Tra le pagine - meravigliose e dolorose insieme - di questo romanzo storico, l'Autrice mi ha portato in Friuli, indietro negli anni, in quelli difficili del primo conflitto mondiale (in particolare nel 1915), e mi ha permesso di conoscere delle donne straordinarie, coraggiose, che meritano di essere ricordate e ammirate perché diedero il loro prezioso contributo nel sostenere i soldati italiani impegnati lungo il fronte della Carnia: sono "le portatrici", donne di diverse età che durante la guerra prestarono la loro schiena, le loro gambe, le loro energie fisiche ed emotive alla Patria; ognuna di loro mise a rischio la propria vita per trasportare dentro una gerla portata in spalla rifornimenti e munizioni fino alle prime linee italiane.
Il prologo di questo bellissimo libro è collocato nel 1976, quando la terra in Friuli ha tremato a causa di un forte terremoto: in questa occasione la protagonista torna nel suo paese d'origine, e affondare le mani nella propria terra natia riporta la sua mente a decenni prima, quando era una donna giovanissima, chiamata dalla Storia a dare il proprio contributo a una guerra sanguinosa.
Agata Primus è una ragazza orfana di madre; vive da sola col padre ammalato e ormai allettato, di cui lei si prende amorevolmente cura con la tenacia e la pia devozione di una figlia che sa di dover rendere al proprio genitore bisognoso tutte le premure di cui necessita.
I suoi due fratelli sono andati in guerra, non si sono fatti più sentire e su di loro pesa il sospetto di collaborazionismo con il nemico austriaco.
Agata deve tirare avanti da sola quel che resta della sua famiglia, nel paesino di Timau*, sfiancato dalla fame, dalla povertà, da una guerra profanatrice e crudele, che priva le donne di mariti e figli, e che adesso proprio a loro chiede un aiuto, e non di poco conto.
È il parroco del paese a farsene portavoce: i battaglioni sul confine con l'Austria sono in estrema difficoltà e il Comando supremo chiede aiuto alla popolazione della valle:
La voce di Agata ci giunge tristemente consapevole del grande sacrificio che i comandanti italiani stanno chiedendo a un "branco morente", quali sono le donne (giovani e non) con accanto i loro bambini: "lupe stanche, cuccioli affamati", "Abbiamo grandi occhi lucidi, ventri concavi e schiene vigorose avvolte negli scialli neri della tradizione.".
Eppure quelle donne non esitano (e se qualcuno lo fa, è solo per qualche attimo): i soldati (tra i quali ci sono anche i loro uomini, nel corpo degli alpini) hanno bisogno di loro e nella valle risuona la voce di una delle donne: "Andiamo, altrimenti quei poveretti muoiono anche di fame."
Agata, Lucia, Viola...: sono donne semplici, "di montagna", con scarsa istruzione, e soprattutto sono affamate (hanno "denti che potrebbero divorare il mondo tanto è il vuoto che masticano abitualmente"), magre, hanno già il peso di una vita fatta di lavoro nei campi e incombenze domestiche, eppure non si tirano indietro: hanno "braccia talmente forti da poter cingere il mondo intero" e sono pronte a caricarsi di pesanti gerle e percorrere "milleduecento metri di salita nervosa affacciata sui burroni" per rendersi utili.
Guardiamo tutto attraverso gli occhi di Agata, che con la risolutezza, il coraggio e il realismo che le appartengono, ci descrive ogni passo, ogni timore, ogni sospiro, ogni fatica vissuta da questo corpo di donne, le quali non sono militari ma hanno lo stesso avuto un ruolo importantissimo nell'economia bellica.
Il loro primo incontro con i militari del campo non sembra essere dei migliori: i soldati afferrano famelici e furiosi le gerle per controllarne il carico di ognuna; lo stesso comandante Colman ha un breve scontro con Agata e cerca di metterla in riga, ricordandole che devono obbedirgli anche se sono delle semplici volontarie.
Sono donne e, in quanto tali, a loro non è chiesto di capire le ragioni della guerra, ma solo di obbedirvi.
Ciò che Colman non sa - e, con lui, gli stessi alpini ai suoi ordini - è che queste donne sono povere e affamate sì, sono poco istruite, ma hanno una grandissima dignità e uno spirito di sacrificio da cui c'è solo da imparare.
"La nostra capacità di bastare a noi stesse non ci è stata riconosciuta, né concessa. L’abbiamo tessuta con la fatica e il sacrificio, nel silenzio e nel dolore, da madre in figlia. Poggia su questi corpi meravigliosamente resistenti ed è a disposizione di chiunque ne abbia bisogno. Si nutre di spirito infuocato e iniziativa audace, vive di coraggio. Vive di altre donne. Siamo una trama di fili tesi gli uni sugli altri, forti perché vicini."
Agata è una donna di poche parole; figlia di una brava maestra, è cresciuta leggendo molto e, anche se non è una gran chiacchierona, quando parla, dice esattamente ciò che vuol trasmettere, senza fraintendimenti, con una onestà e una trasparenza che lasciano senza parole sia Colmar che il dottore del campo, Janes.
E proprio con questi due uomini - intelligenti, avveduti, che sanno adempiere ai propri doveri con coscienziosità e responsabilità - Agata intreccia un rapporto di stima che via via assume i contorni di una leale amicizia, fatta di molto rispetto e ammirazione reciproca.
Quando Agata torna a casa sua, dopo essere scesa dal monte con la gerla non più carica di munizioni o viveri ma di panni sporchi (dei soldati) da lavare (e riportare il giorno dopo), ad accoglierla c'è il silenzio di una casa disadorna, in cui si sente solo il respiro faticoso di un padre in fin di vita.
Ma c'è pure una presenza strisciante e fastidiosa, di cui lei vorrebbe liberarsi ma finora non c'è stato verso: appostato di nascosto, fuori dalla casa, pronto a spiarla e a farle crudeli dispetti, c'è lui, il ragazzo che la vuole a tutti i costi: Francesco.
Agata non sa come fare per fargli capire che tra loro non potrà mai esserci nulla; lei non solo non lo ama, ma a malapena lo sopporta, essendo lui figlio di una famiglia benestante che non si "sporca" le mani né servendo la Patria in guerra né tanto meno la sua è la vita sacrificata dei contadini.
Insomma, Francesco non è uno di loro.
Egli, inoltre, la spaventa perché è un prepotente che crede, in virtù della propria posizione sociale ed economica, di poter avere tutto ciò che vuole, Agata compresa.
Il comportamento chiaramente sfuggente di lei, che cerca di mostrargli il proprio disinteresse in tutti i modi, non lo fa desistere, anzi, sembra stuzzicarlo ancora di più e, pur di vederla cedere, è disposto a fare qualsiasi cosa...
A creare una brusca frattura nella sua vita regolare, per quanto di per sé movimentata e non priva di rischi in questi mesi tra valle e base militare al confine, ci pensa un incontro inaspettato e pericoloso.
È l'incontro faccia a faccia col nemico, con l'altro che sta dalla parte opposta della barricata e che lei è tenuta ad odiare non perché lo conosce e sa che è un mostro, ma unicamente perché fa parte delle schiere nemiche...
Ma per quanto la guerra sia feroce, crudele e spesso renda tali gli essere umani - che si trovano, loro malgrado, l'uno di fronte all'altro, da nemici, e quindi pronti a uccidersi -, la coscienza di Agata non è ancora diventata insensibile alle sofferenze dei suoi simili, siano essi italiani o no.
"Serve una risolutezza sovrumana per non sentire il richiamo del riconoscersi l’uno nell’altro."
La ragazza - lottando comunque contro se stessa e sentendosi, nel cuore, una traditrice - supera l'immaginaria (e neanche tanto) linea di demarcazione che la separa dai nemici, e apre la porta della propria modesta casa a chi non dovrebbe, e se si sapesse, chissà cosa le accadrebbe!
C'è una seconda voce narrante nel romanzo, e anche se il suo punto di vista è espresso in capitoli più brevi, che di tanto in tanto interrompono la prospettiva di Agata, essa ha la sua importanza perché costituisce il ponte che lega due persone che non hanno scelto di essere avversarie ma che purtroppo, secondo la Storia, devono considerasi tali.
E cosa c'è di più visibile dell'incomunicabilità linguistica a ricordarci quanto si possa essere diversi e lontani da qualcuno?
La guerra allontana, è vero, creando tra popoli nemici voragini che ovviamente sono amplificate dalle difficoltà a capirsi e a comunicare a causa della lingua diversa, eppure Agata trova il modo, con caparbietà e intelligenza, di abbattere distanze e muri, e ad aiutarla sarà proprio il dialetto parlato in quella zona del Friuli sin dai tempi antichi.
E mentre la protagonista combatte la propria piccola battaglia personale tra le mura di casa (con la meschina presenza di Francesco sempre in agguato), sul fronte la guerra si infiamma con ferocia, mietendo vittime.
Le pagine si susseguono via via drammatiche ed Agata si dovrà confrontare col dolore della perdita, che inaspettatamente sarà fonte di molto dolore per lei, che realizzerà di come anche (o forse soprattutto?) in circostanze complicate, drammatiche e di morte, si possano scoprire e costruire legami veri, autentici, importanti e indimenticabili.
Devo dire che con la penna di Ilaria Tuti è stato "amore alle prime righe": la sua scrittura così diretta, minuziosa, toccante, che si sofferma sui pensieri profondi della protagonista, mi ha molto emozionata e mi ha catturata attraverso le sue considerazioni, semplici e profonde insieme, sulla guerra con il suo fardello di morte e miserie, le relazioni umane, la forza morale di queste portatrici, il valore dell'amicizia, la possibilità di andare oltre ogni pregiudizio, ogni muro costruito per creare odio e divisioni, cercando un mezzo per comprendersi e avvicinarsi.
Per riconoscere nella propria umanità l'altro, che ha le nostre stesse paure, speranze, debolezze, sogni, e se in essi ci specchiassimo, inevitabilmente ritroveremmo un po' di noi.
Non c'è nulla di questo libro che non abbia apprezzato, dall'ambientazione ai personaggi, dalla scrittura alla protagonista, una giovane donna riflessiva, che nasconde un animo sensibile dietro a modi di fare ruvidi e a una tempra indurita da una vita poco gentile:
"A volte penso di essere anch’io una gerla: scortecciata dalla vita fino a che è rimasto solo il necessario, incisa da perdite, spellata dal bisogno."
Il titolo stesso mi rimanda a queste due anime che caratterizzano tanto la voce della protagonista e narratrice quanto il tempo e il contesto in cui è inserita: la fragilità e l'estrema delicatezza di un fiore e, al contempo, la solidità e la forza della roccia.
Sono davvero felice di aver scoperto questa scrittrice, ho intenzione di leggere altre sue opere (in libreria ho "Fiori sopra l'inferno"); la ringrazio perché ignoravo chi fossero le portatrici ed aggiungere una tessera al mio modestissimo bagaglio di conoscenze storiche è sempre una piccola conquista.
Assolutamente consigliato!!!
Alcune citazioni:
"non trovo le parole. È così difficile sceglierle, impastate come sono con l’incertezza e la paura, amalgamate in un patto di obbedienza e cura che nessuno ha mai preteso a voce, ma che dimora nel sangue di madre in figlia. Che cosa voglio fare? Non me lo ha mai chiesto nessuno."
"amo le parole, ma l’istinto è quello di custodirle. Ho imparato a maneggiare la loro arte, ma dentro di me è ancora salda la convinzione che alcuni, pochissimi, sentimenti non abbiano bisogno di suoni e non richiedano dialettica. Si espandono nei gesti, cantano nei sensi."
"Chi può sorridere davanti a tutta questa devastazione, se non chi vuole con tutta se stessa continuare a vederci la vita? In mancanza di questa sua vocazione, nessuna di noi ora sarebbe qui."
"Ho imparato dai libri che la realtà è una nostra personale interpretazione dei fatti. Stendiamo incessantemente un tessuto su persone e cose, ne sistemiamo le pieghe con i giudizi, oppure le creiamo con i dubbi. Tagliamo e cuciamo, confezionando con i pensieri il nostro piccolo mondo, in cui ci raccontiamo chi siamo e chi sono gli altri, ma il punto di vista di un personaggio non è mai attendibile per definizione, nemmeno se è quello del protagonista della storia.
"Il dolore è un atto intimo che impone solitudine, è il compiersi di una cesura che richiede lenti passaggi. A volte, un’intera esistenza."
*ultimo centro abitato prima del Passo di Monte Croce Carnico che conduce in Austria; è un'isola linguistica tedesca dove si parla un particolare dialetto carinziano medievale (
fonte).