venerdì 5 luglio 2024

RECENSIONE * LA CERIMONIA DELL'ADDIO di Roberto Cotroneo *



La cerimonia dell'addio è una storia che racconta di una perdita e di come chi resta si sforzi di trovare delle ragioni per andare avanti nonostante l'assenza di chi non c'è più pesi sul cuore ogni giorno e per anni.


LA CERIMONIA DELL'ADDIO
di Roberto Cotroneo



Mondadori
164 pp
La storia è ambientata negli anni '70 in una città di provincia come tante: Anna è sposata con Amos e i due sono molto innamorati, hanno due bambine e, inseguendo la loro passione per le storie e la poesia, hanno aperto una libreria. 
In una domenica come tante, mentre la coppia sta facendo colazione, di punto e in bianco Amos  all’improvviso, appare smarrito, incapace di rispondere a domande semplicissime e, soprattutto, non riconosce più Anna, sembra aver dimenticato tutto, persino di avere due figlie; eppure, solo pochi minuti prima aveva citato una poesia a memoria... ed ora non sa più nemmeno chi è. 

Un episodio di amnesia? Dovuto a cosa?

Pochi attimi dopo, l'uomo torna in sé ma con Anna decidono di andare a Roma per consultare uno specialista; a un certo punto, egli insiste per uscire da solo a fare due passi: “Non preoccuparti, sto bene, arrivo a Trinità dei Monti e rientro”.

Ma da quella passeggiata non farà mai più ritorno e di lui si perderà ogni traccia.

Passano i minuti, le ore, e poi i giorni...; tutti sono preoccupati: cosa gli è successo? Ha avuto un’altra amnesia e si è perso? 
Anna è spaventata e confusa e, tra le mille comprensibili domande, ce ne sono altre più insidiose, come: "E se avesse deciso di andarsene, abbandonando volutamente lei e le bambine?".

Questo genere di domande accompagneranno Anna per tutti gli anni a venire; sì, perché Amos non tornerà più e ciò che resta alla moglie sono solo l'amore provato e vissuto e i ricordi, oltre ai tanti interrogativi che resteranno senza risposta.

Anna negli anni continua a non darsi pace, a non capacitarsi di come un uomo possa essere scomparso senza che nessuno lo abbia visto, lo abbia eventualmente aiutato a tornare a casa, a contattare parenti e amici, o mandato a lei una comunicazione anonima per dirle: "Guarda, tuo marito s'è rifatto un'altra vita, non cercarlo e non pensarci più."

Niente di niente, invece, ed è proprio il non sapere a struggere la donna, che si sente ancora sì moglie, ma di un fantasma, e di certo non accetta l'ipotesi di essere vedova, se (e finché) Amos non viene ritrovato morto.

Diversi anni dopo, quando le figlie Emma e Cecilia sono ormai adulte e indipendenti (erano piccoline, in età da asilo, quando il papà - che infatti a malapena ricordano - è sparito), giungerà una lettera che le farà conoscere dei dettagli del passato di Amos da lei ignorati.
Informazioni che forse, in parte, le permetteranno di azzardare delle ipotesi circa suo marito, se non nel senso di capire cosa gli è accaduto da quando l'ha lasciata, per lo meno nel senso di immaginare che genere di problematiche celava dentro di sé.

Il lettore segue Anna nei suoi pensieri, mentre si tiene stretta al sentiero dei ricordi, provando a trovare segnali, indizi, crepe che le consentano di comprendere di più il passato di quel marito che, in fondo, non ha avuto chissà quanto tempo per conoscere bene.

Il pensiero di lui è una costante che non l'abbandona mai, inducendola così a rimandare di anno in anno la decisione interiore di dirgli addio, di lasciar andare il ricordo di un uomo che semplicemente e senza spiegazioni, a un certo punto, è uscito via dall'esistenza sua e delle bambine, a loro volta cresciute all'interno di questo tempo sospeso - il tempo dell’abbandono, della continua e straziante attesa (per molto tempo, Anna verserà il caffè anche per lui, a tavola, terrà le sue cose nell'armadio nel caso tornasse...) di qualcosa (risposte, ad es.) che potrebbe non arrivare mai.

Il dolore dovuto all'assenza incolmabile di questo marito - che resta sullo sfondo pur essendo molto presente, apparendoci come una figura adombrata di mistero - scandisce l'esistenza della protagonista, costretta a confrontarsi con il proprio mondo interiore, le proprie insicurezze, le mancanze ma anche le risorse emotive a sua disposizione,necessarie per continuare ad andare avanti nonostante tutto; emerge, tra queste pagine, il grande potere della memoria e la capacità dei ricordi di tener vivo un amore.

Siamo davanti a un romanzo delicatissimo e profondo, intriso di una struggente malinconia, che esplora il tema del lutto, della perdita, dell'abbandono, dell'attesa e il modo che la protagonista ha di elaborare il tutto; una lettura commovente, piena di passaggi molto belli e significativi, scritti con uno stile poetico ed evocativo, che sa emozionare il lettore.

Bello.


giovedì 4 luglio 2024

🌺 RECENSIONE 🌺 IL GIARDINO DEGLI INCONTRI SEGRETI di Lucinda Riley


Conoscere la storia di un passato nel quale affondano le proprie radici è una tappa fondamentale per la protagonista, che riuscirà a trovare anche la forza per rinascere dopo una grave perdita e aprire il cuore a un futuro ancora tutto da scrivere e da vivere.




IL GIARDINO DEGLI INCONTRI SEGRETI
di Lucinda Riley


Giunti
trad. L. Maldera
590 pp
Julia Forrester è una donna a cui la vita ha dato tanto ma a cui ha richiesto molto di più; pianista di successo internazionale, si è rinchiusa nel proprio dolore dopo aver perduto i due amori della sua vita, il marito Xavier e il figlioletto di due anni Gabriel, morti in un incidente stradale.

È un anno che Julia ha praticamente smesso di condurre una vita sociale, scegliendo la solitudine nei luoghi in cui è cresciuta ed è stata felice; si è presa un tempo di ritiro anche da lavoro ed è venuta, infatti, a vivere nel Norfolk, in un cottage isolato, senza tv né vicini di casa invadenti; a trovarla va solo la sorella maggiore Alicia, che cerca in tutti i modi di spronarla a tornare a vivere e a non continuare a macerare nel proprio, seppur immane e comprensibile, dolore.

Benché riconosca la bontà delle intenzioni della sorella - da sempre vista da Julia come la donna/mamma/moglie/figlia/sorella perfetta -, la stessa è molto irritata dalle sue continue attenzioni e pressanti premure; preferirebbe essere lasciata in pace e non sentirsi chiedere costantemente: Hai mangiato? Hai messo il naso fuori casa? Come ti senti oggi?

Eppure, c'è una proposta di Alicia che smuove Julia dall'apatia in cui è sbarrata: fare un salto nella tenuta di Wharton Park, l'incantevole dimora della famiglia Crawford.

Julia è affezionata a quella villa immensa e circondata dal verde in quanto era una meta da lei frequentata durante l'infanzia; suo nonno Bill, infatti, era il giardiniere di fiducia dei signori Crawford e, nel prendersi cura del giardino, amava in particolare coltivare le orchidee, "creando" anche degli ibridi rari e bellissimi.

Pensare a Wharton Park infonde serenità e benessere nella mente di Julia, che ripensa a quando, tanti anni prima - lei era poco più che una bambina appena rimasta orfana di madre - aveva provato l'ebbrezza di suonare il pianoforte dei padroni di casa, su sollecitazione di un loro nipote, il giovanissimo Christopher (Kit).

E nel recarsi nella tenuta, Julia si imbatte proprio in Kit, ormai un uomo affascinante e gentile come un lord, sinceramente entusiasta all'idea di rivederla.
Julia scopre che la villa è purtroppo in vendita perché Kit - l'erede più vicino - non riesce a gestire i costi per mantenerla e sistemarla..., per cui il destino della casa è finire in mani più "larghe" e ricche.

Dopo essersi ritrovati, Kit e Julia iniziano a vedersi spesso e traggono una grande gioia nella reciproca compagnia, il che manda Julia in confusione, essendo lei una moglie e madre in lutto che ancora soffre per la morte dei suoi cari.

A legarla sempre più Kit ci pensa il ritrovamento (all'interno di Wharton Park), da parte di lui, di un diario risalente al 1940 e che pare fosse appartenuto a nonno Bill.
Incuriosita oltre misura, Julia - accompagnata dall'inseparabile Kit - va a trovare nonna Elsie, che ha trascorso la propria vita accanto all' amato marito; l'anziana donna è pronta a rivelare la vera storia che si cela dietro quel diario e che è stata finora tenuta segreta.
Anzitutto, quel diario non è stato scritto da Bill, bensì da lord Harry Crawford, il proprietario di Wharton Park, morto da diversi anni.

Ciò che emergerà dalla lettura di quel memoriale e dalle parole di Elsie sarà una lunga storia che è cominciata in Inghilterra per poi interrompersi nell'assolata e stupenda Thailandia (durante e poco dopo il secondo conflitto mondiale) e infine tornare nuovamente lì, nel grigio e rigido Norfolk.

Una storia di famiglia, di amori, di inganni e segreti.

Ed è così che, anche in questo come negli altri suoi romanzi, Lucinda dà al lettore una storia parallela a quella principale; una serie di personaggi e vicende collocate nel passato e che sono il punto di partenza per comprendere il presente.

Conosciamo così i Crawford: lady Adrienne e suo marito Christopher Crawford, il loro unico figlio Harry e la giovane Olivia, che cattura le simpatie di Adrienne tanto da indirizzare Harry verso la ragazza, affinché la sposi e dia un erede a Wharton Park.
Soprattutto tenendo conto del fatto che i rumori di un'imminente guerra si fanno sempre più vicini e forti e se, Dio non voglia, ad Harry dovesse accadere qualcosa sul campo di battaglia, che almeno lasci un erede ai Crawford...!

Harry sposa Olivia, così carina, educata e sinceramente interessata alla tenuta: lei è la moglie ideale e sarà sicuramente anche una buona madre; piace alla mamma dello sposo, per cui questo matrimonio ha la benedizione di tutti.

Olivia, inoltre, è davvero innamorata di Harry, lui glielo legge negli occhi e la cosa gli fa senza dubbio piacere.
Ma Harry ama Olivia?

Le prime difficoltà coniugali sorgono immediatamente e la guerra non fa che peggiorare le cose e allontanare - fisicamente e non solo - Harry dall'Inghilterra, da Wharton Park e dalla sua Olivia.

Fatto prigioniero dai giapponesi, Harry vivrà la drammatica esperienza della prigionia in mano nemica e, seppure tra mille privazioni, la splendida terra thailandese (in cui lui e il suo buon giardiniere e amico, Bill, sono costretti a stare, anche dopo essere stati liberati, a causa di brutte condizioni di salute) sa offrire una nuova vita a lord Crawford, che farà un incontro speciale in nome del quale sarebbe capace di rinunciare alla vita precedente in Inghilterra.

Ma non sempre il destino prende le strade che vorremmo e i doveri, si sa, vengono prima dei piaceri.

Harry tornerà a Wharton Park per fare ciò che è chiamato a fare ed essere: il signore di una tenuta in cui ha lasciato non solo la famiglia, ma anche dei dipendenti, che devono essere guidati e stipendiati.

L'infelicità e la frustrazione sono dietro l'angolo e ogni luce di serenità e gioia fuggirà per sempre da Wharton Park.

La storia che Elsie racconta - con l'ausilio del diario di Harry - a sua nipote e a Kit, sconvolge Julia in quanto apprende un aspetto del proprio passato, delle proprie origini, che non conosceva e che mette in discussione le poche certezze che aveva circa sé stessa, la propria identità, le proprie radici famigliari.


Affrontare il passato è solo una delle sfide che Julia dovrà attraversare; il suo presente, infatti, è sconquassato anche dal ritorno improvviso e sconvolgente di una persona che la getterà nuovamente in un baratro di confusione e dolore dal quale lei dovrà decidere come  uscirne, ma non sarà sola: chi l'ama c'è e l'aiuterà a ritrovare sé stessa e la propria strada.
Una strada costellata dalle splendide orchidee di nonno Bill e che conduce verso un amore genuino e sincero e verso una villa antica e maestosa che le ha sempre trasmesso quella pace di cui Julia ha disperatamente bisogno.

"Il giardino degli incontro segreti" è un romanzo appassionante, in cui ho ritrovato le tematiche e gli elementi sempre presenti nei libri di Lucinda Riley e che personalmente me la fanno tanto apprezzare:

  • l'importanza della famiglia: quella "nota", in cui si è cresciuti, e quella "segreta", da scoprire attraverso la lettura di documenti e memorie del passato e attraverso i...
  • viaggi: solitamente essi portano la protagonista in paesi esotici, dove ci si confronta con culture differenti, opposte ma altrettanto arricchenti; ovviamente è un viaggio anche interiore, necessario per ritrovare sé stessi, per conoscersi meglio e per affrontare sfide personali utili alla propria crescita.
  • la scoperta delle proprie vere radici: la protagonista è costretta dagli eventi a mettere in discussione ciò che è per scoprire la verità su sé stessa e sulla sua vera famiglia.
  • l'amore: le storie d'amore viaggiano su binari paralleli, separati da anni e chilometri ma in qualche modo trovano, negli eventi del presente, una loro fine e una loro ragione;
  • la presenza di inganni, bugie, segreti, che sono stati tenuti chiusi a chiave per decenni ma che adesso devono essere svelati, raccontati, perché la ricerca della verità circa ciò che è successo è la chiave centrale e imprescindibile per comprendere l'oggi.

Anche questo romanzo è super promosso e mi ha regalato ore ricche di emozioni.


martedì 2 luglio 2024

TUTTO SU DI NOI di Romana Petri ✓ RECENSIONE ✓



Marzia nasce e cresce in una famiglia che si può definire, senza tema di smentita, disfunzionale: una famiglia che non è nido d'amore, rifugio accogliente, porto sicuro e riparo dalle tempeste.
Tutt'altro.
In casa Marziali si respira cinismo, egoismo, puerilità da parte degli adulti, tradimenti, piccole e grandi perfidie che possono far male e davanti alle quali non resta che difendersi e, all'occorrenza, magari anche attaccare.


TUTTO SU DI NOI
di Romana Petri


Mondadori 
216 pp
Marzia Marziali ha un nome che è tutto un programma e che si riflette nel suo modo di essere: cammina con un'andatura marziale e ama uno sport come la lotta greco-romana.

Non solo, ma in lei c'è qualcosa di "marziale" nel senso di battagliero, intrepido ed è con questo atteggiamento che ci racconta la storia sua e della sua famiglia.

Marzia si sbottona con furia, violenza, spudoratezza, ci lascia entrare dentro casa, nello spazio soffocante condiviso con il padre, la madre e il fratello.

La sua è una famiglia malata, in cui si passa dall'indifferenza e dall'anaffettività alla cattiveria gratuita più tremenda.

Se dovessimo sintetizzare i caratteri dei tre famigliari di Marzia, potremmo descriverli così: il cattivo (il padre), la sottomessa (la moglie) e il menefreghista (il fratello).

Cresciuta nella periferia di Roma, Marzia ha avuto un'infanzia non propriamente infelice, perché in fondo ci sono storie e famiglie ben peggiori, ma di certo non ha avuto dei genitori esemplari.

Al centro della sofferenza di tutti c'è lui, il capo famiglia: un uomo fisicamente tozzo, tarchiato, sgradevole, chiamato da Marzia "il nano dalle gambe corte", la cui brutta fisicità è lo specchio di un'anima altrettanto penosa.

Un padre crudele e codardo, capace di atti di pura malvagità contro moglie e figlia; un fedifrago seriale che non nascondeva i tradimenti, anzi, li sbatteva in faccia a moglie e figlia con un godimento disgustoso; ferire, umiliare, schernire, ridere delle lacrime e del dolore da lui stesso provocati, era motivo di grasse risate da parte sua.
Un genitore incapace di amare, di lasciarsi andare a parole e gesti d'affetto.
Come vieni su con un padre così?

E la madre?
Lei è sempre e solo stata moglie, la coniuge devota e fedele al marito infedele e str****, che avrebbe meritato di essere cacciato a pedate da casa.
E invece più lui la tradiva e umiliava, più lei gli si attaccava come una cozza, aspettando, come un cagnolino smarrito, briciole di attenzioni, che poi non erano mai affettuose ma solo fisiche, per sfogare le bramosie sessuali di lui.

Il racconto di Marzia mi ha travolto perché è duro, verace, forte, dice "pane al pane e vino al vino", senza mai rinunciare a una certa dose di ironia e autoironia, descrivendo la famiglia e le diverse e bizzarre situazioni vissute con schiettezza, con la ormai serena rassegnazione di chi per quel caos vi è passato, l'ha attraversato..., ok, forse non indenne ma è sopravvissuta.

Nel conoscere i molteplici aneddoti tramite i quali la protagonista ci presenta i suoi, mi sembrava di esserle accanto e di poter guardare le cose con i suoi occhi disincantati, realisti, tanto è l'abilità narrativa dell'autrice di immergere totalmente il lettore nella storia.

Marzia non risparmia nessuno, neppure sé stessa, dai giudizi impietosi sui Marziali, e si rende conto che essere cresciuta senza impazzire già è stato un miracolo.

Mentre suo fratello ha scelto la strada dell'estraniazione, dell'alienazione (cuffie nelle orecchie sempre, in ogni momento; lui non sente e neppure vuol guardare, sapere, dire la sua: nulla, un'ombra che cerca di restare sullo sfondo di quella famiglia matta), lei invece ha vissuto il marcio in casa affondandovi mani e piedi, ma del resto non poteva fare altrimenti perché i suoi genitori l'hanno sempre coinvolta nei loro "affari", nei loro problemi di coppia, trattandola come una pari, dimenticandosi volutamente che Marzia era una ragazzina ed era figlia, non compagna e confidente.
Andava protetta e non trascinata con forza in una relazione di coppia tra due adulti sciagurati.

E come fare a non soccombere in un contesto fagocitante ed egoistico oltre misura?
Rafforzandosi, nel corpo e - si spera - nello spirito, attraverso uno sport "da maschio", molto fisico, con cui acquisire disciplina, sacrificio, impegno; Marzia educa e allena il proprio corpo, imparando a mettere fra sé e il mondo la barriera di un fisico scolpito, asciutto.

Un fisico poco sensuale e femminile... Forse un modo (inconscio) per sfuggire alle attenzioni di uomini predatori e fissati per il sesso come suo padre?

Certo, questo non impedisce a Marzia - al di là della durezza e della franchezza spiazzante che la caratterizzano - di individuare le proprie debolezze e fragilità, i propri bisogni di dare e ricevere quell'amore che in casa manca.

Lei non desiste dal sognare e desiderare la perfezione, anche in amore; il suo cuore non dimenticherà per molti anni un ragazzo (chiamato, nella sua immaginazione, "l'uomo perfetto"), con cui ha avuto una breve avventura ma il cui pensiero continuerà a seguirla per molto tempo, perché lui è quanto di più lontano ci sia dalla figura paterna.
Malgrado la famiglia strampalata che le è capitata, il cuore di Marzia è capace di voler bene senza limiti, e lo dimostra soprattutto nel rapporto con Kore, un cagnolino randagio che lei "adotta"; Kore le vuol bene per ciò che è, non la giudica, non ride di lei, anzi la segue gioioso e scodinzolante, pronto a farla sentire importante e altrettanto fa lei con l'animale.

Purtroppo, la cattiveria paterna si estenderà sino a Kore provocando a Marzia il dolore più grande della sua vita; da quel momento in poi, ella svilupperà e nutrirà un odio talmente grande verso il padre da desiderare di ucciderlo.

Seguiamo la protagonista negli anni, la vediamo crescere, proseguire con le competizioni sportive, impegnata in relazioni sentimentali che non la soddisfano, e sempre lì a barcamenarsi tra quei due genitori infantili, nell'inutile attesa che finalmente maturino e smettano di pensare unicamente a loro stessi.

Rabbia, rimpianti, delusione, tristezza, paura di essere sbagliata, di non saper dare amore per non averlo ricevuto...: a Marzia nulla è stato risparmiato e lei stessa non risparmia nulla ai lettori, che leggono la sua storia sperando che, crescendo, ella provi ad essere felice, a buttarsi alle spalle la zavorra di questa famiglia anomala e disordinata, che si conceda un amore (o qualcosa che gli assomigli) senza farsi troppe paranoie, che riesca a perdonare, se non quel nano malefico che l'ha generata, almeno quella madre che ha vissuto un'esistenza all'ombra di un uomo che ha fatto di tutto per farsi detestare.

Ho ascoltato il libro su Audible, scegliendolo a istinto e mi è piaciuto davvero molto!

domenica 30 giugno 2024

LA PIENA (Blackwater I) di Michael McDowell [RECENSIONE ]



È il 1919 e la cittadina di Perdido (Alabama) è sommersa dalle acque del fiume; intere famiglie devono fare i conti con le conseguenze di questo disastro naturale e cercare di recuperare più immobili e beni possibili, sperando di tornare presto alla vita di sempre. 
In un momento così drammatico fa il suo ingresso una figura sconvolgente e sfingea, che sembra piombata dal nulla: Elinor Dammert, una donna bella, dai capelli rossi che più rossi non si può, una personalità seduttiva e ammaliante come poche e un passato tanto ignoto quanto misterioso.



LA PIENA.
Blackwater I
di Michael McDowell


Neri Pozza 
Trad. E. Cantoni
256 pp
La scena che si profila sotto gli occhi del lettore, dalle prime righe, è quella di una cittadina che ha appena passato una brutta esperienza: le acque nere e minacciose del fiume Blackwater hanno coperto Perdido (nome immaginario) e, adesso che si sono quasi del tutto ritirate, hanno mostrato lo sfacelo provocato, davanti al quale c'è solo da rimboccarsi le maniche e cercare di ricostruire, piano piano.

Proprio mentre Oscar Caskey (a capo, assieme a sua madre Mary-Love, di una famiglia ricca e stimata, proprietaria di boschi e segherie) è su una barca, guidata dal suo servo di colore, Bray, a fare un giro di ricognizione, si accorgono che nell'albergo del paese, sommerso per buona parte dalla piena, c'è una sopravvissuta: è una giovane donna che dice di essere rimasta bloccata nella camera dell'hotel e di aver atteso, con pazienza, che le acque si abbassassero e qualche anima pia venisse a salvarla.
Con suo sommo e gioioso stupore, è Oscar a poter vestire i panni del salvatore di questa bella fanciulla indifesa.

La fanciulla in questione si chiama Elinor Dammert e dice di essere una maestra; è venuta lì a Perdido per sostituire la precedente insegnante ma purtroppo ha perso la valigia in cui vi erano tutti i suoi documenti, da quelli d'identità ai titoli di studio.
In pratica, tocca fidarsi e cederle sulla fiducia.

E ad Elinor non puoi non credere, perché ha un modo di parlare e di atteggiarsi capace di incantare chiunque, di attirare gli sguardi di tutti - uomini, donne, bambini - sul suo sorriso enigmatico, sul suo sguardo ammaliatore, sulla sua voce dolce e ferma allo stesso tempo, sulla sicurezza che emana mentre parla, sui suoi capelli rossi, di un rosso che non s'era mai visto prima.

Oscar viene irretito immediatamente da questa donna affascinante, e così pure suo zio James e la di lui figlioletta Grace, che si affeziona alla nuova maestra al punto da volerla al posto della madre; quest'ultima, Genevieve, è una donna dura e col "difetto" di alzare il gomito, il che la rende di sovente aggressiva e sgradevole; attualmente è lontana da Perdido, a fare chissà che con chissà chi.., ma non manca a nessuno, né al marito e alla figlia né alla cognata Mary-Love Caskey, che con Genevieve non è mai andata d'accordo.

Ma alla matriarca di casa Caskey non piace neppure la nuova arrivata, Elinor.
La mamma di Oscar non si fida di questa ragazza che fa tanto la gentile con tutti ma che sicuramente nasconde qualcosa: chi è davvero? Da dove viene? Da quale famiglia? Come mai è venuta a stare in una cittadina tranquilla come Perdido in un momento, tra l'altro, delicatissimo?
E soprattutto: che vuole da Oscar?

E sì, perché il suo istinto materno la mette in guardia da subito e lei capisce - forse prima ancora di Oscar stesso - che il suo unico figlio maschio è completamente circuito da questa sconosciuta che guarda tutti con sufficienza mascherata da gentilezza, che sembra avere sempre la risposta pronta, la soluzione a tutto...
E nonostante Sister Caskey, sorella di Oscar, cerchi di convincere la severa madre della bontà della signorina Dammert (che, di giorno in giorno, piace davvero a tutti, tranne a lei e quel brontolone di Bray), il lettore avverte, sin dalla prima strana apparizione della maestra, che qualcosa che non va, in lei, c'è davvero.

Elinor Dammert ha qualcosa che la rende bizzarramente vicina all'elemento acqua, in un modo poco comune e quasi "sovrannaturale", che però (per adesso?) non è semplice da definire; dal suo modo di parlare, di rapportarsi agli abitanti di Perdido (a fronte della semplicità e spontaneità di alcuni di loro come della diffidenza di altri, soprattutto donne), di esprimere la propria opinione su ogni questione, di sforzarsi di fare buon viso a cattivo gioco anche quando è contrariata..., insomma tutto di lei induce a gridare: Non fidarti! 

E se per almeno metà della storia il ritmo è piuttosto statico, da un certo momento cominciano ad accadere fatti e situazioni che ci lasciano vedere come dove c'è Elinor, accadono strani fenomeni.

L'alone di mistero attorno alla presunta maestra si fa sempre più evidente e cupo ed è ovvio che questa donna non è chi dice di essere ed è arrivata lì a Perdido con un piano, un disegno ben preciso.
Una cosa è evidente: se vuole, sa come trascinare dalla propria parte le persone, sa come ottenere ciò che si prefigge senza alzare la voce o aggredendo, ma con una sottile intelligenza che si insinua come un veleno dove vuole lei.

La guerra tra Mary-Love e la signorina Dammert diventa aperta e palese a tutti quando Elinor e Oscar convolano a nozze.
Per la mamma e suocera è un colpo al cuore e all'orgoglio: il suo adorato e devoto figlio sposato con quella strega dai capelli color "rame sfacciato", che sicuramente farà di tutto per allontanarlo da lei!
Mary-Love ha una personalità granitica, sa essere tanto determinata quanto spietata ed egoista, è mossa da interessi personali, da avidità, desiderio di possesso e di controllo su tutto e tutti... ma si è scelta un'avversaria dalla pelle più dura della sua, che rispetto a lei ha il vantaggio di essere imprevedibile proprio perché avvolta da nubi di mistero, da una oscurità fitta e indefinibile.
Più Elimor Dammert sembra agire alla luce del sole e con limpidezza, più inquietante e torbida ne esce la sua immagine.

Il lettore giunge al termine di questo primo volume della saga consapevole che progressivamente ogni situazione, dinamica e interazione tra i personaggi si rivestirà di una sempre maggiore tensione ed Elinor comincerà a rivelare la sua natura inquietante, ambigua e impenetrabile.

L'arrivo di un personaggio inafferrabile come lei porta scompiglio a Perdido e, in special modo, nell'agiata famiglia Caskey, che vede traballare le fondamenta di legami famigliari fino a quel momento solidissimi.

"La piena" è un inizio di saga interessante e ricco di suggestioni, queste ultime dovute più alle atmosfere oscure e alle sensazioni evocate (si legge con la costante convinzione che qualcosa di rovinoso stia per avvenire) che a specifici avvenimenti; la suspense viaggia sottile per buona parte della lettura, per poi farsi più palpabile procedendo verso la fine.

Siamo nel genere gotico, si affacciano elementi paranormal ma per ora non c'è nulla di propriamente horror (fiuuuuu!); l'ambientazione mi piace moltissimo e così pure questa protagonista femminile senza passato e di cui si intuisce che abbia doti "speciali"; ben caratterizzati i personaggi principali, come Oscar (il tipico uomo gentile e buono sì, ma anche tanto - troppo!! - accondiscendente, debole, con scarse capacità decisionali) e Mary-Love, una donna che, dietro il suo carattere d'acciaio, cela contraddizioni e difetti dal potere distruttivo.

Ho molta voglia di tornare presso il fiume Blackwater, sbirciare ancora nelle vite dei Caskey e scoprire cos'ha in mente la furba Elinor.

Consigliato a chi ama gotico e paranormal.

LIBRI DELLA SAGA

1. LA PIENA
2. LA DIGA
3. LA CASA
4. LA GUERRA
5. LA FORTUNA
6. PIOGGIA

venerdì 28 giugno 2024

NEL PAESE DI BLA BLA di Beatrice Masci [ RECENSIONE ]

 


Come sarebbero le nostre giornate senza il costante e frenetico bip che segnala le notifiche del cellulare?
Oggigiorno sembra quasi impossibile immaginare un'esistenza priva di telefonini, internet, social network, immersi, come siamo, in una realtà che ingloba il virtuale in ogni suo aspetto e momento.

In questo vivace romanzo assistiamo alle giornate di una normalissima famiglia alle prese coi tentativi di conciliare vita reale e virtuale.


NEL PAESE DI BLA BLA
di Beatrice Masci


Sampognaro&Pupi
140 pp

domenica 23 giugno 2024

X di Valentina Mira [ RECENSIONE ]



Come si racconta di aver subito uno stupro?
E per raccontarlo a chi, poi?
La protagonista di questo romanzo trova il modo di parlarne attraverso una lettera che forse il destinatario non leggerà mai: lui è suo fratello ed è assente da anni dalla sua vita, ma è proprio a lui che Valentina sente il bisogno di palesare l'uragano di pensieri ed emozioni che le si agita dentro dal giorno in cui il suo corpo e la sua anima sono stati violati.



X
di Valentina Mira



Fandango Libri
176 pp
Valentina è un fiume inarrestabile di parole; parole che si è tenuta dentro per troppo tempo ma che finalmente hanno trovato un'apertura da cui uscire.
Adesso è arrivato il momento di dire ciò che sente, pensa, ciò che l'ha fatta soffrire.

X è una lunga lettera scritta per Fabio, il suo fratellino.

Con Fabio non hanno relazioni da anni, né lei né i genitori; il ragazzo, infatti, ha preso una strada lontana dalla famiglia per unirsi ad amicizie legate agli ambienti neofascisti.

Di recente suo fratello, in realtà, s'è fatto vivo ma nel peggiore dei modi: è entrato in casa dei suoi e ha commesso un atto tanto stupido quanto aggressivo, una sorta di "dispetto" a quei genitori con cui non ha più rapporti.

Ed è a questo fratello che Valentina scrive per raccontargli con dovizia di particolari la sua vita di oggi, i sacrifici fatti per arrivare ad essere ciò che è - una giornalista - e soprattutto tutto quello che non ha avuto la forza di dirgli in passato.

C'è un momento specifico del passato che ha segnato un punto di rottura per lei perché è legato ad un evento terribile avvenuto una sera d'estate del 2010 - l’anno della sua maturità -, in occasione di una festa piena di musica e alcol; un evento che determinerà da quel momento in poi un prima e un dopo nella sua vita.

A quella festa Valentina si lascia andare a baci ed effusioni con un ragazzo che è amico suo e del fratello: G., un ottimo studente della scuola cattolica.
Ma quella sera il bravo ragazzo diventa uno stupratore; l'amico simpatico si trasforma in un mostro che non ha la faccia né da mostro né da stupratore, e che vive in un quartiere normale di un paese normale.

A quel ragazzo Valentina quella sera dice NO, e non una volta soltanto; sì, è vero, aveva bevuto un po' ma lei ricorda tutto e sa che non era ubriaca; sa benissimo di aver respinto G. con fermezza.

Ma lui le fa violenza sessuale, con tanto di lividi e sangue sulle lenzuola.

Valentina non denuncia e, anche se proverà a farlo e a "minacciare" lui di farlo, non lo farà.

Esattamente come il novanta per cento delle donne che subiscono violenza, quel danno resta taciuto per anni. 
Sua madre nota che, nei giorni successivi a quella maledetta sera, la figlia è strana, distante, triste, ma a lei, cattolica fervente e convinta, che ritiene il sesso un argomento tabù, Valentina non riuscirà a confidare lo stupro subito.
C'è una persona con cui si sfoga: Fabio.
Ma Fabio sceglie - con doloroso stupore da parte di Valentina - di credere al'amico, non crede alla sorella, anzi, si allontana da lei e rimane amico di G., lo stupratore.

Dieci anni dopo, Valentina si sente più forte, tanto da decidere di riprendersi la propria storia spezzando quelle maledette catene fatte di paura, vergogna, omertà, consapevole che se c'è qualcuno che deve vergognarsi non è lei, non sono le donne violentate, ma è il "suo" violentatore, sono i violentatori delle tante donne che hanno la sfortuna di incontrarli.

Valentina Mira dà il proprio nome alla protagonista (e voce narrante), le dà un'identità precisa perché le vittime di stupro non sono delle donne anonime, senza un volto, un vissuto...: sono persone, che hanno subito una violenza carnale e che, oltre e dopo questa, si sentono ancora violentate da una società e da un modo di pensare che attacca e stigmatizza chi invece va difeso, protetto, creduto, aiutato a denunciare. 

Non è stato facile continuare la propria vita dopo quella notte; la sofferenza di aver subito uno stupro, tutta la valanga di emozioni contrastanti ad esso collegate, l'allontanamento dell'amato fratello (il loro è sempre stato un legame fortissimo) e le sue scelte di vita discutibili, e poi la precarietà del lavoro anche dopo la laurea, le umiliazioni affrontate per cercare di non perdere quel po' che s'era costruita negli anni, la solitudine, la paura di non farcela, di dover continuare a consegnare pizze per sempre abbandonando il sogno di fare la giornalista...: Valentina infila tutto in questa lettera decisiva e definitiva, la prima e forse l'ultima e l'unica che scriverà mai a qualcuno vomitando in essa tutto.

Scrivere diventa una necessità per sopravvivere, per aggrapparsi a qualcosa, per denunciare come la violenza non sia solo quella di dieci anni prima con G., ma sia all'interno dei più differenti contesti e si esprima in diversi modi.

Si può essere violati anche per altre vie, che non contemplano necessariamente un bruto col ghigno che ti prende in un angolo buio e ti strappa gli slip: la violenza può risiedere anche in un datore di lavoro che, con voce melliflua e sorriso sornione, ti fa capire che se vuoi mantenere un posto di lavoro..., hai capito, sì?

Ma sul corpo ferito di Valentina ormai c'è una indelebile X che vuol dire NO, e il no è no, senza se e senza ma.

Il romanzo (autobiografico) di Valentina Mira è spiazzante perché schietto, diretto, feroce; la voce della protagonista è potente, è un grido di dolore e di rabbia, in cui c'è tutto il bisogno e il diritto di urlare che non è lei quella sbagliata, che no, non se l'è cercata quella sera, che una donna stuprata non deve sentirsi mettere in dubbio ciò che racconta e, anzi, va aiutata a sapere cosa deve fare per poter denunciare il suo stupratore

Ho ascoltato questo libro su Audible e mi ha colpito tanto, l'ho trovato disarmante nel suo essere onesto, lucido, e il modo di narrare dell'autrice mi ha smosso molte emozioni, dalla commozione alla rabbia, dall'empatia all'indignazione.

È un libro potente, come vi dicevo, che dà voce con vigore e franchezza alle donne che hanno vissuto, loro malgrado, un'esperienza drammatica come la violenza sessuale, e induce a mettersi al loro fianco non certo per giudicarle ma per unirsi alla denuncia di quello che poi è tutto un sistema, un modo di pensare intriso di misoginia; i concetti di vergogna, pudore, colpa, responsabilità vanno ribaltati, devono "passare" dalla vittima al violentatore, e la stessa vittima ha diritto (ma anche il dovere verso sé stessa) di non vedersi per sempre in questa "veste" - come la vittima di una violenza -, quanto piuttosto di dare spazio a un atteggiamento di resistenza, individuale e collettiva, una resistenza che implica la rivendicazione del proprio diritto di esistere.

Dolorosamente bello. Consigliato!!  


venerdì 21 giugno 2024

L'UNITÀ di Ninni Holmqvist [ RECENSIONE ]



Potrebbe accadere, in un futuro lontano ma forse neanche troppo, che gli uomini e le donne che non sono genitori o che non possono più aspirare a diventarlo, vengano isolati, posti in un luogo creato proprio per loro e costretti a vivere una vita (o ciò che ne resta) a servizio della società cui appartengono. Immaginiamo che non possano ribellarsi al "programma" pensato per loro.
E infine immaginiamo che però qualcosa "vada storto" in questi programmi e che qualcuno possa pensare di far valere il proprio diritto a decidere per sé, per il proprio corpo, per il proprio futuro.
Cosa accade quando il singolo ha valore e scopo solo se funzionale ai bisogni stabiliti dalla collettività? Quando una persona non può essere single ma per vivere deve necessariamente essere in coppia?


L'UNITÀ
Ninni Holmqvist



Fazi Ed.
trad. M. Podestà Heir
276 pp
Dorrit è una scrittrice cinquantenne single e senza figli; aveva un cane affezionatissimo ma adesso questi è morto e lei si sente sola, come se l'avessero privata di un pezzo fondamentale di sé; non ha un marito e l'ultima relazione sentimentale è stata con un uomo sposato, che non ha mai avuto alcuna intenzione di lasciare la moglie per stare con l'amante.

Ed è così che un giorno Dorrit  viene tradotta in un luogo denominato l’Unità
È un posticino che accoglie "quelli/e come lei" - vale a dire uomini e donne di una "certa età", privi di una relazione sentimentale definita, privi di coniuge e soprattutto di prole - e che apparentemente è un piccolo paradiso: una struttura all’avanguardia dotata di ogni comfort, con eleganti appartamenti immersi in splendidi giardini, dove gli ospiti possono usufruire di pietanze elaborate, degni di ristoranti  gourmet, e dove si può decidere di passare le giornate dedicandosi ai propri hobby, dallo sport al cinema o alla musica, dalla lettura al semplice passeggiare negli ameni parchi di questo cosmo separato dal resto del mondo. 

Qui finalmente Dorrit si sente libera dal peso del giudizio sociale, che l'ha sempre fatta sentire sbagliata, una donna incompleta perché sola, indipendente e senza marito né figli.
Tra queste mura, ella fa amicizia con persone come lei, con cui trascorre le ore a chiacchierare, a scherzare...

Ma l'idillio è solo apparente: pian piano emerge con chiarezza come tutti i residenti dell'Unità siano lì non per fare "la bella vita" a spese della società (del "governo" e dei contribuenti, potremmo dire), bensì per ragioni ben precise.
Tutti loro sono denominati Dispensabili e la loro permanenza nell'Unità ha senso solo in quanto essi donano sé stessi - corpo, mente, intelligenza..., tutto - alla ricerca, alla comunità, al benessere degli altri.

Cosa vuol dire in termini pratici?

I Dispensabili sono lì per fare da cavie per una serie di test farmacologici e psicologici; ma non è finita qui: sono tenuti a donare "parti" di sé - i loro organi - e se per alcune donazioni non si muore (se si dona un rene, ad es.), per altre... beh, si può eccome perdere la vita.
Gli ospiti non possono rifiutarsi di donare i loro organi: uno per uno daranno ciò che viene loro richiesto, fino alla cosiddetta “donazione finale”. 

È l'unica via perché anch'essi siano utili alla società e non dei meri parassiti; insomma, devono sacrificarsi per chi, nel mondo di fuori, è genitore e, magari, ha problemi di salute (gli serve un cuore, il fegato, i reni...) e, se non avesse un donatore, morrebbe lasciando allo sbando la famiglia, i figli in primis.

Dorrit e gli altri dell'Unità accettano e si rassegnano, giorno dopo giorno, a questo destino, sapendo di non avere libertà di scelta; possono soltanto cercare di vivere più serenamente possibile sino alla donazione finale.

Del resto, la rassegnazione sopraggiunge con facilità per queste persone che trascorrono le giornate sempre nello stesso modo e che sanno di non poter mai più mettere piedi fuori, nell'altra parte del mondo.

Ma la vita sa riservare sorprese anche in un contesto protetto come l'Unità, dove tutto è controllato rigorosamente, dove non c'è una vita privata per il singolo ospite, dove le telecamere sono presenti - in stile Grande Fratello - in ogni anfratto, anche in bagno.

L'amore, ad es., è una forza tanto potente da sfuggire ai controlli e irrompe nell'esistenza monotona di Dorrit nella persona di Johannas, un uomo un po' più grande di lei con cui inizia una relazione prima fisica e poi anche d'amore; i due si innamorano follemente e l’inaspettata felicità li travolge donando nuovi colori alla scialba e fin troppo abitudinaria vita nell'Unità.

L'amore con e per Johannas induce Dorrit a riconsiderare ogni cosa, anche le regole cui devono essere soggetti i Dispensabili.

Ma chi ha deciso, e con quale autorità, che le persone portate forzatamente nell'Unità debbano rassegnarsi a un destino così triste e ingiusto, in cui è previsto che il loro corpo sia donato alla scienza e alla società senza che esse possano decidere se vogliono sottostare volontariamente a questi programmi?

Chi l'ha detto che chi non ha un coniuge o dei figli non sia utile o che lo sia solo nel modo in cui altri ("quelli che comandano") hanno deciso per loro?

Dorrit fa una scoperta personale che cambia il suo modo di vedere le cose, che instilla in lei il pensiero di ribellarsi, di non accettare passivamente quel triste destino determinato da volontà esterne.

È possibile anche per un dispensabile essere felice? Avere la possibilità di uscire dall'Unità e andare a vivere fuori, all'esterno dell'Unità?
O una volta entrati in quel luogo falsamente bucolico e piacevole non è più possibile uscirne vivi?

A dispetto di ciò che ci si aspetta da lei, Dorrit sogna e spera un futuro differente, in cui lei è viva, innamorata e appagata.
Ne ha il diritto, lo sente, perché è un essere umano come tutti, con dei desideri, la voglia di avere una famiglia, di essere felice.

Riuscirà a trovare il modo per uscire da quel posto e vivere la propria vita al di fuori di quella prigione?

"L'unità" è un romanzo distopico che mi ha sorpreso positivamente e che ho ascoltato con molto interesse e lasciandomi coinvolgere emotivamente.

Fa rabbia immaginare un tipo di società in cui delle persone vengano emarginate, poste in luoghi separati dal resto del mondo e giudicate non utili solo perché non sono mariti/mogli né genitori, che esse non abbiano il potere sul proprio corpo, sulla propria vita, ma siano costrette ad andare incontro a un destino già segnato e che li rende dei topolini da laboratorio, di cui la scienza può disporre come e quando vuole.
È triste immaginare che un individuo possa essere considerato meritevole di vivere solo se risponde a determinati requisiti e convenzioni sociali, e come un tipo di vita differente (con obiettivi diversi dall'essere "accasati" e fare figli) non sia contemplato e ammesso.
Hai senso e valore solo se sei in coppia, in pratica.

Crea angoscia il pensiero di questi ospiti che vivono giorno per giorno chiedendosi: "La prossima volta verrò chiamata per donare... quale organo? Per partecipare a quale tipo di esperimento? E quando arriverà la donazione finale?"
È come essere un condannato a morte che sa di dover andare incontro alla propria esecuzione ma non sa il giorno, che potrebbe essere l'indomani o tra cinque anni.

È un romanzo che dà modo di riflettere su cosa ci si aspetta dalle donne all'interno della società, su come vengano considerate le persone ormai ritenute "troppo grandi anagraficamente" e non più in età fertile, su cosa sia "normale" e socialmente accettabile e cosa non lo sia.

Consigliato a chi ama le distopie e ha voglia di una lettura avvincente, originale per diversi aspetti e che pone l'attenzione su tematiche etiche e sociali profonde.

Promosso!!

mercoledì 19 giugno 2024

UN'ESTATE di Claire Keegan [ RECENSIONE ]


Possono bastare pochi giorni per imparare cosa voglia dire ricevere amore, essere al centro delle cure premurose di persone che si dedicano a te senza pretendere nulla in cambio, e il rapporto che si crea con esse non ha bisogno, per essere forte, di legami di sangue.
È ciò che impara la giovanissima protagonista di questo breve racconto, durante un'estate lontana da casa e che le insegnerà tanto.


UN'ESTATE
di Claire Keegan 



Einaudi
trad. M. Pareschi
80 pp
Siamo a cavallo tra gli anni '70 e '80, nella campagna irlandese, e una bambina sta per essere mandata dai genitori a trascorrere l'estate a casa di amici di famiglia, i Kinsella.
Edna e John non hanno figli e volentieri prendono con loro la bimba, che vive in una casa molto affollata e caotica, e per di più sua madre è nuovamente incinta, con altri figli piccoli da accudire.

In pratica, i genitori - gente semplice e lavoratrice, ma con non poche difficoltà a sbarcare il lunario, soprattutto avendo molte bocche da sfamare - "cedono" per qualche mese la figlioletta perché non gravi sul menage famigliare, già piuttosto precario.
E così, la bambina, il cui nome non viene mai menzionato, va a stare  dai gentili signori Kinsella, che vivono in una fattoria isolata.

Il tempo trascorso con loro sarà un'esperienza importante per la ragazzina.

Come è normale che sia, i primi tempi è spaesata e sente anche un po' di solitudine in quel nuovo ambiente; ma John e Edna si impegnano da subito perché la loro piccola e mingherlina ospite sia a suo agio, non le manchi nulla in termini di vestiti, di cibo e attenzioni.

Con il passare dei giorni, i tre imparano a conoscersi meglio, a godere dei momenti vissuti insieme nella semplicità e nella calma di una vita tranquilla, dove le giornate immerse nella natura sono scandite dalle incombenze quotidiane.

La piccola trascorre l'estate dedicandosi ad attività tipiche della vita in campagna, aiuta in casa, in fattoria, fa piccole ma preziose esperienze che le trasmettono serenità, allegria, tenerezza e che contribuiranno alla sua crescita personale, insegnandole che ci sono modi diversi di "essere una famiglia", di prendersi cura dei bambini, di rispondere con più o meno sollecitudine alle loro esigenze.
La bambina nota, con la profondità e riflessività che le appartengono, che i Kinsella vivono e si comportano in un modo che a lei piace, che è più bello di ciò che avviene a casa propria e questa differenza non può non stupirla e farla sentire anche un po' a disagio.

Leggendo, ci sembra di essere con lei e Edna, di condividere le piccole azioni e le abitudini rassicuranti che caratterizzano questa vita rurale, genuina, e che permettono alle due di stare insieme, di godere della reciproca compagnia.

La ragazzina impara piccoli gesti, cortesie e premure che a casa nessuno le ha insegnato né dato perché i suoi genitori hanno troppo da fare per dedicare del tempo speciale ad ogni singolo figlio; qui, invece, ella è al centro della vita della coppia, è coccolata, nutrita, lavata, riceve affetto e attenzioni e le viene detto che nella loro casa non ci sono segreti.
Eppure, c'è un segreto che lei scopre sui coniugi Kinsella e dietro al quale si cela del dolore, e forse in virtù di un forte senso del pudore essi non lo raccontano alla loro piccola ospite.

L'estate finisce, però, e si avvicina il tempo di andare a scuola.

Cosa porterà con sé la bambina di questa esperienza in casa Kinsella?

"Un'estate" è una novella che si legge "in un sorso" per quanto è breve ma anche per la prosa essenziale e delicatissima dell'autrice, che ha saputo concentrare in meno di cento pagine una storia, una cornice e dei personaggi ben delineati, e tutto è tratteggiato con perizia e sensibilità, ogni elemento è al posto giusto e alla fine ci sembra di essere davanti a un dipinto dove ogni pennellata è intenzionale e frutto di abilità e sapienza narrative.

Il racconto è attraversato da accenti di serenità, pace, affetto sincero, sorpresa, gratitudine, e anche l'inevitabile malinconia (dovuta alla consapevolezza che quel soggiorno finirà) ha un sapore dolce e commovente.

In poche pagine, Keegan esplora, con un approccio introspettivo, i temi dell'amore famigliare, della perdita, dei legami non di sangue ma non per questo meno solidi, il bisogno dei bambini (ma anche degli adulti, certo) di essere amati e di sentirsi al centro delle premure degli adulti.

La penna semplice e ricca insieme della Keegan conserva di pagina in pagina un che di poetico e sa accarezzare l'empatia del lettore.

Un gioiellino da non perdere.
Su Raiplay è ancora disponibile il film ispirato al racconto, The quiet girl.

lunedì 17 giugno 2024

SPORCO SUD di John Connolly [ RECENSIONE ]



Nell'aspra cornice della contea di Burdon, Arkansas, alcune donne vengono barbaramente uccise.
In comune hanno il colore della pelle (sono tutte nere), la giovane età e il modus operandi del loro assassino, che infierisce sul loro corpo sempre con le medesime efferate azioni.
La polizia della contea è impegnata a trovare l'assassino e l'ex detective Charlie Parker è pronto a scendere in campo per dare il suo contributo.


SPORCO SUD 
di John Connolly 



Time Crime
trad. S.Bortolussi
537 pp
"Il passato ci segue. Il passato ci definisce. E alla fine, il passato ci rivendica tutti."


Siamo nel 1997 a Cargill - "in una cittadina di quelle dimensioni non esistevano segreti" - , nella contea di Burdon, sporcata dalla presenza di un assassino che sta massacrando giovani donne; ma in tanti preferiscono non guardare e, anzi, insabbiare tutto, possibilmente. 

A volerlo sono "coloro che contano", i potenti della città, come i Cade, interessati a fare in modo che non nascano scandali e problemi che potrebbero ostacolare progetti commerciali di un certo livello.
Per essere precisi, è in previsione che la famosa azienda denominata Kovas, impegnata nella produzione di componenti missilistiche, sistemi di guida, armamenti hi-tech, robotica e simili, apra una nuova struttura di ricerca e produzione nel Sud, trasformando la località scelta in una città-azienda, dando una spinta anche nell'investimento di case, scuole, attività commerciali.

Insomma, un'occasione irripetibile e irrinunciabile da non lasciarsi sfuggire.
E i Cade - nella persona del magnate Pappy, con i suoi loschi figli al seguito, tra cui lo sceriffo Jurel Cade - sono intenzionati a far di tutto pur di presentare la propria contea pulita e linda agli occhi della Kovas.

E se questo vuol dire far passare per morte accidentale un omicidio - per di più brutale -, pazienza.
In fondo, si tratta di ragazzette di colore, alcune provenienti da ambienti famigliari disagiati.
Chi vuoi che si batta per dar loro giustizia?

Ma non tutti appoggiano questo empio ragionamento, a cominciare dalla polizia di Cargill, nella persona del capo Griffin (e dei suoi uomini, pochi ma buoni): egli è un poliziotto coscienzioso, che vuol davvero portare giustizia lì dove avvengono crimini e non è sua intenzione permettere che gli omicidi delle povere ragazze vengano ignorati a causa di meri interessi commerciali, oltre che per ragioni razziste (se fossero bianche, lo sceriffo Cade non indagherebbe forse con più serietà?).

Purtroppo il sud qui descritto è, come suggerisce il titolo, "sporco", intriso di corruzione, apatia morale, individualismo, egoismo, indifferenza, immoralità: ci sono uomini di cui si sa che sono pedofili, ma mica sono in carcere; pure il pastore battista non è uno stinco di santo e gli capita di cadere in tentazione; lo sceriffo non rende onore al distintivo chiudendo entrambi gli occhi quando ci sono di mezzo gli interessi di famiglia; è noto chi siano gli individui coinvolti nella produzione e nello spaccio di droghe ma sono liberi di andarsene in giro...

In un posto così, quale ideale di giustizia può mai essere perseguito?

«Lei non sa niente di questa terra, e niente di quelli che ci vivono.» 
«Le persone si somigliano tutte. Amano, concupiscono, odiano. Provano rabbia e paura. Vivono e muoiono. Il resto sono solo dettagli.» 
«Se la pensa così, non ha visto abbastanza della vita.» 
«Oh, ne ho visto a sufficienza.»

Ma ecco che spunta lui, Charlie Parker, il cui primo approccio con Cargill non è dei migliori: si fa arrestare per un presunto atteggiamento oppositivo verso la polizia, per poi rivelare perché è lì.
Vuol dare una mano a Griffin e compagni, perché lui sa cosa vuol dire perdere i propri cari per mano di un assassino feroce, che è attualmente a piede libero.

Parker sta ancora piangendo la morte di sua moglie e sua figlia e cerca invano il loro assassino; a tenerlo in vita è solo l'ossessione di vendicarle e, intanto che persegue questo scopo, si ferma in questa contea per scovare un altro perverso e sadico criminale che va seminando morte.

Per arrivare alla soluzione, Parker dovrà  immergersi nelle fitte e viscide maglie che avvolgono le persone di Cargill e i rapporti tra di loro, districandosi tra gente opportunista e disposta a tutto pur di raggiungere i propri obiettivi. 


John Connolly ha uno stile che personalmente mi piace molto (mi ha ricordato Brian Panovich) perché la sua penna riesce ad essere raffinata e a creare abilmente le atmosfere giuste per questa storia: cupe e inquietanti, corredate da descrizioni vivide, realistiche, anche crude quando si tratta della violenza omicida; il racconto di ogni dettaglio non è mai fine a se stesso ma ha il merito di trasportare il lettore direttamente nel cuore delle vicende, coinvolgendolo.

I personaggi hanno complessità e spessore, in special modo il protagonista, Charlie "Bird", individuo tormentato, con un passato pieno di dolore che è un fardello ingombrante da portare, ma i suoi demoni ormai fanno parte di lui, ne disegnano l'anima e fanno da motore alle sue decisioni e azioni.
Le tenebre che avvolgono Charlie, però, non mi hanno impedita di empatizzare con lui, riconoscendone anzi l'insita bontà e un profondo senso di giustizia; la rabbia e il dolore per il tragico duplice assassinio di moglie e figlia rischiano di opprimerlo e di rovinare quello che di buono c’è in lui. C'è una luce dentro il suo cuore: sta a lui fare attenzione perché non si spenga e continui a guidarlo per rendere le strade del mondo in cui vive suo malgrado (il pensiero per lui sia meglio morire per porre fine a sofferenze e tormenti) un po' meno ingiuste.

Nonostante si narri di violenza, serial killer e di corruzione morale, è presente una sottile vena umoristica; esaustiva la caratterizzazione dei personaggi, anche secondari. 

È il primo libro che leggo di questo prolifico e apprezzatissimo scrittore irlandese e il primo approccio è stato positivo; se dovessi trovare un difetto nello stile, esso starebbe nella prolissità: la trama di per sé è appassionante, ben strutturata e con dinamiche interessanti, però un tantino prolissa, soprattutto nella prima parte del romanzo (prima che Charlie entri effettivamente in azione), in cui il ritmo è decisamente più lento. 

"Sporco Sud" è il diciottesimo romanzo della serie su Charlie Parker ma in realtà le vicende  riportano i lettori all'inizio della carriera dell'ex detective di New York come investigatore privato; pur non avendo letto i precedenti libri, non ho risentito dell'assenza di informazioni; mi è venuta, semmai, voglia di leggere anche gli altri e Parker è un personaggio molto "nelle mie corde"!

Un romanzo che consiglio a chi ama noir e crime.

sabato 15 giugno 2024

DOVE SI ANNIDA IL MALE di Viviana De Cecco [ RECENSIONE ]

 

Il corpo di una ragazza assassinata viene ritrovato nell'auto di un giovane avvocato, il quale però si professa innocente ed estraneo all'omicidio.
Che menta o meno, una cosa diverrà evidente a coloro che indagano per trovare il colpevole: non di rado il male può insinuarsi nelle persone apparentemente più innocue e dalle esistenze grigie e insospettabili.


DOVE SI ANNIDA IL MALE 
di Viviana De Cecco



182 pp

L'avvocato Marco D'Atri è stato cacciato di casa dalla moglie Eleonora; il loro matrimonio sta naufragando e l'uomo è da un po' che vive in auto, raschiando il fondo del proprio conto e sguazzando nella più triste delle solitudini.

Un giorno, mentre è di ritorno verso il parcheggio in cui si trova la propria auto, si ferma impietrito dinanzi al drammatico spettacolo di una giovane donna senza vita, seduta proprio nella sua macchina.

Com'è finita quella poverina nella sua auto?
È chiaro che Marco deve averla lasciata aperta... ma chi e perché l'ha uccisa proprio lì?

Non fa in tempo a elaborare un pensiero razionale che intravede nella macchina un bambino, spaventato e smarrito, il quale però fugge a gambe levate subito dopo.

Marco sa chi sono entrambi: la vittima è Mia Grenier e quel bimbo impaurito, fuggito chissà dove, è il suo figlioletto Andrea.

Anche Marco viene preso da un'ondata di terrore e decide di lasciare auto e cadavere lì dove sono e scappare.
Dove? E per chiedere aiuto a chi?

Si reca, disperato, a casa di un amico di cui si fida, Stefano Messi, direttore del consultorio Marika, e l'altro, benché perplesso e intimorito, gli offre riparo portandolo a casa della madre e della sorella Rebecca.

Intanto, però, il cadavere viene trovato e identificato dalla polizia, che comincia a indagare; a capo dell'indagine c'è il commissario Bruno De Maio, il quale dai primi momenti capisce che questo è un caso di non facile soluzione perché la verità è meno scontata di quanto potrebbe apparire a una prima occhiata.

È vero, il corpo è nell'auto di questo avvocato irrintracciabile, per cui sarebbe logico pensare che lui sia o l'assassino o che, in qualche modo, sia comunque implicato.
Del resto, se la donna è nella sua macchina non può essere una coincidenza: forse i due si conoscevano? O magari c'era del tenero?

Per avere risposte, è necessario scavare nelle vite di tutti coloro che, man mano, per qualche ragione avevano motivo di conoscere Mia: Eleonora, l'algida moglie dell'avvocato D'Atri, verso il cui destino sembra completamente indifferente, tanto da suscitare antipatia in Marco; Stefano, che dirige il Marika e che pare conoscesse molto bene la vittima; Sara, anch'ella utente del consultorio, in cura presso uno psicologo per aver avuto, in passato, episodi depressivi e allucinatori in seguito ad un dramma personale.

Sara è una donna fragile, insicura, che porta dentro di sé il grande e irrisolto dolore di un bambino perso prima della nascita; le cure e le terapie psicologiche, unite alla presenza del premuroso marito Leo, non hanno attenuato la sua sofferenza né ridato equilibrio e serenità a una mente che continua a mostrare fragilità preoccupanti.

Contemporaneamente alla scoperta dell'assassinio di Mia, Leo si accorge che Sara è di giorno in giorno più strana, che dice di aver visto un bambino fuori casa e manifesta segni di profonda inquietudine e agitazione: che stia riavendo le allucinazioni? Oppure, peggio ancora, che il dolore per il lutto possa averla mandata fuori controllo, tanto da indurla a fare qualcosa di terribile?

La coppia, provando a ritrovare un minimo di pace, si è trasferita in una villa ai margini di un bosco, che diventerà il passaggio obbligato per la risoluzione del caso e per mettere insieme i pezzi di questo caso che si fa via via più complicato e oscuro. 

Sullo sfondo di una città (Udine) uggiosa e di una campagna che si fa teatro di ombre e segreti, i personaggi coinvolti e, in particolare, il commissario Bruno De Maio si troveranno ad affrontare il male  che alberga nelle debolezze della mente umana, nelle cicatrici mai guarite di cuori feriti e nella solitudine che governa le esistenze di tutti loro.

Perché sì, il male si nutre di un profondo senso di solitudine e può infilarsi ovunque, dando l'impressione di dormire per poi destarsi e, al pari di un infido carnefice, insinuarsi nella mente di persone comuni e su cui difficilmente si posa l'ombra del sospetto.

Nel corso della narrazione ci sono diversi flashback che, soffermandosi su episodi significativi, ci rivelano fatti importanti e quegli aspetti, relativi ai personaggi principali, necessari per capire cosa e chi c'è dietro l'omicidio di Mia, quali dinamiche, le emozioni e i malesseri interiori che hanno condotto al drammatico presente, in cui a morire, purtroppo, non è solo Mia...

"Dove si annida il male" è un giallo che ho letto con piacere grazie a una scrittura che trova i suoi punti di forza nell'immediatezza e semplicità del linguaggio, nella duplice ambientazione della città-campagna, nella dimensione corale che permette al lettore di abbracciare le prospettive di più personaggi, di soffermarsi sui loro vissuti emotivi, sulle luci e sulle ombre che attraversano le loro esistenze, ciascuna tormentata da disagi, infelicità, mancanze; è un romanzo in cui vediamo toccati argomenti quali le relazioni di coppia, la violenza di genere, il lutto e la sua elaborazione, la solitudine, il peso dei legami famigliari.

Ringrazio l'autrice, Viviana De Cecco, per l'opportunità di leggere anche questo suo scritto e ve ne consiglio la lettura.




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