Ed. Fanucci
Trad. di C. Genovesi
304 pp
16 euro
2011
QUI la trama
|
La foresta degli amori perduti di Carrie
Ryan è un romanzo in cui ci sono gli zombie.
Ecco, l’ho detto così lo
sappiamo da subito, ok?
Beh, però se volete
leggerlo, non v’aspettate un horror...
No no, si tratta di un fantasy molto semplice e, devo dire, alquanto scialbo.
No no, si tratta di un fantasy molto semplice e, devo dire, alquanto scialbo.
Il romanzo inizia
presentandoci la vita della giovane Mary, la quale vive in un
villaggio di umani, guidato dalla saggia e indiscutibile Congregazione delle Sorelle, con a capo sorella Tabitha, che sorveglia e protegge gli abitanti del
villaggio che, stando a ciò che lei stessa da sempre racconta, sono gli unici
sopravvissuti del genere umano, in seguito ad un evento tragico che ha diviso
il “mondo” in umani sani e Sconsacrati.
Gli sconsacrati sono “non
morti”, sono ex esseri umani, ormai infettati da una non specificata infezione (originata da cosa non si sa) che ha coinvolto tutta la terra (o parte di essa...?); qualunque cosa sia successa, questi Sconsacrati sono esseri infetti, zombie, creature senz’anima, senza vita in loro
stessi, che vivono (o meglio, vegetano) nella “Foresta degli amori perduti”.
Il villaggio in cui Mary
vive al sicuro (?) è separato dalla temibile Foresta solo da una recinzione e
sorvegliato dai Guardiani del villaggio, che devono dare l’allarme qualora ci
fossero invasioni da parte degli Sconsacrati, i quali passano la loro
pseudo-vita nei pressi del recinto, bramando mordere ed infettare i pochi umani
sopravvissuti.
Mary è abituata a questo
tipo di vita protetta, in cui le Sorelle controllano tutto, imponendo i principi
della Sacra Scrittura e raccomandando di fare attenzione e di star lontani dal
recinto, per evitare di essere infettati dagli zombie (termine che comunque non
compare mai nel romanzo), perchè in questo caso si diventerà come loro e si
finirà dritti dritti nella Foresta degli amori perduti (che, a dispetto del nome molto romantico e poetico, di bello non c'avrà davvero nulla, visto che ci vanno gli sfortunati).
E’ il destino della madre
di Mary, che viene morsa da uno sconsacrato, probabilmente di proposito per
poter ricongiungersi al marito, Sconsacrato anche lui.
Da quest’episodio la vita
di Mary prenderà una piega tutt’altro che felice: anzitutto, verrà rifiutata
dal fratello
Jed (che la incolperà della sorte della madre) e sarà costretta ad
entrare nella Congregazione delle Sorelle, che al suo interno è rigidamente
organizzata.
Mary è una ragazza
cresciuta con le storie raccontatele dalla madre: storie che ruotano attorno ad
una parola che puntualmente tornerà ad ossessionare tanto Mary quanto il
lettore: l’oceano.
Grazie alle storie
raccontate da una madre sognatrice, Mary maturerà la convinzione che al di là
della Foresta e del villaggio, c’è un altro mondo, ci sono altre persone, altre
vite..., c’è l’oceano, che nella sua
vastità è considerato il simbolo della
libertà, di un futuro nuovo, di una speranza di vita diversa da quella
opprimente del villaggio, da sempre funestata dall’ombra della morte, incarnata dagli Sconsacrati.
Ecco, il pensiero di
arrivare all’oceano accompagnerà Mary lungo tutto il libro; qualunque cosa
accada, qualunque persona le sia vicino, a lei importa andare oltre i cancelli
della Foresta e vedere questo sconosciuto ma agognato oceano, perdersi nella
sua immensità.
Accanto a Mary troveremo
altri personaggi: Travis, il ragazzo di cui è innamorata, da lei desiderato fino all’inverosimile
finché lui è legato ad un’altra (la migliore amica di Mary, Cass),
per poi sentire l’affievolirsi dei propri sentimenti in nome della libertà (leggi:
l’oceano), una volta avutolo tutto per sè.
C’è poi Harry,
promesso sposo di Mary (fratello di Travis) e innamorato di lei; c’è Jed, il
fratello maggiore di Mary, con cui poi si ritroverà quando nel villaggio
accadrà l’evento da sempre temuto da tutti: l’invasione degli Sconsacrati.
zombie |
Uhm, ok, mi fermo, non
dico altro sulla trama, anche perchè non è che ci sia molto da dire ed
argomentare: si tratta di una storia alquanto semplice e, mi
tocca dirlo, costruita in modo altrettanto banale, sempliciotto.
Sempliciotte sono le
situazioni presentate, anche lì dove l’Autrice avrebbe potuto caricare
l’atmosfera di suspense: manca proprio
quel quid che serve per rendere il ritmo
incalzante, le scene movimentate, i dialoghi incisivi ed efficaci, i personaggi
credibili..
Ero partita con entusiasmo, un po’ per il titolo (così evocativo...!) e un po’ per la trama presentata, ma son rimasta delusa.
I personaggi mancano di un vero spessore emotivo e
psicologico, non ci sono elementi
narrativi che facciano alzare la tensione emotiva durante la lettura; certo, la
fantasia nell’immaginare con la propria mente le scene più attive (gli attacchi degli
Sconsacrati, i pericoli da evitare, le fughe, i momenti di tenerezza...) può
aiutare a dare un senso a ciò che si legge, ma per il resto il
tutto risulta poco convincente.
Mary è oltremodo
insopportabile, per la maggior parte della storia: infantile, capricciosa, ossessionata dal benedetto desiderio
dell’oceano; invano l’Autrice cerca di affibbiarle una qualche vena
“investigativa” e perspicace quando c’è da cercare una soluzione per scappare
dagli Sconsacrati (sempre loro) e oltrepassare i cancelli, ma a mio avviso è
un tentativo fallito.
Una cosa bisogna riconoscerle: la sua determinazione per arrivare al proprio obiettivo, a costo di perdere per strada affetti e legami.
Il romanzo si legge molto
velocemente perchè il linguaggio è scorrevole, va avanti comunque in modo molto
fluido, con la narrazione in prima persona e seguendo dunque il filo dei ragionamenti di Mary, grazie alla quale viviamo le stesse avventure dal suo punto di vista; il mio livello di
attenzione durante la lettura è associabile alla linea piatta di un
elettrocardiogramma di uno Sconsacrato: picchi di vitalità ... non pervenuti!
Per quanto riguarda il titolo, c'è da dire che la scelta italiana risulta alquanto fuorviante; non solo non c'entra nulla con l'originale ("The forest of hands and teeth", quindi "La foresta delle mani e dei denti"), che probabilmente rende maggiormente l'idea della bruttezza e della pericolosità delle creature che popolano questa foresta, ma poi è proprio la questione dell'amore che secondo me crea aspettative di un certo tipo nel lettore, aspettative che A MIO MODESTO AVVISO (?), vengono poi disattese nel romanzo.
Per quanto riguarda il titolo, c'è da dire che la scelta italiana risulta alquanto fuorviante; non solo non c'entra nulla con l'originale ("The forest of hands and teeth", quindi "La foresta delle mani e dei denti"), che probabilmente rende maggiormente l'idea della bruttezza e della pericolosità delle creature che popolano questa foresta, ma poi è proprio la questione dell'amore che secondo me crea aspettative di un certo tipo nel lettore, aspettative che A MIO MODESTO AVVISO (?), vengono poi disattese nel romanzo.
Diciamo pure che un titolo (in italiano) così carino e suggestivo, un nome così poetico: la “Foresta degli amori perduti”, usato per denominare la “dimora” di un gruppo sempre più folto di ex-viventi,
assetati di sangue, risulta una scelta sprecata, oltre che non corrispondente a trama, contesto e personaggi.
Mica c’è bisogno che
aggiunga che non mi ha entusiasmato e che non mi sento di consigliarlo? Soprattutto se consideriamo che è il primo di una serie, la cui traduzione e pubblicazione in Italia non mi pare stia proseguendo.
Ciao!
RispondiEliminaOggi inauguriamo la lettura collettiva di "Il curioso caso di Benjamin
Button", se ti va di partecipare sei la benvenuta ^_^
http://locandalibri.blogspot.it/2012/10/leggiamo-insieme.html