante la piccolezza del mio mondo, sono in grado di mischiare le mie osservazioni a un po’ d’immaginazione e farle diventare sceneggiature affascinanti di cui sono io l’unico protagonista. Recito tutte le parti, dall’eroe al cattivo, ma mai l’osservatore, perché quello lo sono già, in ogni minuto di ogni giornata. Apprezzo la libertà; molto tempo fa ho imparato che ciò che accade dentro la mia mente non ha conseguenze."

A farlo sentire giustificato ad avere comportamenti odiosi e e parole spesso molto ciniche e pungenti, contribuisce l'atteggiamento della maggior parte delle infermiere, scevre di empatia, pazienza, affettuosità; forse perché per lavorare in corsie impregnate di gemiti, sofferenze e morte a un certo punto è necessario operare un distacco emotivo, altrimenti non si resisterebbe per anni? Oppure la vista quotidiana di questi bambini bisognosi di cure, di sovente abbandonati (del tutto, come Ivan, o quasi, dai famigliari) e ridotti a vegetali, si tramuta (magari inconsapevolmente) in qualcosa cui ci si abitua e che non desta più, col passare del tempo, grosse emozioni?

Qualunque sia la risposta, fa eccezione l'infermiera Natal'ja, l'unica presenza materna, gentile, sinceramente affezionata al proprio difficilissimo lavoro e ai propri fragilissimi pazienti; in particolare ad Ivan, di cui si occupa con premura e amore, assecondando tante sue richieste (di vodka, ad esempio) e andando incontro al suo spirito acuto, al suo intelletto straordinario, fornendogli libri su libri.
Ivan ama in special modo la letteratura russa, ma la sua fame di sapere e conoscenza lo spinge a leggere qualunque cosa gli passi sotto il naso, compresi testi medico-scientifici, religiosi e altro ancora.
Leggere diventa davvero per lui un'opportunità di uscire, anche soltanto attraverso la fantasia, dalle pareti di un posto che è praticamente casa sua, al quale è sì abituato (non conosce altre realtà) ma che egli riconosce essere certamente desolante.

"Non ho metri di paragone, ma da quel poco che so del mondo esterno sono piuttosto sicuro che io e i miei compagni ci troviamo all’inferno. Per molti di noi, l’inferno è il nostro corpo; per gli altri, l’inferno è nella nostra testa. E non c’è dubbio che, per ciascuno di noi, l’inferno siano le pareti di mattoni bianchi macchiate, vuote, asettiche, perfettamente adeguate che ci tengono rinchiusi qui dentro."


Tutto scorre sempre uguale, fino al giorno in cui a scuotere la sua routine ci pensa una nuova residente dell’ospedale, Polina.
L'Intrusa ideale. Insopportabile perché insolitamente bella (quando mai c'è bellezza nell'ospedale per bambini gravemente ammalati di Mazyr?) con la sua pelle come porcellana, i suoi capelli lunghi, il suo visetto angelico.

Ivan all’inizio non la sopporta e lei non fa molto per rendersi simpatica, anzi, lo tratta con un misto di sufficienza e repulsione. 
Polina gli ruba i libri, sfida le regole del suo universo magico, si fa amare da tutte le infermiere. 
Può negarlo in tutti i modi ma Ivan ne è attratto in modo irresistibile.

"Era il vuoto dell’ospedale. La statistica mancante. Uno sconvolgente miscuglio di cherubino e demonietto. Era una dea infantile con un tale desiderio di letteratura russa autentica da rubarla a un convalescente. Il che significava che era una persona in grado di vedere la mia realtà e rifletterla verso di me. Era una persona in grado di farmi sentire qualcosa di più che un fantasma che si aggira per i corridoi. Ero abituato a giocare con le chimere, non con i miei pari. (...) Era l’autentica Intrusa. Era perfetta e perfettamente sbagliata."

Tra i due inizia un gioco dialettico, di schermaglie verbali, opinioni su ciò che succede tra quelle mura, sul direttore e sulle tresche con le infermiere, sui libri che hanno letto e che amano (Lolita di Nabokov è in cima) e tra battute sarcastiche e rispostacce spietate, tra i due nasce un'amicizia, un sentimento tenero e coraggioso, che diviene per entrambi un'àncora di salvezza, un'opportunità irripetibile per scoprire il mondo come mai avevano fatto prima, per provare sensazioni sconosciute fino ad allora.
Polina è differente dagli altri malati: se il suo corpo deperisce e si consuma giorno per giorno, la sua mente e il suo spirito sono vive più che mai e con il suo caratterino e la sua intelligenza, tengono testa 
alla lingua tagliente e spesso cinica del giovanotto, che si innamora perdutamente. 

La vita di Ivan Isaenko è stata invisibile prima di Polina, limitandosi egli ad osservare, con distacco e quasi un senso di superiorità, ciò che si svolgeva attorno a lui e le persone con cui veniva in contatto.
Dopo Polina, tutto cambia e le giornate non sono più un susseguirsi di attività noiose e ripetitive, scandite dalle lancette dell'orologio, ma attimi preziosi trascorsi con lei, pensando a lei, parlando e ridendo con lei...

«Se non fossimo dentro quest’ospedale e tu mi vedessi in un ristorante, saresti così bella da provare disgusto per me e abbastanza sensibile da provare pena.» 
«Se fossimo dentro due corpi diversi, in un qualsiasi altro posto, in qualsiasi altro momento, mi sentirei comunque come quando ci siamo conosciuti, come due quark qualche secondo dopo il big bang.»
 
L'amore ai tempi della malattia, delle disabilità; l'amore che travalica il dolore, la solitudine, l'amarezza per una non-vita piatta, invisibile e anonima; la tristezza davanti al pensiero di essere un errore umano, una disgrazia vivente; l'amore che dà valore e significato alle ore, ai minuti, ai secondi.

"...il tempo risiede nella mente e quando hai il cuore in fiamme i secondi smettono di essere tali".

L'amore che piange, sogna ad occhi aperti, che veglia al capezzale dell'amata, che spera fino all'ultimo che lei sia risparmiata dal maledetto cancro che la divora da dentro.
L'amore che cambia chi da esso si lascia travolgere; perchè per amare non ci vogliono le gambe o una bella faccia: basta un cuore affamato di vita.
Quella vita cui si resta attaccati anche quando intorno non c'è che afflizione e monotonia; perché fino all'ultimo battito la vita va vissuta, anche se ti manca qualche arto, anche se vieni a scoprire la verità sulla tua nascita e ne resti sconvolto. Anche se sei un bambino gravemente ammalato dell'ospedale di Mazyr.

Questo libro (basato sul diario redatto da un adolescente di nome Ivan Isaenko, ospite di un ospedale pediatrico in Bielorussia, e che fu scovato da un giornalista irlandese e successivamente editato da un dottorando della New York University) commuove, fa sorridere, stimola l'empatia del lettore, che inevitabilmente si vede trasportato, con l'immaginazione, in questo istituto in cui si respira tanto dolore, morte, il puzzo di disinfettanti, in cui l'occhio - se fossimo là, tra quelle spoglie pareti - verrebbe ora respinto ora morbosamente attratto da quei corpi così giovani e irrimediabilmente segnati da malattie terribili; un luogo che il giovane narratore non esita a paragonare a un inferno (è la vita stessa ad esserlo, se di vita si può parlare per quelli come lui), ma dove possono, inaspettatamente!, nascere anche l'amore, l'amicizia, la complicità, la compassione.

Una lettura che mi ha coinvolta molto emotivamente, di cui ho apprezzato la scrittura umoristica ed incisiva dell'autore, che ha dato al narratore una personalità energica, vivace, una voce vibrante che si fa portavoce dei dimenticati, di quegli sfortunati costretti a vivere la propria esistenza dal basso di una carrozzina o stesi su un letto d'ospedale, che racconta con piglio graffiante, mordace, senza peli sulla lingua, di malattie, impulsi sessuali, scherzetti sadici ma divertenti, di infermiere streghe o materne, di cibi insipidi, di pomeriggi noiosi, di un'amicizia e di un amore che arrivano quando proprio non te l'aspettavi.

Io non so in che misura questo libro sia fedele al diario originale di questo paziente di Mazyr, quanto ci sia di lui e quanto sia frutto della fantasia dello scrittore; quello che so è che, anche se del vero Ivan ci fosse una percentuale irrisoria, questo libro merita comunque di essere letto, perché offre la preziosa opportunità di vedere il mondo con gli occhi di un disabile in mezzo ad altri disabili, di ascoltare una voce che, per quanto torturata e lontana da noi, dal nostro mondo, arriva al cuore del lettore e gli chiede semplicemente di ascoltarla.


giovedì 8 ottobre 2020

Anteprima Salani editore: FAIRY OAK. LA STORIA PERDUTA di Elisabetta Gnone . dal 22 ottobre in libreria



Le radici dei popoli sono come le radici degli alberi: consolidano il terreno per le generazioni future. E ogni storia perduta, o dimenticata, può contenere molte verità.

In occasione del 15º anniversario della saga, una nuova storia ci riporta a Fairy Oak.



FAIRY OAK. LA STORIA PERDUTA
di Elisabetta Gnone



Ed. Salani
432 pp
USCITA
22 OTTOBRE 2020
Il tempo è passato e molte cose sono cambiate a Fairy Oak, e così capita di immelanconirsi riguardando vecchie fotografie davanti a un tè, ricordando vecchi amici e grandi avventure. 
Ma quando i ricordi approdano all'anno della balena, i cuori tornano a battere e i visi a sorridere. 
Che anno fu! 
Cominciò tutto con una lezione di storia, proseguì con una leggenda e si complicò quando ciascun alunno della onorata scuola Horace McCrips dovette compilare il proprio albero genealogico. 
Indagando tra gli archivi, le gemelle Vaniglia e Pervinca, con gli amici di sempre, si mettono sulle tracce di una storia perduta e dei suoi misteriosi protagonisti. 
E mentre il loro sguardo ci riporta nella meravigliosa valle di Verdepiano, si consolidano vecchie amicizie, ne nascono di nuove, si dichiarano nuovi amori e si svelano sogni che diventano realtà.

L'autrice.
Elisabetta Gnone è stata direttore responsabile delle riviste femminili e prescolari della Walt Disney, per la quale nel 2001 ha creato la serie a fumetti W.I.T.C.H., destinata a un successo mondiale. Nel 2004 ha pubblicato il primo libro della fortunatissima saga di Fairy Oak, che ha conquistato il cuore di milioni di giovani lettori nel mondo. Negli ultimi anni Elisabetta si è dedicata alla scrittura del suo nuovo romanzo Olga di carta (Salani editore, 2015), una storia sull’importanza di raccontare le storie.




ALTRI LIBRI DI ELISABETTA GNONE RECENSITI SUL BLOG:


domenica 4 ottobre 2020

Recensione: PERDUTI NEI QUARTIERI SPAGNOLI di Heddi Goodrich



Tra queste pagine si consuma una doppia storia d'amore: quella intrattenuta da una ragazza americana con un giovane uomo - attaccato alle proprie radici, alla propria terra - e quella con Napoli, città unica e indimenticabile, capace di risucchiarla totalmente tra i suoi vicoli colorati dai panni stesi che sventolano al sole ed echeggianti di rumori, urla, voci.



PERDUTI NEI QUARTIERI SPAGNOLI 
di Heddi Goodrich



Ed. Giunti
476 pp
"Napoli non era mai una scelta. Era un regalo che ti veniva imposto con le spalle al muro, una questione di nascita o di destino."

Heddi è una ragazza che dagli Stati Uniti è giunta a Napoli per ragioni di studio; frequenta Glottologia all'Istituto Universitario Orientale e il suo soggiorno a Napoli è una vera e propria full immersion in un posto con cui, per quanto non sia casa sua e nel quale lei sia e resti sempre e comunque una straniera - l'americana -, prende famigliarità giorno per giorno, arrivando col tempo a tuffarsi con il corpo, la testa e il cuore nella città partenopea, facendo sua la lingua, accostandosi con curiosità al dialetto, sviluppando una conoscenza profonda, impressionante, e un amore che nascono dall'empatia, da un bisogno di mettere radici in un luogo che possa assumere i contorni rassicuranti di una casa

Quando indichiamo un posto come casa?


"Era un puntino rosso sulla mappa, un punto di riferimento minuscolo ma capace di contenere, a quanto pareva, tutto. Era una parola che si dava per scontata, come se si trattasse semplicemente di una delle emozioni umane più elementari – gioia, rabbia, tristezza, casa – eppure si accendeva lo sguardo a chi la pronunciava."

Napoli diventa la casa, il posto del cuore per Heddi?

In questo racconto, narrato in prima persona, c'è sicuramente un sentimento forte di appartenenza per Napoli, ma a renderla speciale, agli occhi della protagonista, sono soprattutto le persone.

Heddi - che in bocca ai napoletani diventa Eddie, "come Eddie Murphy" - vive con altri studenti fuori sede e fuori corso nei Quartieri Spagnoli, dove la vita nelle case vecchie e "messe male" costa poco, dove presto o tardi ci si abitua a far su e giù tra i piani pericolanti, a passare davanti alle porte dei vicini urlanti, dalla mattina alla sera, espressioni in dialetto stretto, a camminare quasi scontrandosi con uomini, donne, ragazzi, bambini... che sembrano calpestarsi l'un l’altro, in fuga attraverso i vicoli inestricabili, gli edifici poco attraenti che quasi sfidano il cielo, avvolti in uno schiamazzo continuo e quotidiano di voci e grida inarrestabili.

E su tutto c'è lui, il Vesuvio, che come un vecchio saggio sembra osservare ogni cosa e vegliare su tutto e tutti:

"Il Vesuvio non veniva da noi. Se ne stava là a pazientare, ed era capace di aspettare migliaia e anche centinaia di migliaia di anni. Le nostre ambizioni, le nostre paure, il nostro straordinario amore – per il Vesuvio tutto questo non valeva niente. La sua era una saggezza profonda quanto la sua camera magmatica, oppure era semplicemente indifferenza?"

Le giornate spensierate - come possono essere quelle degli studenti lontani da casa, che finalmente vivono da soli, gustandosi l'indipendenza e la libertà - di Heddi trascorrono tra esami e lezioni all'università e le serate con gli amici: gli allegri Tonino e Angelo, l'enigmatico e affascinante Luca, la frizzante Sonia, e lui, Pietro, serio e premuroso.

Pietro Iannace è studente di Geologia, figlio di una famiglia contadina della provincia di Avellino, gente dedita alla terra e ad essa legata da un nodo indissolubile, ostinato, arcaico.

Il ragazzo è un tipo di poche parole, riservato, ma con Heddi è pieno di attenzioni e tra i due nasce un sentimento tenero e forte, che fa sì che la ragazza si senta davvero a casa quando è in compagnia del suo innamorato.
Il loro è un amore dolce, passionale, che li fa sentire vicini l'uno all'altra anche perché entrambi si sentono un po' stranieri a Napoli; infatti benché Vallesaccarda - il paese di Pietro - sia distante dal capoluogo partenopeo solo cento chilometri, il giovanotto sa di appartenere al proprio paesino, alla propria terra, anzi, alle terre dei suoi genitori, che un giorno, si presume, saranno sue e alle quali egli già da adesso lavora duramente, da buon figlio obbediente.

Heddi è una ragazza intelligente, sensibile, che osserva con attenzione tutto ciò che la circonda, che siano le persone, i luoghi, le case, il quartiere, e in generale tutto quello di cui fa esperienza.

Si lascia avvolgere dal calore (e dal "colore", dalla vivacità) delle serate in compagnia dei coinquilini, in veranda, quando l'aria è frizzantina e i brividi sulla pelle regalano una sensazione unica e piacevole; si sente irresistibilmente attratta da Luca, bello, colto, saggio, inafferrabile, parco di sorrisi, e quando è a lei che sorride, Heddi ne è rapita, si sente una privilegiata, come se lui l'avesse scelta, tra tanti, per schiuderle una parte di sé che normalmente nasconde agli altri. Luca, che negli anni successivi continuerà ad esserci, ad attraversare, con la sfuggevolezza che gli è propria, l'esistenza di Heddi, come a suggellare un legame con Napoli e con la vita universitaria che mai si spezzerà, anche quando lei sarà ormai lontana e avrà preso la propria strada e fatto le proprie scelte.

Heddi osserva tanto, a volte in silenzio, a volte osando commenti e domande, pure il suo amore.

Tra i due fidanzati c'è un coinvolgimento sentimentale sincero, che rende felici entrambi eppure...
Eppure una piccola nuvola scura si posa sulla loro relazione e la nostra Heddi, pur essendo molto innamorata, non chiude gli occhi (non totalmente, almeno), non fa finta di non capire e non vedere cosa (e chi!) potrebbe allontanare Pietro da lei, ma anzi ha sempre "le antenne dritte" per captare cambiamenti anche impercettibili, nei gesti, nei toni di voce, nei silenzi.

Con uno sguardo innamorato e affettuoso ma al contempo lucido, Heddi "fotografa" Pietro, la sua personalità da sognatore eternamente indeciso, insicuro e in attesa che qualcosa di decisivo e inequivocabile accada per indicargli cosa deve fare nella vita e qual è il suo posto nel mondo.

Ma una parte di lui sa che il suo posto è là, a Vallesaccarda, nei campi di famiglia, a chinare la schiena e a sporcarsi le mani di terra per continuare ciò che i suoi genitori, nel loro fare sacrifici, nel vivere una vita ritirata, priva di grosse comodità pur di risparmiare soldi e poter allargare la proprietà, hanno accumulato per darlo, in un futuro, ai loro tre figli.
E se gli altri due (tra cui c'è Gabriele, anch'egli studente a Napoli, con il quale Heddi instaura un rapporto di amicizia particolare) non hanno alcun interesse a fare i contadini e i proprietari terrieri, è sulle spalle di Pietro che poggia ogni responsabilità.

E Pietro è (e lo sarà sempre?) diviso, combattuto tra il desiderio (legittimo) di scegliersi la vita che vuole, di trovare un lavoro coerente con gli studi che sta facendo, e soprattutto di sentirsi libero di viaggiare e di vivere il proprio amore con la bella americana - simbolo, in un certo senso, di emancipazione e libertà dalle incombenze famigliari -, e il dovere verso i suoi genitori, che hanno sgobbato (e ancora sgobbano) per lavorare le terre di famiglia e che si aspettano che lui faccia altrettanto.

Pietro prova a far entrare, con discrezione e senza "turbare" la quiete in casa Iannace, la sua baby, e la stessa Heddi si sforza di essere socievole e carina con i genitori di lui, in particolare cerca in tutti i modi di avvicinarsi alla madre, Lidia, di provare a rompere quella scorza dura e diffidente da dentro la quale la signora guarda la ragazza del figlio.
E verso Heddi, Lidia non cede di un millimetro: raramente le parla (se non per rispondere brevemente alle domande della ragazza, che cerca di socializzare) e nel rivolgersi a lei, non la chiama per nome ma utilizza il pronome edda, come a voler sottolineare l'estraneità della presunta nuora rispetto al loro nucleo famigliare; è una donna fredda, cupa, triste, avvilita da mille pensieri, amareggiata verso questi figli ingrati, e anche verso Pietro, che pure cerca di accontentarli e di aiutarli nei lavori di campagna.

Il ritratto che la protagonista ci dà di questa donna di paese, che sembra fragile e depressa ma che in realtà ha una tempra coriacea ed è intenzionata a custodire con ferocia e determinazione l'ordine in casa Iannace, è realistico, nudo e crudo, e la ragazza non può che prendere atto che, molto semplicemente, i genitori di Pietro non la riconoscono quale fidanzata del figlio. Non solo, ma probabilmente la vedono pure come una cattiva distrazione, che potrebbe allontanare Pietro dai suoi obblighi verso di loro.

La storia d'amore tra i due procede, tra momenti di forte vicinanza ed altri in cui si sentiranno distanti, come se tra loro si stesse alzando un muro di incomunicabilità, un muro che segna la differenza tra gli obiettivi che ciascuno si propone di raggiungere: Heddi vuol seguire il proprio cuore ed è disposta a restare accanto a Pietro nonostante le difficoltà...; ma lui? Essere il figlio che obbedisce ai genitori campagnoli ed esigenti può incastrarsi con l'essere lo studente fidanzato con un'americana piena di vita e innamorata?
Cosa deciderà di seguire Pietro: l'amore o i doveri famigliari (e gli interessi materiali derivanti dal portare avanti le proprietà dei suoi)?

La narrazione segue due filoni temporali: il presente e il passato, dove il primo è costituito dallo scambio di email che Pietro e Heddi si scambiano nell'arco di più di un anno e che ci informa su come sono i rapporti tra loro, su cosa fanno e dove vivono attualmente; il passato invece riguarda, appunto, il soggiorno di Heddi a Napoli, nei Quartieri Spagnoli e la sua storia con Pietro.

Se nel racconto del passato, conosciamo due innamorati e il loro legame che va crescendo giorno per giorno, con tutti i problemi e gli ostacoli che la vita riserva, grazie allo scambio epistolare dell'oggi ci rendiamo conto di come entrambi siano cambiati, maturati, di come siano anche più sereni nel rivolgersi l'uno all'altra, senza rinfacciarsi errori e mancanze, ma sempre rimarcando l'affetto indissolubile che li unirà per sempre, anche se sono distanti.
Sì perché qualcosa interviene a separare i due: c'è la possibilità che lo strappo si ricucia? Il loro è quel tipo di amore destinato a resistere, a salvarsi, a vincere contro tutti, o di quelli che, col tempo, guardandoti indietro, ricordi con tenerezza e un pizzico di malinconia e rimpianto, perché sai che ormai appartiene a ieri, a giorni andati che non torneranno?

C'è molto amore in queste pagine, e non solo: c'è la dolcezza e il senso d'ebbrezza per un sentimento che nasce timidamente per poi sbocciare e dar senso a tutto; c'è la paura di perdere l'amore dell'altro; c'è anche la rabbia, per le indecisioni, l'immaturità, la debolezza e le insicurezze di chi dice di tenerci a te ma poi... quanto e cosa è disposto a fare e sacrificare per difendere quest'amore? C'è il coraggio di una ragazza che, innamorata o no, non perde mai di vista se stessa e ciò che vuole, che riconosce il proprio valore e la propria identità, e li difende, pronta ad aprirsi a ogni esperienza, a godere ogni gioia, ad esporsi a ogni ferita, vivendo appieno.

E poi c'è l'amore per Napoli, una città di cui Heddi assapora ogni odore, alla quale si dà tutta e dalla quale riceve tanto; Napoli è così: 

"Soltanto in apparenza facile da districare, ma in realtà dotata di una logica misteriosa che la rendeva una matassa impossibile da sbrogliare."
"Napoli sembrava lontanissima, nello spazio e anche nel tempo. Da quella distanza, era difficile credere che nel mondo esistesse un luogo così sregolato, estenuante ed esagerato – dotato com’era di bellezze feroci e di brutture imperdonabili."

L'Autrice in questo libro ha riversato - e il lettore lo sente in modo vivido e forte - tutto l'affetto e i bei ricordi che conserva della propria esperienza in questa città, che è così: "un tumulto esplosivo e sguaiato", in cui nei quartieri, nelle piazze, per le strade, il chiasso e il caos fanno da padroni; e attraverso la propria prospettiva - che è un mix di "precisione anglosassone e rilassatezza meridionale" -, mentre leggiamo ci sembra di essere con lei per i vicoli assolati, di calpestare i basoli risuonanti sotto i tacchi delle scarpe, di sentire l'afa del caldo estivo, di vedere panni e lenzuola, stesi da un balcone all'altro.

E, per immedesimazione, proviamo anche noi quella inevitabile malinconia presente in tutto il libro e che accompagna chi sa che quel tempo in Italia, in questa meravigliosa città del Sud, con le sue luci e le sue ombre, presto o tardi terminerà, ma la dolce nostalgia per le persone incontrate, per i luoghi visitati (mi sono lasciata ammaliare dal fascino antico di Spaccanapoli e della Napoli sotterranea), l'amore vissuto con la freschezza e l'ardore proprie della gioventù, non scompariranno mai, ma avranno sempre un angolo speciale nel proprio cuore.

C'è cura, attenzione e una grandissima sensibilità nello stile e nella ricerca delle parole, e l'Autrice riesce mirabilmente a farci assaporare e a mettere in risalto la forza e la carica comunicativa della lingua, del dialetto campano, nonché a ritrarre in modo fedele e verace posti, angoli, città e campagna, studenti goderecci e umili campagnoli.

Una lettura davvero bella, in cui senti i palpiti del cuore e le emozioni di chi quei posti, quei vicoli, li ha amati e vi ha lasciato un pezzetto di sé.
Consigliato.

 

sabato 3 ottobre 2020

Frammenti di.... "Perduti nei Quartieri Spagnoli"

 

Brevissimi stralci dall'ultimo libro letto (Perduti nei Quartieri Spagnoli):


"Come potrò mai farti capire quanto della mia anima, della mia pelle, della mia vita, ti appartiene e sarà sempre tuo, anche se le nostre vite girano per il mondo in direzioni opposte?


"Afferrai che la vera infelicità non è stare lontano dalla persona amata, ma starle molto vicino, quasi a portata di mano, senza poterla raggiungere. (...)  Casa. Il vocabolo continuava a farmi girare la testa, ad aggrovigliarmi i capelli. Casa, mi chiedevo, è il luogo dove nasci, o il paese dove tutti parlano la tua lingua? O si tratta semplicemente del posto dove decidi di mettere radici, oppure il posto che ti viene assegnato?".


"Vorrei sentire la tua voce fino all’alba, farmi stringere da te come un regalo da un nastro."


"ho imparato una cosa importante, cioè che si può vivere anche in assenza di risposte concrete. Si sopravvive, la vita va avanti. Il mondo, con le sue maree e ritmi naturali, è comunque bello, anzi bellissimo, anche se (o forse proprio perché) è indifferente ai nostri alti e bassi e cuori infranti."


( H. Goodrich)

giovedì 1 ottobre 2020

BILANCIO DI LETTURE (settembre 2020)



Ed eccomi con le letture settembrine! 






  • IL SILENZIO DELLE RAGAZZE di P. Barker: è la bella Briseide, schiava del Pelìde Achille - il semi-dio temuto dai nemici e venerato dai compagni d'arme, tanto forte quanto spietato - a narrarci, con crudo realismo, la leggendaria guerra di Troia e divenendo portavoce delle donne relegate nelle retrovie della Storia e dalle quali ci si aspettava sempre e solo silenzio e sottomissione.
  • IL GRILLO NARRANTE  di M. Gaudino. Attraverso racconti, pensieri e poesie, con una narrazione affidata a personaggi di fantasia e animali parlanti, sposando la leggerezza della scrittura con la profondità degli argomenti affrontati, l'Autore offre al lettore la possibilità di sintonizzarsi sul proprio mondo emotivo, invitandolo a riflettere sull’avere cura, sull’intimità, sul legame profondo che unisce le persone le une alle altre
  • ALTA FEDELTÀ  di N. Hornby. Alta fedeltà è il ritratto bonariamente tagliente, agile, buffo, ironico, di un 35enne degli Anni Novanta precocemente in piena crisi "di mezz'età", con una caterva di piccole manie e insormontabili insicurezze a fargli compagnia e che rischiano di lasciarlo impantanato in un'esistenza che lui stesso definisce "congelata", piena di zavorre che gli impediscono di crescere e di "spiccare il volo".
  • UN'ESTATE A PIEDI NUDI  di C. Brown. Kate, Jamie e Amanda non hanno nulla in comune: sono tre donne diverse per personalità, estrazione sociale, professione, età anagrafica, ambizioni e sogni nel cassetto. Eppure hanno qualcosa - anzi, qualcuno! - in comune e scoprirlo stravolgerà le loro esistenza: il defunto marito, che ha lasciato in eredità un cottage in Texas cui nessuna delle tre ha intenzione di rinunciare facilmente. Cosa combineranno queste tre mogli ferite e imbrogliate, che si ritrovano a vivere sotto lo stesso tetto?
  • IL COMPRATORE DI TEMPO di R.Baldacci: i protagonisti di questo romanzo, attraverso un incredibile viaggio nel tempo, hanno modo di riflettere su cosa possa dare senso alla vita e riscoprirsi così pronti a diventare adulti.
  • LA RAGAZZA DELLA LUNA di L. Riley: la quinta protagonista tra le sorelle questa volta è Tiggy, amante degli animali e dalla spiritualità molto "accentuata"; la ragazza scoprirà le proprie origini attraverso un viaggio in Spagna, che la porterà dritta nel vivace mondo dei gitanos e del flamenco.

Tra i libri che mi hanno maggiormente colpita inserisco il romanzo della Riley, la cui penna e le cui storie mi fanno sempre volare in posti e tempi lontani; bello anche IL SILENZIO DELLE RAGAZZE perché ha stuzzicato il fascino che provo sempre davanti ai miti greci.


Attualmente ho in lettura:

  • LA VITA INVISIBILE DI IVAN ISAENKO di S. Stambach: sono a metà, più o meno, e mi sta catturando perchè l'arguta voce narrante sa come parlare di sofferenze (indicibili) e solitudine con un'ironia spiazzante.
  • IL DELITTO DI VIA POMA di Igor Patruno: ripercorre il caso dell'omicidio (irrisolto, a distanza di trent'anni) di Simonetta Cesaroni.
  • PERDUTA NEI QUARTIERI SPAGNOLI di Heddi Goodrich: la vita di una studentessa americana nella rumorosa e colorata Napoli.


Tra i film, di rilevante vi segnalo:


LA RAGAZZA DEI TULIPANI di Justin Chadwick, cast: Dane DeHaan, Alicia Vikander, Christoph Waltz, Judi Dench.
La bella orfana Sophia - cresciuta nel convento di Sant'Orsola, sotto la
sorveglianza di una sempre brava 
Judi Dench, badessa battagliera e dal grande senso pratico - viene data in sposa  al ricco mercante Cornelis, molto più grande di lei ma ancora desideroso di darsi da fare per ottenere l'erede che finora gli è stato negato; in passato ha avuto dei figli ma sono entrambi morti, come pure la prima moglie. 
L'uomo è sinceramente affezionato alla giovane e bella consorte, la quale però si innamora, ben presto, di un giovane e affascinante pittore, assunto dal marito per ritrarre entrambi i coniugi. I due vivono una tresca, scoperta dalla fedele cameriera, Maria; quest'ultima rimane incinta del proprio fidanzato - il pescivendolo Willem - ma a causa di un equivoco (generato proprio da Sophia, nell'atto di recarsi dall'amante, tutta coperta da un mantello che le nasconde il viso) il ragazzo lascia Maria e parte per il mare. 
Per evitare che la cameriera venga cacciata di casa, e per poter continuare la sua relazione adulterina, Sophia architetta una serie di inganni e meschine bugie a danno del povero e ignaro Cornelis. 
Complice la crisi economica scoppiata nel 1636  (Bolla dei Tulipani), legata al commercio dei fiori (in cui vengono coinvolti anche il pittore e Willem), gli eventi prendono una piega drammatica e inaspettata, che rischia di rendere tutti infelici. Ma non c'è da temere: è un melò che prevede una fine serena e giusta per tutti.
Un film di costume con un'accattivante ambientazione storica (Olanda, 1636), interessante l'aspetto riguardante il commercio dei tulipani e la speculazione che v'era dietro. La Vikander è sempre deliziosa, pure quando fa la monella inconsapevole; una pellicola che si lascia guardare, con momenti anche ironici e buffi, piacevole per le sue dinamiche e i sotterfugi e che, ripeto, accontenta lo spettatore romantico che non ama i finali amari.



POESIE DEL MESE

Non spuntano fiori sul mio nome
Quando muoio
non importa dove sarò sepolta
in Iraq non spuntano fiori / e qui
nessuno
passando per caso
deporrà una rosa su un nome
che la tua lingua
ha dimenticato."

*****

"Gli uomini decidono le guerre
le donne vivono sulle rovine.
Ci sveglieremo un giorno su un pianeta di donne
in cui nessuna desidera l’altra
se non per l’odore che un uomo
le ha lasciato
sul collo."

 (Manal al-Sheikh).



Manal Al-Sheikh, originaria di Ninive, nel nord dell’Iraq, ha una laurea in letteratura inglese e traduzione. Ha lavorato per anni come giornalista, pubblicando al tempo stesso poesie in riviste irachene e arabe. Ha al suo attivo diverse raccolte poetiche e un’antologia di poesia irachena contemporanea. Nel 2009 ha lasciato il suo Paese per la Norvegia, grazie alla rete ICORN (International Cities of Refuge Network). Vive attualmente a Stavanger, con i figli, e sogna di tornare un giorno in Iraq (fonte).


martedì 29 settembre 2020

Recensione: LA RAGAZZA DELLA LUNA di Lucinda Riley

 

La quinta protagonista tra le Sette Sorelle questa volta è Tiggy, amante degli animali e dalla spiritualità molto "accentuata"; la ragazza scoprirà le proprie origini attraverso un viaggio in Spagna, che la porterà dritta nel vivace mondo delle ballerine di flamenco e nelle usanze antiche dei gitanos.


6. La ragazza del sole
7. ??



LA RAGAZZA DELLA LUNA 
di Lucinda Riley



Giunti Ed.
trad. R. Zuppet
720 pp
Come ogni libro della serie, anche questo si apre con il pensiero della protagonista a Pa' Salt, morto da sei mesi ma sempre vivo nei ricordi e nella mente delle sue adorate figlie adottive.
Sei ragazze adottate quand'erano piccoline e portate dall'uomo nella propria magnifica residenza svizzera Atlantis, sul lago di Ginevra.
Cresciute nell'amore, coccolate da Pa' e dalla governante Ma', le sei sorelle - una volta divenute adulte - sono state messe davanti alla possibilità di scoprire le proprie origini.
Finora Maia, Ally, Star e CeCe hanno raccolto "la sfida" e rivoluzionato le loro esistenza avventurandosi lontano da casa pur di conoscere da vicino il contesto famigliare e culturale che le ha viste venire al mondo.

Ora è il turno della ventiseienne Tiggy (il cui nome è un'abbreviazione di Taygete), che ha appena accettato un lavoro nella riserva naturale di Kinnaird in qualità di consulente faunistico.

Tiggy è una ragazza dolce, sensibile, discreta e riservata; ovviamente ama gli animali e la natura, e trovarsi nell'immensa tenuta del dottor Charlie, in questo luogo selvaggio e completamente isolato nelle Highlands scozzesi, per occuparsi di una razza felina a rischio di estinzione, è per lei un'immensa opportunità per fare un lavoro che ama e in uno scenario fantastico; senza contare che Charlie è un uomo affascinante e gentile, in presenza del quale ogni volta il cuore di Tig perde un battito.
Ma la ragione le ricorda che l'uomo è sposato con la bella (e glaciale) Ulrika e padre di Zara, un'adolescente tutta pepe, e lei non è proprio un tipo da "rovina famiglie"!

A Kinnaird Tiggy fa amicizia con Cal, guardacaccia e coinquilino, che diventa in poco tempo un caro amico; anche con Zara, vivace e un po' ribelle, si instaura da subito un bel feeling; si sa, gli adolescenti, più di tutti, desiderano avere qualcuno con cui parlare liberamente e dal quale non vogliono sentirsi giudicati, e Tiggy è perfetta per questo ruolo, in quanto sa essere un'amica e confidente sincera senza però dimenticare di dare all'occorrenza saggi consigli.

Meno piacevole è la presenza di un ospite della tenuta, tale Zed Eszu, un uomo ricco, borioso, sicuro di sé in un modo irritante, nonché corteggiatore insistente; Tiggy davanti alle avances sfacciate di Zed è confusa: da una parte ne è lusingata, dall'altra lui ha un che di inquietante, le mette i brividi..., e poi sapere che è stato l'ex fidanzato di una delle sorelle non è proprio un buon presupposto per considerare la possibilità di avere con lui più di un'amicizia.

Ma l'incontro più speciale a Kinnaird è quello con Chilly, un vecchio gitano che sembra conoscere molti dettagli del suo passato e di quello di sua nonna: la famosa ballerina di flamenco Lucía Amaya Albaycín. 

Chilly parla poco e quando lo fa pronuncia a mezza bocca enigmi e indovinelli, gettando qua e là frasi sibilline riguardanti il futuro, che Tiggy non sa come interpretare.
Una cosa è certa: lei ha sempre avvertito di possedere delle capacità nascoste e profonde, in grado di metterla in stretta connessione con la natura e, soprattutto, con la parte più spirituale di sé. 
Questa dimensione "mistica" sarà fondamentale per guidarla verso le proprie origini; ad affrettare la sua decisione di lasciare temporaneamente la Scozia e la tenuta dei Kinnaird (la cui situazione finanziaria si sta rivelando, di giorno in giorno, molto precaria) per partire per il Paese in cui ha vissuto (e vive ancora?) la sua famiglia naturale, è un episodio spiacevole, in cui Tiggy resterà addirittura ferita e, soprattutto, non riuscirà a proteggere un cervo meraviglioso e raro dalle grinfie di chi lo vuol fare fuori...

Seguendo le indicazioni di Pa' Salt, una incuriosita ed esitante Tiggy va a bussare a una porticina azzurra nel Cortijo del Aire, a Granada. 

Ad accoglierla ci sono due persone speciali, sue parenti, che aspettavano il suo arrivo con ansia: zio Pepe, fratello di Lucìa Albaycìn, nonna di Tiggy, ed Angelina, nipote della stessa (figlia di un altro fratello).
Angelina è una donna particolare, unica, che non solo racconterà, insieme a Pepe, la storia della famiglia Albaycìn, ma renderà Tiggy anche consapevole del dono che lei ha (e che le permette di curare gli animali col solo tocco delle sue mani) e che è chiamata a sviluppare ed esercitare, nel rispetto della tradizione dei suoi antenati.

Dall'incantevole e fredda Scozia il lettore viaggia insieme alla protagonista e giunge nell'assolata Spagna, venendo proiettato dal 2007 al 1912 (anno in cui nasce Lucìa) e poi negli anni Trenta/Quaranta, in cui seguiamo gli sviluppi delle vicende personali e famigliari della donna, che è stata una delle più acclamate ballerine di flamenco di quel periodo *.

Lucìa ha due piedini che sono il suo tesoro, la sua garanzia per far carriera come ballerina: le basta ascoltare la musica suonata da suo padre Josè (bravo chitarrista) per cominciare a battere i piedi e a ballare incantando tutti gli spettatori.
Questo suo talento la porta inevitabilmente lontana da casa, da Sacromonte (il quartiere di Granada in cui è nata e cresciuta, fino ai dieci anni), da sua mamma Maria e dai suoi fratelli.
Mentre la vita e la carriera di Lucìa, accompagnata dal padre che le farà sia da chitarrista che, in un certo senso, da manager (gestendo i guadagni della figlia, e approfittandosene, essendo lui avvezzo ad alzare il gomito e a cambiare donna ogni settimana), prendono il volo, rendendo il suo nome famoso in tutta la Spagna, la povera Maria deve affrontare da sola la povertà, la fame, le preoccupazioni che le danno i figli, e ad aggravare tutto ci si mette anche la guerra, che inevitabilmente peggiorerà la vita di tutti - dei gitanos in particolare, da sempre oggetto di discriminazione e disprezzo -, provocando disperazione, miseria, morte, distruzione di case e famiglie...

Lucìa è una giovane dal carattere forte, determinato, è un tipetto vivace, anche un po' nervoso, che non sopporta né di essere contraddetta né che le si dica cosa deve o non deve fare; conscia della fama che va aumentando di giorno in giorno grazie alla sua bravura, mostra un'ambizione incredibile, una frenesia nel voler ballare ovunque per essere apprezzata da un pubblico sempre più vasto, che rischia di divorarla, di darle sì il successo e il benessere economico ma togliendole altro..., di più importante.

Conosce, quando è poco più che ventenne, il chitarrista Meñique e con lui nasce una relazione piena di passione, oltre che un rapporto professionale, che porterà i due a suonare e ballare anche fuori dalla Spagna (fino in Argentina), aumentando la gloria di Lucìa.

Ma c'è un tempo per tutto e la vita della ballerina prende pieghe complicate, che la porteranno a fare scelte anche discutibili ma, in fondo, in linea col suo modo di essere.

Tiggy ascolta incantata e rapita il racconto avventuroso della vita movimentata della propria abuela, apprende particolari importanti che l'aiutano a sapere in quale realtà famigliare è venuta al mondo e come in questo si è inserito Pa' Salt.
Il soggiorno in Spagna diventa una tappa fondamentale per la sua crescita spirituale perché la mette di fronte a ciò che lei è, alla cultura dei gitanos, cui appartiene, all'amore per la natura e per gli animali; ma anche la sua vita, come quella di Lucìa tanti anni prima, di ritorno a Kinnaird, prenderà una direzione che lei non avrebbe immaginato e che le donerà quell'armonia interiore di cui è alla ricerca, da sempre.

Anche questo quinto capitolo della saga delle Sette Sorelle non mi ha deluso, perché ho ritrovato la piacevolezza di dinamiche interessanti e intrecci articolati e ben amalgamati tra loro, in cui il presente e il passato finiscono per incontrarsi in maniera armoniosa.
Trovo che i personaggi femminili siano sempre delineati in modo esaustivo, che abbiano personalità accattivanti e strutturate, anche quando magari compiono scelte che io personalmente non condivido, ma che riconosco essere coerenti con il loro temperamento.

Sempre affascinante il riferimento alla mitologia greca e, in questo caso, alle tradizioni dei rom, alle loro credenze, al legame profondo con la natura e la terra, dalla quale si possono ricavare erbe e rimedi naturali per tanti problemi e malesseri.
Lucinda affronta tematiche quali i conflitti di coppia e tra genitori e figli, il rapporto tra la medicina tradizionale e quella naturale, il rispetto per l'ambiente, la flora e la fauna, l'emarginazione dei gitanos nella Spagna di quegli anni descritti nel libro, i doni speciali delle brujas spagnole.

Disseminati qua e là ci cono dei particolari relativi a Pa' Salt (l'intuito di Tiggy le suggerisce che... potrebbe non essere morto! Suggestione?) e alla settima misteriosa sorella; inoltre anche il personaggio di Ma' - sempre un po' sullo sfondo, quale presenza materna rassicurante - assume connotazione enigmatiche, che gettano qualche dubbio nel lettore.

Come sempre, le ultime pagine del volume sono dedicate alla sorella protagonista del successivo romanzo: la modella Electra, che purtroppo non se la passa per niente bene.

Parere positivo anche su questo volume, che consiglio a quanti hanno già iniziato la saga; beh sì, anche a chi avesse voglia di iniziarla dal primo libro...!


il personaggio di Lucìa è stato ispirato da Carmen Amaya, una delle più apprezzate ballerine di flamenco della sua generazione, di origine gitana e dal carattere passionale.

lunedì 28 settembre 2020

Ultimi arrivi nella mia libreria (settembre 2020)



Ieri mattina sono stata al mercatino dell'usato e ho approfittato per comprare tre libri a un ottimo prezzo.

Il primo l'ho scelto perché e di Isabel Allende; il secondo è di Susanne Goga, di cui in passato ho letto I MISTERI DI CHALK HILL; il terzo... è un "libro al buio", nel senso che, mancando di quarta di alette, quarta di copertina... (evidentemente avrà avuto una sovracopertina, che però non è arrivata sulla bancarella), non so che sinossi abbia. Mi chiederete: e perché lo hai preso? Eh, proprio per questo: mi sono lanciata a occhi chiusi, per scoprire la trama solo una volta a casa, cercando in internet.
Devo dire che non mi è andata male, perché mi sembra una bella storia.
Vedremo!!! :=)






IL PIANO INFINITO di I. Allende (Ed. Felteinelli, trad. E. Cicogna)

Il protagonista, Gregory Reeves, è un gringo che incarna molti dei difetti e delle virtù della nostra società degli ultimi cinquant'anni. La vicenda si svolge in un arco di tempo che va dalla bomba su Hiroshima fino ai giorni nostri, passando attraverso le contestazioni del '68 e la guerra in Vietnam. L'autrice affronta i sentimenti dell'emarginazione sociale e del razzismo, la politica, i contrasti tra opulenza e miseria, l'evoluzione del concetto di famiglia, l'incessante ricerca di amore e di equilibrio interiore.


IL SEGRETO DI RIVERVIEW COLLEGE di s. Goga (Ed. Giunti, trad. A. Ferrantini, 432 pp)

Dopo la morte prematura dei genitori, Matilda Gray ha promesso a se stessa di diventare una donna forte e indipendente, e finalmente ha realizzato il suo sogno: lavorare come insegnante di letteratura in un istituto esclusivamente femminile, il prestigioso Riverview College, che si erge imponente dietro una cancellata decorata da unicorni e centauri. 
Ma al rientro dalle vacanze estive, una notizia inaspettata accoglie Matilda: Laura Ancroft, una delle sue allieve più esuberanti e dotate, è partita per un viaggio con il suo tutore e non rientrerà a scuola. Proprio Laura che, con tutta la passione e il coraggio dei suoi diciassette anni, recitando i versi di una poesia aveva confessato a Matilda di essersi innamorata di lei. 
Qualcosa però non quadra: perché nessuno, nemmeno la compagna di stanza di Laura, ha più avuto sue notizie? E perché la preside vuole a tutti i costi mettere a tacere la vicenda? 
Poi, una mattina di ottobre, Matilda riceve una cartolina e scopre sotto i francobolli un messaggio cifrato, che la conduce proprio nella stanza di Laura: lì si nasconde un vecchio diario segreto. 
Chi è l'autrice di quel diario che data addirittura 1600? E cosa c'entra tutto questo con la scomparsa di Laura?
 


LA COLLINA DELLE TIGRI di Sarita Mandanna (Ed. Piemme, trad. S. Bortolussi, 556 pp).


India, 1878. Muthavva si sarebbe ricordata per sempre della mattina in cui aveva dato alla luce Devi, la sua prima figlia femmina. Si era recata nei campi quel giorno e, a un tratto, uno spettacolo meraviglioso si era spiegato davanti ai suoi occhi: centinaia di aironi avevano spiccato il volo nello stesso istante e avevano avvolto la terra, fino a quel momento baciata dal sole di luglio, in un'ombra magica, surreale. 
Si erano poi posati al suolo, esattamente di fronte a lei, e Muthavva aveva sentito che la sua bambina sarebbe arrivata con due mesi d'anticipo, di lì a qualche istante. 
Muthavva non conosceva il significato di quell'apparizione, ma aveva deciso di non confidare mai ciò che aveva visto. Purtroppo però, nonostante l'amuleto regalatole dal sacerdote del villaggio, il destino che l'attende è ricco di dolore e di ostacoli. 
Devi, infatti, all'età di dieci anni vota il suo cuore a un unico uomo, Machu, il cacciatore di tigri, ma uno sventurato incidente la costringe a sposare un uomo che detesta. 
L'unico legame con il suo grande amore rimane "La collina delle tigri", una piantagione di incredibile bellezza che Machu dona alla sua famiglia. 
Per dimostrargli il suo amore, Devi zapperà la terra, tratterà con gli inglesi, i nemici di sempre, piangerà lacrime silenziose. Per poterlo riavere, anche un solo fugace istante.


CONOSCETE QUESTI LIBRI? LI AVETE LETTI?
DALLE TRAME VI SEMBRANO INTERESSANTI?
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