Eccomi qui, a dirvi la mia su un libro-testimonianza che ho letto nel week end appena trascorso.
IO, CHRISTIANE F.
La mia seconda vita
di V. Christiane Felscherinow,
Sonja Vukovic
Sonja Vukovic
Ed. Rizzoli
17 euro
300 pp
USCITA 26 FEBBRAIO
2014
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Ho letto “Noi ragazzi dello zoo di Berlino” diversi anni fa e, come probabilmente è accaduto a tanti altri lettori (in particolare, quelli giovani d’età), ne rimasi turbata, per il modo assolutamente crudo e realistico con cui è raccontata l’adolescenza della protagonista, Christiane, e il suo “rapporto col mondo della droga”.
L’attuale libro inizia facendo una sorta di riassunto per fare il punto della situazione, fermandosi al “dove eravamo rimasti”.
E chi ha letto il precedente, sa che avevamo lasciato Christiane adolescente, con alle spalle già una serie di brutte esperienze, legate all’assunzione di diverse droghe (eroina in primis) e alla prostituzione per poter comperare gli stupefacenti; una Christiane che sta cercando di lasciarsi dietro questo bagaglio pesante e negativo, abitando in campagna, dalla nonna, cercando di frequentare ragazzi non legati al mondo della droga.
Chiudiamo l’ultima pagina di “Noi ragazzi…” con la domanda e la speranza che questa giovane berlinese, che ne ha vissute di tutti i colori, possa davvero disintossicarsi e liberarsi dall’incubo di una vita vissuta all’ombra della tossicodipendenza.
Parlare di un personaggio noto come Christiane Vera Felscherinow non sarebbe necessario, perché se cercate il suo nome su Google trovate tutte le informazioni che vi interessano, sulla sua vita passata e presente, sui personaggi descritti nel libro ecc…
Quello che quindi vorrei condividere sono le emozioni e le riflessioni che la lettura della “seconda vita” di Christiane mi ha dato.
Apprendiamo in che modo una vita trascorsa a drogarsi non potesse inevitabilmente non avere sul suo fisico delle conseguenze disastrose; tra le tante, l’insorgere dell’epatite C, con tutti i sintomi annessi, che non permettono alla ormai ultra 50enne Christiane di vivere serenamente.
Con la donna ripercorriamo il “dopo” Amburgo, ciò che le è successo dopo aver lasciato la casa della nonna, e con lei viviamo anni turbolenti, contrassegnati da numerosi viaggi (dalla Germania alla Svizzera, agli USA, alla Grecia…), dalla presenza di diversi fidanzati, la maggior parte dei quali più piccoli di lei, le continue ricadute nella tossicodipendenza (ma n’è mai uscita?), gli aborti fino alla decisione di tenere quello che è poi l’unico figlio, “Phillip”, il vero amore della sua vita.
Leggiamo queste pagine non con semplice e sterile curiosità, ma quasi con “l’apprensione” di sapere che ha fatto della propria esistenza Christiane.
Ha provato davvero a uscire dal giro dell’eroina o in realtà non ha mai smesso di “farsi”?
Certo, non ha mai smesso di frequentare la gente “giusta” (cioè sbagliata….) e la sua mente (come il suo corpo) non ha mai saputo staccarsi dal bisogno di iniettarsi l’ero nelle vene e questo per tante ragioni, di ordine emotivo, psicologico, non solo di dipendenza fisica.
Christiane è una ragazza fondamentalmente sola, dai cui genitori non ha mai ricevuto attenzioni, amore, ma solo umiliazioni e indifferenza; ha cercato sicurezza, stabilità… attraverso legami amorosi, più o meno duraturi, con uomini che però a un certo punto si son stancati di lei, per ragioni legate all’assunzione di droga, o perché intenzionati solo a sfruttare la notorietà (in seguito all’uscita del libro, nel 1978) e i soldi della donna.
Vediamo una Christiane insoddisfatta, inizialmente desiderosa di trovare una propria collocazione nel mondo, che sia nella musica come nella recitazione, ma soprattutto una ragazza che vorrebbe non essere etichettata come “la ragazza dello zoo di Berlino”, ma il tempo le dimostrerà che questa etichetta, questo fardello, questa nomea della “ex tossica” (e neanche tanto ex), della ragazza che faceva le marchette, che si fa d’eroina, che non costituisce una buona compagnia per le persone perbene…, la perseguiterà praticamente per sempre…
Ma lei non è solo un’eroinomane, ci mancherebbe: è, prima ancora, una ragazza con dei sogni, delle insicurezze, delle paure, dei complessi, dei bisogni…. Come tutti noi li abbiamo.
È una ragazza che vive la propria esistenza portando su di sé il peso di un’infanzia scarsa d’amore, con una madre severa, assente, e un padre violento eppure protettivo, che la figlia ha continuato ad amare nonostante tutto.
E forse è proprio la ricerca inconscia della figura paterna, aggressiva e instabile, a guidare le sue storie d’amore incasinate?
E forse la tendenza a farsi del male, a ricercare il dolore (attraverso la droga) fisico e psicologico è il mezzo attraverso il quale lei riesce a sentirsi, paradossalmente, “viva”, a dare un senso alle sue giornate?
Cristiane è una donna che ha fatto molti errori, pagandoli, col carcere come con la solitudine o sofferenze di vario genere, ma è e resta al di sopra di questo una mamma dolce e apprensiva, che cerca di fare il meglio per il proprio bambino…, ma alla quale non sarà concesso in toto di adempiere al proprio ruolo genitoriale, sempre in virtù di quella benedetta etichetta - “TOSSICA” -, che si porta dietro…
Leggo una pagina dopo l’altra con un misto di sentimenti: malinconia, tenerezza, dispiacere, solidarietà, stupore… davanti alla spontaneità, alla sincerità con cui la protagonista/autrice racconta di sé, della propria vita turbolenta, costellata da esperienze forti, che a volte mi strappavano la domanda “Ma tutte lei, le ha passate?”.
Christiane è una donna sensibile, intelligente, intuitiva, osservatrice, capace di andare oltre le apparenze nei suoi rapporti con le persone, che spera soltanto che chi le si avvicina non lo faccia per mero interesse verso “la famosa drogata dello zoo di Berlino”, ma che la guardi e la tratti come una persona che ha qualcosa da dire, da condividere, forse anche da insegnare, magari alle nuove generazioni o ai genitori.
christiane e sonja |
Si potrebbe dire tanto altro perché le testimonianze vere di persone la cui vita non è stata (e non è) facile non lasciano mai indifferenti, perché ad ogni rigo ne senti il dolore, la speranza, la forza come le debolezze, la voglia di vivere e, allo stesso tempo, la paura di continuare a girare per le strade di questo mondo trascinandosi dietro gli incubi di sempre.
Asciutta, essenziale, la narrazione procede senza seguire un ordine temporale-cronologico, a volte con un tono più distaccato e disincantato, altre volte triste o tenero, ma ciò che ho avvertito costantemente è la forza di questa donna nel ricominciare sempre e comunque, nel non arrendersi e nel fare questo per amore del figlio, che è la sua unica ragione di vita.
Ovviamente ne consiglio la lettura a chi ha letto il precedente libro-testimonianza di Christiane e a chi predilige le storie vere.
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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz