martedì 24 febbraio 2015

Recensione: "Miele" di Valeria Golino




Non molti giorni fa vi avevo parlato di un romanzo, "A nome tuo" di Mauro Covacich, la cui recensione potete leggere QUI.
Vi avevo detto che questo romanzo affronta, tra le altre cose, un tema di natura etica, delicato e controverso: il suicidio assistito, argomento presente nella seconda parte del libro ("Musica per Aeroporti"), in cui l'attenzione è tutta sul personaggio di Angela Del Fabbro e sulla sua attività di "angelo della morte".

Il film "Miele", diretto da Valerio Golino e con Jasmine Trinca nel ruolo della protagonista, si ispira proprio a questa seconda parte del libro.




2013
Irene ha trent'anni e ha deciso di aiutare le persone ammalate e che soffrono a lasciare questo mondo con serenità e quando lo decidono loro, prima che la malattia le riduca in uno stato tutt'altro che dignitoso.
Quando è in servizio Irene si fa chiamare Miele e, alle persone che lo richiedono, propone un paio di metodi per morire, entrambi veloci e indolore (oltre che non rintracciabili con un'eventuale autopsia).

Proprio come nel romanzo, anche la Miele del film ci appare molto solitaria, di poche parole, un po' scostante, con un modo di fare quasi mascolino (anche nell'aspetto fisico); la sua vita, però, è un piccolo castello di bugie, raccontate anche al padre e all'uomo con cui ha una relazione (sposato), ai quali dice di studiare all'università, per giustificare il fatto che spesso si assenti.

In realtà, gli impegni di Irene sono per lo più profusi in questa sua "missione", che lei porta avanti con molta discrezione, serietà e convinzione.

Nonostante il suo remunerativo (e illegale) lavoro sia per tanti versi discutibile, a muovere Irene è l'intima convinzione che stia facendo qualcosa di positivo per aiutare i malati: Miele non si sente affatto un'assassina, nonostante aiuti la gente a passare "a miglior vita", forse perchè una parte di lei avrebbe voluto che qualcuno lo facesse con la sua povera mamma, risparmiandole inutili giorni di sofferenza prima di morire.

Tutto procede in modo relativamente tranquillo finchè un giorno non le telefona un uomo, l'ingegner Grimaldi, che le chiede di spiegargli come fare per suicidarsi e Irene, dando per scontato che si tratti di un malato terminale, gli dà il Lamputal (di cui regolarmente si rifornisce andando in Messico); l'uomo la paga e le spiega di voler fare tutto da solo.
Sapere che Grimaldi in realtà non è ammalato ma "semplicemente" stanco di vivere e vuol farla finita senza soffrire troppo e senza fare troppo clamore, mette un po' in crisi la giovane donna, perchè una richiesta come questa va contro i suoi princìpi ed è contraria alle motivazioni che l'hanno sempre spinta ad agire.
Tra i due si instaura un rapporto strano e l'idea che Grimaldi possa farla finita diventa quasi un pensiero fisso per Irene, che non si dà pace all'idea che un uomo con una salute di ferro possa togliersi la vita con il suo aiuto (per quanto "involontario").

Irene si trova davanti a un dilemma: ma davvero solo un terminale ha il diritto di scegliere come e quando morire?
Quali sono i confini e i limiti del suo lavoro? Sono davvero così ben definiti e netti?

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La calma e l'apparente disinvoltura con cui Miele affronta e gestisce la morte si incrina davanti a quest'uomo, che in qualche modo mette in discussione le certezze su cui lei ha sempre fondato questo lavoro.

E a proposito della protagonista, il film dà qualcosa che dal libro potrebbe non arrivare e mi riferisco al fatto che Angela sembra più fredda e distaccata (non dico insensibile) in quello che fa, al contrario di Miele, che, pur cercando di restare estranea e neutra davanti al dolore del malato e del familiare presente, non riesce a restare totalmente indifferente.

La Trinca è molto convincente e mi è piaciuta tanto in questo ruolo (come sempre, del resto ^_- ), così come mi è piaciuto il modo in cui ha affrontato e diretto la Golino questa tematica complessa e sempre attuale che, pur toccando ambiti che afferiscono alla coscienza e all'etica, è trattata in modo lucido sì ma con delicatezza, senza banalità e retorica, e soprattutto senza giudizi e falsi moralismi.

Insomma, un film da vedere!

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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