Com'era la vita all'interno dei manicomi?
Tra le pagine della testimonianza di chi ha lavorato per un anno in un istituto per minori subnormali, veniamo a conoscenza di come fosse "vile, iniquo e sadico" il modo di gestire luoghi come questi che, lungi dall'assolvere alle funzioni di assistenza, cura, educazione, integrazione nella società ecc..., spesso erano dei veri e propri inferni, nei quali si consumavano abusi, ingiustizie e umiliazioni e dai quali difficilmente si usciva.
Paolo Tortella non ha ancora venti anni quando, nel 1970, viene assunto prima come vigilante e poi come insegnante a Villa Giardini, l'istituto medico psicopedagogico di Casinalbo di Formigine, poco distante da Modena, che accoglie bambini e ragazzi subnormali provenienti da tutta Italia.
I RAGAZZI DI VILLA GIARDINI.Il manicomio dei bambini a Modenadi Paolo Tortella
Compagnia editoriale Aliberti E.Becchi (curatore) 141 pp |
Paolo Tortella non ha ancora venti anni quando, nel 1970, viene assunto prima come vigilante e poi come insegnante a Villa Giardini, l'istituto medico psicopedagogico di Casinalbo di Formigine, poco distante da Modena, che accoglie bambini e ragazzi subnormali provenienti da tutta Italia.
È pieno di entusiasmo il neodiplomato, ha voglia di mettere a frutto le proprie conoscenze pedagogiche, immagina di poter attuare strategie educative efficaci, innovative, sulla scia dell'esempio di don Milani..., ma quando mette piede nella struttura la realtà gli viene sbattuta in faccia con violenza, crudezza e con un sapore di ineluttabilità che accompagnerà tutta la sua esperienza lì dentro.
La realtà vissuta a Villa Giardini è terribile, infernale: vengono ospitati circa quattrocento minori (i più piccoli hanno sei anni) che vivono una quotidianità fatta di solitudine, mancanza di affetto ed empatia, di assistenza e cure (e per il corpo e per la psiche), di soprusi, punizioni, botte, tentativi di sopravvivenza a colpi di pugni e risse, scarsità di cibo, di igiene, zero attività educative, ricreative, religiose...
Ma dove diavolo sono finito?, si chiede costernato Paolo. Che razza di posto è questo? Se è un istituto medico... dove sono i medici?? Se è "psico-pedagogico", dove sono gli psicologi, gli educatori, i maestri preparati?
Da subito, Paolo viene avvertito su come funzionano lì le cose, su che tipo di rapporto c'è con i pazienti, o meglio: non c'è un vero rapporto con i ragazzi, visto che non li si tiene impegnati in alcun modo; ciondolano, ammassati, in posti troppo piccoli per loro, li si porta dalle stanze al refettorio e viceversa e guai se creano disordini nel tragitto, vengono sadicamente incoraggiati a picchiarsi, per poi essere puntualmente puniti (prendono botte, calci, manganellate...), finendo in infermeria, dove vengono imbottiti di sedativi, così da tenerli buoni e docili per un po'.
Paolo è sconvolto e arrabbiato: lui non ci sta, non vuole essere complice di una gestione vergognosa come questa, e comincia a manifestare dissenso e malumore, a partire dalle riunioni sindacali, attirandosi addosso le ire del direttore e le antipatie di capi-reparto e colleghi vigilanti.
Se lavori a Villa Giardini, devi assecondarne e far tuoi i "metodi (dis)educativi", che contemplano principalmente le percosse fisiche, le punizioni, i maltrattamenti a ogni ora del giorno e della notte.
Potrei descrivervi alcuni episodi specifici ma ovviamente vi invito a leggere il libro: è doloroso e fa indignare apprendere, e quindi immaginare, cosa accadeva tra quelle mura, quale fosse l'orribile quotidianità dei fragili ospiti dell'ospedale, abbandonati dalle famiglie e maltrattati da chi avrebbe dovuto prendersene cura.
Paolo, come dicevo, prova a ribellarsi a questa situazione e a fare il proprio lavoro, soprattutto quando finalmente può insegnare alla sua classe, ai suoi ragazzi.
Rigettando in toto i metodi punitivi vigenti, Paolo vuole che i giovani pazienti imparino cosa c'è al di là del filo spinato che circonda il manicomio, e così ottiene di portarne fuori alcuni col pulmino, affinché respirino un'aria ben diversa e osservino il mondo fuori con i propri occhi.
Questi ragazzi hanno bisogno non di botte e medicine che li stordiscano, bensì di socializzare, di fare apprendimenti utili, concreti, che li avvicinino alla società, invece di alienarli.
E purtroppo questo si scontra con la concezione che si ha - ricordo che siamo agli inizi degli anni '70, la famosa legge Basaglia, che porrà termine ai manicomi, è del '78 - della malattia mentale e, quindi, dei "matti" quali individui pericolosi, ingestibili, di cui la famiglia e la società si vergognano e che vanno "nascosti", rinchiusi in strutture da cui non devono uscire (non tanto facilmente, almeno) perché non c'è posto per loro nella comunità sociale.
Paolo, invece, si rende conto di come questi ragazzi abbiano bisogno di "attimi di ordinaria semplicità" per poter rendere nullo il "vincolo cieco e fasullo del pregiudizio".
"...non erano diversi da noi. Erano disorientati, provenivano da contesti famigliari assenti o complicati."
Se l'istituto li aveva portati lontani dalle famiglie e da ogni riferimento al reale, nel tempo in cui lavora a Villa Giardini, Paolo cerca di aiutarli a riappropriarsi di ciò che era stato loro sottratto, a partire dalla loro identità, e lo fa con la consapevolezza di come questo dia enormemente fastidio a colleghi e superiori, tanto da rischiare biasimo e licenziamento più di una volta.
Ma la sua coscienza di giovane uomo con dei valori e di maestro convinto della propria "missione educativa", fa sì che si opponga agli equilibri ingiusti e violenti che da sempre avevano caratterizzato la vita dell’istituto, senza farsi fermare dalla paura (che comunque c'era).
È per questo che non si tira indietro quando si tratta di denunciare ciò che ha vissuto ed esperito con tutti i sensi: riferisce a chi di dovere delle cinghiate, delle sconvolgenti e disumane "abitudini" verso i più piccoli (ad es., lo scotch sulla bocca tutta la notte), del fetore insopportabile presente nei padiglioni in cui i pazienti dormivano assieme ai vigilanti, dei pianti, del (poco) cibo avariato..., insomma ce ne sono di cose da dire e Paolo parla, racconta e infine scrive questo libro-testimonianza in cui fa conoscere le ingiustizie e gli abusi perpetrati a Villa Giardini.
Sull'operato del direttore e di parte del personale verranno avviate inchieste e fatte indagini da parte della Magistratura, fino ad arrivare alla chiusura dell'ospedale (nel 1972) in quanto assolutamente non idoneo ad assolvere alla sua funzione.
Paolo ricorda quel periodo ed esprime pensieri, sentimenti, speranze, anche nostalgie al pensiero di quale possa essere stato il futuro dei suoi ragazzi.
Paolo ricorda quel periodo ed esprime pensieri, sentimenti, speranze, anche nostalgie al pensiero di quale possa essere stato il futuro dei suoi ragazzi.
"Mi chiedevo se li avrei mai rivisti. Per loro ci sarebbe stato un futuro più clemente, più alla portata di ragazzi quali erano, non diversi da tanti altri, con i loro pregi e le loro mancanze? Avrebbero mai trovato la libertà di vivere con innocenza e spensieratezza, come avrebbe dovuto essere? Avrebbero mai sperato di poter uscire un giorno all’aria aperta, e vivere l’esistenza che li attendeva?"
Ho provato, leggendo, grande ammirazione per Paolo e per chi, come lui, ha avuto il coraggio - fatto non scontato - di ribellarsi a uno status quo deplorevole, inumano, non etico; egli avrebbe potuto - giovane com'era - cercarsi un'altra occupazione e, sentendosi impotente davanti a una realtà che era difficile da cambiare perché ormai radicata da tempo, arrendersi, evitando di combattere contro chi comandava e attirarsi inimicizie. E invece non ha abbassato il capo ma ha dato senso e valore al proprio compito di educatore e maestro, rispettando i suoi alunni in quanto persone: non pezzi di carne da lasciare inattivi in cortile o nelle stanze, dimenticati, soli e sofferenti, ma esseri umani da aiutare, educare, amare.
In appendice c'è la ricostruzione storica delle vicende che hanno coinvolto l'istituto Villa Giardini, corredata dagli articoli di giornale usciti in quegli anni.
È uno di quei testi da leggere per conoscere in che condizioni vivevano le persone affette da patologie psichiatriche rinchiuse nei manicomi, per riflettere sui pregiudizi e lo stigma sociale che da sempre (anche oggi!) le circonda, oltre che sulla necessità di aiutare le famiglie che si trovano a dover gestire da soli uno o più famigliari con problemi psichiatrici più o meno gravi, e che non sempre ricevono sufficiente supporto dallo Stato.
Trovo davvero interessante il tema trattato nel romanzo. Sono tematiche che nascondono sempre grandi tragedie. Nessuno ha colpa se nasce con dei disagi. Ricordare è sempre importante come importante sarebbe punire i colpevoli capaci di tanta malvagità. Ben vengano, quindi, le iniziative per denunciare abusi e dare voce a chi voce non ha. Un caro saluto :)
RispondiEliminaSono testimonianze necessarie perché ciò che è accaduto sia da stimolo per sviluppare nuove consapevolezze sulla malattia mentale, da. Sempre oggetto di pregiudizi e stigma.
EliminaCiao Angela, non conosco il libro che hai recensito, ma dalla tua recensione sembra davvero interessante: il tema trattato è davvero spinoso, ma a mio parere necessario da conoscere...
RispondiEliminaEsattamente, Ariel, è giusto conoscere (◡ ω ◡)
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