Il 9 agosto 2008 a Houston (Texas) moriva Mahmoud Darwish, scrittore, giornalista e "poeta della resistenza" palestinese nato nel 1941 ad al-Birwa in Galilea, un villaggio prima occupato e poi raso al suolo dall'esercito israeliano.
"Il tempo a Gaza non è relax, ma un assalto di calura cocente. Perché i valori a Gaza sono diversi, completamente diversi. L’unico valore di chi vive sotto occupazione è il grado di resistenza all’occupante. Questa è l’unica competizione in corso laggiù. E Gaza è dedita all’esercizio di questo insigne e crudele valore che non ha imparato dai libri o dai corsi accelerati per corrispondenza, né dalle fanfare spiegate della propaganda o dalle canzoni patriottiche. (...)
Gaza non si vanta delle sue armi, né del suo spirito rivoluzionario, né del suo bilancio. Lei offre la sua pellaccia dura, agisce di spontanea volontà e versa il suo sangue. (...)
Gaza non è un fine oratore, non ha gola. È la sua pelle a parlare attraverso il sangue, il sudore, le fiamme.
(...) agli occhi dei nemici, è la più ripugnante, la più povera, la più disgraziata, la più feroce.
(...) bambini senza infanzia, vecchi senza vecchiaia, donne senza desideri. Proprio perché è tutte queste cose, lei è la più bella, la più pura, la più ricca, la più degna d’amore. (...)
I nemici possono avere la meglio su Gaza. (Il mare grosso può avere la meglio su una piccola isola.)
Possono tagliarle tutti gli alberi.
Possono spezzarle le ossa.
Possono piantare carri armati nelle budella delle sue donne e dei suoi bambini. Possono gettarla a mare, nella sabbia o nel sangue.
Ma lei:
non ripeterà le bugie.
Non dirà sì agli invasori.
Continuerà a farsi esplodere.
Non si tratta di morte, non si tratta di suicidio. Ma è il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
Per questo, il nemico la odia fino alla morte, la teme fino al punto di commettere crimini e cerca di affogarla nel mare, nel deserto, nel sangue."
"Non abbiamo affatto nostalgia di una landa desolata, abbiamo nostalgia di un paradiso. Abbiamo nostalgia di esercitare la nostra umanità in un posto che sia nostro.”"Un luogo non è solamente un’estensione geografica, ma anche uno stato interiore. Né gli alberi sono solamente alberi, ma costole d’infanzia e pianto colato dalle punte delle dita...""Che cos’è la patria? Non è una domanda a cui puoi dare risposta e passare oltre. È la tua vita e la tua causa assieme. Prima e dopo tutto questo, è la tua identità."
"...capisci che cos’è la patria: il desiderio di morire per recuperare terra e diritto. La patria non è soltanto terra, ma terra e diritto assieme. Tu hai il diritto, loro hanno la terra. Dopo essersi impadroniti della terra con la forza, hanno cominciato a parlare di diritto acquisito."
“Calmati, accetta” non è un consiglio innocente, è un invito a sbarazzarti della polvere della patria a cui non trovi un nome. Ti hanno strappato la terra da sotto i piedi, così l’hai nascosta sotto la pelle. Ti hanno torturato, ma hai confessato un amore ancora più folle per quel che ha causato la tua tortura. Nessuna minaccia dall’interno cancella la tua appartenenza, nessuna promessa dall’esterno ti dà sicurezza. Prendi la tua croce e vai all’appuntamento con il suicidio. Non dire sì. Sotto lo stridio delle catene, l’alienazione, che ti viene da ogni singolo giorno, si trasforma in una tregua con il vento. In prigione ti abbraccia la libertà, in prigione ti riempi anche di patria. La lotta è la risposta. Se combatti appartieni a qualcosa. La patria è lotta. Tra valigia e memoria non c’è altra soluzione che la lotta. Diritto, libertà, appartenenza, merito si dichiarano soltanto con la lotta. Non gli è bastato impadronirsi di tutto. Vogliono impadronirsi anche del tuo senso di appartenenza per diventare la realtà tra te e la patria. In modo che la patria diventi fardello, catena, dolore. Ma tu non troverai libertà fuori da questa catena, non troverai sollievo lontano da questo fardello, non troverai gioia fuori da questo dolore.